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Voci dell’Adriatico

IV.2 Autori e poetiche

IV.2.2 Artur Spanjolli: il romanziere silente

Nel 1970, invece, nasce a Durazzo Artur Spanjolli. Finito il liceo artistico, indirizzo scultura, nella città natale, si dedica alla scrittura componendo le prime poesie pubblicate, in parte, nel 1994 in un raccolta con il titolo Nata e qiparisave të huaj341 (La notte dei cipressi stranieri). Nel 1991 si iscrive alla Facoltà di Lettere presso l’Università di Scutari, ma nel novembre 1992 si reca in Italia per il concorso “I giovani incontrano l’Europa”, organizzato da Rai Tre, a cui partecipa con cinque poesie e un

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Ornela Vorpsi, Viaggio intorno alla madre, tr. di Ginevra Bompiani, Benedetta Torrani, Nottetempo, Roma, 2015.

338Massimo Rizzante, Il desiderio di Katarina tra due amori, in «La Repubblica», 9 agosto 2015. 339Sabina Minardi, Ornela Vorpsi: donna è potere, in «L’Espresso», 22 maggio 2015.

340

Giuseppe Fantasia, L’amore per un figlio spodesta ogni cosa? Ornela Vorpsi esplora le contraddizioni

della maternità, in «Huffington post», 25 giugno 2015.

95 racconto. Dopo lo stage artistico durato dieci giorni, Spanjolli decide di rimanere in Italia sans papier e raggiunge il cugino a Firenze. Rientra in Albania nel 1993 per poi tornare in Italia dopo pochi mesi con un visto per studio e si iscrive all’Università di Firenze conseguendo nel 2000 la laurea in Letterature comparate.342 Vive a Firenze dedicandosi alla scrittura, senza tralasciare la professione di acquerellista e ritrattista. La sua opera prima in italiano è Cronaca di una vita in silenzio pubblicata dalla casa editrice Besa nel 2003.343 Il romanzo, scritto in una prima versione albanese, rinasce in lingua italiana diventando la prima parte di una trilogia. Partendo da un’esperienza personale, la morte dello zio e le storie raccontate dal nonno, e sotto l’influenza di Gabriel García Márquez, Spanjolli costruisce la saga di una famiglia albanese ripercorrendo un secolo di storia tra confessioni e cronaca politica. L’opera presenta una struttura non lineare dovuta alla polifonia narrativa. Infatti sono nove le voci che si alternano offrendo punti di vista diversi e raccontando la vita del defunto Lui, che sta al centro del romanzo, il quale viene ricordato per la bontà e l’altruismo. Sotto forma di soliloquio i nove personaggi uniti nel cordoglio, attorno al fuoco nel retrocucina, silenziosamente raccontano. Questa pluralità di voci che compongono il romanzo ricordano altre opere della letteratura della migrazione collegate alla tradizione dell’oralità, in particolare Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio (2006), nel quale Amara Lakhous mette in scena gli equivoci del multiculturalismo affidando il racconto a ciascun inquilino del palazzo.344

Cronaca di una vita in silenzio è un romanzo corale intriso di elementi del fantastico attraverso cui l’autore narra il mondo arcaico albanese, la compattezza patriarcale della famiglia Cialliku, con i nonni, Meta detto Lala e la moglie Ija. L’opera propone una riflessione sulla dimensione umana in contraddizione con la disumanità della nostra epoca che vede nella persona solo un consumatore di beni materiali. Si può dire che Spanjolli ha dato vita a «un romanzo classico per tempi moderni», come si legge nella copertina del libro. In questo senso il ruolo della memoria è importante in quanto permette di rileggere la storia e relazionarsi con il mondo attuale in maniera critica. Diversamente dal primo, il secondo romanzo di Spanjolli, Eduart,345 tratta le tematiche della migrazione, del viaggio di ritorno e del folle amore per Eugenia, coetanea del protagonista. Siamo in Albania, 1987, e il giovane Eduart, impacciato e timido, segnato

342Cfr. David Fiesoli, Da clandestino a romanziere, in «Il Tirreno», 9 aprile, 2006. 343

Artur Spanjolli, Cronaca di una vita in silenzio, Besa, Nardò, 2003.

344Cfr. Amara Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, Edizioni e/o, Roma, 2006. 345Artur Spnjolli, Eduart, Besa, Nardò, 2005.

96 dalla tensione tra vita intellettuale e vita pratica, vive un’adolescenza turbata. L’amore per Eugenia lo accompagnerà nelle varie esperienze di vita nel paese d’approdo fino al ritorno nella città natale. Nel viaggio di ritorno Eduart scoprirà che la giovinezza è fuggita e potrà rivedere la sua amata. Un viaggio che l’emigrato compie perché non vuole essere isolato e, secondo Raffaele Taddeo, nasce dal «desiderio del ritorno» veicolato da

quel sentimento che nelle diverse lingue da una parte esprime il ricordo di qualcosa che si è lasciato e che ancora si desidererebbe avere, possedere, dall’altra il progressivo affievolimento della conoscenza di quella comunità, quel territorio lasciato. In italiano si chiama «nostalgia» (nostos e algos), «gurba» in arabo, «anaranza» in spagnolo, «saudade» in portoghese.346

Singolare il modo in cui Spanjolli riprende la tradizione letteraria italiana, più precisamente il modello dantesco, rielaborandolo in chiave personale e cercando una attualizzazione poeticamente valida. Infatti, come ha notato Taddeo, in questo romanzo si rinvengono riferimenti a Dante e allo Stil novo, ma anche alla poetica di Petrarca.347 L’angelicazione della donna, vista come fonte di salvezza, e gli effetti che produce il suo incontro sono presenti anche nel romanzo di Spanjolli. Il mutismo, l’impaccio e il tremore alla presenza di Eugenia costituiscono il leitmotiv del primo capitolo e che ricordano Dante quando descrive Beatrice dicendo che alla sua apparizione tutti fanno silenzio. Di fatto Eduart non riesce a parlare con Eugenia se non alla fine quando ogni possibilità di unirsi a lei è sfumata.

Sul piano narrativo il romanzo presenta una componente onirica che si sovrappone alla narrazione; i discorsi dei personaggi o le immaginazioni del protagonista vengono riportati tra virgolette oppure in corsivo da un narratore esterno e in terza persona. Ciò nonostante l’opera è un romanzo autobiografico in quanto si colgono delle coincidenze e parallelismi con la vita dell’autore.

Come negli altri romanzi di Spanjolli, anche L’accusa silenziosa348 è strutturato attorno ad un elemento centrale che in questo caso è un albero, un platano centenario che sembra assommare la storia di un’intera comunità di un piccolo villaggio balcanico caratterizzato da usi, costumi e norme costruiti autonomamente e indipendentemente da potere centrale. È un romanzo che si basa sulla convivenza tra persone di religioni diverse in una società priva di regole scritte e senza un controllo ad opera di organismi

346Raffaele Taddeo, La ferita di Odisseo. Il “ritorno” nella letteratura italiana della migrazione, cit., p.

36.

347

Cfr. Idem, Letteratura nascente. Letteratura italiana della migrazione. Autori e poetiche, cit., pp. 124- 129.

97 superiori, ma che si gestisce con forme consuetudinarie ricorrendo alla saggezza e all’autorevolezza di coloro i quali intervengono per dirimere i contrasti. In questa organizzazione sociale premoderna si snodano vicende di gelosia, infedeltà coniugali e delitti come il fatto di sangue accaduto nel centro del paese, proprio là dove sorge il grande platano. L’omicidio avvenuto durante una festa islamica, a cui erano stati invitati anche i cristiani, è una delle infrazioni collettive. Sarà il narratore esterno a svelare gli intrichi della vicenda e ad accompagnare i singoli personaggi creando una sorta di mosaico dove ognuno ha una sua funzione e trova la sua parte all’interno della comunità. La vicenda si ricompone alla fine attraverso la somma dei vari tratti o segmenti narrativi.

La trilogia iniziata con il romanzo d’esordio si conclude con La Teqja349

che propone un viaggio temporale a ritroso fino alle origini della famiglia Cialliku. A differenza del primo, è offerta una descrizione più dettagliata di ciò che succede in una famiglia mussulmana, e di usanze patriarcali, dove da un lato, la religione è soffocata dal comunismo è, dall’altro, è forte il desiderio di tenere vivo il senso religioso. Anche in questo caso l’autore manipola i tempi della narrazione: gli avvenimenti successi risalgono a cento anni prima ma vengono raccontanti intorno al 1969 e sono suddivisi in serate, ogni sera, per una settimana, vengono letti uno o due racconti da un quaderno ritrovato verso la fine degli anni Sessanta. Attorno alla teqja, luogo sacro dove pregavano e venivano sepolti i dervisci, Spanjolli costruisce le peripezie dei due fratelli, Islam e Hysen Cialliku, i quali possedevano una ricca biblioteca e avevano donato le proprie ricchezze ai contadini scatenando l’ira delle autorità locali. Il romanzo si apre con il rinvenimento di un diario appartenuto al saggio Hysen, una trentina di pagine sopravvissute quasi miracolosamente ad un incendio che distrusse la biblioteca e fu causa della morte di Hysen. La lettura del quaderno riaffiorato dai ruderi della teqja, distrutta durante il comunismo, riunisce per sette sere consecutive la famiglia, alcuni conoscenti e un traduttore che di nascosto ascoltano la parola del diario. Il romanzo si colloca su un piano etico - religioso in cui la lotta fra male e bene non sempre dà il risultato atteso, ma, allo stesso tempo, riaffiora la speranza che rafforza la fiducia nella potere del bene. Come ha notato Taddeo, il romanzo per certi versi sembra una sorta di agiografia, se si considerano i dati sulla vita di Hysen e gli atti miracolistici testimoniati dai ricordi di qualche esponente della famiglia.350 Il saggio Hysen assomiglia ai santi

349

Idem, La Teqja, Besa, Nardò, 2008.

350Cfr. Raffaele Taddeo, La Teqja – Artur Spanjolli, in «El-Ghibli» 5 febbraio 2007,

98 cristiani poiché la gente si rivolge a lui nelle preghiere per ricevere aiuto nelle difficoltà. La struttura religiosa del testo sottolinea un senso di tolleranza riscontrabile nei libri che compongono la biblioteca, dalle letture e dai ragionamenti espressi da Hysen nelle pagine del diario. Il parallelismo con i santi cristiani diventa l’espressione del pensiero che la religiosità è simile in tutte le confessioni. Un concetto che viene ribadito anche dall’intertestualità nel romanzo. Spanjolli inserisce nel paratesto un passo del Corano (Sura II- Al-Baqara - 269), una frase di Ghandi, nella quale la guida spirituale chiede a tutti di essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo, e un inedito dell’autore in cui egli si immagina Madre Teresa alle porte del paradiso in un dialogo post mortem con Dio.351 Seppur con notevoli differenze, il romanzo ricorda, per certi versi, il Decameron di Boccaccio se si pensa alla varietà dei temi, alla struttura del testo e alla presenza di una malattia epidemica e letale. I riferimenti alla letteratura classica italiana caratterizzano tutta l’opera di Spanjolli e indicano l’interiorizzazione della cultura italiana, rielaborata in chiave personale, dall’autore.

Con La sposa rapita pubblicato da Besa nel 2011, definita dall’editore «una favola dark nel passato lontano dell’Albania»,352 Spanjolli offre una visione della donna albanese in tempi remoti in cui le donne non avevano libertà di scelta e il loro destino era nelle mani degli uomini. Con precisione e abilità narrativa, l’autore descrive un episodio di sangue, la faida tra due famiglie e la morte costruendo una fiaba triste dai molteplici significati. Un romanzo breve in cui usi e costumi dell’Albania ancestrale sopravvivono anche nei primi anni del ‘900 regolando la vita degli abitanti. In uno scenario bucolico e fiabesco sono descritti la drammaticità storia di Lulieta, promessa sposa ancor prima di nascere, e la passione che la giovane prova per Asllan, che non potrà mai sposare ma con il quale vivrà forti emozioni. Lo scrittore costruisce un’amara fiaba caratterizzata dall’antitesi annunciata già nel risvolto di copertina in cui si annuncia «un matrimonio destinato a trasformarsi in funerale», avvisando il lettore della drammaticità della storia. Da una parte la gioia di un matrimonio e dall’altra il dolore causato dalla morte, sentimenti contrastanti racchiusi nei versi della canzone riportata nel primo capitolo: «O Nusja e re moj nusja e re / o të shkojnë lotët rrëke rrëke».353 Secondo la tradizione, testimoniata anche da questa nota canzone del repertorio musicale dell’Albania centrale, la sposa piange l’abbandono della casa natale e la separazione dai genitori e dai fratelli, ma in

351Cfr. Artur Spanjolli, La teqja, cit. 352

Idem, La sposa rapita, Besa, Nardò, 2011.

353Artur Spnjolli, La sposa rapita, cit. p. 13. «Oh giovane sposa, giovane sposa/ le tue lacrime scendono

99 questo caso allude anche alla tragedia imminente. Il canto nuziale lascerà il posto al canto funebre, al pianto e all’urlo straziante della prefica.

Dal remoto mondo patriarcale e fiabesco de La sposa rapita, Spanjolli ci riporta in una ben più nota realtà per parlare di un esodo storico raccontato nel suo ultimo romanzo I nipoti di Scanderbeg.354 L’esilio, scelta dolorosa, destino di molti albanesi viene narrato in prima persona. I giorni caldi di quell’agosto 1991, il viaggio della speranza, l’approdo a Bari seguito dai giorni passati nel porto, l’emergenza e il respingimento non impediscono al protagonista, Andi, di immaginare una nuova vita in Occidente, inseguendo il sogno italiano. Sogno che però svanisce nella tragicità della situazione vissuta in quella sorta di limbo, o non luogo, rappresentato dal vecchio stadio di Bari. I nipoti di Scanderbeg è un romanzo che fa riflettere sul dramma della migrazione e sul significato del termine accoglienza, esprimendo una certa incredulità riguardo al rifiuto degli immigrati albanesi da parte dell’Italia, la stessa terra che secoli prima aveva accolto i patrioti di Scanderbeg in fuga dall’invasione ottomana. Il dolore e il disincanto, assieme alle vicende narrate dal protagonista, hanno condotto Giulio Gasperini a considerare questo romanzo come una «crudele e amara autobiografia».355 Ma Spanjolli non racconta la propria storia, come mostra la mancata corrispondenza tra la vicenda del protagonista. L’autore non è venuto in Italia con la nave Vlora ma vi è giunto qualche anno più tardi per ritirare un premio letterario. Spanjolli, ispirandosi piuttosto alla storia del cugino partito con quella nave, ha voluto offrire un punto di vista diverso, quello di chi ha vissuto la drammaticità di una situazione della quale i media si erano ampiamente occupati, contribuendo alla creazione dell’emergenza e del mito dell’invasione albanese.