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Voci dell’Adriatico

IV.2 Autori e poetiche

IV.2.1 Ornela Vorpsi: l’autrice dalla «scrittura visuale»

Ornela Vorpsi, fotografa, pittrice e video-artista, nasce nel 1968 a Tirana, dove studia Belle Arti. Nel 1991 si trasferisce a Milano e studia presso l’Accademia di Brera per poi raggiungere Parigi, dove vive dal 1997. Nel 2001 pubblica Nothing Obvious, una monografia fotografica, ma si dedica alla scrittura ed esordisce in lingua italiana con il romanzo Il paese dove non si muore mai (2005), pubblicato da Einaudi, con il quale vince il premio Grinzane Cavour opera prima, il premio Viareggio Culture europee, il premio Vigevano, il premio Rapallo opera prima, ed il premio Elio Vittorini opera prima. Nel 2006 pubblica per Nottetempo Vetri rosa e nel 2007, per Einaudi, La mano che non mordi con il quale si aggiudica il premio per la letteratura di viaggio l’Albatros - Città di Palestrina e il premio letterario nazionale Città di Tropea. La pubblicazione di Bevete cacao Van Houten!, sempre per Einaudi, risale al 2010, anno in cui viene inserita tra i 35 migliori scrittori europei nell’antologia Best European Fiction, curata da Aleksandar Hemon. Nel 2012 è pubblicato per Einaudi Fuorimondo e nel 2015 Viaggio

90 intorno alla madre, ma in questo caso si tratta di una traduzione in lingua italiana ad opera di Ginevra Bompiani e Benedetta Torrani: il testo è scritto in francese da Vorpsi e pubblicato l’anno prima da Gallimard.

Il lavoro artistico di Ornela Vorpsi incorpora diversi ambiti dell’arte che influenzano e si riflettono nelle sue opere letterarie. L’autrice esordisce nella prosa con Il paese dove non si muore mai,320 scritto in italiano ma uscito prima in traduzione francese. Il racconto è affidato al personaggio femminile che cambia nome nel corso della storia. Come afferma la stessa autrice, l’opera è

un romanzo che non segue una forma ortodossa. Io provengo dalle arti plastiche e sono di formazione frammentaria, la mia struttura mentale è fatta di immagini e avevo voglia di giocare con questo romanzo come fosse un puzzle, dunque un lettore lo poteva leggere come dei racconti e lo poteva vedere anche tutto insieme. Ma devo questo all’influsso delle arti plastiche e all’arte contemporanea. Forse una persona che si interessa solo alla scrittura avrebbe scritto un libro più lineare e omogeneo, invece io ho scelto questa frammentazione dovuta a discipline diverse che ho praticato e che mi hanno formato per cui vedo le cose filtrate da questo punto di vista.321

Il romanzo breve è diviso in quindici sezioni, ognuna con un titolo proprio, che possono essere lette sia in forma unitaria, sia come narrazioni indipendenti. Con una lingua ruvida, un linguaggio sarcastico, viscerale ma lucido, Vorpsi racconta non solo l’infanzia della protagonista (Ormira, Elona, Ornela, Ina, Eva), la crescita sotto il regime totalitario di Enver Hoxha e l’arrivo in Italia, ma anche la vita dell’intera nazione bloccata dalla dittatura comunista. Le variazioni di nomi, oltre alla ricerca di identità, alludono alla possibilità di una storia comune delle donne albanesi da un lato, e dall’altro, rispondono all’intento dell’autrice di intrecciare il romanzesco con l’autobiografico. Secondo Chiara Mengozzi, il libro potrebbe far parte della categoria dell’autofiction.322

La corrispondenza nominale tra autrice, protagonista e narratore viene mantenuta solo in parte; l’unità del romanzo non si basa sull’evoluzione di un unico personaggio ma prevede lo sviluppo di temi come la bellezza e la giovinezza su cui si struttura la denuncia della condizione della donna albanese, tema molto caro alla scrittrice. Il romanzo si chiude con l’arrivo nella «Terra promessa», dove la protagonista scopre una realtà che frantuma le sue aspettative e il mito dell’Italia. Si viene a creare un’immediata equiparazione tra Albania e Italia con il risultato che «tutto il mondo è un

320

Ornela Vorpsi, Il paese dove non si muore mai, Einaudi, Torino, 2005.

321Maria Cristina Mauceri, L’Albania è una ferita che brucia ancora. Intervista a Ornela Vorpsi,

scrittrice albanese che vive in Francia e scrive in italiano, in «Kuma. Creolizzare l’Europa», 11 aprile

2006, http://www.disp.let.uniroma1.it/kuma/kuma (consultato il 20 aprile 2013).

322Cfr. Chiara Mengozzi, Narrazioni contese. Vent’anni di scritture italiane della migrazione, cit., pp.

91 paese».323 Infatti l’immagine della donna nel mondo occidentale non si rivela essere diversa dallo stereotipo femminile che circolava in Albania, al contrario la questione della “puttaneria” prolifera anche nella civiltà occidentale diminuendo le distanze tra i due paesi e inducendo il lettore a riconsiderare i criteri con i quali vengono tracciati confini e differenze.

La seconda opera di Vorpsi è Vetri rosa, pubblicata inizialmente in Francia con la traduzione di Nathalie Bauer. La versione italiana presenta in appendice alcune fotografie di nudi femminili, scattate dalla stessa autrice in ambienti abbandonati e trascurati che provocano un senso di malinconia.324 Le foto rimandano non solo all’occupazione artistica dell’autrice, ma costituiscono un richiamo alle principali tematiche trattate nell’opera: la bellezza, la solitudine della donna, il suo rapporto con l’esterno e la continua presenza della morte. Con un linguaggio colloquiale, Vorpsi esprime un accentuato senso di disincanto e riflette sulla crudeltà del regime comunista in Albania e sulla scoperta della sessualità. L’autrice attua una distinzione tra sfera maschile e sfera femminile con inserti che rimandano ad un passato caratterizzato dalla divisione del mondo delle donne da quello degli uomini.325 L’opera è caratterizzata da una costruzione allegorica iniziale e il ricorso alla metafora, che attraversa tutto il testo, tramite cui la voce narrante parla, in prima persona, al lettore in tono confidenziale e familiare. Vorpsi affida alla protagonista, defunta, i ricordi e le persone conosciute escludendo così ogni coinvolgimento emotivo. Per l’autrice la morte serve da tramite per guardare la realtà in modo lucido e obiettivo. L’espediente di affidare la narrazione a un personaggio deceduto non è molto frequente nella letteratura italiana, ma è diffuso in quella anglosassone326 e in testi della letteratura postcoloniale italiana come ad esempio in Rhoda di Igiaba Scego nel quale la protagonista osserva il presente e gli effetti della sua morte nelle persone care mostrando una vicinanza e contiguità con il mondo esterno.327 In Vetri rosa si possono individuare alcuni legami con la Divina commedia di Dante non solo nel titolo del primo capitolo, Purgatorio, ma anche in alcuni episodi con evidenti citazioni dantesche come in un passaggio che riguarda l’infanzia della protagonista, in cui viene citato il conte Ugolino, creando un parallelismo con la situazione albanese caratterizzata dal terrore politico: vivere sereni

323

Maria Cristina Mauceri, Intervista a Ornela Vorpsi, cit.

324

Cfr. Ornela Vorpsi, Vetri rosa, Nottetempo, Roma, 2006.

325Cfr. Daniele Comberiati, Scrivere nella lingua dell’altro. La letteratura degli immigrati in Italia (1989-

2007), cit., pp. 236-244.

326

Si pensi ad esempio a Spoon River Anthology di Edgar Lee Masters o a The Lovely Bones di Alice Sebold.

92 era impossibile a causa delle spie che, pur di avere qualcosa da mangiare in più, ricorrevano alla falsa testimonianza, alle calunnie e allo screditamento dell’altro.328 La bellezza, il viaggio, l’identità e gli effetti della migrazione sono alcune delle tematiche del romanzo La mano che non mordi.329 L’opera scritta in italiano è uscita qualche settimana prima in traduzione francese per poi essere pubblicata anche in Italia. Nel testo, intriso di elementi autobiografici, Vorpsi disegna la figura della donna albanese che vive altrove, ma decide di tornare nei Balcani in un viaggio che le consentirà di conoscere meglio se stessa e di capire la condizione del migrante, sospeso tra due spazi, a cui sente di non appartenere appieno. La giovane protagonista si reca a Sarajevo per incontrare un amico malato, Mirsad, che da mesi vive in isolamento. L’incontro tra la protagonista e Mirsad, entrambi deracinés, viene ritratto con il colore verde che caratterizza le persone che hanno vissuto nel duro mondo dell’Occidente. Interessante questo uso del colore mutante che indica come la migrazione possa essere causa di terribili malattie del quale anche la protagonista sembra non essere immune, come nel caso del suo amico Mirsad. Verde di migrazione, quindi, verde di un marziano che rimanda alla distanza con cui l’autrice ama narrare.330

«È questa», secondo Michela Meschini, «una delle felici formule vorpsiane che nascono dal vissuto e diventano subito figura letteraria: si è “verdi di migrazione” quando si hanno “le radici in aria”».331

Tra straniamento e alienazione Vorpsi descrive un viaggio che ha la funzione di osservare e analizzare con maggiore lucidità il proprio paese. Anche se Sarajevo non è Albania, essi hanno un’anima comune, quella balcanica, e un passato condiviso caratterizzato da conflitti e violenze. Il viaggio nei Balcani ha una valenza simbolica tradotta in un ritorno alle origini, ma anche un ritorno in termini di regressione e sconfitta. Nei Balcani la protagonista non viene riconosciuta come orientale o albanese, ma come simbolo di quella terra promessa a cui tutti vorrebbero appartenere.332 Così Vorpsi si fa portavoce di una doppia assenza, da un lato la straniera in patria, o meglio l’occidentale nei Balcani, e dall’altro, l’identità albanese che viene marcata sempre di più tra curiosità, avversione e compassione degli autoctoni in Italia o in Francia. Come

328

Cfr. Daniele Comberiati, Scrivere nella lingua dell’altro. La letteratura degli immigrati in Italia (1989-

2007), cit., pp. 240-241.

329Ornela Vorpsi, La mano che non mordi, Einaudi, Torino, 2007. 330

Cfr. Maria Serena Palieri, Le ali rosse degli sradicati, in «L’Unità», 23 febbraio 2007.

331

Michela Meschini, Il controcanto delle scrittrici migranti: Ornela Vorpsi e le radici leggere della

bellezza, in Tra innovazione e tradizione, Un itinerario possibile: Esperienze e proposte in ambito linguistico - letterario e storico - culturale per la didattica dell'italiano oltre frontiera, Edizioni

Convivium, Luxembourg, 2014, p. 310.

332Cfr. Daniele Comberiati, Scrivere nella lingua dell’altro. La letteratura degli immigrati in Italia (1989-

93 ha notato Vàclav Marek la protagonista di La mano che non mordi descrive un’atmosfera «straniante della capitale bosniaca, dove ritrova un immaginario familiare ma è nel contempo pervasa da un senso irriducibile di estraneità».333

Tematiche simili si riscontrano in Bevete cacao Van Houten!,334 una raccolta di quattordici racconti ambientati tra l’Albania, l’Italia e la Francia in cui trova spazio la dimensione introspettiva dell’umano. Con una scrittura frammentaria e fantasiosa l’autrice descrive una realtà dissociata che porta inevitabilmente i protagonisti a vivere nella solitudine e nell’emarginazione; il desiderio diventa il motore che spinge all’azione e scandisce il tempo in un paese immobile e maschilista. Il tema della bellezza è privo del peso politico di cui era carico nel primo romanzo. Se nel Paese dove non si muore mai la bellezza poteva turbare la morale del comunismo, in Bevete cacao Van Houten!, in un mondo senza classi, essere belli è possibile grazie al principio attivo delle alghe blu. Il blu di questa pianta, usata nell’industria cosmetica per i prodotti di bellezza, è anche il simbolo della democrazia in Albania e Blu è il nome del boulevard da cui partirono le prime manifestazioni degli studenti albanesi contro il regime di Hoxha. Tuttavia il libro si presenta meno politico del primo ed è «una sorta di visita nelle viscere dell’umano».335

Evidente l’influenza dei classici russi, in particolare Vladimir Majakovskij, autori che sono parte integrante della formazione letteraria di Vorpsi. Infatti il titolo dell’opera è un verso di una poesia di Majakovskij che nel testo della Vorpsi diventa una delle storie che la nipotina racconta alla nonna anziana e morente secondo il topos della novella come antidoto contro la morte.

La scrittura straniante di Vorpsi caratterizza anche il romanzo Fuorimondo.336 Tra le figure struggenti, in un presente che è anche prefigurazione di un destino futuro, c’è Tamar, la protagonista spettatrice attraverso il cui sguardo il lettore è portato a dubitare dei confini tra la normalità e la follia, tra la colpa e l’innocenza, tra il desiderio e la rinuncia al desiderio. In un girovagare quieto e silenzioso, Tamar si lascia trasportare al di fuori della realtà, in quel fuorimondo in cui cerca risposte. La voce narrante è quella della protagonista che, come in un lungo monologo interiore, racconta episodi di vita e ricordi tristi. Il senso di non appartenenza che porta a sentirsi altro viene mantenuto anche nel linguaggio, caratterizzato dalla scelta accurata dei vocaboli, da una punteggiatura imprecisa e dall’ortografia, a volte scorretta. Un tipo di scrittura che non

333Václav Marek, Tra l’Occidente e i Balcani. L’opera narrativa di Ornela Vorpsi, in «Studia Litteraria

Universitatis Iagellonicae Cracoviensis», vol. 9, n. 3, 2014, p. 198.

334

Ornela Vorpsi, Bevete cacao Van Houten!, Einaudi, Torino, 2010.

335Maria Cristina Mauceri, Intervista a Ornela Vorpsi, cit. 336Ornela Vorpsi, Fuorimondo, Einaudi, Torino, 2012.

94 facilita la lettura ma che ha la capacità di rappresenta il desiderio innato di fuggire verso un “altrove” e permette al lettore di entrare nella psicologia dei personaggi.

L’introspezione femminile è approfondita nel recente libro Viaggio intorno alla madre.337 Il testo sembra essere scritto per un monologo teatrale, in cui la protagonista, Katarina, si appropria di un atteggiamento solitamente considerato maschile. Infatti il titolo originale Tu convoiteras, rimanda al nono comandamento della Bibbia che indica di non desiderare la donna d’altri. La protagonista, madre e donna, in pena per il figlio febbricitante, è ossessionata dall’appuntamento con l’amante. Se da una parte è attraversata dalla paura che il bambino non venga accettato all’asilo, dall’altra non prova alcun senso di colpa nei confronti del figlio ammalato poiché la sua unica preoccupazione è l’appuntamento con l’amante. Una madre, quindi, divisa tra due amori e il desiderio che, secondo Massimo Rizzante, è la morale che domina Katarina.338 L’autrice «non arretra di fronte a un argomento scomodo: come cambia la sessualità con la maternità» e per farlo «sceglie un personaggio spregiudicato e libero fino all’incoscienza, con un’altra madre scomoda alle spalle, e un carico di complessità. Il risultato è un viaggio intorno alla donna».339 Questo primo libro scritto in francese, intenso e toccante, dipinge un piccolo quadro in cui spiazzamento e terrore degli errori umani si confondono con l’amore materno. Ma Katarina «è un essere contraddittorio, dolorosamente umano e vittima dell’innamoramento: va incontro all’amante sapendo di non amarlo, mette in pericolo tutti, in pochi attimi; dal bambino, al matrimonio, fino ai suoi valori, ma non si sente in colpa, per lei va bene così».340