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Archivio GIAC, scuola: proposte per il rinnovamento, 1968, busta 689 Volantino destinato alla diffusione.

I COMUNISTI IN PARROCCHIA: IL SESSANTOTTO CATTOLICO IN ITALIA

11 Archivio GIAC, scuola: proposte per il rinnovamento, 1968, busta 689 Volantino destinato alla diffusione.

anni sessanta che mancava ancora di organismi di partecipazione studentesca alle decisioni dell’autorità scolastica: la creazione di questi organismi è stata la battaglia più fruttuosa portata avanti dal movimento studentesco, e anche in questo caso non si può negare l’analogia con la contestazione interna alla chiesa. Se i laici chiedevano una maggiore partecipazione alle vicende della chiesa, una maggiore democrazia e più ascolto da parte delle gerarchie, gli studenti cattolici facevano lo stesso nella scuola: “in una certa struttura, in una certa realtà organizzativa culturale della scuola italiana, il dialogo oggi per tutte le forze che si battono per il rinnovamento della scuola non è una condizione acquisita, è una conquista da realizzare e passa attraverso la creazione di strutture di dialogo che sono perciò alla radice, strutture che responsabilizzano le componenti; che danno quindi potere alle componenti, che consentono alle componenti di realizzarsi, di strutturarsi, di vivere in quanto componenti della scuola”12. Non ci poteva essere dialogo nella scuola finché non si fossero istituzionalizzate le assemblee degli studenti.

Si spiega in questo modo anche un’altra caratteristica della partecipazione dei cattolici nel movimento studentesco, la loro presenza alla guida della assemblee scolastiche ed universitarie: l’assemblea aveva infatti il compito principale di organizzare la protesta, ma permetteva anche, se gestita sapientemente, una composizione delle differenti visioni della protesta che avrebbe permesso un suo svolgimento senza che questa oltrepassasse certi limiti. Il racconto di padre Casalini, uno dei protagonisti della prima occupazione della Cattolica di Milano, ce lo conferma. Padre Casalini si trovò, da studente della Cattolica, a moderare i lavori dell’assemblea che decise, la sera del 17 novembre del 1967, la prima occupazione dell’ateneo: “La mia elezione alla presidenza fu del tutto casuale. Scherzando, un amico del collettivo scrisse il mio nome su un foglio e lo pose tra gli altri sul tavolo. Fui eletto perché totalmente estraneo a ogni gruppo studentesco già costituito. La scelta della prima volta fu poi confermata in tutte le assemblee perché il criterio adottato era valido, indipendentemente dalla mia persona”13.

Il secondo obiettivo che veniva fatto emergere era quello della sperimentalità. Lo spunto per la discussione sulla sperimentalità dei giovani della GLA.C arrivava probabilmente dai fatti della Cattolica e delle altre università occupate, in cui si organizzavano dei contro-corsi autogestiti. Infatti, anche in questo caso, proprio di autogestione si parla, come di una conquista da ottenere principalmente sul campo (attraverso una sperimentazione appunto) per poi averne una formalizzazione che la rendesse sperimentazione permanente: “Pensiamo che non si possa generalizzare un’esperienza rivoluzionaria come quella dell’auto governo nella scuola, rivoluzionaria rispetto al nostro costume scolastico, se non dopo averla sperimentata; e perciò l ’autogoverno va innanzitutto sperimentato”14. L ’esperienza

12 Ibidem.

13 Roberto Beretta, Il lungo autunno. Controstoria del Sessantotto cattolico, cit., p. 28. 14 Archivio GIAC, Documento senza nome, 1968, busta 689.

I comunisti in parrocchia: il Sessantotto cattolico in Italia

delle autogestioni era prima di tutto cattolica: cosa c’era di più vicino all’esaltazione del ruolo dei laici, al rifiuto di ogni gerarchia, se non l’autogestione nella scuola? E infatti erano proprio gli studenti cattolici i primi, sia nell’università che nella scuola, a proporla.

Un terzo obiettivo era quello del rinnovamento della classe docente: “la scuola italiana ha bisogno di diversi, nuovi insegnanti. Il tema è di una complessità enorme, è un tema che investe le strutture di formazione degli insegnanti, che investe segnatamente l’istituto magistrale e la facoltà di Magistero. Ma il tema più vasto, il tema sulla preparazione professionale, pedagogica, culturale degli insegnanti è un tema sull’aggiornamento continuo, sulla riqualificazione continua degli insegnanti”15.

La svolta in senso contestatario degli studenti medi si ebbe, sulla scia delle occupazioni universitarie, solo il 26 gennaio del 1968 con la improvvisa “occupazione di lavoro” (così la chiamava il gruppo degli attivisti) del liceo “G. Berchet” di Milano. Subito dopo, sempre sotto la spinta e sulla falsa riga degli universitari, vari gruppi di studenti, in un primo tempo soprattutto liceali, poi anche di altri tipi di scuole ed infine anche alcuni delle scuole serali, iniziavano a prendere parte ad un’azione di contestazione che era stata preparata per tutto il primo trimestre dell’anno scolastico, sancendo la nascita del movimento studentesco medio, con obiettivi molto simili a quelli degli universitari: diritto allo studio, lotta contro l’autoritarismo, riforma della scuola, potere studentesco.

Il nuovo corso instaurava, per non dire imponeva, anche a livello medio, la formula universitaria della partecipazione diretta attraverso le assemblee, che diventavano subito il mezzo per sensibilizzare la gran parte degli studenti che ancora restava in disparte e per generalizzare i temi della protesta.

In pochi mesi il fenomeno prendeva dimensioni vistose, in particolare nelle grandi città italiane (ma anche nelle piccole città, in particolare quelle in cui era assente l’università), e acquistava tanta consistenza che era impossibile sottovalutarlo. Nel terzo semestre le dimostrazioni sembravano rientrare, anche se i gruppi attivi continuavano il proprio lavoro. Gli editori dei giornali cominciavano a guardare ciò che veniva pubblicato sui giomalini studenteschi, che si moltiplicavano nel corso dei mesi. All’inizio dell’anno scolastico successivo, in un clima reso ancora più difficile dai continui scioperi dei lavoratori della scuola, le dimostrazioni riprendevano e diventavano molto più radicali: in questo contesto il giudizio della GIAC mutava, quasi improvvisamente.

In un volantino gli studenti della GIAC esprimevano il loro appoggio a molti dei temi della protesta, ma è facile leggere tra le righe una tensione nei confronti delle modalità di azione: “Va ascritta a merito del movimento studentesco medio la creazione di una situazione irreversibile di disagio, dalla quale non si può uscire con palliativi, bensì solo adeguando la scuola al bisogno di rinnovamento

democratico e di partecipazione, che fermenta a tutti i livelli della società. Per contrapposto, va ascritto a demerito della società addormentata nella sua routine, e soprattutto dei suoi responsabili, il fatto di aver praticamente ignorato le voci, qualunque ne fosse la connotazione ideologica, di teorici e di tecnici i quali, con linguaggio, metodi e mezzi più razionali - e più “ragionevoli” - delle manifestazioni di piazza, denunciavano da anni le carenze e le arretratezze della scuola nei confronti dello sviluppo sociale e tecnologico e sottolineavano la conseguente urgenza di intervento”16.

I metodi “più razionali e più ragionevoli” erano quelli proposti da movimento cattolico inizialmente: coinvolgimento dei genitori, assemblee, spirito propositivo, che mal si sposavano con una tale radicalizzazione della protesta. Due erano i principali pericoli di questa protesta che venivano individuati dalla presidenza della GIAC: “la frattura tra le generazioni” che, se non adeguatamente colmata, avrebbe potuto costituire una minaccia al rapporto, pur conflittuale, tra padri e figli; la “larga sostituzione di slogan, fideisticamente accettati, sotto spinta emotiva, alle maturazioni lente, ma criticamente conquistate, del pensiero”, che avrebbe generato “superficialità nella loro coscienza sociale, e una fiducia nella miracolosa efficacia dei movimenti di protesta, colti soltanto nell’aspetto esteriore ed elettrizzante”. Tutto questo avrebbe avuto conseguenze catastrofiche sui giovani: “le conseguenze, nella futura società che questi giovanissimi formeranno, potrebbero essere sfiducia radicale, assenteismo e disimpegno dal bene comune, egoismo e particolarismo, disgregazione della società”17. Com’è possibile che i pericoli della contestazione fossero gli stessi che venivano individuati, solo un anno prima, nel mantenimento dello status quol Cosa poteva essere accaduto per mutare così radicalmente l’opinione della GIAC nei confronti della contestazione?

Da un lato, sicuramente, c’era che questo evolversi della contestazione verso l’uso di azioni di forza metteva il movimento cattolico di fronte al solito dilemma sull’utilizzo della violenza, che tanta discussione aveva generato nell’ambito del dissenso ecclesiale; dall’altro, ed è l’elemento più significativo, c’era uno spostamento dal piano della contestazione nei confronti dell’istituzione scolastica ad un modello di contestazione globale, cioè rivolta anche ad altri ambiti della vita sociale. Utilizzando un’espressione un po’ abusata, la contestazione usciva dalle scuole e finiva nelle strade, si rivolgeva ad altri aspetti dell’organizzazione sociale ed appariva come una forza distruttiva. Sembra così, leggendo i documenti di quell’anno (i primi mesi del 1969) dell’archivio GIAC, di fare un passo indietro a prima del concilio, al pontificato di Pio XII e alla propaganda anti-comunista. Il nemico aveva di nuovo un nome, non si chiamava più esplicitamente “comuniSmo” ma “rivoluzione”: “Là dove si nota prevalenza o assolutizzazione del fatto contestativo nei confronti del fatto propositivo, a noi pare si possa parlare di

16 Archivio Giac, Sulle nuove azioni degli studenti medi, Ciclostilati Studenti, busta 690. 17 Ibidem.

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contestazione globale radicalizzata. Essa consisterebbe nel far leva sui punti di rottura per far esplodere il tutto; e la scuola diventerebbe il perno del rivolgimento generale, il puro dato di partenza per la grande rivoluzione”18.

Di pericoloso, nella “contestazione globale radicalizzata” c’era il possibile contatto con gli studenti universitari e la classe operaia, e lo spostamento dell’azione dal piano propositivo a quello distruttivo. In questo caso la scuola non costituiva più un fine, ma era un semplice mezzo, “luogo di pura trasmissione del fenomeno rivoluzionario”19. Era iniziato quello che Falconi definì in un suo articolo il “controconcilio”, un rapido rientro nei ranghi dopo l’esplosione della “primavera dei movimenti”20.

Compiere un bilancio in termini quantitativi del Sessantotto degli studenti medi cattolici è quasi impossibile: l’Azione Cattolica, in tutti i suoi rami, era organizzata intorno alla parrocchia di riferimento, senza che vi fosse alcun collegamento con la scuola - o sarebbe meglio dire le scuole - frequentate dai giovani aderenti, e ciò rende difficile conoscere la loro partecipazione, ad esempio, ad una singola occupazione. Di certo sappiamo che tale partecipazione cambiava a seconda della parrocchia di riferimento, e dobbiamo considerare che la posizione dei vertici era spesso più avanzata, o comunque differente, da quella della base. A seconda che ci si trovasse in parrocchie più aperte o conservatrici il ruolo dell’attivismo della GIAC mutava radicalmente. Infine, non è da trascurare la consistente parte di ex-aderenti alla GIAC che lasciavano il movimento per unirsi a gruppi più “radicali”. In uno studio rinvenuto proprio nell’archivio di presidenza della GIAC si mostrava come, tra il 1967 ed il 1969, il tasso di studenti medi vicini alle organizzazioni cattoliche o semplicemente alla chiesa cattolica diminuì del 23%. Non sarebbe più aumentato, il Sessantotto decretò l’inizio del declino dell’associazionismo giovanile cattolico organizzato21.

I comunisti in parrocchia

Non c’è stato un momento preciso, o un motivo preciso che ha spinto tanti giovani ad abbandonare l’Azione Cattolica, nella quale spesso ricoprivano ruoli di responsabilità, e formare gruppi autonomi di impegno sociale. Si è trattato, come raccontano molti protagonisti di quella esperienza, di un passo quasi naturale, maturato nella certezza che l’associazione non offrisse gli strumenti necessari alle

18 Archivio Giac, Riflessioni sulla contestazione studentesca, Presidenza, busta 692. Sono

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