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La teoria dei mercati finanziari efficienti e la “finanziarizzazione” dell’economia (cenni)

L’esame comparato degli interventi normativi degli anni Trenta, come si è visto, consente di affermare che il sistema finanziario occidentale si è caratterizzato, per buona parte dello scorso secolo, per la grande attenzione prestata dai regolatori alla “messa in sicurezza” della banca commerciale, nell’ottica della tutela del risparmio dagli effetti sistemici tipici delle crisi economiche1. Al di fuori di questo “recinto normativo”, le banche di investimento (o – come nel caso italiano – gli istituti pubblici specializzati), e solo loro, intermediavano tra la domanda di investimenti e l’offerta di (solo) capitale di rischio. Sistemi così specializzati, se da un lato garantivano uno stretto controllo da parte delle autorità di vigilanza e delle banche centrali sull’operatività delle banche “tradizionali” e, conseguentemente, sulla creazione e circolazione della moneta bancaria, dall’altro delineavano un mercato sostanzialmente non concorrenziale, nel quale la funzione di

1 BRESCIA MORRA, Le carenze della regolamentazione, in MESSORI, BARUCCI (a cura di), Oltre lo

42 interesse pubblico era ritenuta preminente rispetto alla libertà nelle scelte operative delle imprese.

Siffatto ordine mutò radicalmente a partire dagli anni Ottanta, sulla spinta di un atteggiamento sempre più apertamente ostile all’intervento pubblico nell’economia2. A partire dalle amministrazioni Reagan (negli USA) e Thatcher (in Gran Bretagna)3 – entrambe di segno liberista – , e con le prime direttive europee sul mercato unico dei capitali, si registrò una progressiva apertura dei sistemi bancari verso regimi concorrenziali e liberalizzati, nei quali il controllo pubblico passava da una posizione “strutturale”, di indirizzo strategico delle scelte di mercato, ad una “prudenziale”, ossia non discrezionale e limitata alla verifica del rispetto delle regole di sana e prudente gestione delle imprese bancarie4.

Nel corso dei successivi paragrafi saranno debitamente esaminate le scelte normative che hanno condotto alla liberalizzazione dell’attività bancaria e, in ultima analisi, all’affermazione del modello della banca universale. In questa sede, tuttavia, occorre dare conto, molto sinteticamente, delle premesse economiche a fondamento di gran parte di quelle scelte.

Invero, il pensiero economico dominante nel periodo che va dalla fine degli anni ’70 alla crisi del 2007-2008, facente capo, primariamente, alla

2 CASSESE, Dal mercato guidato al mercato regolato, in Bancaria, n. 2, 1986, pp. 5-6.

3 Cfr. MOTTURA, FILOTTO, Le ragioni della biodiversità nell’industria bancaria, in BRACCHI,

MASCIANDARO (a cura di), Le banche Italiane sono speciali? Nuovi equilibri in finanza, imprese e Stato – 15. Rapporto sul sistema finanziario italiano Fondazione Rosselli, Roma, Edibank, 2010, pp. 6-7

4 NARDOZZI, Il mondo alla rovescia – come la finanza dirige l’economia, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 77-

43 cosiddetta Scuola di Chicago, poggiava su tre paradigmi fondamentali, tra loro connessi: la teoria dei mercati efficienti, quella delle aspettative razionali e quella della completezza dei mercati5.

Secondo la teoria dei mercati efficienti, il mercato ideale è quello nel quale i prezzi “forniscono accurati segnali per un’efficiente allocazione delle risorse”6: un mercato nel quale, cioè, le imprese, che operano le proprie scelte produttive e di investimento, e gli investitori, che possono scegliere tra gli strumenti finanziari predisposti da tali imprese, si relazionano nella certezza che i prezzi di quegli strumenti riflettono in ogni momento tutte le informazioni disponibili7.

Da tale assunto deriva il paradigma delle aspettative razionali, secondo il quale gli operatori del mercato sono, per loro natura, soggetti razionali. In un mercato efficiente, invero, essi utilizzano tutte le informazioni in possesso per la massimizzazione delle proprie utilità secondo schemi e scelte razionali e non casuali8. Dunque, “gli investitori acquistano titoli che prevedono un rendimento

superiore alla media e vendono quelli da cui si aspettano di ottenere rendimenti inferiori. Quando lo fanno, aumentano i prezzi delle azioni che si prevede abbiano rendimenti superiori alla media e abbassano i prezzi di quelli che si prevede abbiano rendimenti

5 ONADO, Alla ricerca della banca perduta, Bologna, Il Mulino, 2017, pp. 190-193.

6 FAMA, Efficient capital markets: a review of theory and empirical work, in The Journal of Finance, vol. XXV,

n. 2, 1970, p. 383.

7 Ibidem.

8 Cfr. SARGENT, voce Rational Expectations, in The Concise Encyclopedia of Economics, Econlib, 1993.

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inferiori alla media”9. In un mercato efficiente, i prezzi dei titoli vengono perciò sempre ricondotti ad una posizione di equilibrio, in quanto rispecchiano la migliore previsione del mercato sull’andamento futuro del bene scambiato; quand’anche vi fossero dei soggetti che agiscono irrazionalmente, ad esempio per eccessivo ottimismo sulla redditività di un titolo, il mercato ricondurrebbe ben presto il prezzo di quel titolo a stabilità.

A tali considerazioni si aggiunge, quale corollario delle teorie dell’equilibrio economico generale ora menzionate, la teoria della completezza dei mercati, secondo la quale esiste un mercato per ogni merce e “stato del mondo”, cioè per qualsiasi condizione presente o futura10. Ciò significa, in buona sostanza, che in un mercato efficiente possono essere effettuati scambi indipendentemente dalla disponibilità materiale presente della merce11, stante la capacità degli agenti economici di determinare, razionalmente e secondo parametri di efficienza, i prezzi futuri12.

Poggiando su tali basi, le teorie descritte concludevano che gli shock a cui i mercati possono andare incontro sono solo frutto di cause esterne al mercato, quali eventi imprevedibili – guerre, disastri naturali – ovvero, significativamente, inappropriati interventi di politica economica del soggetto

9 Ibidem.

10 Cfr. RODANO, La scuola neoclassica nella macroeconomia contemporanea, in Rivista italiana degli economisti,

n. 3, 1997, p. 393.

11 A tal proposito, efficacemente Frank Hahn esemplifica: “[in un mercato completo] vi è un prezzo

quotato oggi per gli ombrelli che verranno consegnati a Cambridge il giorno di Natale dell’anno prossimo, se pioverà”.

45 pubblico13. È su tali premesse, allora, che fanno leva le numerose istanze di deregolamentazione degli intermediari: la presenza di un soggetto pubblico “interventista”, nell’ottica della teoria dei mercati efficienti, ostacola l’efficiente allocazione delle risorse. Essa, infatti, favorisce le condizioni per la creazione di un oligopolio in cui le informazioni sono detenute dai vertici del sistema e i soggetti economici sono vincolati nello svolgimento della propria attività; inoltre, i prezzi sono determinati con il malcelato scopo di garantire le posizioni di rendita oligopolistiche: di conseguenza, i mercati non si espandono. Una buona politica economica, a detta degli esponenti di tale corrente di pensiero, dovrebbe “liberare” i mercati, perché solo mercati perfettamente concorrenziali, nei quali gli agenti sono completamente liberi nelle loro scelte allocative, garantiscono prezzi in equilibrio e crescita economica; l’intervento pubblico dovrebbe, in ultima analisi, limitarsi a garantire la trasparenza e la correttezza degli scambi.

Tali istanze sono state accolte, tra gli anni ’70 e ’90, in tutto il mondo occidentale, gettando le basi per la creazione di un mercato finanziario integrato a livello globale. Da un punto di vista strettamente economico, la dottrina in materia è solita parlare di “finanziarizzazione” dell’economia, con riguardo agli effetti che le misure di liberalizzazione hanno avuto nel tempo sui mercati occidentali. Con tale termine, si fa generalmente riferimento al

46 “ruolo crescente dei mercati finanziari, dei moventi finanziari, degli attori finanziari e delle

istituzioni finanziarie nel funzionamento delle economienazionali e internazionali”14. È un dato di fatto che, negli ultimi trent’anni, la finanza è passata dall’essere primariamente “strumento al servizio della produzione”15, intermediando tra risparmio degli investitori e domanda di credito dei settori produttivi, a opportunità di profitto tramite la speculazione. In tale contesto ha avuto un peso fondamentale l’innovazione finanziaria (accompagnata da quella tecnologica16) che, in ossequio al principio della completezza dei mercati, ha creato (e continua a creare) nuovi strumenti finanziari, sempre più complessi, basati sulla compravendita di eventualità future: ci si riferisce, in particolare, all’avvento del mercato dei contratti derivati. Tali contratti, aggiungendo alla compravendita di merce attualmente disponibile il commercio di impegni riguardanti il futuro, in grado di moltiplicarsi in numero corrispondente a tutte le possibili eventualità future trattabili17, hanno spinto i mercati finanziari nella direzione del trattamento del rischio, assicurandolo e redistribuendolo18. Un’espansione siffatta, nel tempo, ha generato un volume d’affari senza precedenti, fino a raggiungere, nei primi

14 EPSTEIN, Financialization, Rentier Interests, and Central Bank Policy, intervento al convegno

“Financialization of the World Economy”, presso il Political Economy Research Institute dell’Università del Massachussets, 7-8 Dicembre 2001, p. 1

15 NARDOZZI, Il mondo alla rovescia, op. cit., p.18.

16 Si fa riferimento, in particolare, all’avvento dell’Information Technology.

17 Cfr. LEWIS, Le operazioni "fuori bilancio" e l'innovazione finanziaria nel settore bancario, in Moneta e credito,

n. 42, 1989, pp. 70-71.

18 Sarà dato più ampio conto dell’argomento nel corso del successivo Capitolo, quando saranno

esaminate le vicende relative alla crisi economica del 2007-2008. In particolare, sarà fatto cenno al fenomeno delle cartolarizzazioni e delle cosiddette attività fuori bilancio.

47 anni Duemila, un valore superiore ai 600.000 miliardi di dollari (pari a 8,5 volte il PIL mondiale)19.

Il ruolo dell’intermediazione bancaria tradizionale, per contro, è stato nel tempo ridimensionato, in termini di redditività per le banche, proprio dall’avvento della tecnologia dell’informazione. Essa, infatti, ha abbattuto i costi di transazione delle operazioni tradizionali, portando anche gli intermediari tradizionali a svolgere attività mobiliare per mantenere inalterati (o ampliare) i profitti20. Bisogna inoltre considerare l’incidenza della circostanza che il settore investment, come più volte ricordato nel presente lavoro, è stato storicamente un settore meno regolato, e dunque meno vigilato, di quello commercial21.

2. La natura giuridica della “banca universale” e il superamento