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CAPITOLO VI Il sogno dell’Occidente

VI. 3 La «parola metaletteraria» del migrante

L’opera dell’autore migrante può considerarsi, a livello metaletterario, una riflessione sulla sua scrittura. La penna del migrante diventa la penna dello scrittore in cerca di affermazione in quanto intellettuale. Nel caso specifico il concetto di metaletteratura e da intendere non come autoreferenziale, ma come un concetto critico derivato dal termine “metalinguistico” poiché il messaggio del testo letterario serve a interrogare se stesso per dare conto dei propri metodi, fini e principî.691

Secondo Lorenzo Tinti il metaletterario:

1) sembra realizzarsi secondo una gerarchia ternaria di crescente confidenza con le proprie stesse leggi, (dimensione connessa alla letteratura classica, o comunque di ispirazione classica);

2) Trovare elementi del metaletterario è tanto più facile, quanto più il testo è tardo, non “originario”, (l’eventualità di imbattersi nel metaletterario, nell’ambito di una specifica civiltà letteraria, aumenta se ci si sposta verso la maturità o, nientemeno, la senescenza di essa);

3) tende a prediligere luoghi deputati, ovvero sezioni testuali preminenti: introduzioni, proemi, proemi al mezzo, prologhi, e comunque, spesso, l’inizio (o la fine) di partizioni strutturali (canti, capitoli, libri...);

689

Gian Antonio Stella, L’orda: quando gli albanesi eravamo noi, Rizzoli, Milano, 2002, pp. 11-12.

690Pierre Bourdieur, Prefazione, in Ablemalek Sayad, L’immigrazione o i paradossi dell’alterità.

L’illusione del provvisorio, cit., pp. 11-12.

691Il termine metaletteratura fu coniato dal filosofo Mario Perniola negli anni ’60 del Novecento seguendo

lo studio sul metalinguaggio. Cfr. Mario Perniola, Aspetti e problemi della metaletteratura, in «Rivista di Estetica», n. 2., 1966.

177 4) L’opera latrice di istanze metaletterarie è un’opera che postula il raffronto

dialettico con altri libri e con l’intera tradizione della topica letteraria. Il metatestuale di norma è associato all’intertestuale, giacché sono categorie intimamente connesse.692

La parola metaletteraria, continua Tinti, «è una parola carica di memoria, che, riflettendo per indole su se stessa, riflette anche sul retaggio culturale che la precede e la prepara».693 La parola come memoria e il topos della scrittura come navigazione completano un’immagine efficace del processo della composizione letteraria. In quest’ottica il romanzo M di Ron Kubati diventa, secondo Anna Frabetti, un metaracconto in cui si coglie

la storia di uno scrittore in cerca di editore, in un paese straniero, accolto da uno strano gruppo di intellettuali e creature ai margini della città, che fanno capo al Prof. Andrea. C’è in questo libro il racconto della propria condizione di straniero alla conquista di uno spazio umano e di una visibilità letteraria, in cui possiamo facilmente riconoscere molte delle storie che gli autori migranti raccontano con declinazioni diverse.694

L’aspirante scrittore riesce ad ottenere un primo incontro con l’editore solo «dopo un mese di richieste e messaggi in segreteria da parte di prof. Andrea, suo ex alunno in un corso di editoria, tenuto diversi anni prima».695 La difficile strada verso la pubblicazione e diffusione del libro, caratterizzante gli esordi della letteratura della migrazione, traspare anche dalle parole dell’editore:

Io sono un piccolo editore. Cerco lavori di confine, possibilmente provocatori... se no, ci facciamo una grande dormita, andiamo in letargo e amen! Faccio un buon lavoro... sai... Il problema è che non ho la forza di sbatterlo in tutte le vetrine delle librerie, nelle aree di servizio dell’autostrada, nelle stazioni del treno... Non ho la forza. Non ce l’ho. I grandi hanno monopolizzato tutto. Sai, io lo faccio per passione. Se dovessi vivere di questa attività... sarei fritto. No, ho anche un altro lavoro.696

Poi egli raccomanda al protagonista di intrattenere buone relazioni «con tutti: con centri sociali, associazioni culturali, cattolici e fiere del libro. Niente puzza sotto il naso. È l’unico modo. Se non me lo prometti non ti pubblico».697

Le difficoltà di pubblicazione e le pratiche commerciali sono state criticate da Gnisci che parla di «ghettizzazione» e di «“razzismo commerciale” di quelle case editrici di grande (ma anche di piccolo)

692Lorenzo Tinti, Aspetti del metaletterario, in

http://www.bibliomanie.it/aspetti_metaletterario_tinti.htm#_edn12 (consultato il 10 novembre 2016).

693

Ibidem.

694Anna Frabetti , VII seminario degli scrittori e delle scrittrici migranti, Lucca, 9-11 luglio 2007, in

http://www.sagarana.net/scuola/seminario7/seminario2.html (consultato il 20 novembre 2016).

695

Ron Kubati, M, cit., p. 48.

696Ivi, p. 49. 697Ibidem.

178 respiro che pubblicano anche un libro di “italiani per vocazione”, insieme a quelli di italiani scrittori per il mercato».698 Lo studioso sostiene che «queste feticizzazioni una tantum sono un prodotto tipico della mentalità imprenditoriale della nostra industria del divertimento, ma sono salutate dai giornali dei padroni con frasi come “Fuori dal ghetto, finalmente”».699

A tal proposito Stefano Galieni individua due problemi di base: Le concentrazioni editoriali che permettono solo ad alcuni di scrivere e di essere pubblicati, di essere visti realmente. Se voi entrate in una libreria l’80% vale tre case editrici, e il secondo problema è il meccanismo infernale delle istituzioni, cioè una casa editrice come Besa che pubblica cose di grande valore, davvero, è confinata spesso in spazi angusti delle librerie perché il libraio non prende neanche in considerazione la proposta dei distributori.700

Galieni individua il «razzismo strutturale [...] fatto di gerarchie, fatto di sdegno, di dare valore diverso alle cose a seconda di chi li commette»; un principio che Galieni ritiene venga applicato anche ai testi della letteratura della migrazione.701

A tutt’altro tipo di valore si riferisce invece Spanjolli in Eduart, il cui protagonista scriveva incessantemente in una lingua che non era la sua. Sogni nel cassetto per ora. Non si preoccupò di trovare subito un editore. Andava per le lunghe. Sapeva dell’innegabile valore dei suoi manoscritti. Sapeva che tutto quello che l’amore produce, tutto quello che lo spirito crea prima o poi sarebbe venuto a galla. Il vero, il bello, il buono sono lenti, non fanno rumore; ma il vero, il bello, il buono sono destinati a trionfare, come la parola di Dio. Questi valori sono simili all’oro che non si corrompe e prima o poi viene scoperto.702

Eduart esita a pubblicare e riflette sulla situazione dello scrittore in cerca di affermazione:

allora i libri del momento, i libri prodotti dalle mode, i libri che seguono i gusti mediocri dei lettori, i libri-spazzatura, i bestseller che si stravedono nelle librerie? Che dire? Incazzarsi? No, Eduart non intende vendere l’anima alle mode che vanno e vengono.703

La narrativa migrante definisce il presente storico costituendo un particolare discorso sull’arte e sull’artista ricordando che «gli scrittori migranti non sono scrittori “minori”, [...], ma piuttosto “maggiori” che danno voce al senso di rimozione che tutti noi esseri umani proviamo quando attraversiamo o siamo superati dai confini sociali, politici,

698Armando Gnisci, Nuovo planetario italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in

Italia e in Europa, cit., p., 35.

699

Ibidem.

700Stefano Galieni, in IV Seminario scritture migranti, Lucca, 13-15 luglio 2004,

http://www.sagarana.net/scuola/seminario4/seminario4_2.htm (consultato il 15 novembre 2016).

701

Ibidem.

702Artur Spanjolli, Eduart, cit., p. 92. 703Ibidem.

179 razziali, di genere in costante movimento».704 Anche perché, come indicato da Parati «these writers are grounded in the Italian culture and language, but represent alternatives in their vision of global migration and local cultural connections that address the anxieties of normative dominant discourse».705

Infatti Eduart, nella lettera che scrive ad Anna, afferma che «scrivere bene è una condanna divina, è la più celestiale maledizione nella sua sublimità dolorosa».706 Nella sua lunga riflessione sulla condizione dello scrittore, e più in generale dell’artista, egli dichiara che

Noi artisti, sai, siamo creature fatte di tante fantasticherie. Spesso viviamo in un mondo illusorio di sogni, a volte senza prendere coscienza. Ci sentiamo come i veggenti, come i sensitivi annunciano le crisi e le rinascite delle epoche come i grandi sacerdoti di ogni tempo. Siamo condannati a essere i geni della luce di domani. Noi artisti tendiamo a dire la verità, sveliamo le miserie e il putridume del mondo, inorridiamo dal disgusto, siamo gli angeli che si crogiolano nel fango di questo basso mondo. Noi artisti soffriamo le ingiustizie con altri parametri di sofferenza rispetto alla gente comune. Siamo gli irrequieti che si ribellano alla falsità. Noi urliamo quando gli altri tacciono e cantiamo quando tutte le altre anime sono in crisi. E questo mondo di oggi è in crisi.707

Questa considerazione rimanda all’invito di Franca Sinopoli a ricomprendere la letteratura migrante come

facente parte di un paesaggio letterario europeo migratorio e transnazionale, da cartografare e storicizzare con prudenza e attenzione per il ruolo che la letteratura degli scrittori espatriati riveste nella definizione sia del patrimonio letterario nazionale che di quello europeo attuale.708

D’ora in avanti, come sostiene il poeta Gëzim Hajdari, «dobbiamo aiutarci a vivere in una lingua, più che in un territorio geografico. Questo se vogliamo convivere e condividere destini e futuri nel nuovo millennio appena iniziato».709

704Sante Matteo, Lamefricatalia: lezioni italiane di elisione, troncamento e contrazione, in Jennifer Burns,

Loredana Polezzi, Borderlines. Migrazioni e identità nel Novecento, cit., p. 34.

705

Graziella Parati, Migration Italy. The Art of Talking back in a Destination Culture, cit., p. 103.

706

Artur Spanjolli, Eduart, cit., p. 115.

707Ivi, pp. 115-116.

708Franca Sinopoli, Dalle lingue /letterature nazionali alle lingue/letterature dell’espatrio: la questione

interculturale nella ricerca letteraria, cit., p. 161.

709Gëzim Hajdari, Memorie in viaggio, in Michela Meschini, Carla Carotenuto, a cura di, Scrittura,

180

CONCLUSIONI

Melange, hotchpotch, a bit of this and a bit of that is how newness enters the world. It is the great possibility that mass migration gives the world, and I have tried to embrace it.

(Salman Rushdie)710

La citazione di Rushdie, che celebra l’ibridismo e la commistione tra persone e culture diverse, ci ricorda come tale mescolanza dia vita a qualcosa di nuovo. Concetto sostenuto anche da Glissant e che caratterizza la nostra società in continua trasformazione, in cui la creolizzazione dovrebbe eassere il punto di forza. In tal senso gli scrittori migranti forniscono un contributo significativo alla letteratura italiana contemporanea. Tuttavia la loro produzione manca di legittimazione e non è riconosciuta come letteratura italiana a pieno titolo; è stata caratterizzata da diverse definizioni fino ad arrivare alla più condivisa, quella di letteratura della migrazione. Si è registrata, quindi, la tendenza prevalente a considerare tale produzione su base contenutistica e tematica. Il critico della letteratura migrante in Italia, secondo Ugo Fracassa,

chiamato a scegliere se leggere il testo o il mondo, ha fin qui privilegiato volentieri il secondo termine dell’alternativa, e ha proceduto ad analisi contestuali prima e più che ad una lettura ravvicinata di opere che pure, segnate come sono dal translinguismo e da pratiche di editing non prive di opacità, avrebbero ben reagito agli stimoli della critica genetica e dell’indagine psicolinguistica.711

Ciò nonostante l’interesse della critica si è orientato in modo diverso: da una prima osservazione alla messa in rilievo della letteratura degli stranieri in Italia e dall’attenzione al carattere autobiografico allo studio sulle forme letterarie, sugli autori, sulle loro poetiche per giungere, di recente, all’analisi testuale e alla questione linguistica. Lo scrittore migrante, ovvero colui che cambia patria e culture, che non è vincolato da legami costituiti da territorio, lingua e cultura di partenza, contribuisce a «diffondere una consapevolezza nuova nei confronti delle trasformazioni sociali che le migrazioni innescano, una “coscienza collettiva interculturale” o un “nuovo immaginario

italiano”».712

Con la presa di parola gli autori migranti raccontano il proprio punto di vista sulla migrazione nel tentativo di cambiare l’immagine, per lo più negativa, che si

710Salman Rushdie, Imaginary Homelands, cit., p. 394.

711Ugo Fracassa, Critica e/o retorica. Il discorso sulla letteratura migrante in Italia, in Leggere il testo e il

mondo. Vent’anni di scritture della migrazione in Italia, cit., pp. 176-177.

712Silvia Camilotti, Ripensare la letteratura e l’identità. La narrativa italiana di Gabriella Ghermandi e

181 ha dell’immigrazione. Allo stesso tempo, raccontano l’Italia da una prospettiva altra. Si avverte, quindi, il bisogno di considerare il migrante non più come marginale, ma «al centro dell’interpretazione dei processi storici, superando la retorica della frontiera e dell’appartenenza genealogica o territoriale».713

Concetti come confine e frontiera hanno caratterizzato lo sviluppo della letteratura della migrazione che, da un lato, costringe a porre lo sguardo verso l’alterità e, dall’altro, apre il discorso sul significato del canone letterario e sull’importanza del suo allargamento, ripensando le basi su cui esso è fondato. L’innovazione del canone passa infatti attraverso quei processi e quelle politiche culturali che ne determinano la riformulazione. Nel panorama culturale contemporaneo, accanto alla letteratura consacrata dal canone, si situa la letteratura di scrittori e scrittrici migranti che hanno scelto di scrivere in lingua italiana «decostruendo i confini dell’appartenenza nazionale, linguistica e di genere, mettendo in discussione le nozioni codificate di identità e sistema letterario e contribuendo a trasformare la lingua italiana in uno spazio aperto al confronto delle differenze».714 Questa letteratura, chiamata anche interculturale o transculturale, ha, secondo Nora Moll, fin dall’inizio colpito

il cuore dell’umanità esemplare dei nostri tempi, i suoi molteplici sviluppi anche all’interno dello stesso genere autobiografico confermano la capacità di questa letteratura di narrare una nuova Italia, luogo d’incontro di storie personali e di storie collettive che ormai tendono verso una internazionalizzazione degli spazi, e degli immaginari. Laddove la stessa letteratura italiana contemporanea fa ancora fatica a riconoscere e a narrare l’eterogeneità e la ricchezza di sfumature del contesto culturale nel quale è incardinata, gli scrittori migranti si sono mossi verso la punta di un discorso profondamente ‘moderno’, avanguardia dell’umano.715

Valorizzare queste opere significa contribuire al rinnovamento del canone letterario e a «una maggiore apertura verso i processi di internazionalizzazione e di scambio

interculturale che caratterizzano la realtà contemporanea».716 Infatti, uno dei processi, cominciato qualche decennio fa in ambito anglofono, è proprio l’internazionalizzazione della letteratura. Tale fenomeno prevede non solo la circolazione dei testi oltre i confini dei vari paesi e delle varie culture, ma anche degli autori che si muovono tra lingue e

713Franca Sinopoli, Dalle lingue/letterature nazionali alle lingue/letterature dell’espatrio: la questione

interculturale nella ricerca letteraria, cit., p. 162.

714

Sonia Sabelli, Scrittrici eccentriche: generi e genealogie nella letteratura italiana della migrazione, cit., p. 171.

715Nora Moll, Tra autobiografismo ed impegno etico: la letteratura italiana della migrazione a vent’anni

dalla sua nascita, in «M@gm@», vol. 8, n. 2 maggio-agosto 2010, http://www.analisiqualitativa.

com/magma/0802/articolo_05.htm (consultato il 5 giugno 2016).

716Sonia Sabelli, Scrittrici eccentriche: generi e genealogie nella letteratura italiana della migrazione,

182 culture diverse. Una realtà in cui «gli scrittori ricominciano ad avere una certa forza di presenza nella totalità-mondo, che condividono fra loro, con modalità molto differenti».717 In quest’ottica il ruolo della letteratura della migrazione è quello di educare, tramite percorsi didattici interculturali, le nuove generazioni alla diversità e all’interazione tra le varie culture. Un concetto che fa della diversità culturale un patrimonio dell’umanità, come riconosciuto dall’UNESCO. «Recolouring» è il termine usato da Parati nell’indicare la cultura italiana e nel quale ella colloca l’identità italiana descritta come «the crossroads of the Mediterranean».718 Un crocevia di lingue e culture nel quale rientrano anche quelle albanesi. I vecchi immigrati diventano i nuovi cittadini rendendo l’Italia sempre più colorata da un punto di vista culturale. Diversi sono i motivi che hanno influenzato la migrazione albanese: la vicinanza geografica, i precedenti rapporti tra i due paesi, e soprattutto, la conoscenza dell’Italia tramite le immagini televisive che inondavano le case degli albanesi durante la dittatura, diventando una finestra verso il negato Occidente. La relazione fra i due paesi è emblematica secondo Comberiati il quale individua alcuni tentativi di contronarrazione che cercano di rivedere il passato, anche quello coloniale italiano. In tal senso lo studioso colloca la produzione degli scrittori di origine albanese a metà strada fra letteratura della migrazione e letteratura postcoloniale per due motivi riscontrabili nell’invasione del 1939, con conseguente breve occupazione dell’Albania da parte dell’Italia, e nell’influenza esercitata dalla televisione italiana, negli anni ’80 e ’90, sulla vita degli albanesi, come se si trattasse di una seconda colonizzazione.719 Una questione che viene estesa all’uso della lingua italiana come lingua letteraria, in quanto gli scrittori per poter pubblicare le loro opere hanno usato una lingua non materna. Se per alcuni studiosi tale scelta è vista come un’imposizione, per gli autori, invece, risulta una scelta libera, naturale o, addirittura, l’unica lingua d’espressione possibile. Per gli scrittori di origine albanese questo percorso linguistico comincia prima di approdare in Italia, ma è con l’arrivo nel Bel paese che l’italiano diventa la lingua della quotidianità, dei sentimenti, del distacco e della separazione e, allo stesso tempo, una lingua familiare, viscerale e soprattutto letteraria. Se per Spanjolli e Ibrahimi l’italiano continua ad essere la lingua d’espressione letteraria, per Vorpsi invece, in Francia dal 1997, esso ha lasciato di recente il posto al francese; per Kubati, l’italiano è ancora lingua di

717Édourd Glissant, Poetica del diverso, cit., p. 116. 718

Graziella Parati, Migration Italy. The Art of Talking Back in a Destination Culture, cit., p. 50.

719Cfr. Daniele Comberiati, Scrivere nella lingua dell’altro. La letteratura degli immigrati in Italia (1989-

183 espressione nonostante il fatto che risieda da vari anni negli USA. La questione linguistica è un aspetto tanto interessante quanto poco esplorato, poiché ha a che vedere con l’incontro tra le lingue che, come si è visto, danno vita a diversi fenomeni linguistici, quali forestierismi, neologismi, particolari costruzioni sintattiche, contribuendo ai processi di evoluzione della lingua italiana da intendersi, in questa prospettiva, come lingua della transcultura.

Le varie tematiche trattate dagli autori migranti e le vicende narrate si basano su veri e propri processi imagologici. Si può dire che, dal punto di vista imagologico, la letteratura della migrazione «accomuna i destini delle popolazioni provenienti dalle parti più diverse del mondo (anche dalla stessa Europa), facendole colloquiare tra di loro e con noi che, a nostra volta, siamo indotti a comunicare e a ridefinirci, a sperimentare attivamente la nostra relatività».720 Così la letteratura diventa il luogo in cui le culture formulano, costruiscono e rivedono costantemente la propria identità e il senso dell’alterità, rendendosi inoltre capace di rovesciare luoghi comuni, pregiudizi e images letterarie. La letteratura della migrazione è uno strumento strategico tramite cui esplorare la rappresentazione del sé e dell’altro, non secondo pratiche discorsive diffuse nell’Occidente, ma da un’esperienza di prima mano sia della storia che della cultura, evitando ciò che Giulia da Lio chiama «colonialismo dell’immaginazione».721 Poiché ogni image si costituisce dal confronto dell’identità con l’alterità, anche la letteratura fornisce delle immagini rappresentative dell’altro, soffermandosi su dettagli e sfumature di un determinato paese e sulla sua cultura. Il modo in cui gli autori di origine albanese parlano della propria terra natia si configura spesso in una narrativa che ha come fonte la memoria, la quale mette in atto un processo di mitologizzazione. Un processo che si concretizza non solo nella descrizione dei luoghi e delle persone, ma anche attraverso il ricorso al folclore, alle fiabe popolari e ai proverbi. Se da una parte l’Albania raccontata dagli autori e dalle autrici è un luogo fatto di fiabe, superstizioni, miti e leggende, dall’altra è un paese isolato, messo in ginocchio dalla storia, dalle invasioni, dalle guerre, dal regime comunista e, in ultimo, dal periodo di transizione e il passaggio da un sistema politico all’altro e dalla riconquista della libertà che ha portato gli albanesi a dover/poter cercare fortuna altrove. La società albanese appare, al contempo, patriarcale e matriarcale. Se in Spanjolli prevale una società patriarcale e maschilista, dove i personaggi maschili sono agenti principali nelle sorti della famiglia e del paese, in

720

Nora Moll, Immagini dell’”altro”. Imagologia e studi interculturali, cit., p. 244.

721

Cfr. Giulia Da Lio, Narrare l’Albania in italiano: dalla letteratura di migrazione al colonialismo

184 Ibrahimi si ha un’inversione di ruoli. Infatti, nei suoi testi chi agisce è la donna, parte integrante dello sviluppo del paese, che diviene colonna portante della società attraversata da una forte solidarietà femminile. Mentre in Vorpsi (Il paese dove non si