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Sonetto caudato di schema metrico ABBA ABBA CDC DCD dEE. Ai vv. 1-8, 3-7, 12-15 si dà rima ricca. Si noti la consonanza e l’assonanza atona della rima A e B (-aTO, -iTO); l’assonanza delle rime A ed E (-AtO, -AzzO).

Il componimento è una parodica palinodia nella quale l’autore si finge vinto da un non meglio precisato avversario (ma forse lo stesso Stradino, del quale si conservano alcuni componimenti) o, più probabilmente – vista la chiusa –, surclassato da questo nelle grazie del suo protettore. La sconfitta si finge dovuta alla perdita dell’ispirazione poetica. Relegato alla coda, retoricamente atteggiata ad apagóresis (intimidazione), l’obbiettivo pragmatico del testo: la volontà di liberarsi dalle richieste di sempre nuovi componimenti da parte del suo interlocutore. Dal punto di vista del rapporto tra partitura metrica e scansione retorica andrà rilevato che a ogni quartina e terzina corrispondono fasi argomentative chiuse: ai vv. 1-4 la dolorosa constatazione della perdita dell’ispirazione; la sorpresa per la sconfitta ai vv. 5-8; l’incidentale ricordo, nella prima terzina, dell’apprezzamento di Luigi Alamanni nei suoi riguardi, rivelatisi vani; l’invettiva contro le Muse e Apollo (vv. 12-14).

1. Lasso: espressione di dolore, ‘misero me’. L’attacco fortemente patetico, diffusissimo nella tradizione lirica (cfr. i modelli di RVF, LXV, LXX, CI, CIX, CCIII, CCXXXV), ha intento parodico. 3. a malpartito: in rima anche in un testo sicuramente familiare per il Lasca, la Canzona de’ confortini di Lorenzo (v. 40). 5-6. un rincagnato…visaccio da romito: iperbato. 5. rincagnato: «simile per conformazione al volto di un cane» (GDLI, s.v. 1); «di viso volto in sù» (LEI, s.v. ‘canis/*káñ’, 2.b.α). Se questo tratto descrittivo non dovesse essere genericamente denigratorio, non corrispondendo alla prosopografia dello Stradino offerta a III, 11 («e sopra il mento par gli caschi il naso», l’opposto dunque di un viso rincagnato), esso porterebbe a escludere che il personaggio deriso nella seconda quartina sia tutt’uno col destinatario. In poesia l’espressione sembra essere usata per la prima volta in Aretino, Strambotti alla villanesca, 135, 3 «chi ’l ceffo ha rincagnato di fasgiuolo» e nell’Orl. Inn. toscanizzato dal Berni («un viso ricagnato di fagiuolo», XX, II 6); per la prosa cfr. già Dec., VI, V 4 «con viso piatto e ricagnato». L’agg. va qui riferito a «visaccio» del v. seguente. 6. sopra un baston: forse si riferisce alla magrezza consunta dell’avversario. visaccio da romito: visto che il vituperium si fonda sulla descrizione della deformità fisica

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dell’avversario il sintagma sembra alludere alla bruttezza che per l’esposizione al sole, alle intemperie e ai digiuni doveva proverbialmente (ma non si sono trovati riscontri letterarî) caratterizzare i monaci eremiti. Tolta la prima attestazione, tardo-quattrocentesca (Gambino d’Arezzo, Versi, cap. XI, 64, p. 154: «accanto a lui era uno con un visaccio | proprio d’un traditor […]»), la diffusione del peggiorativo ‘visaccio’ nella poesia d vituperio sembra essere cinquecentesca (GDLI, s.v.; la forma è ignota all’OVI, consultato il 12 giugno 2017). 7. un fraccurrado: su questo pupazzo, cfr. comm. a I, XIX 3. calzato e vestito: ‘intero’, ‘completo’ (cfr. Aretino, Ragionamento, II, ed. Aquilecchia, p. 88: «anzi ti dico che i preghi che elle porgono per le triste conventuali sono cagione che il demonio non le inghiottisce calzate e vestite») e per estens. ‘vero e proprio’ (GDLI, s.v. ‘calzato’, 9). 9. dell’Alamanno: Luigi Alamanni (1495-1556), uno dei maggiori poeti lirici del Cinquecento e, col Varchi, il più importante letterato fiorentino vivente nell’età del Lasca; antimediceo, nel 1522 intentò una congiura contro l’allora cardinale Giulio de’ Medici (poi Clemente VII), che, una volta scoperta lo costrinse a fuggire esule in terra di Francia; la sua notevolissima produzione lirica è raccolta nelle Opere toscane (1532-33). Si cimentò anche, con più modesti risultati, nel poema cavalleresco, con Girone il Cortese, didascalico (La coltivazione, 1546) ed epico (con l’Avarchide, pubblicata postuma nel 1670). lettere: si riferisce qui probabilmente a lettere, oggi perdute, di apprezzamento per la sua poesia; l’esistenza di uno scambio epistolare fra i due fiorentini sembra confermato da XXIV, 27-29: «Oltre che tanti e tante | uomini illustri e belle donne m’hanno | chiamato Lasca; e ’nfino all’Alamanno». 12. Gite: già nel Cinquecento questo allotropo del verbo ‘ire’ è considerato un poetismo (Bembo, Prose, ed. Dionisotti, III, L: «Gire e Gìa e Gìo e Girei e Gito e simili sono voci del verso, quantunque Dante sparse l’abbia per le sue prose»; e cfr. ora Serianni, Lingua poetica, pp. 227-228). al bordello: ‘alla malora’, improperio d’uso (cfr. Cellini, Vita, ed. Camesasca, I, III, p. 85: «Così tornato nell’osteria, domandai l’oste; il qual mi rispose che non aveva che far di noi, e che noi andassimo al bordello») frequentissimo nei burleschi del Cinquecento, cfr. Berni, Rime, ed. Romei, XVI, 49: «Oltre, canaglia brutta, oltre, al bordello!»; Cellini, Rime, ed. Gamberini, 14, 4: «sa’ tu fare altro, sciocca? O va’ al bordello!»; notevole la somiglianza della costruzione in Franco, Priapea, 135, 12: «Ite al bordello, perché vuole Dio». cancherose: ‘fastidiose’ (GDLI, s.v. 2), ‘importune’, cfr. supra, comm. a I, XLII 3. Anche il tema, che si potrebbe definire del ‘discacciamento delle Muse’, è topico, basti il rinvio a Pistoia, Rime, ed. Cappelli-Ferrari, p. 78 «che maladetto sia il mio destin rio | Jove Apollo Callïope e Clio | lor forza lor potere e lor momento» (vv. 6-8). 13. resta col mal’anno: ‘ti venga un accidente’ (GDLI, s.v. 6). 15-16: si noti il costrutto anastrofico che regge la sintassi di questi versi. 15. voi: apostrofe allo Stradino. 16-17: la rima sollazzo : ammazzo (rara anche nella tradizione comica, che predilige i rimanti guazzo, rombazzo, pazzo, palazzo, cazzo con attestazioni

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quattrocentesche in Antonio da Ferrara, Francesco Scambrilla, Filippo Scarlatti, B. Giambullari fino ai burleschi del Cinquecento: spogli BIBIT) si registra già in Cino da Pistoia (ed. Marti, 109, 9-13: «Molto mi spiace allegrezza e sollazzo, | e la malenconia m'agrada forte; | e tutto ’l dì vorrei seguire un pazzo. | E far mi piaceria di pianto corte, | e tutti quelli amazzar ch’io amazzo | nel fèr pensier, là dov'io trovo Morte») ma per il Lasca è probabilmente mediata dal Berni (Rime, VI, 41-43: «Tu m’hai privato d’ogni mio sollazzo, | tu sarai cagion ch’io verrò stolto. | Impiccato sia io s’io non m’ammazzo»). Andrà rilevato anche come lo stesso rimante (ma con diversa corrispondenza) si trovi nella coda di un sonetto di risposta del Firenzuola al Lasca: Non è però quest’abito sì strano (Rime, ed. Maestri, 89, 15-17: «Ch’io son dunque sapete: | per darvi, pur ch’io possa, ogni sollazzo, | son qui venuto, e chiamomi Ser K…») che varia solo nei distici finali le rime (-ente) della proposta.

[c. 16v]

[V = S9]

Al medesimo