• Non ci sono risultati.

Sonettessa di schema metrico ABBA ABBA CDC DCD dEE eFF fAA aGG gHH hII iLL lMM mNN nOO oPP. Assuonano le rime A e C (-AnO, -AsO), H e L (-OnE, -OcE); consuonano le rime F e M (-oNTi, -eNTe). Le rime H e I condividono la vocale tonica e la consonante postonica (-ONe, -ONio). Si riscontrano rime identiche (vv. 12-15 a maraviglia avv. : meraviglia sost.), paronomastiche (vv. 35-36 noce : nuoce), derivative (vv. 3-6 daddovero : vero) e inclusive (vv. 19-21 racconti : conti; 32-33 Demonio : testimonio; 40-42 saria : Giammaria; 46-47 rima : prima) Notevole la ripresa della rima A (-ano) nella terza

65

coda (per un simile processo di circolarità rimica, ma con funzione di clausola, cfr. VIII). Al livello della strutturazione sintattica e della morfologia metrica andrà evidenziata l’accumulazione paratattica delle code (tutte aperte dalle cong. e e o dal v. 18 al v. 39 e al v. 45).

«Lettera in rima» (v. 46) allo Stradino che combina un notevole numero di topoi letterarî. Apre il colloquio il tema della lontananza dall’amico (vv. 1-4) che, seguita dal pretesto ecfrastico (vv. 5-6) della descrizione di un santo dipinto, ha il suo principale sviluppo nella descriptio dello stesso destinatario, prosopografica (vv. 8-14) ed etopeica (vv. 19-41). La missiva poetica si chiude, secondo una delle consuetudini invalse nel genere, con l’interruzione della scrittura dovuta a cause esterne (vv. 42-47). Per la sezione ecfrastica bisogna tener presente, oltre alla parodia della tradizione lirica, anche alcuni situazioni comiche, diffuse ad esempio nella novellistica illustre e popolare (ad es. Piov. Arl., ed. Folena, 130, ma nella raccolta il tema è molto sfruttato), in cui il fulcro dell’azione si concentra attorno a un’immagine sacra. Il confronto tra le fattezze del destinatario del testo e un dipinto, in chiave deformante, è d’altro canto ben noto alla alla letteratura tenzonistica (cfr. ad es. il caso di Matteo Franco, XLVIII, 1-8 in Franco-Pulci, Libro dei sonetti, ed. Decaria-Zaccarello), ma il Lasca richiama il topos della pittura infamante con un tono suo, quasi di nostalgia elegiaca.

Difficile pronunciarsi con qualche certezza sulla datazione del testo, tolta l’ovvia considerazione che sarà stato composto prima del 5 giugno 1549, data della morte del Mazzuoli. Di certo si può dire che deve essere stato scritto anche poco prima del capitolo laschiano dedicato a Miglior Visino (C8). Il capitolo presenta infatti un incipit molto simile ed è scritto lontano da Firenze, a Castelfiorentino, e pure lì compare lo stesso «Giammaria» che alla fine del presente testo chiama l’autore perché venga a cena (come nel capitolo, vv. 82-84, chiama il Lasca «ad alta voce»). Si tratta di un’informazione preziosa, perché il capitolo in questione (cfr. vv. 58-63) fu scritto al tempo in cui il Lasca lavorava alle prime Cene: «Se ti vien visto il Crocchia [scil. lo Stradino], parla seco | […] Digli ch’io ho composto una giornata | intera intera d’un Decamerone [scil. le Cene] | a lui con il comento indirizzata»; si tratterà tuttavia di una redazione più avanzata di quella delle Novelle magliabechiane (che sono solo tre), poiché il testo lascia intendere che l’autore abbia composto già dieci storie. Il «commento» sarà poi la stessa Lettera a Masaccio di Calorigna in una redazione più progredita e a noi non pervenuta. Il fatto che nel capitolo si chieda al Visino di portare i saluti dell’autore al Varchi, lascia infine intendere che questi dovesse già essere rientrato a Firenze, fatto che permette di fissare il termine post quem, anche per il presente sonetto, al marzo 1543.

66

1. Perch(è): con funzione concessiva (ribattuta al v. 3 da benché), cfr. GDLI, s.v. 5. da voi lontano: si tratta probabilmente del soggiorno del Lasca a Castelfiorentino, su cui cfr. C8, 1- 2 «Io son, Visin, da Firenze lontano | parecchie miglia, a Castelfiorentino». 2. con gli occhi del pensiero: il sintagma «occhi della mente» è già in Conv., II, IV 16, attraverso Agostino e altri padri della Chiesa, certamente non consoni alla cultura del Lasca (per i rinvii cfr. ED, IV, s.v. ‘occhio’ 3); ma ricorre con notevole frequenza nelle opere del Boccaccio (p. es. Dec., IV, III 4; Cons., 11; Com. ninf., XXXV 74; Corb., 21 e 365); più precisamente usano il sintagma «occhi del pensiero» Luigi Alamanni (traduzione dell’Antigone), Michelangelo Vivaldi (in Varchi, Sonetti, parte seconda, XCIII, 5), B. Tasso, Rime, V, CLXXIII, 1 (ed. Chiodo-Martignone): concordanze BIBIT. 3. vegga: forma anetimologica e analogica al tipo veggo, concorrente e altrettanto diffusa, fino all’Ottocento, delle altre due, il tipo etimologico ‘veda’ e l’anetimologico ‘veggia’ (cfr. Serianni, Lingua poetica, p. 200). daddovero: ‘veramente’, forma derivata dal sintagma da di vero, con sviluppo fiorentino della i in o in posizione protonica davanti a labiale (cfr. doventata a II, 13) e raddoppiamento fonosintattico. 4. strano: ‘penoso’, ‘doloroso’ (GDLI, s.v. 24). 5-6. La situazione sembra ispirarsi al son. di Matteo Franco contro Luigi Pulci (Libro dei sonetti, ed. Decaria- Zaccarello, XLVIII), senza condividerne la feroce carica denigratoria: lì si tratta infatti di pittura pubblica infamante. 5. Gli: clitico prolettico con funzione soggetto: secondo Rohlfs (II, 446) si tratterebbe di una forma più recente rispetto agli antichi ‘el’, ‘ei’, ‘e’’, ma dagli spogli del CORPUS OVI il tipo gli davanti a vocale risulta ben assestato già dalla fine del Duecento. qui: più che a un non meglio noto viaggio dell’autore, la distanza dal destinatario potrebbe essere imputabile a uno dei numerosi ritiri in villa che il Lasca si concesse presso alcuni dei suoi protettori: come si è detto, potrebbe trattarsi del soggiorno a Castelfiorentino. un san Cristofan nano: sulla scorta del proverbio ‘domandare se san Cristoforo fu nano’ (Luri di Vassano, 241), che vale ‘chieder conto di cosa assai nota’, il Lasca sfrutta la rinomata enorme statura del santo, protettore dei facchini e dei viandanti, per alludere a un’immagine grottesca, e dunque celiare sulla bruttezza dello Stradino. 6. Cfr. Matteo Franco, Libro dei sonetti, XLVIII, 4 «o e’ ci è un ch’è proprio a te equale». ch’è tutto tutto voi: ‘è proprio identico a voi’, l’iterazione dell’avverbio ha valore intensivo (per simili reduplicazioni, specie degli aggettivi, Ghinassi, Il volgare letterario del Quattrocento, p. 153 parla di «un tipo diffuso popolarmente» segnalando comunque che «se ne erano già serviti, sfruttandone le particolari possibilità espressive, anche i poeti della tradizione più alta»). maniato e vero: ‘(come fosse) imitato alla perfezione dalla realtà’; secondo il GDLI s.v. maniato (‘imitato alla perfezione’, ‘tale e quale’) in combinazione con altri agg. ha funzione intensiva. L’attestazione pure laschiana (Cene, II, VII 35) segnalata dal GDLI («Il quale [un fantoccio] vestito poi minutamente di tutti i panni suoi [del pedagogo], tutto miniato pareva lui», sembra essere erronea (nell’ed. Bruscagli la lezione è miniato). 7. fra

67

Piero: san Pietro (cfr. XX, 78): i vocabolarî non registrano l’uso di fra(te) come sinonimo di ‘santo’ ma, data la co-occorrenza in due luoghi del ms. (e in S132, 5, assente nella raccolta, come formula di imprecazione e giuramento: «ti giuro per lo corpo di fra Piero»), la correttezza della lezione è evidente. Si tratta di una delle varie attenuazioni di natura eufemistica con delle quali il Lasca si serve per i nomina sacra: cfr. S3, 1-2 «Potta, ch’io non vo’ dir, di fra Martino, | che dette mezzo al Diavolo il mantello»; Arzigogolo, a. III, sc. III, in Teatro…, p. 492: «Oh, tu sè’l gran balordo! Non dir così, potta di ser Piero!»; C3, 83 «don Cristofan». 8. ch’ei non è men di voi bello e umano: per antifrasi, suggerendo il paragone tra la bellezza del ritratto e le fattezze dello Stradino l’autore sminuisce il suo interlocutore. Il verso richiede dialefe dopo bello. umano: ‘di fattezze umane’. 9. primieramente: ʻin primo luogoʼ (GDLI, s.v. 2). zuccone: ‘calvo’ (cfr. Savonarola, Prediche sopra Ezechiele, ed. Ridolfi, I, p. 230: «Va’ Ezechiel, nel conspetto del populo, togli un coltello acuto, un rasoio, raditi el capo e tutta la barba, fatti zuccone»). raso: ‘glabro’. Su questo tratto esteriore dello Stradino, contrario alla moda dell’epoca (si veda il passo del Casa citato a X, 23), cfr. la lettera prefatoria al primo capitolo In lode delle barbe (C5, unico ad essere stato scritto): «[…] la reverenda e veneranda barba, la quale voi, come inimico di voi stesso e ministro del vostro male, non avete mai portato; anzi, per quel ch’io m’abbia inteso, sempre l’aveste in odio e però sempre sete andato raso». 10. Interessante l’affinità fonica con un verso di Francesco d’Altobianco Alberti, Rime, XC, 41: «crespa ha la fronte e grottose le ciglia», si tratta però forse solo di una coincidenza (cfr. anche Poliziano, Stanze, I, CIII 8 «con fronte crespa e rilevate ciglia», che ha però diversa prosodia). pelose: ‘folte’; cfr. Betussi, Il libro di Giovanni Boccaccio delle donne illustri, Venezia, 1545, p. 53 (cit. in GDLI, s.v. 1): «Gli comandò […] profumarsi la pelosa barba con lo spigonardo». ciglia: ‘sopracciglia’. 12. grandi e grosse a maraviglia: questo tratto fisico è ricordato in modo analogo dal Varchi, La Suocera, a. IV, sc. VI, p. 103: «Quel [scil. lo Stradino], c’ha quel labbro enfiato e gli occhi scerpellini»; la locuz. ‘a meraviglia’ riferita a uno o più aggettivi ha funzione di superlativo (GDLI, s.v. ‘meraviglia’, 13). 13. le gote: sineddoche comune per ‘faccia’, ‘viso’. che sembran fatte a caso: il periodo è retto da ha del v. precedente; per un simile aspetto disarmonico, cfr. qui I, XIV 4 «che fatto nella madia pare a ccaso». 15. meraviglia: cfr. al v. 12 maraviglia; il Lasca si serve indistintamente delle due forme. 20. come già il re di Francia passò i monti: non è possibile essere assolutamente certi dell’evento a cui l’autore qui si riferisce. Difficile che si tratti della calata di Carlo VIII nel settembre del 1494 perché il Mazzuoli sarebbe stato forse troppo giovane per assistere in qualche modo all’evento (ma si badi che l’esatta data di nascita è ignota, seppur generalmente riferita al 1480 ca.: eppure sembra che già nel 1495 partecipasse alla guerra di Pisa, cfr. M. Albanese, Mazzuoli, Giovanni detto lo Stradino, in DBI, p. 768). Più plausibile che si alluda al passaggio dell’Argentera (i monti) di Francesco I che fece da preludio alla

68

battaglia di Marignano (13-14 settembre 1515). Non dirimente, ma da segnalare comunque, che i versi sono ispirati a Orl. Fur. XXVI, 44-45 (che appunto alle imprese di Francesco I a Marignano faceva riferimento): «L’anno primier del fortunato regno, | non ferma ancor ben la corona in fronte, | passerà l’Alpe, e romperà il disegno | di chi all’incontro avrà occupato il monte | […] E quindi scenderà nel ricco piano | di Lombardia, col fior di Francia intorno […]». 22. di Lombardia nel ricco piano: anastrofe (per la citazione ariostesca del «ricco piano | di Lombardia» cfr. la nota al v. 20). 23. il fatto d’arme […] del Garigliano: il fiume Garigliano, che dalle odierne regioni laziale e campana sfocia nel golfo di Gaeta, fu teatro d’una celebre battaglia che vide contrapporsi l’esercito Spagnolo comandato dal Gran Capitán Gonzalo Fernandez de Cordoba e le truppe Francesi guidate da Lodovico II di Saluzzo, il 29 dicembre del 1503: vinta dai sudditi di Ferdinando II, fu determinante per sancire la supremazia spagnola sul Regno di Napoli. Notevole la concordanza con un passo delle Lettere di Niccolò Martelli (al Visino, 28 febbraio 1542 [1543 dello stile odierno], c. 32r): «Duolmi ben che il Consacrata non potrò essere de’ nostri per aver sempre piena la tasca, la scaperuccia, il seno et la scarsella, alla tedesca, di mille scartafacci antichi et moderni. Nondimeno ci averà per iscusati quando ci desse un mallevadore di parlar solo del viaggio di san Iacopo, della guerra di Pisa, del fatto d’arme del Garigliano o del duca Valentino, se gliene potria far parte; altrimenti no». dir: retto da sentir la voce vostra al v. 19. 24-26. L’episodio era forse narrato alla fine del libro VII delle cosiddette Storie di Rinaldo da Monte Albano in prosa (dedicato appunto ai «Vanti di Dionesta»): purtroppo i tre manoscritti noti che tramandano questo libro (Plut. LXI 40, Ricc. 1904 e Med. Pal. 101) sono tutti mutili o incompleti. Tutto il periodo è retto dal dir del verso precedente. 24. il conte Gano: Gano di Maganza, personaggio del ciclo carolingio celebre per il tradimento di Orlando. 25. Rinaldo: Rinaldo di Montalbano, cugino di Orlando, uno dei più celebri cavalieri del ciclo carolingio. Dïonesta: personaggio delle Storie di Rinaldo, figlia di Pantaleone, re dei saraceni, e moglie di Lionbianco, s’innamorò dell’eroe aiutandolo a fuggire dalla prigione in cui era stato rinchiuso (traggo la notizia dai tre mss. citati nell’annotazione a vv. 24-26). 27-29. Nella Roma del Cinquecento la Pasqua era occasione di partecipatissime e fastose celebrazioni pubbliche che richiamavano un gran numero di spettatori, anche per gli spettacoli sacri che in quell’occasione venivano messi in scena. 27. raccontar: retto da sentir la voce vostra (v. 19). 28. buone persone: frequentemente in rima nella poesia burlesca (ma non solo cfr. Cellini, Rime, ed. Gamberini, LVIII, 8), in genere in forma vocativa: cfr. Berni, Pref. alla Primiera, 1; Bronzino, Cipolle, I, 29, Piato, VIII, 109. Il Lasca stesso ne fa più volte uso in questa sede (nella raccolta: I, XLIII 1; LXXXIV, 1; e cfr. ed. Verzone O4, 121). 29. di Cristo l’aspra Passione: la festa romana di cui si parla è dunque la Pasqua. Nel verso si noti l’anastrofe. 30. gran barone: ‘baroni’ sono detti nella Commedia, secondo un’immagine feudale e cortese, i maggiori santi

69

incontrati nel paradiso (cfr. Par., XXIV 115), e ‘barone’ è chiamato san Giacomo apostolo nel canto seguente (XXV 17-18); a quest’altezza cronologica sembra essere usato più ampiamente come titolo di dignità dei santi più celebri (cfr. già Boccaccio, Dec., VI, X 11 «barone messer santo Antonio» e, per il secolo successivo, Piov. Arl., ed. Folena, XVI 24). Dal punto di vista sintattico è attributo di entrambi i santi nominati al v. 31: la forma sing. si spiega per la posizione (attributo preposto al sost. cui si riferisce) e la presenza della cong. coordinante, cfr. il caso simile nel fior. quattrocentesco del part. pass. nello spoglio di M. Franco, Lettere, p. 221; per la mancata concordanza nel numero o nel genere di agg. e sost. Piov. Arl., ed. Folena, pp. 376-377. 31. sa· Jacopo: visto l’appellativo e la concordanza con il testo dantesco sarà opportuno pensare a Giacomo di Zebedeo, o Giacomo il Maggiore, uno dei dodici apostoli, protettore dei cavalieri e dei soldati (quale fu lo Stradino). Lo conferma anche la testimonianza di un viaggio dello Stradino a Santiago offerta da Niccolò Martelli, Dal primo e dal secondo libro delle lettere, p. 119: «non vo’ dir nulla de’ coralli avvolti al braccio e i triboli che recaste dal viaggio di San Iacopo […]». Sul piano linguistico, si noti l’assimilazione consonantica progressiva per l’incontro tra nasale e palatale. sant’Antonio: nominato qui per la particolare devozione che lo Stradino sembra aver nutrito per questo santo (cfr. XXI, 90 alla nota seguente). Non è comunque chiaro se si tratti di Antonio da Padova o di Antonio Abate; più probabilmente sarà il primo, protettore anche dei viaggiatori. 32. là dove sète stato testimonio: cfr. Berni, Rime, ed. Romei, XXVI, 36 «Io gli son testimonio» (: santo Antonio). Il verso potrebbe alludere ad apparizioni o miracoli che lo Stradino avrebbe raccontato agli amici, oppure potrebbe essere una pointe per celiare sull’età veneranda del destinatario (il più anziano nel gruppo degli Umidi). 33- 35. Allude a uno dei tanti aneddoti che sembra lo Stradino amasse divulgare, secondo il quale avrebbe incontrato il diavolo varie volte nel corso dei suoi viaggi (cfr. XXI, 88-90: «Quindici volte il Diavolo ha trovato, | e non gli fece mai danno o paura | perché da santo Antonio era guardato»). Il periodo è retto da raccontar al v. 27. 34. in aspetto vedeste: anastrofe. empio e atroce: ‘terrificante’, dittologia sinonimica. 35. in quel fossato che stiacciava noce: non è chiaro se l’episodio grottesco (il pronome quel con funzione deittica indica che l’aneddoto è noto all’interlocutore) possa sottintendere un’allusione. Sul piano linguistico, si noti il passaggio di s + occlusiva velare > s + occlusiva alveolare (forma demotica in uso anche nel toscano odierno), l’omissione dell’articolo e la forma sing. del sostantivo. 40. saria: per questo condizionale cfr. comm. a I, II 4. 42-43 La situazione del poeta che interrompe la scrittura perché chiamato da qualcuno ha un precedente remoto nella sospensione del canto di Vallera in Nencia, LI 6-8 «et sentomi chiamar da mona Masa; | fatti con Dio, c’andar me ne vo’ tosto, | ch’i’ sento Nanni che vuol far del mosto». 42. Giammaria: personaggio non facilmente identificabile: sarei propenso a credere che si tratti del Giovanni Maria Segni più volte nominato nelle lettere del Lasca a Giovan Battista Della

70

Fonte (cfr. Bramanti, Il Lasca e la famiglia della Fonte, lett. 1, 2, 8 ora in Uomini e libri, pp. 211-212, 219). Lo dimostrebbe il fatto che, nelle lettere e nei testi qui in esame, sono ricordati gli stessi amici, nonché il legame della famiglia Segni con la Valdelsa (cfr. Neri, Cenno storico-artistico, passim). È almeno certo, comunque, che si tratti dello stesso personaggio menzionato in C8, 82 «Or perch’io sento che Giovammaria | mi chiama ad alta voce, son forzato | lasciarti qui col ben che Dio ti dia». Probabilmente coincide anche con il personaggio menzionato nel primo capitolo a Lorenzo degli Organi (C41, 76), dato che ancora una volta appare evidente che si tratti di persona vicina a Lionardo della Fonte. 44. gli è forza: ‘sono costretto’. Per il clitico gli cfr. la nota al v. 5. serrar la vena: metaf. ‘porre un freno all’ispirazione’; topica l’immagine dell’ingegno sorgente (vena) dell’ispirazione poetica. Tra i suoi archetipi classici cfr. Hor., Carm., II, 18, 9-10 «et ingenii | benigna vena»; in volgare RVF, CCXCII, 13: «secca è la vena de l’usato ingegno». 46. fornire: ‘concludere’. 47. per la prima: espressione del linguaggio burocratico ed epistolare (ignota al GDLI): ‘nella tua prossima lettera’: cfr. Datini, Lettere alla moglie Margherita (lett. 24, 20 feb. 1324): «Per Chastangnino n’ebi una tua, e chon esa una di mano di Niccholao Martini. Ma lle brache, né panno di niuno cholore per fare bottoni, non ebi: aviso che llo arai dimentichato; dinmi per la prima s’è chosì»; ivi (lett. 54): «Dinmi per la prima se io lasciai chostà l'altre chalze bianche, che due paia io me ne credea avere qua […]».

[c. 16r]

[IV = S14]

Al medesimo.

Lasso, ohimè, ch’io son vituperato!