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L'incoronazione a Imperatore del Sacro Romano Impero

5. La conclusione della spedizione, gennaio 1312 – agosto 1313 1 Tra Genova e Pisa: l'inasprirsi delle lotte con i guelf

5.5 L'incoronazione a Imperatore del Sacro Romano Impero

Al contrario di altri eventi esaminati in queste pagine, è possibile affermare che la cerimonia per l'incoronazione ad imperatore di Enrico VII abbia destato solamente un modesto interesse nei cronisti. Si ha l'impressione che, dopo la lunga digressione dedicata ai violenti scontri, al difficoltoso ingresso nella città e alla tensione politica imperante in quei giorni, le cronache considerino l'evento come una naturale

173 Relatio de Itinere Italico, p. 534. 174 Ibidem. 175 Ibidem. 176 Ibidem. 177 Ibidem. 178 Ibidem. 179 Ibidem.

conclusione di questa fase storica. In due casi abbiamo purtroppo il silenzio totale di due tra i più importanti cronisti: il primo è Dino Compagni, la cui cronaca si interrompe bruscamente nei mesi del 1312 precedenti all'incoronazione; il secondo è Giovanni da Cermenate, la cui opera storiografica presenta una lacuna che fa riprendere la narrazione solamente dal 15 settembre 1312180.

Il poco peso della cerimonia all'interno dei racconti della cronachistica è riscontrabile soprattutto negli autori che di solito tendono a diffondersi nel riportare le notizie. Si prenda, ad esempio, la cronaca di Giovanni Villani, autore che, di norma, spiega ampiamente gli eventi. Il lungo capitolo dedicato all'evento181 si occupa principalmente degli scontri avvenuti nei giorni immediatamente precedenti al 29 giugno 1312 e dedica alla cerimonia in sé solo pochi cenni, limitandosi a riportare i nomi dei tre cardinali presenti – «il vescovo d'Ostia cardinale da Prato, messer Luca dal Fiesco e messer Arnaldo Guasconi cardinali»182 – e il luogo scelto per la cerimonia stessa, San Giovanni in Laterano. Null'altro viene detto, se non che Enrico fu incoronato «con grande onore, da quella gente ch'erano co·llui, e da quegli Romani ch'erano di sua parte»183 e che, dopo la cerimonia, molti dei suoi baroni e signori che l'avevano sin lì accompagnato presero la via del ritorno, «sicché con pochi oltramontani rimase»184.

Il racconto di Albertino Mussato è più articolato e rende ampiamente conto anche delle trattative che riguardarono la scelta del Laterano come luogo deputato

180 Historia Iohannis de Cermenate cit., cap. L, p. 108, n. 3.

181 Nuova Cronica, II, cap. XLIII, pp. 242–244: “Come Arrigo di Luzzimborgo fu coronato imperadore in Roma”.

182 Nuova Cronica, II, cap. XLIII, p. 243. 183 Ibidem.

alla cerimonia185. Presenza constante, nel racconto del cronista padovano, è il popolo romano. Più volte, nel corso di questo capitolo se ne fa menzione, non come semplice spettatore ma come parte attiva nella cerimonia: Enrico, il giorno stabilito, giunge in Laterano

missarumque solemnibus peractis protestantibus Cardinalibus, scilitet Legato, & Luca de Flisco non sua sponte, sed Plebis, Regisque impulsibus coactis parere coronam auream capiti ejus imposuere, multis Cleri, Populique applausibus inclyto Imperatori Henrico semper Augusto vitam, victoriamque conclamantibus universis186

I racconti fin qui presi ad esempio sono caratterizzati da un'estrema carenza di dettagli nel riferire gli eventi di quel giorno. Analizzando le testimonianze inerenti la cerimonia dell'incoronazione si deve tenere conto che essa si svolgeva di fatto in condizioni molto difficoltose: prima di essa le due parti avevano a lungo combattuto nelle vie della città e la cerimonia, dopo protratte discussioni, si svolgeva senza troppi problemi in Laterano. Se il luogo stesso non era quello solitamente deputato, va rammentato che la basilica era stata colpita, il 6 maggio 1308, da un incendio che l'aveva danneggiata. A ricordarlo è Giovanni Villani:

Nel detto anno MCCCVIII, del mese di giugno, s'apprese il fuoco ne' palagi papali di Santo Giovanni Laterano di Roma, e arsono tutte le case de' calonaci, e tutta la chiesa e circuito, e non vi rimase ad ardere se non la piccola cappelletta in volte di Sancto Sanctorum, ove si dice ch'è la testa di santo Piero e quella di santo Paolo, e molte relique di santi: e ciò fu con grandissimo dammaggio di tesoro e d'arnesi, sanza

lo 'nfinito danno della chiesa e palazzi e case187.

È possibile però che, pur a fronte di una situazione così complicata, a preoccupare i cronisti fosse più la politica che sarebbe derivata dalla cerimonia

185 Albertini Mussati Historia Augusta cit., col. 114. 186 Albertini Mussati Historia Augusta cit., col. 115.

187 Nuova Cronica, II, cap. XCVII, p. 191. cfr. anche Annales Urbevetani a. 1161–1313, Stuttgart, 1866, p. 272: «die 6 Maii combusta est ecclesia sancti Iohannis Lateranensis, et visa sunt multa miracula Rome, et Romani tunc se fusticaverunt».

stessa: Enrico VII sarebbe stato, dopo l'incoronazione, colui che avrebbe interrotto l'interregno che durava da decenni e avrebbe ottenuto la legittimità che la corona imperiale gli conferiva. In quel momento il sovrano lussemburghese era, senza dubbio, un sovrano debole circondato da nemici e infatti Niccolò da Ligny non tarda a informarci che, con Enrico incoronato, «nec bella nec destructiones Urbis cessarent»188. Dopo l'incoronazione l'imperatore si sarebbe preparato ad uscire dalla città e la Relatio mostra subito in che posizione scomoda si trovava Enrico VII: i romani «videntes quod dominus parabat se ad recessum»189 lo incontrano per supplicarlo «quod vellet adhuc manere per aliquos dies»190. Il motivo per cui gli richiedevano questo era perché «ipsi omnes erant in periculo et corporum et domorum»191, minacciati dalla parte avversa all'imperatore. La risposta di Enrico, per come ci viene riportata da Niccolò, dimostra in un certo modo, il senso di difficoltà e di relativa impotenza del neo-eletto: «Dominus imperator excusabat se»192. Non era possibile prolungare la sosta, non solo perché «propter consuetudinem antiquam imperatorum, qui recedunt corona recepta»193 ma anche perché sono i suoi stessi uomini a non voler restare: «sicut dux Bavarie et majores exersiturs, qui nullo modo manere volebant»194.

Questa tendenza della cronachistica a mostrare un imperatore passivo e quasi rassegnato può essere confrontata con una visione diametralmente opposta offertaci dal boemo Chronicon Aulae Regiae. La cronaca parla, innanzitutto,

188 Relatio de Itinere Italico, p. 540. 189 Ibidem.

190 Relatio de Itinere Italico, p. 541. 191 Ibidem.

192 Ibidem. 193 Ibidem. 194 Ibidem.

dell'incoronazione con toni esaltati e altisonanti. L'aridità delle registrazioni precedenti viene completamente sradicata: i quattro cardinali incoronano il «glorioso principi domino Heinrico septimo imperiale imposuerunt omni sollempnitate previa decenter, reverenter et legaliter sacerrimum diadema»195; e la cerimonia viene salutata dal cronista con un breve inserto poetico:

Est laus eterna, quia rex diademata terna Hic acquisivit; hominum nullus puto vivit, Qui meminit tales res preteritas fore, quales Fecit rex iste, hunc hinc benedic pie Christe. Rege coronato Rome diademate grato

Adverse turbe veniunt, quas vicit in urbe196.

La “revisione” in chiave trionfale della cerimonia, con un Enrico VII vittorioso, non termina qui. Il passo che segue, avendo presenti gli eventi finora esposti, raffigura uno svolgimento dei fatti alquanto inverosimile. Dopo l'incoronazione l'imperatore, alla guida del suo esercito, avrebbe attraversato il Tevere, superando senza difficoltà gli schieramenti nemici197. Fatto questo

monasterium beati Petri intravit et ibi voce iocunditatis presente imperatore tota cleri concio Te Deum laudamus sollempniter decantavit198

Addirittura Enrico VII sarebbe riuscito a cantare il Te Deum in San Pietro, in quel momento controllata dalle truppe nemiche e, se questo ancora non fosse sufficiente, il cronista boemo aggiunge un ulteriore elemento totalmente

195 Chronicon Aulae Regiae, p. 195. Secondo l'Imperator Heinricus Enrico VII «unctus fuit oleo sacro necnon eciam imperiali dyademate coronatur», cfr. K.-U. JÄSCHKE, Imperator

Heinricus, p. 124. Il particolare è ricordato anche da Mathias von Neuenburg: «unctionis

et coronacionis imperialis insigna», Chronica Mathiae de Nuwenburg, Fassung B, cap. 37, p. 89; La rappresentazione del Codex Balduini si trova invece alla miniatura 23b, Der

Weg zur Kaiserkrone cit., pp. 78–79.

196 Ibidem.

197 Ibidem: «Post hec igitur non diu imperator novus universo suo coadunato exercitu manu valida potenter per Tyberim transiit, hostium cuneos strenue penetravit».

inverosimile, poiché

In preliis autem frequentibus, que Rome imperator exercuit, infinitam adversariorum multitudinem prostravit, suus autem exercitus quasi nichil molestie pertulit, furor tamen Teutunicus plurimos Rome lacessebat. Nam hec gens Gallicis audacior in ipsis Gallicis quasi lupi rapaces in medio ovium

inermium plagam maximam exercebat199.

Enrico VII trionfa sui suoi nemici, rendendoli inoffensivi; nell'ottica della rappresentazione dell'imperatore fatta da questo panegirico, Peter von Zittau conclude la sua interpretazione dei fatti, volta a mostrare la forza di Enrico, e per esteso la forza del casato di Lussemburgo, con quest'ultima frase: «Quecunque igitur imperator Rome habuit et voluit facere, fecit, quibus peractis omnibus cum gloria monarcha, princeps mundi et dominus, ad propositum primum redit»200.

Come vedremo, questa interpretazione si rivelerà del tutto inesatta: le difficoltà incontrate da Enrico VII non faranno che aumentare; nello stesso tempo la sua salute inizierà a risentirne, fino a condurlo alla morte e al fallimento della spedizione.