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Le condanne contro i guelfi e Roberto d'Angiò

5. La conclusione della spedizione, gennaio 1312 – agosto 1313 1 Tra Genova e Pisa: l'inasprirsi delle lotte con i guelf

5.3 Le condanne contro i guelfi e Roberto d'Angiò

La dura contrapposizione tra Enrico VII, Roberto d'Angiò e la parte guelfa è una questione ampiamente studiata dalla storiografia91; in questo paragrafo si riassumeranno brevemente le posizioni delle due contrapposte fazioni facendo ricorso agli studi attuali92, per poi spostare l'attenzione alla cronachistica, in modo da

88 La data più accettata, anche a giudicare dai commenti alle cronache sinora esaminate che la deducono da materiale documentale, è il 13 dicembre 1315, cfr. ad esempio Ferreti

Historia cit., II, p. 27 n. 3.

89 G. BENVENUTI, Enrico VII di Lussemburgo (L'imperatore della speranza), Editrice Giardini, Pisa, 1966, pp. 48–49.

90 Raccolgo in questo paragrafo, per comodità di esposizione e di comparazione ma senza rispettare necessariamente la reale cronologia degli eventi (alcuni avverranno successivamente ai fatti esaminati nei paragrafi che seguiranno), tutte le notizie più importanti circa i dissidi tra Enrico VII e Roberto d'Angiò e sulle sentenze di condanna contro quest'ultimo.

91 In particolare si segnalano: W. ISRAEL, König Robert von Neapel und Kaiser Heinrich VII, Hersfeld, 1903; gli studi di Francesco Cognasso e William Bowsky si occupano frequentemente di queste dispute: cfr. F. COGNASSO, Arrigo VII, in particolare alle pp. 292–304, 328–329, 333–334 e 346–362; W. BOWSKY, Henry VII cit., pp. 161–170, 184– 192 (con attenzione alla trattatistica del tempo); K. PENNINGTON, Henry VII and Robert of

Naples, in Das Publikum politischer Theorie im 14. Jahrhundert, cur. J. MIETHKE, Oldenbourg, München, 1992, pp. 81–92; S. GIRAUDO, Sperimentazioni sovrane per le

città del regnum italicum. Pacificazioni, riforme e modelli di governo da Enrico VII a Giovanni di Boemia (1310-1330), Tesi di dottorato (Università degli Studi di Parma e

Université Paris-Sorbonne Paris IV), a.a. 2012–2013, pp. 59–73.

92 Si utilizzerà, in questo paragrafo, la preziosa tesi di dottorato di Stefania Giraudo

Sperimentazioni sovrane per le città del regnum italicum. Pacificazioni, riforme e modelli di governo da Enrico VII a Giovanni di Boemia (1310-1330), per la chiarezza e

rintracciare in essa quanto, e come, i rapporti tra i due diversi poteri sia stato colto dai cronisti.

Lo sguardo va diretto tra gli anni 1312 e 1313, ovvero quando le città che si erano poste in lotta contro la volontà di Enrico VII di unificare il regno sfruttarono il ricorso alla signoria angioina come «strumento per difendere l'autonomia comunale contro l'intromissione di Enrico e dei suoi fedeli nella gestione del governo cittadino»93. Di fatto Roberto d'Angiò si ritrovava a capo della coalizione creatasi con la lega guelfa la quale, a sua volta, poté sfruttare, per «sostenere l'offensiva contro il potere imperiale, che si poneva su un piano superiore rispetto a quello cittadino»94 il «ricorso ai due poteri che per tradizione erano i suoi consueti alleati: la corona di Napoli – che, come si è visto, poteva fornire un inquadramento politico a difesa dell'autonomia comunale – e la corte papale»95. Le intenzioni di Roberto si palesarono proprio nell'estate del 1312 con l'invio a Roma di Giovanni di Gravina per impedire la cerimonia con cui Enrico VII sarebbe stato incoronato96, un proposito che fu ancora più chiaro quando la spedizione arrivò alle porte di Roma97.

Non bisogna sottovalutare, d'altro canto, la posizione del pontefice Clemente V. Nel paragrafo precedente abbiamo visto che il pontefice era speranzoso di far concludere ai due sovrani una pace, da cui sarebbe derivata con tutta la probabilità la pace tra le fazioni cittadine. È pur vero che questo accordo non avrebbe avuto la pace come unica conseguenza e l'accordo matrimoniale che avrebbe legato le due casate

93 S. GIRAUDO, Sperimentazioni sovrane per le città del regnum italicum cit., p. 67. 94 S. GIRAUDO, Sperimentazioni sovrane per le città del regnum italicum cit., p. 68. 95 Ibidem.

96 Cfr. supra per la parte cronachistica, paragrafo 5.1; S. GIRAUDO, Sperimentazioni sovrane

per le città del regnum italicum cit., p. 68.

97 Per la narrazione delle cronache cfr. il paragrafo 5.4 di questo lavoro; S. GIRAUDO,

aveva implicazioni più ampie a livello di equilibrio delle case regnanti del tempo:

Enrico VII, ancora debole sulle posizione imperiali, avrebbe goduto del sostegno di Roberto d'Angiò, garantendosi in questo modo l'appoggio delle forze guelfe durante la Romfahrt e avrebbe rafforzato il proprio nome grazie all'unione con una delle più potenti famiglie della cristianità; Roberto d'Angiò avrebbe avuto modo di intervenire in maniera più diretta sulle decisioni e sull'azione dell'imperatore, in cui trovava anche un sostegno contro Federico di Sicilia; mentre la dote che Enrico avrebbe portato in dono alla casa francese, il regno d'Arles, avrebbe ridimensionato il potere di Filippo il Bello, contenendo le mire del Valois su quella regione. In questo modo, il papa intendeva mantenere sotto controllo i margini di rafforzamento dei sovrani europei attraverso una politica che limitasse le possibilità di

espansione delle potenze98.

Quando però i due sovrani iniziarono a manifestare le prime discordie, Clemente V si schierò progressivamente sempre più a favore di Roberto d'Angiò. Se Clemente V aveva già espresso alcuni rifiuti al sovrano lussemburghese – come nel 1311, quando si rifiutò di anticipare la data dell'elezione romana – fino ad arrivare alla richiesta di Enrico VII, il quale avrebbe voluto che Roberto fosse presente di persona a Roma per prestargli giuramento «per i possessi in Provenza», il papa oppose un nuovo e netto rifiuto poiché «riteneva che la contemporanea presenza dei due sovrani a Roma avrebbe provocato turbationes e andava perciò evitata»99. A ridosso dell'incoronazione di Roma le condizioni poste da Clemente V mettevano Enrico VII in una posizione nettamente sfavorevole rispetto a Roberto d'Angiò poiché, nel tentativo di arrivare ad una tregua tra i due sovrani, il pontefice richiedeva ad Enrico di «impegnarsi a non invadere il regno di Napoli e a lasciare Roma il giorno stesso dell'incoronazione»100. Infine, come giustamente conclude

98 S. GIRAUDO, Sperimentazioni sovrane per le città del regnum italicum cit., p. 71, n 166. Sulla questione matrimoniale e sul regno di Arles, cfr. anche F. COGNASSO, Arrigo VII, pp. 260–261; W. BOWSKY, Henry VII cit., p. 121 e p. 161.

99 S. GIRAUDO, Sperimentazioni sovrane per le città del regnum italicum cit., p. 72. 100 S. GIRAUDO, Sperimentazioni sovrane per le città del regnum italicum cit., p. 73.

Stefania Giraudo, è proprio a partire dall'estate del 1312 che «i rapporti tra papato e impero assunsero il carattere di una disputa giuridica sulla legittimità del potere imperiale e del suo esercizio sull'Italia»101.

La rilevanza di queste dispute ebbe immediatamente dei riflessi sulla trattatistica del tempo. Ciò era già noto a William Bowsky102, ma venne messo in risalto con particolare efficacia da Kenneth Pennington nel 1992:

The struggle between Henry and Robert is an event of the first rank in legal history. lt generated a significant amount of polemical literature, most of it in the form of ‘consilia’, and also produced papal and imperial legislation that dealt with the issues of imperial jurisdiction, the relationship between the church and the state, and the rules governing the judicial process. The dispute is a splendid example of politics and legal theory mixing together; it is also an illustration of how rapidly the issues of a political controversy could become common coin in the law schools103.

Le bolle papali emesse da Clemente V in questi anni furono talmente importanti che esse rimasero oggetto di discussione per lungo tempo, generando interesse e alimentando studi e dibattiti. Citando le parole di Stephan Kuttner, il quale affermava che la bolla Saepe fu «the most important single piece of medieval legislation in the history of summary judicial procedure»104, Pennington riporta a sua volta che la bolla Pastoralis cura «became a locus classicus in medieval law for discusssing the rules of judicial procedure»105. In tutto questo il ruolo assunto dai giuristi e dai commentatori di questa prima parte del Trecento fu centrale, e la loro produzione di materiale sempre aggiornato e messo in discussione influenzò le future

101 Ibidem. Su quest'ultimo aspetto, cfr. W. BOWSKY, Henry VII cit., pp. 184–192 e K. PENNINGTON, Henry VII and Robert of Naples, in Das Publikum politischer Theorie im

14. Jahrhundert, cur. J. MIETHKE, Oldenbourg, München, 1992, pp. 81–92. 102 W. BOWSKY, Henry VII cit., pp. 184–192.

103 K. PENNINGTON, Henry VII and Robert of Naples cit., p. 83. 104 K. PENNINGTON, Henry VII and Robert of Naples cit., p. 84. 105 Ibidem.

discussioni; pur tenendo conto che «some of the literature was more propaganda and political than legal»106. In ogni caso la morte di Enrico VII, avvenuta il 24 agosto 1313, non segnò la fine delle discussioni sulle sue sentenze di condanna contro Roberto d'Angiò107.

Da questa rapida disamina dei dissidi tra Enrico VII e Roberto d'Angiò è comprensibile come, nell'ottica della storiografia, questo sia davvero uno degli argomenti centrali di tutta la Romfahrt; a livello della cronachistica, però, esso risulta avere poca rilevanza e relativamente poco spazio, soprattutto per quanto riguarda il lato giuridico della questione. Certamente, gli autori ricordano a più riprese la contrapposizione tra i due sovrani; pochi, però, ne sembrano veramente interessati, tanto che, come spesso abbiamo notato in altri punti dell'analisi dei testi, molti non dicono nulla.

Alcuni cronisti francesi riportano un “riassunto” di tutte le dispute di questi anni, spiegando per sommi capi i provvedimenti presi da Enrico nei confronti di Roberto e il dissenso del papa verso le scelte del sovrano lussemburghese. Si prenda, ad esempio, il testo della Chronique de Saint-Denis:

En cest an108 Henri lemperere des Rommains priba publiquement le roy

Robert de Sezille de sa couronne et de son royaume pour la cause de ce quil avoit failli de comparoir par devant li a certain temps, laquelle privacion le pape Climent reputa estre pour nulle; et se aucune estoit de tout, il lanichiloit pour moult de causes lesquelles sont en ses constitucions alleguees, lesquelles seroient moult longues a mettre en escript109.

106 K. PENNINGTON, Henry VII and Robert of Naples cit., p. 85. 107 Cfr. K. PENNINGTON, Henry VII and Robert of Naples cit., p. 87.

108 La cronaca inserisce questo riassunto nell'anno 1313 appena prima della morte di Enrico VII.

109 Chroniques de saint Denis, depuis l'an 1285 jusqu'en 1328 cit., p. 690. Il Chronicon

Girardi de Fracheto et anonyma ejusdem operis continuatio, p. 39 riporta le stesse frasi

Altre cronache ricordano informazioni molto più sommarie: trattando del tragitto verso Roma di Enrico VII, gli Excerpta e Memoriali historiarum annotano che «fuit igitur gravis insultus inter eos, et ex utraque parte plurimi ceciderunt, tamen plures ex parte imperatoris»110. Grazie all'intervento di alcuni mediatori, però, i due sovrani erano scesi a più miti consigli e «treugæ sunt inter eos confirmatæ»111; da notare però che null'altro si registra sui dissidi tra i sovrani. Per la cronachistica tedesca possiamo leggere il breve ma chiaro resoconto che fa Mathias von Neuenburg, inserendo la notizia nell'anno 1313, contestualmente al ritorno di Enrico VII a Pisa:

Post hec cesar Pisas rediens citato inibi Roberto rege, et habitis processibus debitis tamquam maiestatis lese reum ac proditorem et hostem imperii privacionis omnium dominiorum et decapitacionis, si umquam veniret in imperii forciam, sentenciam promulgavit. Quam

sentenciam Clemens papa post mortem cesaris revocavit112.

Come si noterà, queste registrazioni cronachistiche contengono esclusivamente i dati essenziali per far comprendere al lettore la vicenda, come conferma anche la cronaca di Johann von Viktring, che presenta il medesimo racconto con piccole variazioni di lessico e di contenuti113.

Le descrizione di questi fatti rimangono stringate e semplificate anche nella cronachistica italiana. Giovanni Villani dedica due distinti capitoli ai contrasti di

110 Excerpta e Memoriali historiarum, auctore Johanne Parisiensi, Sancti Victori

Parisiensis canonico regulari, in Recueil des historiens des Gaules et de la France, Tomo

XXI, Paris, 1855, p. 656. 111 Ibidem.

112 Chronica Mathiae de Nuwenburg, Fassung B, cap. 37, p. 92. La redazione WAU della cronaca, p. 354, precisa aggiungendo: «post mortem cesaris revocavit, prout notatur in Clem. de re iudicata c. pastoralis cura».

113 Liber certarum historiarum, vol. 2, lib. IV, rec. A, pp. 24–25: «Imperator mox onus sue moletie in regem retorsit Ropertum, qui proscriptus imperii a longo tempore crimen sibi lese maiestatis et citatum hostem imperii iudicavit, terras eum plures imperiales iniuste possessionis titulo vi retinere monstrans et concionatus publica possidere».

Enrico con la parte guelfa. Nel primo il cronista si occupa di render conto delle condanne contro Firenze, con cui Enrico ordina «di torre a la città ogni giurisdizione e onori»114 e condannando il comune a pagare «CM marchi d'ariento, … e che i Fiorentini non potessero battere moneta d'oro né d'argento»115. Nel capitolo successivo, dedicato alla condanna di Re Roberto, Giovanni Villani afferma che Enrico VII fece contro di lui «grandi processi»116 condannandolo «nel reame di Puglia e della contea di Proenza, e lui e sue rede nelle persone, come traditori dello 'mperio»117. Questi processi furono, dopo la morte di Enrico, «cassi e annullati per papa Giovanni XXII»118. Secondo il Cermenate Enrico, dopo aver fatto ritorno a Pisa,

Robertum omni regno omnique iure atque privilegio honoris et dignitati privans, contra ipsum velut rebellem et proditorem imperii extremi supplicii sententiam tulit, si quo tempore in manus eius

inciderit, ipsumque hostem publicum nunciavit119.

La condanna di Roberto è presente anche nella cronaca del vicentino Ferreti, ma non è possibile non notare come il registro del linguaggio utilizzato sia ben diverso rispetto ai racconti riportati finora. Sempre a Pisa

Cesar vero adversus Robertum iudicii sui fulgur accuens, hunc velud pessimum imperii hostem et lese maiestatis reum damnat, privatumque regio semper titulo, hisque, quibus ab Eclesia Romana dotatum se fascibus predicabat, imperiali auctoritate decernit, mortisque demum

rigido mulctandum fore supplicio120.

Merita attenzione, in chiusura, la preziosa testimonianza di Niccolò da Ligny. Il

114 Nuova Cronica, II, cap. XLIX, p. 253.

115 Ibidem. Il privilegio di battere moneta, secondo il cronista, viene trasferito a «messer Ubizzino Spinola di Genova e al marchese di Monferrato» in questo modo: «che potessono battere in loro terre i fiorini d'oro contraffatti sotto il conio di quegli di Firenze».

116 Nuova Cronica, II, cap. L, p. 254. 117 Ibidem.

118 Ibidem.

119 Historia Iohannis de Cermenate cit., cap. LIX, pp. 119–120. 120 Ferreti Historia cit., II, p. 88.

suo racconto non si discosta dagli esempi fatti in precedenza ma, a differenza di tutti gli altri e a conferma di quanto sostenuto anche da Kenneth Pennington, attesta che vi fu un'intensa attività di consultazione di documentazione precedente nella stesura delle sentenze di condanna. Si dice infatti che

In processibus predictorum, diu antequam sententia daretur, voluit imperator quod sui clerici ista tractantes et in Bononiam et alibi in Tusciam, ubi litterati viri reperientur, mittentur ad videndum et examinandum si in predictis vel in aliquo predictorum esset aliquis defectus: quia si defectus propter negligentiam eorum qui honore eorum non essent securi. Ante sententiam assecuraverunt imperatorem quod in processibus nullus esset defectus et hoc vellent secundum jura

ante omnes clericos mundi sustinere121.