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Sonetto caudato di schema metrico ABBA ABBA CDC DCD dEE eFF fGG. Si dà rima ricca ai vv. 2-3 e 5 (ma tra 2 e 5 il rapporto è di rima inclusiva) e 19-20. La rima C è parzialmente consonante e in assonanza atona con la rima D (-orTE, -aTE), la quale consuona anche con la rima G (-AtE, -AlE). Sul piano del rapporto tra metro e sintassi è notevole l’esecuzione di un unico periodo per tutto l’arco della fronte (ampliata da due coppie di versi parentetiche, rispettivamente a 3-4 e 5-6).

L’assunzione di un animale, caro al destinatario dei versi, a oggetto di poesia è topos vetusto nella tradizione lirica (rimandi d’obbligo sono Cat., Carm., III, Lugete, o Veneres Cupidinesque e Ov., Am., II 6); più rara l’introiezione del suo punto di vista. Qui il Lasca dà voce al muletto dello Stradino (per il quale cfr. comm. a X, 50) immaginando che questo rimproveri la cattiva condotta del padrone e lo implori di risparmiare fatiche alla sua ormai avanzata vecchiaia.

1-8. Si respinge la lezione del Verzone Sì, banalizzante, in luogo del Se che invece figura nell’autografo: la congiunzione introduce infatti una costruzione causale anacolutica retta al v. 8 da mi raccomando a voi. 2. tant’anni e tanti: l’iterazione dell’agg. ha valore intensivo. 3. hovvi: enclisi pronominale con raddoppiamento consonantico dovuto alla posizione postonica. 4. lungo le mura: si intendono le mura di Firenze (all’epoca del Lasca i due principali avamposti, rispettivamente settentrionale e meridionale, corrispondevano a porta alla Croce e alla fortezza da Basso), e l’espressione, fuor di

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metafora, corrisponde a ʻda un capo all’altro della cittàʼ. a spasso e per cammino: ʻper piacere o per affariʼ: letteralm. ʻsia per andare a zonzo che per compiere un tragitto determinatoʼ. In testi odeporici ʻper camminoʼ è una locuzione parafrasabile come ʻlungo il tragittoʼ, ʻper la stradaʼ, cfr. Ramusio, Navigazioni e viaggi, cap. 77: «Stava di continuo a questa pratica un interprete, e appresso di lui il frate che ne aveva condotto per cammino»; ivi, cap. 145: «Del cammino che noi facemmo da Cananor in Lisbona, e di quello che ci accadde per cammino» (spogli BIBIT, ʻper camminoʼ, 18 luglio 2017). 5. all’amico, al vicino: analoga coppia in Me42, 9 «ed all’amico ed al vicino». 7. accasciato: ʻinfiacchito per l’etàʼ, cfr. V. Borghini, [Di un falso Vellutello], in Scritti su Dante, p. 249: «Accasciare è ottima voce et molto propria, nostra, da 300 anni in qua, stata sempre in uso, et chiamasi una persona accasciata, quando per vecchiezza o infermità è molto mal condotta et quasi non si regge; et si dice tutto il giorno “il tale è molto accasciato”». 8. mi raccomando a voi: formuala con la quale chi è bisognoso richiede aiuto o clemenza a persona più potente (cfr. GDLI, s.v. ʻraccomandareʼ 2). 9. a seguitar la corte: a condurre la vita del cortigiano (per ʻseguitareʼ nel senso di «scegliere un modo di vita» cfr. GDLI, s.v. 14). In questa accezione ha significato tecnico (cfr. Paganino Gaudenzio, Del seguitare la corte o no, in Pisa, per Christofano Roncucci, 1647). Quello del disprezzo della vita di corte è topos di lunga durata (cfr. almeno il verso di Seneca, Phaedra, 982 «fraus sublimi regnat in aula», divenuto proverbiale) che nel Cinquecento riacquista particolare vitalità, anche nella letteratura comica, con opere come il Ragionamento delle corti dell’Aretino. 10. increscavi: ʻpreoccupatevi della mia sorteʼ (si noti l’enclisi pronominale). Tessera di ascendenza lirica (Cino, ed. Marti, CII 13: «Increscati di me, signor possente»; Dante, 45 «increscati di me, c’ho sì mal tempo»; Boccaccio, Rime, ed. Leporatti, XCVII, 7 «per la gloria ove sei, Vergine pia, | ti prego guardi a’ mia miseri pianti; | increscati di me, to’mi davanti | l’insidie di colui che mi travia») usata con fine ironia. lasso: cfr. comm. a IV, 1. 11. porte: desinenza antica del fior. per la 2a pers. del cong. pres., in verità orinariamente non ammessa per i verbi della 1a classe (cfr. Castellani, Nuovi testi fiorentini, I, pp. 68-72) ma estesa analogicamente

e resistente poi, soprattutto in sede di rima, per autorizzazione delle tre corone. 12. riposo date: anastrofe. 13. piatisco colla Morte: fuor di metaf. ʻlotto con la morteʼ, ovvero ʻsono in fin di vitaʼ. Letteralm. ʻpiatireʼ vale ʻintrattenere una controversia giudiziariaʼ (da piato < lat. mediev. PLACĬTUM). Il verso risente forse alla lontana di RVF, CCLXIV 126 «un piacer per usanza in me sì forte | ch’a patteggiar n’ardisce con la morte». 14. Allude alle effigi raffiguranti la morte con le quali, secondo varî testimonî, lo Stradino amava addobbarsi (cfr. Varchi, La Suocera, a. IV, sc. VI, p. 103: «Quel […] che porta sempre una morte al collo e una corona di paglia al braccio, e tante altre bazzecole», e qui IX, 9-13 «Croci, crocette, agnusdei, Cristi e Morti | […] portaran sempremai gli uomini accorti» e XX, 16 «Non gli è giovato nulla, ingrata Morte, | l’averti sempremai d’argento e d’osso | portato sculta

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addosso»). La Masaro (Un episodio della cultura libraria, p. 6) acutamente ricorda come «il disegno del teschio ricorre frequentemente nelle figurazioni [dei libri di possesso] dello Stradino». 17. persona: l’uso di questo termine ha naturalmente valore ironico. 20. rotto: normale per il fiorentino dell’epoca, specie in posizione prolettica, l’impiego di forme composte del verbo con participio non accordate in genere e numero ai sostantivi cui si riferiscono (per ulteriori rinvii cfr. anche comm. a III, 30). 21. mancato m’è: per la mancata concordanza cfr. la nota precedente. 22. condotto a tale: ʻridotto in tale statoʼ. La locuz. ʻessere condotto a tale che…ʼ è assai comune già nella letteratura antica e ha attestazioni in prosa e in poesia, nella poesia lirica (ad es. RVF, CIX, 5) come in quella comica (Fiore, XXXVII, 6; LXVIII, 4). Per il Lasca cfr. Ca3, 113 «or m’ha condotto a tale | ch’io vorrei per men male | la morte, che mi fesse cieco e sordo»; Me45, 69 «Ma il povero cristiano, | sendo nato mortale, | era condotto a tale | che per mostrarsi non cruda ed avara | […] Morte lo tolse a noi». 23. chiamo: ʻimploro aiutoʼ. mille miglia: locuz. con valore iperbolico e intensivo (per cui cfr. GDLI, s.v. ʻMiglioʼ 7), qui vale ʻdisperatamenteʼ. Cfr. Aretino, Ragionamento, III, p. 113: «Le cordelline delle fodre dei guanciali non sono bastate a mille miglia»; e per il Lasca, Comento di maestro Niccodemo, ed. Pignatti, p. 278 «[…] il sapor, poi, che nella salsiccia è sì dilettoso, sì piacevole e sì vario, che chi non l’assaggiasse non potrebbe immaginarlo mai a mille miglia». spedale: cfr. comm. a VII, 4.

[XII = S2]

Al medesimo

Voi ci poneste, Stradino, a pïuolo,