Il Fine
Stanze in ottava rima.
Lettera prefatoria.
[1] Allo Stradino: Giovanni Mazzuoli detto lo Stradino (1480 ca.-1549), mercenario e letterato legato prima alla famiglia Salviati e poi ai Medici. Al servizio di Giovanni dalle Bande Nere partecipò alle imprese di Urbino (marzo 1516) e alle campagne di Lombardia (per buona parte degli anni ’20). A Firenze aderì all’esperienza repubblicana, e per questo fu incarcerato dagli Otto dopo la restaurazione del principato (ne serba un ricordo poetico il componimento Va scatoletta mia, povera d’oro del Magl. VII 735, c. 30). Recupererà i suoi rapporti con il potere grazie all’ascesa di Cosimo, figlio del suo antico signore e di Maria Salviati. Il 1° novembre 1540 sarà il più anziano dei 12 fondatori dell’Accademia degli Umidi (per queste ragioni quasi sempre appellato dal Lasca e dai primi membri dell’Accademia come «Padre», come si ricava anche da Martelli, Lettere, ed. 1916, p. 101 «dico padre perché e’ fu pure il primo a dar principio e origine alla Immortale Academia degli Humidi»), cui garantirà una sede nella sua abitazione di via S. Gallo, presto trasformatasi in Accademia Fiorentina (17 febbraio 1541), dove ebbe il titolo onorifico di «massaio». Su di lui si vedano particolarmente Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, I/2, pp. 729-749; Maracchi Biagiarelli, L’«Armadiaccio» di Padre Stradino; Masaro, Un episodio della cultura libraria volgare, pp. 5-49; Massimiliano Albanese, Mazzuoli, Giovanni, in DBI, LXXII, 2009, pp. 767-770; Romei, Una lettera inedita. dell’Accademia degli Umidi: consesso di dodici letterati di diversa estrazione sociale, ma prevalentemente appartenenti al certo delle Arti e della mercatura, che a partire dal 1° novembre 1540 iniziarono a riunirsi nella casa di Giovanni Mazzuoli in via san Gallo per cenare, dilettarsi nelle lettere e organizzare spettacoli da rappresentere privatamente o nelle occasioni festive
19
pubbliche. I membri di quest’accademia saranno originariamente, oltre allo Stradino e al Lasca, Cinzio Laureli da Amelia (l’Umoroso); Niccolò Martelli (il Gelato); Filippo Salvetti (il Frigido); Simone della Volta (l’Annacquato); Pier Fabbrini (l’Assiderato); Bartolomeo Benci (lo Spumoso); Gismondo Martelli (il Cigno); Michelangelo Vivaldi (il Torbido); Baccio Baccelli (il Pantanoso); il Pilucca scultore ossia Paolo del Geri (lo Scoglio) cui si aggiungeranno già il 14 novembre Luca Martini, Giovanni Norchiati e, in veste di rettore, Goro della Pieve (l’Umido). Il nome dell’Accademia fu scelto probabilmente in contrapposizione alla padovana Accademia degli Infiammati, che perseguiva un programma sostanzialmente più ambizioso, ma ideologicamente convergente (in particolare per l’investimento sul volgare) e aveva proprio in un letterato fiorentino, Benedetto Varchi, un importante animatore (la congettura sulla scelta del nome è di Plaisance, Une première affirmation, pp. 46-57). Con la partecipazione di Pierfrancesco Giambullari, Cosimo Bartoli e Giovan Battista Gelli che sottoporranno l’iniziativa all’attenzione del duca si avvierà una fase di trasformazione che già nel febbraio del 1541 trasformerà la compagnia di amici in un’istituzione culturale direttamente controllata dal duca e dai suoi più stretti servitori, la quale prenderà il nome di Accademia Fiorentina. Per tutto cfr. Plaisance, L’Accademia e il suo principe; Id., A.F. Grazzini dit Lasca; Di Filippo Bareggi, In nota alla politica culturale; Firpo, Gli affreschi del Pontormo; Zanrè, Cultural Non-Conformity; Pignatti, Grazzini, Antonfrancesco detto il Lasca, in DBI. [2] Come né più né meno interviene ai fiumi… così… accade alle composizioni d’oggidì: l’immagine, di ascendenza classica e dunque apparentemente dotta (come parodicamente dotto vuole essere il tono della dedica), è in verità probabile che derivi direttamente a dal secondo capitolo della peste del Berni, cfr. Rime, ed. Romei, LIII, vv. 82-84: «Come fan tutti i fiumi all’oceàno | così vanno alla peste gli altri mali | a dar tributo e basciarle la mano» (la concordanza è rilevata già da Crimi in Nanerie, p. 180n). interviene: ‘càpita’, ‘accade’ (GDLI, s.v. ‘Intervenire’, 1), cfr. ad es Pulci, Morg., X, LXX 6 «La gente sua parea smarrita e stolta, | come ne’ casi sùbiti interviene». avvolgendosi e aggirandosi: ‘compiendo percorsi tortuosi’, dittologia sinonimica. Cfr. anche Dec., IV, VII 5 «[…] mi piace nella nostra città rientrare, della quale questo dì, diverse cose diversamente parlando, per diverse parti del mondo avvolgendoci, cotanto allontanati ci siamo». L’uso del verbo ‘avvolgere’ riferito a un fiume è già in Inf., XXXIV, 132 «d’un ruscelletto che quivi discende | per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso, | col corso ch’elli avvolge, e poco pende». [3] le quali... dell’Armadiaccio vostro: la biblioteca dello Stradino era ben nota a Firenze con il nome ironico di «Armadiaccio», ad indicare ironicamente la caotica e non sempre nobile selezione dei suoi titoli (‘armadio’ era infatti chiamato il più comune mobile ad uso di libreria). Parte di questa raccolta, dopo le prime indagini del Del Lungo, è stata ricostruita da Berta Maracchi Biagiarelli e soprattutto da Carla Masaro (cfr. i rinvii bibliografici nel comm. a [1]) grazie all’incrocio tra i dati
20
forniti dai documenti d’archivio e le note di possesso su numerosi manoscritti delle biblioteche toscane e non solo. La ricettività della biblioteca stradiniana nei confronti della produzione contemporanea è testimoniata anche da Michelangelo Serafini, Breve espositione, p. 325 «Hor ecco qua dove ella batte, dopo un lungo menare in qua et rivolgersi in là per soccorso, et non havendo trovato in alcun luogo, vedi poi che pure al fine si è calato alle nove, come tutte le compositione allo Armadiaccio dello Stradino». o di còlta o di balzo: ‘in un modo o nell’altro’ (GDLI, s.v. 5, con la sola attestazione del Lasca), espressione chiara per il suo significato traslato ma della quale non sembra essere noto il senso letterale. Seguendo un’indicazione del comm. di Alessio Decaria alle Rime di Francesco d’Altobianco Alberti (I, 431 e cfr. Glossario, s.v.), sarei propenso a spiegare còlta con il significato di ‘tassazione ordinaria’ (come in GDLI, s.v. 4), mentre balzo significherebbe qui ‘balzello’ (cioè un tipo di imposta straordinaria). L’espressione varrebbe dunque più propriamente ‘per le vie ordinarie o per quelle straordinarie’ e l’impiego dittologico e metaforico di còlta avrebbe il conforto di ben tre attestazioni di Francesco d’Altobianco Alberti (Rime, ed. Decaria, I, 431 «Ahi, gente ingrata e istolta | la vostra non fia còlta, ma gravezza»; XIX, 4 «e chi canta in sul proprio el Miserere | non tema di balzel, né d’altra còlta»; CXX, 10 «e s’esco mai d’ingrati bacalari, | di gravezze, angherie, còlte e balzelli | dove convien ch’a sue spese impari»); e cfr. già Iacopo da Leona, in Poeti del Duecento, II, 7-8 «Chi gli avere[b]be dato questo uficio, | ch’ad ogn’om va pognendo dazo e colta?». Resta tuttavia il problematico il fatto che la forma balzo per ‘balzello’ non risulta attestato (cfr. LEI, s.v. ‘*baltiāre’, 1.a.α). Un’alternativa potrebbe essere il riscontro di Aretino, Pas vobis brigate, ed. Romei, 28 «E di trotto e di balzo | son dalle man scappato | de’ nemici e son stato lor prigione»; ma in questo passo la locuz. varrebbe ‘fortunosamente’ (così Romei) oppure ‘in gran fretta’: in tal caso, tuttavia, il paragone con il corso del fiume perderebbe coerenza. Si può anche segnalare che l’espressione «di còlta» è effettivamente glossata ‘subito’ nel GDLI (s.v. ‘Còlta’ 5), ma sempre sulla sola testimonianza del Lasca. Nella lettera indirizzata a Giovanni Cavalcanti che accompagna C3 (l’attestazione sulla quale si fonda il GDLI), l’espressione occorre nel seguente contesto: «Ancora ch’io sia del nostro padre Stradino amicissimo, pure per non aver seco quella intrinsichezza che avete voi, […] non mi sono ardito di mandargli un capitolo; ma lo mando a voi, con questo però, che a lui lo indirizziate sendo egli fatto in onore ed in utilità sua, perciò che avendogliene io mandato di colta, lo arebbe forse potuto pigliare in mala parte, tenendomi egli anzi che no in concetto di baione». Come si vede, anche qui «di còlta» potrebbe essere glossato, come sopra proposto, «per la via ordinaria». al centro: vale semplicemente ‘all’interno’, ‘dentro’. [4] che io ho composto: si noti la prolessi del pronome personale, uso sintattico frequente nella lingua del Lasca, a volte con lo scopo di imitare strutture del parlato (cfr. qui ad es. [8] «ch’io mi taccio»; [11] «perch’egli è tempo oggimai che»). nuovamente: ‘di recente’ (GDLI, s.v. 2):
21
è il senso più frequente di questo avverbio nell’italiano antico. vi si conduca: ‘vi sia recata’, ‘vi sia presentata’. [5]-[10]. La lunga esposizione delle ragioni che hanno spinto il Lasca a indirizzare il poemetto al Mazzuoli e la celebrazione delle bislacche qualità del personaggio hanno qualche punto di contatto con la dedicatoria ad Alfonso de’ Pazzi della Gigantea (Amelonghi, Gigantea, ed. 1566, pp. 4-6: si cita ammodernando l’ortografia): «Dicano adunque quel che vogliano, per che a me basta solamente sodisfare a voi, famosissimo Etrusco, a cui non debbo meno che a la benigna Fortuna che mi vi fece esser vicino; percioché non prima cominciai a praticarvi che ’l mio cervello, quasi a sembianza del vostro, divenuto [sic, forse per divenne] laberinto di girandole, limbico di stratagemme e guerdaroba di chimere. Voi (se vi ricorda) foste il primiero che apprender mi feste con tanta facilità la dolce musica senza note; voi, se non altro, m’insegnaste provisare a catafascio e comporre nel modo che volete, giurandomi che un sonetto avea a esser cominciato coi terzetti e finito co’ e quadernali, mostrandovi [sic, per mostrandomi] con ragion filosofiche che il poetare ‘a ghiri’, oltre al piacer che porta seco, è bramato da ognuno per non esser sotto posto (come gli altri stili) a gravità di sentenze, a forbite lingue, a sofistichi argomenti, e finalmente a velenose e masticate censure». [5] sète: ‘siete’, forma monottongata del fiorentino argenteo (Manni, Ricerche, p. 139; cfr. anche Castellani, Testi sangimignanesi, pp. 36-40) condannata da tutti i grammatici dell’epoca (Trovato, Il primo Cinquecento, p. 307n segnala, tra i più importanti, il Fortunio, il Trissino, il Ruscelli e persino il Giambullari e il Salviati), assolutamente maggioritaria nel Lasca: in questa raccolta si registrano trenta casi di sète contro due soli di siete. il saracino: ‘il bersaglio’, dunque ‘l’oggetto prediletto’ (fig.). Il ‘saracino’ era un fantoccio raffigurante un soldato armato o vestito in foggia mediorientale utilizzato come bersaglio nella giostra della quintana (cfr. GDLI, s.v. ‘Saraceno’ 9); tradizione ancora viva ad Arezzo. l’oppenione: la forma deriva probabilmente da un allungamento compensativo (cfr. Rohlfs, I 23 e vd. infra il caso di doppo, comm. a I, X 6). Trovato, Il primo Cinquecento, p. 277 nota come essa sopravviva nella prosa di qualche cinquecentista con vezzi arcaizzanti, ma nel caso del Lasca va forse ritenuta dell’uso vivo fiorentino, almeno di quello meno sorvegliato, se, come segnala Bruscagli «è la forma abituale degli autografi del Lasca» (Cene, comm. a II, III 6) ed è impiegata anche negli autografi delle commedie (Nota al testo in Cene, ed. Bruscagli, p. 522). La sua persistenza nella prosa teatrale laschiana si ricava anche dalla nota al testo di Grazzini, Teatro, ed. Grazzini, p. 591. Nella nostra raccolta, le varianti oppinione e oppenione sono in perfetta alternanza (due casi contro due). fra Santi Marmocchini: teologo domenicano originario di San Casciano in val di Pesa, nato verso il 1475 e morto nella sua terra d’origine nel 1548. Condusse vita itinerante, legato al convento di san Domenico in Fiesole, si stabilì più tardi alla facoltà di teologia di Firenze, divenendone decano. Risentì fortemente della lezione savonaroliana e di istanze eterodosse, particolarmente pregnanti nella sua Biblia nuovamente
22
tradotta dalla hebraica verità in lingua toscana (Venezia, Giunti, 1538). Dotto nelle tre lingue sacre, compose un Dialogo in difensione della lingua toscana (BNCF, Magl. XXVIII 20) che, accogliendo la tesi del Giambullari della derivazione del toscano dall’ebraico, si contrappose all’impianto aristotelico di quella speculazione. Le notizie si traggono da Saracco, Un’apologia della «Hebraica veritas»; Ead., Marmocchino, Sante, in DBI, LXX, 2008, pp. 631-633. vi agguaglia: ‘vi mette alla pari’ (GDLI, s.v. ‘Agguagliare’ 5). è solo: ‘è unico’, ‘non ha eguali’ (si noti la paronomasia Sole, solo). [7] per tutto: ‘dappertutto’, ‘ovunque’. Febo, Apollo e Cintio: il secondo è notoriamente il nome del dio che guidava il carro del Sole nella religione greca e romana. Originariamente un epiteto (col significato di ‘puro’), Febo finì per essere percepito anch’esso come un teonimo dello stesso dio. Cinzio è invece l’epiteto con il quale era ricordato per essere nato sul monte Cinto, nell’isola di Delo. Stradino: il soprannome con il quale era universalmente conosciuto il Mazzuoli, per essere la sua famiglia oriunda di Strada in Chianti, oltreché per una vantata discendeza con Zanobi da Strada. Crocchia: l’origine del nomignolo non è chiara. Se si dà a ‘crocchia’ il significato di ‘canto popolare’ (GDLI, s.v. ‘Crocchia1’ propone
‘canzonaccia’, sulla base della seguente e unica attestazione del Caro «Nel cantare avevano tra loro un comandatore, che, a guisa di papasso stando in prua e dando il tempo del remo, era il primo ad imporre certe crocchie marinaresche») si potrebbe pensare che il Mazzuoli conoscesse e apprezzasse queste forme recitative, il che sarebbe coerente anche con quanto sappiamo della sua passione per i romanzi cavallereschi e per gli intrattenimenti canterini. Si veda anche quanto il Lasca scrive sull’amico infra a VI, 9-11 «e per questa cagion muovere a riso | la corte tutta, con una di quelle | facezie ch’ei suol fare all’improvviso» e XVIII, 25-26 «come voi nel comporre ha buona vena; | dice improvviso e giuocola di schiena». Consagrata: uno dei più frequenti tra i moltissimi soprannomi attribuiti allo Stradino. L’ipotesi più probabile è quella offerta dal Fanfani nell’edizione dei Marmi del Doni (I, p. 49 n.), che riporterebbe la sua origine alla bestemmia «potta della Consagrata». Resta però non del tutto chiarito se consagrata significhi «Madonna» (cfr. per tale significato il glossario Aretino, Teatro comico, ed. D’Onghia, s.v. ‘sagrata/sacrata’ e GDLI, s.v. ‘Sacrato’ 2, dove però l’ipotesi è perfettamente giustificata; seguono questa interpretazione anche gli editori di Doni, Marmi, I, p. 33, n. 135) o, più probabilmente, seppur senza il supporto di un’attestazione diretta nella forma sostantivata, un eufemismo per «ostia» (consagrata è aggettivo ad essa frequentissimamente associato, come si ricava dal GDLI, s.v. ‘Consacrato’ e da uno spoglio del TLIO) come vorrebbe
Fiorelli, P.F. Giambullari e la riforma
dell’alfabeto, p. 207 che glossa l’espressione ‘per l’ostia consagrata’.
Espressioni simili sono variamente attestate anche nel teatro del Lasca (cfr. La Spiritata, in Grazzini, Teatro, p. 147) o di autori toscani (per esempio nell’Alessandro del Piccolomini, atto I, scena VI); ma si noti che la diffusione di questo tipo di imprecazioni doveva essere anche23
settentrionale (se non pan-italiana), come dimostrato da un passo del Baldus (IV, 328-331): «Hinc [dove entrano i bravacci], mox, hinc nascunt illa illa sonantia late | verba bravariae, velut este: sagrada, putana, | potta, renego deo, et multa et plura bravorum, | quae possunt etiam spaventum mittere coelo». Arbitraria la spiegazione Zanrè, Cultural Non-Conformity, p. 81, n. 39 che vorrebbe riportare il nomignolo alla funzione «sacrale» del Mazzuoli all’interno dell’Accademia degli Umidi. [8] ‘lucerna del mondo’, e ‘occhio del cielo’: sono due metafore dantesche: la prima di Par., I, 38, l’altra – che torna anche al v. 74 della Egloga I del Lasca (ed. Poggiali, p. 6 «Almo, destro, divino occhio del cielo») – di Purg., XX, 132 (in cui si definiscono «occhi del cielo» i due figli di Latona, Apollo e Diana). Pandragone: il soprannome deriva dal personaggio della cosiddetta «Tavola vecchia» Uther Pendragon, re di Bretagna e leggendario padre di re Artù (cfr. infra comm. a V, 15 e 17), e gli era stato affibbiato per la sua notoria passione per i romanzi cavallereschi, soprattutto toscani, di cui era vorace collezionista (Isidoro Del Lungo, Dino compagni e la sua Cronica, vol. I, pt. II, pp. 734-735; Maracchi Biagiarelli, L’«Armadiaccio» di Padre Stradino, pp. 51- 57; Carla Masaro, Un episodio della cultura libraria volgare). In XIV, 9-11 il Lasca sostiene che Luigi Alamanni si servì di uno dei romanzi in cui Uther Pendragon compare per l’elaborazione del suo Giron cortese (cfr. comm. ad loc.). Il nomignolo è ricordato anche in O4, 89-90: «Ben mi posso doler di Pandragone, | cioè del vecchio mio padre Stradino». Cronaca Scorretta: nomignolo attribuito allo Stradino sia per il suo appassionato collezionismo di narrazioni di carattere storico sulla città di Firenze (dal catalogo dei suoi libri pubblicato dalla Maracchi Biagiarelli, L’«Armadiaccio» di padre Stradino, pp. 55-57 si segnalano ad es. due mss. delle cronache di Giovanni Villani, uno di Goro Dati, la Vita di Castruccio Castracani e le Istorie fiorentine di Machiavelli) sia, soprattutto, per la sua abitudine di raccontare aneddoti in modo confuso e spesso inventando, cfr. S85, 15-17 «e colla sua tornata, | o tornatella, si rallegri e dica | qualche istoriaccia scorretta ed antica». voi ne avete molti altri ch’io mi taccio: si può sospettare che la reticenza abbia scopo ironico: in tal caso uno dei nomignoli cui il Lasca alluderebbe potrebbe essere quello infamante di «Pagamorta», su cui cfr. infra comm. a XX, 57. [9] Strata: Strada in Chianti, piccolo borgo a sud di Firenze, oggi frazione di Greve in Chianti. Era il luogo d’origine della famiglia Mazzuoli. La visita del Lasca a questa terra è oggetto del son. VIII. Tornatella: così i primi membri dell’Accademia degli Umidi chiamavano i proprî ritrovi in casa dello Stradino; cfr. infra, XV, 19 «E per questo, il Villano, | a laude e gloria della Tornatella, | ne vuol comporre in rima una novella»; XX, 68 «Del dolce, al dirimpetto, che la mia | vita reggea, mi duol; ma più di quella | vezzosa Tornatella, | ove spesso solia | godermi in compagnia | di dolci zughi e nuovi pesci insieme». E vd. anche Martelli, Lettere, ed. Marconcini, p. 101 «Non vi crediate che e’ degni le tornatelle per lo oneste e polite vivande solamente, ché questo è il minor piacere». Il termine deriva da ʻtornataʼ (GDLI, s.v. 3), cioè
24
ʻseduta periodica di un’assembleaʼ (cfr. Machiavelli, Sommario delle cose della città di Lucca, ed. Marchand, p. 615 «[…] e il più delle volte torna loro fatta la Signoria in tre tornate di consiglio») e vale dunque letteralm. ʻpiccolo ritrovoʼ. più di quattro volte: il numero allude probabilmente ai più noti amori di Apollo: Dafne, Giacinto, Cassandra e Melissa. Il seguente quattordici varrà semplicemente come espansione iperbolica, senza pretese di precisione. [10] Ghiacinto: giovane bellissimo amato da Apollo; venne da lui involontariamente ucciso, colpito da un disco lanciatogli nel gioco: il dio lo trasformò poi in fiore, nei cui petali, in segno di dolore, si sarebbero potute leggere le lettere «Ai ai». La forma con sviluppo «mediopalatale» dell’originario suono palatale, tipico del fiorentino argenteo (Manni, Ricerche, p. 123) è attestata frequentemente nella lingua del Lasca. Gismondo: si tratta certamente di Gismondo d’Alamanno di Sigirmondo Martelli (14 marzo 1523-14 marzo 1548), affezionatissimo amico del Lasca, promettente poeta (cfr. Martelli, Lettere, ed. 1546, c. 21r) morto accoltellato in giovane età. Fu tra i fondatori dell’Accademia degli Umidi, ove prese il nome di Cigno; il Lasca gli dedicò il capitolo In lode della Salsiccia (C1), e secondo un’ipotesi del Fiacchi confermata da Plaisance (L’Académie et le Prince, p. 53 n. e Réécriture et écriture, p. 55) sarebbe anche il primo dedicatario del relativo Comento. Tra i due doveva esistere un rapporto quasi di discepolato se in una lettera del Martini a Carlo Strozzi (21 agosto 1540) il mittente sostiene che «canti, commedie e favole» del Lasca circolassero attribuite a Gismondo Martelli (Pignatti, Grazzini, Anatonfrancesco, in DBI, pp. 33b-34a). Secondo un’ipotesi di Plaisance (L’Accademia e il suo principe, p. 53n), sarebbe lui il poeta cantato dal Lasca col nome pastorale di Ghiacinto (cosa che spiegherebbe anche il paragone con questo personaggio mitologico nella presente lettera). Il Lasca gli dedicò un’orazione In lode della poesia oggi perduta, ma menzionata nel catalogo autografo (ASF, Carte Strozziane, serie V, 1251). Per altre notizie, cfr. soprattutto Plaisance, L’Accademia e il suo Principe, ad ind. e Antonfrancesco Grazzini dit Lasca, ad ind. Da quel che mi risulta la sua data di nascita era adoggi ignota: la si ricava dai registri battesimali dell’Archivio dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Reg. 9, c. 8, Maschi 1523, marzo 10- 1523, marzo 20 («Sabato: Addì. 14 […] Gismo(n)do et joseph dalaman(n)no di Gismo(n)do di frac° marteglj p(opol)o dj s(ant)a m(ari)a m(a)g(gio)re et adi d(e)cto h(ore) 9»). fuor di modo: ‘oltremisura’ (GDLI, s.v. ‘Modo’, 23); cfr. la prosa di CIIe, [4] «vi giuro che non solamente un desinare ancora, ma vi farò un pasto, un convito o un banchetto […] che vi piacerà fuor di modo». e vattene là: ‘e così via’, ‘e via dicendo’, espressione colloquiale attestata anche nelle commedie, cfr. La Spiritata, a. III, sc. III «[…] gli spiriti sono di più varie e diverse spezie, come ignei, aerei, acquatici, terrei, aurei, argentei, folletti, foraboschi e forasiepi, amabili, dilettevoli, sociali, e vattene là». [11] oggimai: ‘ormai’. stupendi e miracolosi: dittologia sinonimica. ‘Stupendi’ vale qui ‘che destano stupore, incredulità’ (GDLI, s.v. ‘Stupendo’ 1). i Nani: il riferimento è ai personaggi del poemetto eroicomico
25
di Michelangelo Serafini in due canti La Nanea, composta tra la metà di aprile e il maggio del 1547 (Plaisance, Culture et politique, p. 181; Crimi-Spila, Nanerie, p. 152) come ideale prosecuzione della Gigantea dell’Amelonghi. Entrambe le opere saranno stampate per la prima volta a Firenze nel 1566 (l’ed. del 1549, della quale da qualche parte si legge, pare essere un fantasma bibliografico) ad istanza di Alessandro Ceccherelli per i tipi del Torrentino (ma il nome del Serafini sarà parzialmente celato dalla sigla «Di M[ichelangelo] S[erafini] A[ccademico] F[iorentino]). Il poemetto racconta come gli dei, spodestati dai giganti, cerchino aiuto presso i nani, i quali riusciranno nell’intento di riconquistare il cielo. Dietro le figure degli dei, dei nani e dei giganti, sono certamente celati varî personaggi della Firenze contemporanea, ma la decodificazione puntuale risulta assai problematica (si vedano le proposte di Plaisance, Culture et politique, pp. 179-181; Serafini, Nanea, ed. Crimi, pp. 152-155). i Giganti: si allude ai protagonisti della Gigantea di Girolamo Amelonghi, da considerarsi il primo tentativo di poesia eroicomica in volgare italiano (così Crimi in Serafini, Nanea, p. 150). Il poemetto è dedicato ad Alfonso de’ Pazzi e reca la data del 15