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Il Fine

Sonettessa di schema ABBA ABBA CDC DCD dEE eFF fGG gHH hCC: variazione sullo schema di VIII (che riprende la rima A) e di LVII e LXXIX (dove G e I sono di fatto rime imperfette).

Palinodia di C3, A Giovanni Mazzuoli, altrimente lo Stradino o il Consagrata o il Crocchia, inviato con lettera d’accompagnamento a Giovanni di Bartolomeo Cavalcanti il 10 giugno, forse del 1543 (secondo la testimonianza del solo codice A, il manoscritto seicentesco appartenuto al Verzone e oggi considerato perduto: sulla base dell’accordo dei testimoni sono invece certi il giorno e il mese). Nel suo capitolo missivo (inviato al Cavalcanti perché lo trasmettesse al Mazzuoli) il Lasca invitava lo Stradino a sbarazzarsi dei suoi troppi libri stravaganti per il bene del popolo fiorentino, giacché la loro carta avrebbe potuto essere meglio impiegata lasciandola ai pizzicagnoli, che di essa avrebbero potuto servirsi per gli involti dei loro smerci: molto meglio sarebbe stato per lo Stradino arricchire il suo Armadiaccio di anticaglie e stranezze (è noto anche attraverso altre fonti che il Mazzuoli collezionasse presunte ossa di mostri e giganti, talismani, reliquie ecc.).

Nel testo qui in esame, si segnalano alla lettura due temi di particolare rilievo: da una parte la celebrazione della raccolta libraria dello Stradino come «tesoro di Toscana» è anche programma culturale di una letteratura amena, non canonica e anzi bizzarra (ma non avversa, piuttosto collaterale, alla grande poesia contemporanea, come attesterebbero i riconoscimenti

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tributati dai maggiori letterati), in parte coincidente con, o se si vuole fondante per, l’originaria vocazione degli Umidi; dall’altra, in modo più sottile, la possibilità (a dire il vero effimera, se non condivisa dall’interlocutore) per la letteratura giocosa di sovvertire la verità a fini ludici: su un vero ripudiato (S’io dissi daddover) e su un «vero» ristabilito (la Musa mia | per dire il ver, dice che…) si apre e si chiude circolarmente la sonettessa. Si noti la struttura che sovrintende alla ritrattazione: nella prima quartina il Lasca afferma di aver attaccato l’Armadiaccio per mero divertimento, e che se fossero state vere le sue affermazioni dovrebbe essere privato dei maggiori piaceri della sua vita; nella seconda quartina, con una climax, l’autore afferma che, se vere, per simili affermazioni meriterebbe persino pene corporali; segue il catalogo di alcune delle più preziose opere della libreria (vv. 9-20) e il ricordo delle lodi tributate alla collezione stradiniana dai maggiori letterati del tempo (vv. 21-23), infine l’espressione veridica dell’opinione dell’autore (vv. 24-29).

1. daddover: ‘seriamente’, per la forma cfr. la nota a III, 3. 2. quel mio capitol contro l’Armadiaccio: si riferisce a ed. Verzone, C3, Perch’io v’ho sempremai voluto bene. 3. ch’io non possa condurmi: con valore ottativo. La forma riflessiva del ‘condurre’ ha qui il valore di ‘recarsi’, ‘partecipare’ (GDLI, s.v. 27), ben attestata nell’it. antico. Berlingaccio: ‘giovedì grasso’, ultimo giovedì di carnevale. Rinunciare a questa occasione di baldoria è considerato ironicamente dall’autore un castigo spietato. Per l’etimologia del lemma, tipicamente toscano, cfr. LEI. Germanismi, s.v. ‘*bret(i)ling’, 1.b e la ricostuzione coll. 1265-1266. Cfr. anche Sacchetti, Libro delle rime, ed. Ageno, LXXXb, 18 «Così potessi io con voi migliacciare | per berlingaccio a cena e desinare». 4. L’eccellenza del popone (tosc. per ‘melone’) tra i piaceri della tavola è topos comico sfruttato più volte dal Lasca (che è anche autore anche di un capitolo In lode de’ poponi: ed. Verzone, C25 e C55; per ulteriori rimandi cfr. Romei, Vocabulista, s.v. ‘popone’) e, nel codice dell’equivoco erotico, sottintende la sodomia (così come il vino, cfr. i rimandi di Romei, Vocabulista, s.v. ‘vino’): il verso dunque si può leggere anche – ma in nessun modo solo – equivocamente come ‘né gustare mai i piaceri che dà la sodomia’. 5. ser Pier, don Biagio e fra Bonino: personaggi non identificati, che però dal contesto sembrano aver rivestito cariche pubbliche legate alla persecuzione dei reati criminali, forse in istituzioni diverse (il primo potrebbe essere stato infatti un notaio, visto il titolo di ser, e laico, forse, pure il secondo, come di certo non può dirsi per il terzo): se la proposta è corretta, andrà rilevato che la menzione dei birri, chiamati con i loro nomi, è un istituto della poesia tenzonistica, cfr. ad es. Franco, LI, 4 in Franco- Pulci, Libro dei sonetti, ed. Decaria-Zaccarello «sta’ in sul noce, Pulcin, che c’è rombazzo: | ecco ’l Fontana, el Cicutrenna e Nigi. | – Guarti… – Che fia? – Za, za, piglia Luigi!». 6. faccian tagliarmi in due parti il mostaccio: sfregiare il volto (mostaccio, in rima con braccio anche in Morg., XII, LXI 2-4) era una pena infamante, che intendeva cioè ledere prima di tutto l’onore del condannato, in uso nella giustizia criminale sin dal medioevo: cfr. Dante,

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Bicci novel, 7: «[…] ʻQuesti c’ha la faccia fessa | è piuvico ladron negli atti suiʼ» e lo stesso Lasca, O112, 12 «Era a Parnaso troppo gran vergogna | se se gli fusse al collo avvolto un laccio: | quasi saria come aver messo in gogna | le Muse e fatto un frego in sul mostaccio». 7. e mi sia mozzo una gamba o un braccio: per il mancato accordo del participio (mozzo è part. forte) preposto al sost. cfr. la nota a III, 30. Si noti anche la forma forte del participio da ‘mozzare’. 11. Nerbonesi: i cavalieri celebrati nelle Storie nerbonesi. Romuleone: il Romuleon di cui qui si parla è il volgarizzamento di una compilazione storica in dieci libri di Benvenuto da Imola (per la quale cfr. almeno la voce di Lao Paoletti in DBI, VIII, 1966, pp. 691-694: 691-692 e di Francesco Mazzoni, in ED, I, 1970, pp. 593-596: 593) riguardante gli anni dalla distruzione di Troia fino all’età di Diocleziano (edito nel 1867 dal Guatteri): il codice di proprietà dello Stradino è oggi alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ms. II I 83. Nulla a che fare, dunque, con i romanzi cavallereschi citati in questi versi: si può dunque avere qualche dubbio che il Lasca non conoscesse il contenuto dell’opera, come pensò il Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronaca, I, pt. II, pp. 739-741 («[Il Romuleone finì per] diventar proverbiale nella brigata, andandone alla malora, almeno fra coloro, la memoria del libro vero a cui il titolo apparteneva», p. 739). E tuttavia pare più opportuno spiegare il ricordo di quest’opera semplicemente con la sua grande mole, come darebbe adito a credere una lettera di Vincenzio Martelli (in Rime di Vincentio Martelli. Lettere del medesimo, p. 21): «Vi lasso dunque un campo spazioso da distendere le vostre invenzioni e d’accrescere il Romuleonne in infinito»; credo si tratti di un’esprresion ironica figurata per intendere ʻdi fantasticare a più non possoʼ. Si segnala, infine, che è stato dimostrato come le citazioni da quest’opera contenute nei Marmi del Doni sono affatto immaginarie e servono in verità a mascherare la vera fonte diretta: la traduzione del Relox de príncipes di Mambrino Roseo (cfr. Doni, Marmi, ed. Girotto-Rizzarelli, pp. 52-62). 11. i Rinaldin: può riferirsi sia a Rinaldo che a Rinaldino da Montalbano, ai quali erano dedicati cicli di romanzi di tipo barberiniano, in prosa e in ottava rima, particolarmente apprezzati dallo Stradino (come già notò il Del Lungo, Dino Compagni, I, pt. II, pp. 734-735) visto che nel suo Armadiaccio ne dovettero esistere ventiquattro diversi manoscritti (v. X, 56): cfr. anche l’inventario della biblioteca compilato nel 1553 (posteriore dunque di quattro anni alla morte del proprietario) e pubblicato dalla Maracchi Biagiarelli in cui si contano ben quattordici copie (una delle quali corrisponde oggi al ms. della Biblioteca Nazionale Centrale, II II 29). La confusione tra le storie di Rinaldo e quelle di Rinaldino non è da escludere, visto che colpisce anche la maggior parte degli studiosi. Solo per I cantari di Rinaldo da Monte Albano si dispone di un’edizione scientifica (molto datata la Storia di Rinaldino da Montalbano edita dal Minutoli). Sull’intero ciclo, l’unico lavoro specifico di cui si dispone è Rajna, Rinaldo da Montalbano. Da vedersi è anche il sintetico intervento di Morosi, Breve storia della ʻStoria di Rinaldoʼ (che affronta soprattutto questioni di trasmissione). Resta preziosa la

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consultazione di Rajna Uggieri il Danese nella letteratura romanzesca (ora in Scritti di filologia) e dei lavori di Marco Villoresi: La letteratura cavalleresca, La fabbrica dei cavalieri e Paladini di carta. gli Aiolfi: Aiolfo del Barbicone, uno dei personaggi dei cicli cavallereschi di Andrea da Barberino e opera eponima dello stesso autore. gli Ammostanti: governatori saraceni (arab. al-mustahlaf), spesso introdotti come avversarî dei paladini nei romanzi cavallereschi (come ad es. nel cantare XV del Morgante). 12. Rubican d’Oliferna: il Rubion d’Anferna (questo il titolo tradizionale) era il sesto libro delle Storie di Rinaldo in prosa (cfr. il ms. Plut. LXI 40, cc. 51r-83v) incentrato su questo «grande nemicho dechristiani» (ivi, c. 51r). ’l Bertuccione: è la scimmia protagonista della novella sacchettiana del vescovo Guido d’Arezzo (Le trecento novelle, ed. Zaccarello, CLXI) probabilmente prediletta dal Lasca tra quelle del novelliere trecentesco, visto che viene ricordata altre volte (cfr. X, 59; XIII, 15): è possibile, ma è solo un’ipotesi, che lo Stradino ne possedesse una copia in forma spicciolata. 13. Liombruno: si tratta probabilmente di un errore mnemonico per il quale il Lasca confonde due personaggi del Morgante pulciano, Liombruno (nipote, umano, del re Marsilio che compare in Morg., XXI, LVI-LXI) e Dombruno, gigante sconfitto da Orlando in soccorso al re Falcone, che avrebbe dovuto offrirgli la figlia in pasto (Morg., XVII, XCVI-CXXXI). e ’l fratel: Salincorno, re dell’isola dei giganti cui il re Falcone deve pagare il suo tributo; sarà sconfitto una prima volta da Orlando e ucciso da Rinaldo (Morg., XVII, CVIII-XVIII, CVI) 15. Uttier Pandragone: Uther Pendragon, re di Bretagna leggendario padre di re Artù, cui si riferiscono le avventure della «vecchia» Tavola rotonda (cfr. comm. a v. 17). 16. l’Arpalista: altro personaggio del Morgante, predone e signore della città di Saliscaglia protagonista di alcuni episodî del cantare XXII (CLVII-CCXIV). l’Ancroia: altro romanzo cavalleresco, sorta di espansione ulteriore del ciclo di Rinaldo (ma incentrato soprattutto sul figlio illegittimo Guidon Selvaggio), abbastanza fortunato tra la fine del Quattrocento e il Cinquecento (ne sono noti cinque incunaboli e otto cinquecentine). Trebisonda: la Trabisonda è un romanzo tardoquattrocentesco sulle avventure di Rinaldo che godé di una certa fortuna nei primi due secoli della stampa (sono noti tre incunaboli e otto cinquecentine). Lo si trova spesso attribuito, nel Cinquecento, a Francesco Tromba da Gualdo Taldino che è in verità autore di un rimaneggiamento, ma è anepigrafa la prima edizione nota (Venesia, Christofolo pensa da mandel, 1492), oggi custodita presso la British Library. 17. la nuova e vecchia Tavola ritonda: rispettivamente, la Tavola rotonda di re Artù e quella di Uther Pandragone, cfr. La Tavola ritonda o l’istoria di Tristano (ed. Polidori), p. 8: «Et ora lascia lo conto di questa storia di parlare dello re utter Pandragon et delli gran baroni della Tavola Vecchia, et parlaremo della Tavola Nuova et dello re Artù»; come risulta dall’inventario dei codici appartenuti allo Stradino e passati alla biblioteca medicea (c. 81r), un romanzo col titolo Libro de la Tavola vechia et nuova era effettivamente nell’Armadiaccio. 18-19: ʻinsieme

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alla gran copia di romanzi sui paladiniʼ; per il v. 19 cfr. Ariosto, Orl. Fur., XXXVI, LXXXV, 4-8: «Quinci Mongrana e quindi Chiaramonte | le due progenie derivar sapea, | ch’al mondo fur molti e molt’anni e lustri | splendide, e senza par d’uomini illustri». casa Chiaramonte: leggendaria discendenza di Bernardo (che prese il nome dal fratello Chiaramonte, per la morte di questo avvenuta in giovane età) figlio di Guidone e nipote di Buovo d’Antona: la sua progenie incluse i più valorosi paladini di Francia, tra i quali Orlando e Rinaldo. Mongrana: l’altra casata discesa da Buovo d’Antona, che traeva nome dal castello eponimo edificato dal figlio Sinibaldo. 21. Però: con valore consecutivo. la Marchesana: Vittoria Colonna (1490-1547), marchesana di Pescara, tra le più importanti nobildonne del suo tempo e certamente la poetessa più celebrata. 23. scrittoio: nell’arredamento d’epoca rinascimentale spesso scrittoio, libreria, scannelli coincidevano in un unico mobile (si pensi al celebre S. Girolamo nello studio di Antonello da Messina, oggi a Londra, National Gallery). 24. che: il nesso va probabilmente interpretato come dichiarativo, retto ad sensum da lodaro del v. precedente (stesso discorso per il che al v. 25). paro: meridionalismo di antica diffusione in poesia, specie, come qui, per usi rimici (Serianni, Lingua poetica, p. 353n). 25. potria: per questo condiz. poetico d’origine siciliana cfr. I, II 4. 27. tal che: il nesso ha qui valore consecutivo. la musa mia: fig. per ʻla mia ispirazione poeticaʼ. beati e santi: dittologia sinonimica.

[VI = S4]

Nella caduta di Giovan Mazzuoli, ovver