Voci dell’Adriatico
IV.1 Gli scrittori albanesi tra XX e
L’uso del termine migrante in riferimento ad autori che, provenienti da un paese, scrivono nella lingua di un altro, porta ad una più ampia riflessione che riguarda la condizione dello scrittore: esiste un autore, a prescindere dalla provenienza, che non sia migrante? Così come la migrazione è una peculiarità del mondo contemporaneo, lo scrittore è sempre migrante a cominciare dal momento in cui prende la sua penna e decide di tradurre il proprio o l’altrui vissuto nella lingua che ritiene congeniale per raccontarlo ad altri. Riflessioni sul motivo per cui si scrive, sulle condizioni e sul ruolo dello scrittore nella società arrivano anche attraverso il pensiero di diversi autori contemporanei che definiscono lo scrittore non come un semplice narratore ma, come colui che, grazie al suo essere nomade, curioso, irrequieto, instancabile e rivoluzionante, è un acuto osservatore che non si limita ad ascoltare, ma si occupa della sua epoca diventando un testimone attivo e un messaggero che comunica con epoche diverse mettendole in relazione. Uno scrittore ha la responsabilità della parola tramite cui prende posizione e, con impegno morale, racconta il suo tempo.307 Gli scrittori chiamati comunemente migranti sono viaggiatori plurilingue, narratori di una «patria che non abitano, nella lingua dei paesi dove vivono e criticamente osservano: rendendo esotico quanto noi indigeni percepiamo come domestico».308 È in questa cornice che si collocano anche i numerosi autori albanesi in lingua italiana, molto attivi nel panorama letterario. La loro produzione è un corpus letterario ricco e vario che risulta paradigmatico sia dal punto di vista della quantità dei testi pubblicati, sia della loro complessità. Questi scrittori si inseriscono nella cosiddetta seconda fase della letteratura della migrazione che coincide con la composizione dei testi direttamente in lingua italiana senza l’aiuto di un coautore madrelingua. In quanto agli scrittori di origine albanese, Comberiati individua due generazioni: la prima generazione, rappresentata da Gëzim Hajdari, è costituita da autori, che nati sotto il regime, hanno potuto pubblicare solo negli anni Novanta; la seconda invece, rappresentata da tanti altri ormai affermati, comprende autori che sono nati e hanno trascorso la loro adolescenza sotto il regime,
307Cfr. http://www.letteratura.rai.it/articoli/scrivere/452/default.aspx (consultato il 3 settembre 2016). 308
Cfr. Paolo De Simonis, «Interessante e misterioso paese sul quale si dicono tante meraviglie ed
esagerazioni». Luoghi e costruzioni comuni nelle memorie di viaggiatori, sacerdoti, militari, in
85 ma poi hanno avuto la possibilità di emigrare e pubblicare senza censura.309 Molti di questi autori che stanno tentando di entrare a far parte del mondo letterario italiano hanno una doppia formazione intellettuale poiché sono inseriti nell’ambito culturale del paese di origine. I loro testi non si limitano ad un racconto autobiografico, ma la storia personale diventa rappresentazione di un destino comune tramite cui rivelare la storia di un’intera nazione. Una forma di autorappresentazione che è anche una sorta di affermazione della propria identità etnica e culturale arricchita dai riferimenti alla mitologia, al folklore, alle religioni e alle tradizioni del propria terra d’origine. Un’identità talvolta forte, talvolta malleabile e ibrida spesso legata ad una triplice matrice: la madre biologica, la madre patria e la madrelingua. Anche i temi del viaggio, dell’attraversamento del mare dell’arrivo in Italia, ove descritti, svolgono una funzione di memoria storica, tipico della letteratura. Il tema del viaggio, comune a vari autori migranti, è secondario oppure marginale, in alcune opere esaminate è ricordato come un passaggio da un paese all’altro o, al contrario, come testimonianza di un determinato periodo storico. D’altro canto, non mancano casi in cui il viaggio è raffigurato come un ritorno che serve a riflettere sul significato stesso del viaggio e presentatosi come una necessità di fronteggiare la realtà da cui si è sfuggiti. Il topos poetico del ritorno è affrontato nella letteratura della migrazione ed è sviluppato, secondo Raffaele Taddeo, «nella descrizione dell’impatto che il ritorno produce in loro stessi, nel loro sentire e/o comunità d’origine avverte il loro ritorno».310
Lo studioso parla anche di un’altra tematica, ovvero la «descrizione della società di appartenenza, con i suoi usi e costumi»,311 che nel caso degli scrittori albanesi immigrati in Italia deriva dalla tensione a scrivere originata dal
forte shock derivato dal rapido passaggio da una organizzazione sociale arcaica ad un’altra moderna che guarda all’Occidente come meta da vivere da subito più che da conquistare o sognare. Il repentino trovarsi in una modalità sociale lontanissima da quella dei loro padri si accompagna quasi ad una sorta di nostalgia che lavora l’io e non lo lascia tranquillo fino a che non esterna e non rivive, anche romanticamente, attraverso la scrittura quei momenti lontani nei quali chi viveva non poteva che vivere da eroe.312
Questa affermazione, però, rischia di ridurre il discorso sulla letteratura della migrazione a generalizzazioni che considerano i testi partendo della provenienza
309
Cfr. Daniele Comberiati, Riscrivere la storia. Modalità di rappresentazione del colonialismo italiano
in Albania, in «Incontri», Anno 28, fascicolo 1, 2013, pp. 25-33.
310Raffaele Taddeo, La ferita di Odisseo. Il ritorno nella letteratura italiana della migrazione, cit., p. 37. 311
Ibidem.
312Idem, Rosso come una sposa – Anilda Ibrahimi, in «El-Ghibli», http://archivio.el-
86 dell’autore. Di fatto sono numerosi gli autori nei quali non si percepisce che la narrazione sia dovuta alla spinta dello shock della migrazione. A tal proposito Giulia Da Lio sostiene che in alcuni testi si coglie una continuità tra Oriente e Occidente smascherata al momento della migrazione, quando i protagonisti scoprono che le condizioni di vita da una e dall’altra parte dell’Adriatico non sono così diverse. Basti pensare alla visone unitaria tra una e l’altra riva offerta dal romanzo Il paese dove non si muore mai di Ornela Vorpsi. Alla luce di ciò, Giulia da Lio spiega che continuare a focalizzare l’attenzione e il discorso critico sugli autori, piuttosto che sulle opere porta al «colonialismo dell’immaginazione il cui scopo è l’indagine dei modi di rappresentazione dell’Europa orientale in relazione a pratiche discorsive e rappresentative diffuse nell’Europa occidentale».313
Un ulteriore motivo di interesse nel caso degli autori di provenienza albanese è rappresentato da una letteratura di genere. In quest’ottica non sorprende una distinzione fra scrittori e scrittrici e la differenziazione dei loro personaggi fra donna occidentale e non. Di fatto l’universo femminile è «dilaniato da un selvaggio incontro tra la realtà occidentale e quella extracomunitaria» e la donna «viene ritratta nel contesto d’origine o nel luogo d’approdo, collocata in una rete di tradizione o abbandonata all’oscura solitudine corruttrice, distinta per livelli sociali o culturali».314 Ne sono validi esempi le opere di autrici come Elvira Dones, Ornela Vorpsi e Anilda Ibrahimi, per citare le più famosi.
Il tema più diffuso negli scrittori albanesi in lingua italiana è la storia dell’Albania che viene frammentata in racconti di periodi ed epoche diverse. Ci si trova così davanti a secoli di storia di questo paese che è descritto attraverso i ricordi di tre o più generazioni. Senza dubbio il periodo più rappresentato è quello comunista che ha segnato la vita di questi autori, come si deduce dal modo in cui essi parlano del comunismo albanese. In alcuni si coglie una critica al regime, ad esempio in Ron Kubati e Ornela Vorpsi, i quali appartenevano a famiglie stigmatizzate i cui membri erano considerati nemici del Partito e del popolo. Il comunismo è raffigurato anche nelle opere di autori che a prima vista non si schierano contro o a favore, ma si soffermano nella descrizione della società albanese dell’epoca.
313Giulia Da Lio, Narrare l'Albania in italiano: dalla letteratura di migrazione al colonialismo
dell'immaginazione, in «El-Ghibli», anno 10, N. 42, dicembre 2013, in http://archivio.el-
ghibli.org/index%3Fid=1&issue=10_42§ion=6&index_pos=4.html (consultato il 5 settembre).
314Fulvio Pezzarossa, Forme e tipologie delle scritture migranti, in http://www.eksetra.net/studi-
interculturali/relazione-intercultura-edizione-2003/relazione-di-fulvio-pezzarossa/ (consultato il 4 aprile 2014).
87 Altro aspetto significativo riguarda la questione linguistica. Si tratta di un argomento fondamentale che coincide con la capacità di questa letteratura di apportare un rinnovamento nello scenario italiano, arricchendolo di nuovi elementi linguistici e culturali.
Nella lunga lista degli autori albanesi in lingua italiana spiccano tra gli altri i nomi di Elvira Dones, Leonard Guaci e Gëzim Hajdari. Nata a Durazzo nel 1960 e cresciuta a Tirana, Dones è scrittrice, giornalista e documentarista. Ha conseguito la laurea in Lettere inglesi e albanesi presso l’Università di Tirana nel 1984; ha lavorato come conduttrice televisiva, dall’età di sedici anni. Grazie a questo privilegio, poiché ancora sotto il regime di Hoxha che mostrava i primi segni della successiva caduta, nel 1988, Dones lascia l’Albania per stabilirsi in Svizzera. Ha pubblicato nel 1997 il suo primo romanzo, Dashuri e huaj (Senza bagagli), a cui sono seguite altre sei opere. Dal 2004 al 2015 ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti d’America, a Washington D.C. e in California, per poi ritornare nella Svizzera italiana verso la fine del 2015. Dones è scrittrice bilingue, albanese e italiano, e ha realizzato anche alcune sceneggiature, una serie di documentari per la RSI – Radiotelevisione svizzera. Dall’ultimo romanzo Vergine giurata (2007), Premio Fondazione Carical Grinzane Cavour 2008, è stato tratto l’omonimo film nel 2015 dall’esordiente regista italiana Laura Bispuri.315
Le sue opere sono state tradotte in diverse lingue.
Leonard Guaci, invece, inizia la sua attività con numerosi scritti sui giornali albanesi. Nato a Valona nel 1967, si trasferisce a Roma (1990) dove vive e lavora come giornalista. Esordisce nel 1999 con il romanzo Pancera rossa, con il quale ha vinto il premio internazionale di letteratura “Antonio Sebastiani”. Il romanzo tratta la devastazione dell’Albania ad opera del regime comunista, rivelando la cupidigia dei dirigenti del partito. Non manca il legame con l’Italia che viene reso tramite un personaggio, un’italiana che si era trasferita in Albania, e che Guaci ha realmente incontrato, pensando di trovare un paese più giusto rimanendo però delusa dalla realtà di questo paese totalitario. Tale legame viene ripreso nel successivo romanzo, I grandi occhi del mare (2005), tramite la storia di Aulona, che da piccola comincia ad immaginare e sognare l’Italia, e la storia di un gruppo di ragazzi di Valona che, costretti
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88 dalla dittatura a un lungo isolamento, ogni giorno guardano la televisione italiana, cercando di capire il mondo.316
Il pluripremiato (tra cui il premio Montale 1997) Gëzim Hajdari, considerato uno dei maggiori poeti in albanese e in italiano, ha scritto numerose raccolte di poesie in italiano e in albanese. Nasce a Lushnje, nell’Albania meridionale, nel 1957, si laurea in Lettere Albanesi a Elbasan e, successivamente, consegue la laurea in Lettere Moderne alla “Sapienza di Roma”. Vive a Frosinone dal 1992, data che segna il suo arrivo in Italia. Nel 1993 è pubblicata la prima raccolta in lingua italiana, Ombra di cane, in cui il poeta parla del suo passato e la sua identità perduta della quale rimane solo l’ombra. In Hajdari il concetto di patria cambia da una poesia all’altra e se inizialmente il poeta esule non desidera tornare nel paese di origine, successivamente si percepisce un non legame con nessun paese e nessuna patria se non quella immaginaria, la poesia. Quella di Hajdari è una poesia che «arricchisce la letteratura italiana di elementi propri della cultura albanese attraverso il progressivo recupero ed inserimento nei testi in lingua italiana di tratti linguistici, simbolici, mitologici e folklorici propri della sua cultura di origine».317Analogamente Andrea Gazzoni afferma che
Le forme liriche e monologiche che Hajdari mutua in particolare dalla grande tradizione simbolista del primo Novecento europeo forniscono ai suoi testi adeguati patterns di una traduzione dell’io e del mondo paradossalmente «in perdita»: la lingua del primo esilio di Hajdari consegna tanto l’Italia quanto l’Albania all’inespresso o al non-detto, che preme sui versi come dal lato esterno di una membrana.318
Secondo lo studioso «le condizioni ermeneutiche poste dall’insieme dei testi di Hajdari fanno sì che le molteplici forme liriche, epiche e cronachistiche portino esse stesse le stigmate della perdita, della rinuncia a quel che resta di incompiuto nella rappresentazione dell’Albania».319
Meritano di essere menzionati anche autori come Anila Hanxhari, Darien Levani, Rando Devole, Irma Kurti, Arben Dedja, Astrit Cani e Ylljet Aliçka, protagonisti
316Cfr. Nora Moll, Il ruolo della televisione nella comunità narrativa italiana-albanese:I grandi occhi del
mare di Leonard Guaci, in Il confine liquido. Rapporti letterari e interculturali fra Italia e Albania, cit.,
pp. 117- 136.
317Silvia Vajna de Pava, La peligorga canta in italiano: la poesia di Gëzim Hajdari e i suoi apporti
interculturali, in L’italiano lingua di migrazione: verso l’affermazione di una cultura transnazionale agli inizi del XXI secolo, cit., p. 23.
318
Andrea Gazzoni, Una terra scritta dall’esilio: rappresentazioni e traduzioni dell’Albania nell’opera di
Gëzim Hajdari, in Il confine liquido. Rapporti letterari e interculturali fra Italia e Albania, cit., p. 139.
89 instancabili del mondo letterario, sia in Italia che in Albania, e degli scambi culturali tra le due rive dell’Adriatico.