IL PORTO ROMANO DI SAN MARCO DI CASTELLABATE*
6 Freschi 1988 7 Benini 2002, p 41.
Il porto romano di San Marco di Castellabate
molto più largo rispetto all’altro come si può desumere dai resti presenti sui fondali. Il suddetto molo era stato realizzato con tecniche diverse realizzando dapprima un basamento con una massicciata , quindi ridotta in questo modo la profondità probabilmente è stato utilizzato il metodo delle casseforme8 che vedremo poi nel dettaglio. Per quanto riguarda i materiali utilizzati l’intera opera è in opus caementicium, utilizzato a Roma a partire dal II sec. a.C., cosa che, insieme ad altri indizi, ci consente di datare l’opera tra la fine dell’età repubblicana e l’inizio dell’età imperiale. La tecnica citata era ampiamente ùtilizzata nella costruzione delle strutture portuali come documentato dai resti dei porti romani di Pozzuoli, Cesarea, Anzio, citandone solo alcuni, ed è citata nel libro V del De
architettura di Vitruvio nelle sue varie fasi con indicazione degli strumenti e delle
modalità operative. La tecnica citata inoltre si mostrava particolarmente efficace con l’utilizzo della pozzolana (sabbia di origine vulcanica) nella miscela con le pietre e la calce, che dava maggiore compattezza e resistenza alle strutture e quindi era particolarmente adatta nella costruzione dei bacini portuali dove l’azione del mare provoca maggiore usura. Anche a San Marco si è utilizzata questa tecnica ed essa risulta particolarmente evidente nella costruzione del molo settentrionale (con direzione est-ovest) meglio conservato e quindi leggibile più facilmente. Il suddetto molo è stato realizzato in opus caementicium gettato entro casseforme in legno, utilizzando come fondazione una lingua rocciosa in leggera pendenza. Nel primo tratto, partendo da est, si sono conservate poche tracce di opera cementizia a diretto contatto con la roccia: con l’aumentare della profondità del mare, quindi procedendo verso ovest, la struttura si conserva fino a circa tre metri in altezza (di cui solo 40 cm emergono sul livello medio del mare) e 4,5 in larghezza.
Esaminando la parte emersa della struttura ed il perimetro sommerso è possibile individuare numerose tracce che consentono di individuare le tecniche utilizzate per la costruzione. « L u n g o la cresta del molo si leggono le linee trasversali di contatto tra gettate adiacenti: le giunzioni si presentano ad intervalli alquanto regolari, con cadenza tra 6 e 8 metri. Da questo dato può ricavarsi un’indicazione dell’impiego di casseforme lunghe 6/8 metri e larghe quanto l’intero molo. La perfetta connessione tra le gettate permette inoltre di ritenere che esse siano state effettuate in successione: solo dopo il consolidamento del materiale all’interno della prima veniva infatti montata la cassaforma successiva smontando la paratia in co m u n e» 9. Ogni cassaforma era fissata al fondale marino grazie a dei pali che posti verticalmente ai loro lati erano innestati sul fondo aH’intemo di fori. Il banco roccioso utilizzato come fondazione, in alcuni tratti del perimetro del molo, ad una distanza di circa cm 30, presenta numerosi fori per l’alloggiamento di pali distribuiti su due allineamenti che corrono paralleli a nord e
8 Ibidem, p. 41. 9 Ibidem, pp. 42-43.
a sud dello stesso; si riscontrano 9 fori lungo il lateo settentrionale, 13 fori lungo il lato meridionale e tree con allineamento ortogonale rispetto ai precedenti, iin corrispondenza dell’attuale limite ovest della strutturai, la loro presenza anche oltre questo limite indicia probabilmente che il molo in origine si estendevia ulteriormente verso ovest.
Figura 6: Pianta del molo. Da: Benini 2002, p. 41, tav. 2.
Non dimentichiamo che i sub del Gruppo Argo di Venezia hanno trovato oltre l’attuale estremità della banchina un altro blocco, in linea con gli altri, circa 18 metri ad ovest (blocco E) che potrebbe rappresentare la reale estremità del molo. A tale proposito va ricordato il misterioso foro citato dalla Benini a circa 20 metri ad ovest dall’attuale estremità del molo est- ovest ed in linea con lo stesso10 11 che potrebbe coincidere con la reale testata del molo oggi in frantumi sul fondo dopo circa 2000 anni di erosione marina. La disposizione dei fori mostra una corrispondenza con le tracce delle travature orizzontali (catenae); i fori alloggiavano dunque i pali verticali esterni alla struttura (stipites), adibiti al contenimento della pressione che la gettata cementizia imprimeva dall’interno sulle pareti della cassaforma, aiutati in questa funzione dalle catenaen .
. Sui fondali del bacino B il citato gruppo Argo di Venezia ha trovato: un corno taurino di piombo punzonato superficialmente per applicare superficialmente una copertura di materiale più nobile, alcuni anelli di piombo da vele, un piombo sferico da rete, una medaglia in oro molto consumata. Fra gli oggetti ceramici: un collo di anfora di forma Kapitan II con un’ansa e mezzo, un anfolisco, parte di embrici; è presente inoltre sul fondo in adiacenza al molo fronte ovest la presenza di una bitta lapidea per poter ormeggiare.
10 Ibidem, p. 44. 11 Ibidem, pp. 43-46.
Il porto romano di San Marco di Castellabate
Figura 7: Pianta del porto romano. Da: Gruppo ricerche subacquee Argo Venezia, 1995
Per quanto riguarda l’articolazione della struttura portuale si è già detto che si componeva di almeno due bacini di cui probabilmente quello coincidente grossomodo con l’attuale porto turistico era il più grande. Interessanti testimonianze a tale proposito provengano dai carteggi relativi alla costruzione del porto moderno, che mostrano come l’area in questione sia stata stravolta nel giro di pochi anni. Un primo progetto del 1926 prevedeva di trasformare in porto turistico il cosiddetto bacino B, ripristinando il molo est-ovest attualmente emerso e creando una diga foranea grossomodo in corrispondenza del molo sommerso sud- nord.
Dalla carta del piano regolatore dell’anno in questione si vede chiaramente la linea di costa dell’area prima delle modifiche che avverranno negli anni successivi. Il cosiddetto bacino B è molto più ampio rispetto a ciò che vediamo noi oggi, il lato orientale dello stesso è stato profondamente modificato con un parziale riempimento dello stesso per consentire la costruzione delle strutture edilizie attualmente ivi ubicate. Il torrente che all’epoca sfociava nella spiaggia dove oggi
c ’è il porto moderno, per evitare l’insabbiamento dello stesso è stato deviato ed oggi finisce in mare all’interno del bacino B, spostando il medesimo problema all’interno nel bacino oggi inutilizzato. Fortunatamente il torrente in questione ha una portata molto bassa per cui è difficilmente ipotizzabile un serio insabbiamento del bacino B.
Figura 8: Piano regolatare del 1926. Da: Severino, Malzone 2011, p.3
Dalla stessa cartina si evince la reale lunghezza del molo est-ovest, che doveva essere meno del doppio di quella che vediamo oggi (circa 120 metri contro gli attuali 84) e probabilmente doveva avere un braccio con direzione sud-nord che lo collegava alla terraferma, come risulterebbe anche dalle foto. Se i calcoli sono giusti circa 36 metri del molo est-ovest sono stati inglobati nelle moderne strutture portuali, la cui lunghezza originaria potrebbe essere ancora superiore se consideriamo come sua estremità ovest non il blocco D ma quello E, come ipotizzabile, in questo caso la lunghezza complessiva diventa di circa 138 metri.Il secondo molo sud-nord che si protende verso il largo, oggi inglobato nella diga
Il porto romano di San Marco di Castellabate
foranea, come si può vedere dalla cartina del 1926 non è perfettamente perpendicolare ma forma un angolo leggermente ottuso sul fronte mare. La cartina esaminata sembra confermare ciò che si intravedeva dalla cartoline e dalle foto scattate pochi anni prima e che era riportato sommariamente sulle vecchie carte I.G.M. del posto. Per quanto riguarda il bacino A esso doveva essere di dimensioni più grandi e con una articolazione difficilmente immaginabile essendo stato inglobato alPintemo del moderno porto, ciò è confermato dalla descrizione della costruzione della nuova diga: « l a radice del molo era posta in corrispondenza della estremità del primo braccio dell’antico moletto ro m an o » 12. In corrispondenza del suo ampio imbocco esisteva un isolotto come documentato dalle foto e dalle cartine e che viene citato tra l’altro in un articolo datato al 12 marzo del 1931 scritto da un giornalista locale « a l l ’imboccatura uno scoglio quadrato con un buco al centro che oggi viene chiamato il f o r o » 13, è strano il soprannome dato all’isolotto, il termine faro sarebbe stato sicuramente più idoneo vista la sua collocazione.
Figura 9: Vecchia testata molo. Da: Severino, Malzone 2011, p. 78
Esso è oggi nei pressi della parte terminale della moderna diga foranea essendo in corrispondenza della vecchia testata del nuovo molo prima dell’allungamento dello stesso neglia anni ’70 del secolo scorso. L’isola si trovava in pratica in corrispondenza dell’attuale seconda curva del molo, dove lo stesso raggiunge la sua massima larghezza, il cui andamento è stato curvato pur di
12 Severino, Malzone 2011, p. 61.