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5. La conclusione della spedizione, gennaio 1312 – agosto 1313 1 Tra Genova e Pisa: l'inasprirsi delle lotte con i guelf

5.2 L'arrivo a Pisa

Il giorno successivo, 16 febbraio 1312, i cronisti registrano la partenza della spedizione: Enrico VII si mise in viaggio con trenta galee64, ma il cattivo tempo non gli permise di approdare direttamente in città: «gli convenne dimorare in Portoveneri XVIII dì, poi di là arrivò a Porto Pisano»65 per giungere infine a Pisa il 6 marzo 1312. La notizia è confermata anche da altre fonti66 mentre altre o riportano informazioni che si limitano a citare l'arrivo nella città toscana, o riportano informazioni piuttosto confuse67; Albertino Mussato affermerà che la spedizione «in portu Veneris magna tempestate dies circiter quadraginta perstitit, inde Pisas applicans»68. La traversata è stata raffigurata nella miniatura 17b del Codex Balduini69, nella quale sono visibili alcuni dei partecipanti alla spedizione tra cui si riconoscono, tra gli altri, Amedeo V di Savoia, l'arcivescovo Baldovino di Treviri,

62 Nuova Cronica, II, cap. XXXVI, p. 237. 63 Ibidem.

64 Historia Iohannis de Cermenate cit., cap. XLII, p. 95: Enrico prende la via di mare «cunctis itineribus Guelphorum opera per terram clausis».

65 Nuova Cronica, II, cap. XXXVII, p. 237.

66 Relatio de Itinere Italico, p. 528: «dominus rex venit Pisas [6 martii 1312]».

67 Chronicon Aulae Regiae, p. 194: la cronaca boema, del periodo genovese e dell'avvento pisano ricorda solamente queste poche notizie, tanto che fa arrivare Enrico VII direttamente a Roma: «Porro rex maxime Pysanorum, Januensium suffultus adminiculo, aurum namque et argentum regi offerebant quasi sine numero, naves plurimas applicari et parari iussit et vallatis preclara milicia Ytalicis plagis navigio applicuit, tandemque ad urbem Romanam pervenit».

68 Albertini Mussati Historia Augusta cit., col. 103. La permanenza di quaranta giorni segnalata da Albertino Mussato è, in ogni caso, completamente errata.

69 Nella miniatura si vedono «due galee con piccole cabine, azionate da un timone fissato a un anello di ferro a un lato della poppa. La nave anteriore ha due alberi maestri ognuno con un pennone, al quale è assicurata con borose la vela», cfr. Il ciclo iconografico, cur. F.-J. HEYEN, in Il viaggio di Enrico VII in Italia cit., p. 104.

Enrico VII ed Enrico di Fiandra70.

La città, come ricordano i cronisti, accolse festante la spedizione imperiale, dal momento che era «tutta d'animo e di parte d'Imperio»71. Dino Compagni tende a considerare Pisa come il modello positivo da contrapporre a Firenze, di conseguenza prosegue nella sua opera di celebrazione del coraggio della città. Pisa era

quella che la ricca spada in segno d'amore gli presentò; quella che delle sue prosperità festa e allegrezza faceva; quella che più minacce per lui ricevea; quella che diritta porta per lui è sempre stata, e per li nuovi signori che sono venuti in Toscana per mare e per terra, che a loro parte attendano; quella che da' Fiorentini è molto raguardata,

quando s'allegrano delle prosperità d'Imperio72.

La generosità di Pisa si ritrova anche in Giovanni Villani:

da' Pisani fu ricevuto come loro signore, faccendogli grande festa e processione, e al tutto gli diedono la signoria della città, faccendoli grandi doni di moneta per fornire sua gente, che gran bisogno n'aveva73.

L'ultima frase della citazione «faccendoli grandi doni di moneta per fornire sua gente, che gran bisogno n'aveva», se da un lato ci conferma la totale appartenenza alla parte imperiale della città, sembra sottintendere dall'altro il problema già riscontrato successivamente all'entrata in Italia, ossia il cronico stato di dissesto finanziario della spedizione. L'ipotesi in tal senso si rafforza seguendo quanto dice Dino Compagni, secondo il quale Pisa «fiorini .lxm. gli mandò in Lombardia, e fiorini .lxm. gli promise quando fusse in Toscana, credendo di riavere le sue castella e

70 Der Weg zur Kaiserkrone cit., p. 66. Dalla cronaca del Ferreti, si può ipotizzare che durante la traversata la spedizione subì delle perdite: «ex proceribus nempe superstites Amadeus Sabaudie comes, Balduinus episcopus regis frater Theobaldus Leodiensis antistes, Henricus Flandrensis regie militie prefectus, Rodulphus Babarie dux, Iofredus de Lignaco, paucique alii fama celebres manserant», Ferreti Historia cit., II, p. 32.

71 DINO COMPAGNI, Cronica, XXXV, 193, p. 138. 72 Ibidem.

signoreggiare i suoi avversarii»74.

L'arrivo in città sembrava quindi preannunciare un periodo favorevole, dopo gli innumerevoli ostacoli incontrati sino a questo momento, per la spedizione di Enrico VII. Il sovrano lussemburghese, secondo Giovanni Villani, rimase in città fino al 22 aprile «attendendo gente nuova di suo paese»75. Durante questi due mesi il cronista ci informa che il maniscalco dell'imperatore insieme ad altri cavalieri fecero «molte cavalcate e asalti sopra le terre e castella de' Lucchesi e Samminiato del Tedesco, sanza tenere campo o assedio»76 senza però ottenere risultati di un certo rilievo. Più interessante, forse, la notizia del numero dei cavalieri a sua disposizione – millecinquecento – e venire a sapere che essi erano «oltramontani»77: tra di loro vi erano Baldovino di Treviri, Amedeo V di Savoia e molti altri nobili tedeschi78, insieme a molti Italiani, Lombardi e Toscani.

Del soggiorno a Pisa è da esaminare un importante episodio poco ricordato sia dalle cronache, sia dalla storiografia. Nel terzo capitolo di questo lavoro, nel trattare la morte di Alberto I d'Ausburgo, avevo anticipato la notizia secondo cui Giovanni Parricida fosse fuggito in seguito alla condanna a morte comminatagli da Enrico VII. Proseguendo nel suo racconto, la Chronica del Neuenburg spiega che Giovanni giunse a Pisa «post multas occultaciones tandem in forma beghardi»79 venendo poi

74 DINO COMPAGNI, Cronica, XXXV, 193, p. 138. 75 Nuova Cronica, II, cap. XXXVII, p. 237. 76 Ibidem.

77 Nuova Cronica, II, cap. XXXVII, p. 238.

78 Ibidem: «il duca di Baviera, il conte di Savoia suo cognato, messer Guido fratello del Dalfino di Vienna, messer Arrigo fratello del conte di Fiandra suo maliscalco e cugino, messer Ruberto figliuolo del detto conte di Fiandra, il conte d’Alvagna d’Alamagna chiamato Luffo Mastro, cioè in latino Mastro Siniscalco, uomo di grande valore, e più altri conti de la Magna non conosciuti da noi, castellani e banderesi assai, ciascuno di questi signori con sua gente».

catturato da Enrico morendo poi, durante la prigionia, ad anni di distanza dalla morte dell'imperatore.

Di questo incontro Mathias von Neuenburg non fornisce ulteriori dettagli, una situazione a cui sopperisce la cronaca di Johann von Viktring. La descrizione è piuttosto singolare e, purtroppo, la conclusione del passo della cronaca è giunta a noi corrotta. Dopo l'arrivo a Pisa

ecce vagus et profugus dux Iohannes, Alberti regis interfector, veniens in habitu religioso fratrum, ut dicitur, Augustinensium veniam postulavit, dicens se a papa directum, qui magis hoc facinus

iudicandum secundum leges civiles quam ecclesiasticas diffinivit80.

L'atteggiamento di Giovanni sembra improntato a mostrarsi umile e pentito e, oltretutto, diretto dal pontefice, probabilmente per ottenere maggiore indulgenza da Enrico. Il sovrano dimostra, a mio avviso, un certo imbarazzo nel gestire questa situazione, dato che il fuggiasco è condannato a morte ed è fuggito dalla sua pena. Enrico sembra infine applicare la clemenza per cui viene ricordato dalle cronache relegando l'omicida ad esser rinchiuso fino alla fine dei suoi giorni:

Imperator anxius, quid ageret, [non modicum turbabatur, petenti veniam denegare] impium arbitrans, inultum piaculum tantum dimittere temera[rium videbatur . .]; vinc[tum] usque in diem mortis mandavit

arcius conservari, ut sic peniteret et Dei indulgenciam optineret81.

Rimane da esaminare velocemente la testimonianza del Ferreti. Il suo racconto è ampio, molto dettagliato, anche se il nucleo centrale delle informazioni viene mantenuto: Giovanni viene nella città ligure per prostrarsi davanti all'imperatore82 e

80 Liber certarum historiarum, vol. 2, lib. IV, rec. A, p. 22. 81 Liber certarum historiarum, vol. 2, lib. IV, rec. A, pp. 22–23.

82 Ferreti Historia cit., II, p. 26: «Inter hos rerum anfractus Iohannes memoratus, Alberti de Austria nepos, cuius et Paricida, Cesaris decreto, reus mortis adiudicatus fuerat, suadente, ut aiunt, Rodulpho Babarie duce, inopem censu magno regem placaturus usque Ianuam se proripuit, qui cum diebus multis ferme latitans ab aula regia se continuisset, tandem spe magna ductus, rege luce quadam epulis indulgente, coram se obtulit, pronusque ad pedes prostratus».

chiedere pietà per le sue azioni83; pare che Enrico avesse avuto contatti con i figli di Alberto I, Federico e Leopoldo84, per decidere il destino del prigioniero. La decisione non si discosta da quanto affermato dai cronisti tedeschi, con Giovanni imprigionato a vita85.

Le uniche differenze, nelle informazioni presentateci dal cronista vicentino, sono la loro collocazione temporale e geografica: il resoconto viene inserito come avvenuto a Genova prima della traversata verso Pisa, dettaglio che, a livello di ipotesi, si interseca con il «dicens se a papa directum» ricordato precedentemente. Il Ferreti è, infine, l'unico cronista che parla della possibile causa di morte di Giovanni Parricida. Prima di cambiare radicalmente argomento, il cronista afferma che «sed hic, post regis discessum, Friderici factiosis hortatibus, auroque dato, creditur veneno peremptum occubuisse»86, informazioni che ci confermano la morte di Giovanni dopo la morte dell'imperatore, ma precisano che egli dovette essere stato spronato a togliersi la vita. In ogni caso, quest'ultima registrazione non è presente in nessuna delle cronache esaminate, pertanto non è possibile confrontarla per verificarne la veridicità: può essere un'introduzione diretta del cronista, che infatti afferma «nulla enim de ipso fama, nullus exitus sui rumor ulterius certo autore auditus est»87.

Gino Benvenuti afferma che Enrico avrebbe consesso la grazia a Giovanni e lo avrebbe rinchiuso nel convento degli Agostiniani di San Nicola, dove morì il 13

83 Ibidem: «veniam postulavit, pro se referens, ob violentum iniustumque patrui imperium temere iuventutis lubrico ductum, illius exitium perpetrasse, et pro tollenda tanti reatus mulcta se regem copiis suis ad Urbem retroque passim secuturum despondens, orabat ignosci».

84 Leopoldo era presente in Italia e partecipò all'assedio di Brescia, ammalandosi sotto le mura.

85 Ferreti Historia cit., II, p. 27. 86 Ibidem.

dicembre 1313; a supporto di tale affermazione riporta l'iscrizione presente sulla lapide conservata nella sagrestia della chiesa:

Iohannes Austriacus ordinis aeremitarum agustini Austriae dux et Sueviae comes Kiburgi et Ergoviae princeps Alsatiae Rodulphi primi et Alberti primi Imperatorum ex patre nepos filius conventus S. Nicolai Pisarum in quo quandiu vixit poenitere voluit. Obiit in eodem coenobio A. D. MCCCXIII idibus decembris88.

Come nota lo stesso Benvenuti, nell'iscrizione non si fa alcuna menzione dell'omicidio di Alberto I da parte di Giovanni89.