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onde al ciel ve ne andrete ritto ritto.

Strambotto ABABABCC (ma per questa forma metrica il Lasca si serve solitamente della definizione di «stanze», senz’altro) ABABABCC. Meno impegnativa che in altri testi la rifinitura dei rapporti tra le diverse rime (si segnala solo l’assonanza tonica e la consonanza imperfetta della seconda stanza: -ORti, -ORo, -ORna).

Testo d’accompagnamento per il dono di un «idolo» da parte di Giovanni Compagni (di cui il Lasca interpreta il pensiero), condotto con ammiccante ironia verso la superstiziosa abitudine del destinatario di rivestirsi di amuleti (cfr. ad es. XX, 14-16: «Non gli è giovato nulla, ingrata Morte, | l’averti sempremai d’argento e d’osso | portato sculta addosso»). Secondo l’antifrastico ragionamento del mittente, il nuovo talismano garantirà allo Stradino l’ammirazione della gente (ma probabilmente, per antifrasi, l’autore intende affermare che lo Stradino sarà preso per pazzo). Per la testimonianza storica di altri curiosi doni (presunti denti di gigante, statuette di bronzo) cfr. le due lettere di Vincenzio Martelli (in Rime di Vincentio Martelli. Lettere del medesimo, pp. 21-22, 38-39) cit. più oltre nel commento.

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Notevole che, a differenze che nei testi precedenti, si fa qui particolarmente insistita la pressione sulla tastiera dell’equivoco erotico.

(Rubrica). Giovan Compagni: Giovanni di Niccolò Compagni del ramo di Cante detto dal Lasca «Giovannone» (1499-1570, l’identificazione del personaggio e le notizie biografiche si devono al Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, I, p. 742-743 e nn., 1026) e da lui ricordato in un altro testo in ottave (ed. Verzone, O21, II 2) come «uom naturale e valoroso». Fratello di Iacopo. insiema al quale donò allo Stradino, suo intimo amico, il preziosissimo codice di Febus el forte (oggi Banco Rari 45 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze) ritrovato nelle terre di Montebicchieri (possedimento di famiglia, presso San Miniato), nel quale si legge la seguente nota manoscritta autografa del Mazzuoli: «Questo libro mi donò Iacopo e Giovanni frategli, e figliuoli di Domenico di Cante Compagni, mia amicissimi. Il quale tratta di battaglie fatte per Breusse e Febusse cavalieri erranti, della Tavola Ritonda vecchia e nuova, col Sangredario, al tempo del re Utterpandragone e del re Artù di Cammellotto, fuori delle battaglie e avventure fatte e trovate per Lancillotto del Lago, Tristano di Leonisse, e gli altri erranti. Trovato’n una buca del fondamento della fortezza di monte Bigghieri. Composto per il primo trovatore del comporre’n ottava rima: la quale, appresso, il primo che lo volse imitare fue messer Giovanni Boccaccio; el sicondo fu Luvigi Pulci, il fratel Luca e lor sorelle; il quarto e’l quinto fu’l conte Matteo Maria Boiardo da Scandiano e messer Lodovico Ariosti di Ferrara disceso di Bologna la grassa. Restuorato, rattoppato e ralluminato, o per me’ dire ’l vero fatto raffortificare e rimettere insieme con 1000 toppe, che pare Govesse che gue al mondo lo Iddio de’ cenci. Io Giovanni di Domenico di Giovanni di mazzetto di Mazzuolo Mazzuoli da Strata, detto Stradino, cittadino sanza istato, soldato sanza condizione, e profeta come Cassandra di Ecuba: francesco bigio: maestro di tutte l’arte, di scultura e pittura, di rilievo, di mezzo rilievo, di basso rilievo e in piano; col far le forme, formare, e tante altre vertute manuali quante se ne possa imparare à’nparato, di stucchi, di getto, di gesso, paste en varie composizioni di musture, e per dir zuppa unico: appresso, sonatore di stormenti, provisante, componitore e perfetto dicitore alle comedie, in diversi abiti, etae e arti, co’ linguaggi a proposito: dotato dalla natura e accidentale, sanza maestri, tanto che gli è unico. Chi lo vuole ne dimandi Visino merciaio». La genealogia del Compagni offerta dallo Stradino è già stata dimostrata errata dal Del Lungo (Dino Compagni e la sua Cronaca, I, p. 743n e Documenti: Albero della famiglia Compagni, pp. VI-VII). 2. rilevate: ʻmagnificheʼ, ʻgrandioseʼ (GDLI, s.v. 16). 3. Cristo: probabilmente s’intende un crocifisso. Morte: ʻun ciondolo raffigurante la morteʼ: così Pistoia, uno dei personaggi della Suocera del Varchi ricorda il Mazzuoli (a. IV, sc. VI, p. 103): «Quel […] che porta sempre una morte al collo e una corona di paglia al braccio, e altre bazzecole». e ’l libriccino: un breviario con preghiere per la Vergine (cfr. Crusca 1612: «Diciamo anche libriccino, ma più comunemente, che d'altro, di quello, nel quale son

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gli ufici della Madonna, i Sette salmi, e altre preci, che anche chiamiamo Ufizuolo»), che probabilmente lo Stradino portava con sé superstiziosamente (almeno così s’intende dal contesto). 4. accompagnate: è il verbo principale dell’apodosi (da cui è retto il periodo al v. precedente). 5. Allor non d’acqua un uomo, anzi di vino: il calembour di vino/divino è nel Simposio laurenziano, II 58 «tirati a tal vïaggio amor di-vino». Più vicino al Lasca è però N. Franco, Rime contro Pietro Aretino, LVII, 1-4: «Prencipi, egli si sa che già non piove | la vostra grazia sopra l’Aretino, | o perch’egli sia d’acqua, o sia di-vino, | o perch’egli sia dotto, o sia di nove»; non sembra essere nota ai repertorî paremiografici e ai vocabolarî l’espressione essere un uomo d’acqua (ʻessere un inettoʼ, ʻun dappocoʼ), attestata anche in prosa, cfr. Pietro Aretino, Lettere (ed. Procaccioli), VI, 330, Al re Filippo, di Venezia, dicembre 1553: «Tiziano è divino in ritrare il naturale de le presenze de i gran maestri, e io non sono d’acqua in rassemplare la natura de i loro animi». Il Lasca se ne serve anche in O27, IV 2 «Se voi vedete ser Frosin Lapini | che non ha ingegno d’acqua ma di vino». 7-8. Non è da escludere in questi versi un doppio senso erotico (del tutto secondario rispetto al significato principale, anche perché infrangerebbe la sintassi, avendo per sogg. Brigate): collo non è classificato da Toscan (che ha però a III, 2398 ʻcollettoʼ, col significato che qui interessa), ma la consonanza con la parola allusa e il contesto sintagmatico è palese, e confortato dall’occorrenza di pendente, glossato ʻphallusʼ in Toscan, II, 1526 (con raffronto probante, come non sempre avviene in questo lavoro): come in altri casi, l’equivoco erotico è calibrato al livello del significante, non del significato. mettendovelo: ʻuna volta che lo avrete messoʼ, gerundio con valore di proposizione temporale. 8. scambio di: ʻal posto diʼ, ʻin luogo diʼ, cfr. anche C40, 36 «scambio alle mani toccan loro i guanti». breve: piccolo involto che poteva contenere reliquie o scritture come preghiere, formule magiche o di scongiuro portato al collo come talismano (GDLI, s.v. ʻBreve2ʼ 5). Artifizî di tal sorta sono ricordati anche nella novella di mastro Manente, nelle Cene (III, 10), quando il leggendario negromante Nepo di Galatrona asserisce di non aver potuto perpetrare una sua vendetta contro il padre del protagonista «per cagione d’un breve, il quale egli portava sempre addosso, in cui era scritta l’orazione di San Cipriano». 9-10. si elencano varî tipi di amuleti o talismani (l’agnus dei è una medaglietta di cera con l’impronta di un agnello, simbolo cristologico). Morti: pl. femm. di ʻMorteʼ. 10. aloè: albero (Aquilaria agallocha) orientale il cui legno profumato era impiegato per la fabbricazione di piccoli oggetti, suppellettili o mobili. 11. punte: armi bianche di piccole dimensioni. di più sorti: ʻin varî modiʼ, ʻmaniereʼ. 12. sottil: ʻraffinatoʼ. 13. portaran: era stato sviluppo caratteristico del fiorentino aureo l’evoluzione di -ar- protonico in -er- (ma come già notato da Arrigo Castellani, Nomi fiorentini del Dugento, in Saggi, I, p. 476 non in modo assolutamente uniforme); il fiorentino argenteo, tuttavia, riaccoglie dei tipi originarî in -ar- per influenza dei dialetti sud-orientali (cfr. Nuovi testi fiorentini, p. 46; Palermo,

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Sull’evoluzione del fiorentino, p. 133): nel Lasca le due forme sono concorrenti, ma quella aurea è preferita (a CIIa, 29 si legge porteran). sempremai: ʻsempreʼ. addorna: il raddoppiamento consonantico in posizione protonica è fenomeno antico in fiorentino (ma, sembrerebbe, asistematico cfr. i casi cit. da Arrigo Castellani, Il più antico statuto dell’Arte degli Oliandoli di Firenze, in Saggi, II, p. 221). 16. come voi: anastrofe. ch’abbia le corna: anche in questo caso (cfr. comm. ai vv. 7-8) è probabile l’equivoco erotico (accentuato dall’anastrofe): v. Romei, Vocabulista, s.v. ʻcornutoʼ con senso di agens e patiens; e rinvio a O5, VI 8 (qui I, VI 8): «quei sono i più gagliardi e i più saputi | c’hanno dietro la coda e son cornuti». 17-18 per il significato di maccatelle cfr. comm. a VI, 12, qui interpreto color che fan le m. ʻi giocatori di dadiʼ (per le folle che potevano riunirsi attorno a questi giocatori è scontato il rimando alla scena del «gioco della zara» in Purg., VII, 1-9), dato che ʻfare le maccatelleʼ risulta essere sinonimo di ʻgiocare di maccatelleʼ (GDLI, s.v. ʻmaccatelleʼ 5); per fraccurradi cfr. comm. a IV, 7. 20. quei che menan l’orso a pricissione: ʻcoloro che fanno imprese straordinarieʼ, cfr. il proverbio ʻmenare l’orso a Modenaʼ (ʻcompiere imprese di difficile realizzazioneʼ), sul quale Tassoni, Pensieri, IX, XIX, p. 817; Pauli, Modi di dire toscani ricercati nella loro origine, in Venezia, appresso Simone Occhi, 1740, pp. 2-4; Biscioni, Note al Malmantile, Venezia, 1748, pp. 748-749 (canto XI); Luri di Vassano, 244; Quartu, Diz. modi di dire, 351; Deon. Ital., III, p. 299 (s.v. ‘Modena’): l’espressione proverbiale viene dall’uso, documentato in Garfagnana, di pagare i dazî delle saline di Modena (dipendenti dal ducato estense) con cuccioli di orso cacciati nei boschi della zona. Col tempo, l’uso fu sostituito da una regolare tassa in denaro, ma ne rimase memoria, anche nelle terre confinanti. 22. n’arete: per questo tipo di fut. con dileguo della labiodentale, cfr. supra, comm. a I, XV 5. 22-23. per sì alta cagione | di: ʻper il gran privilegio diʼ. 23-24. L’ultimo distico ricorda C3, 88-91 «Così facendo, tra gli uomin galanti | crescerete in onor di giorno in giorno; | e con reliquie d’orchi e di giganti, | ve n’andrete volando al ciel del forno». Ammissibile anche qui il doppio senso erotico rilevato dal Toscan (II, 735): ʻandare in Egittoʼ sarebbe infatti un calembour con ʻgittareʼ, cioè ʻcopulareʼ: il ritto ritto del v. seguente insiste su questa metafora e suggerisce dunque che anche cielo valga pure per la parola con cui consuona. La stessa metafora erotica è sfruttata più volte proprio nel capitolo in lode delle corna (C50), cfr. i vv. 25-27 «Quant’uomin vili son fatti immortali, | ripien di corna e di dottrina privi, | che [= ‘ai quali’, il sogg. sono le «corna» menzionate al v. 13] dieder lor di volar al ciel l’ali». Analogamente si può vedere Me28, 52 «e chi ben muor, secondo ch’io m’avviso, | se ne va ritto ritto in paradiso». Spacciare oggetti di dubbio valore per reliquie di antichi popoli semitici (e in particolare per preziosi cimelî egiziani; ma si ricordi che sono, a Firenze, gli anni del sincretismo etrusco- arameo del Giambullari) o far risalire a questi le fantasticherie che facevano comodo all’occasione, era abitudine consueta tra i sodali del Mazzuoli, come dimostra una lettera di

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Vincenzio Martelli (Lettere, in Rime di m. Vincentio Martelli. Lettere del medesimo, pp. 38- 39): «Vi maraviglierete forse, padre Stradino, che tra li sette savii di Grecia ch’io vi mando di bronzo, cosa antichissima e bella non meno che la vostra Fata Fiesolana, ve ne sia uno che tenga forma di bue; non avendo forse letto fra i vostri scartafacci che già in Egitto nacque un bue tanto savio che si fece adorar dalle genti: laonde v’è forza credere che se in quel paese paduloso le bestie ebber tanto intelletto, che molto più l’avranno avuto in Grecia». l’antico dio d’Egitto: quello che sarebbe raffigurato nell’idolo cornuto donato come amuleto dal Compagni.

[X = S11]