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Aspetti fiscali nel cash pooling

La variabile fiscale, nei gruppi aziendali (e non solo) svolge un ruolo strategico molto importante. La scelta del paese in cui localizzare le consociate si rivela un punto nodale per un’efficace pianificazione fiscale di gruppo, che ha l’obiettivo di ridurre gli esborsi monetari per tasse e imposte, grazie allo sfruttamento delle diverse discipline legislative presenti nei vari Stati.

Quindi, i gruppi aziendali che intendono implementare un sistema di accentramento della tesoreria, oltre ai vincoli di carattere legale normativo e contrattuale, devono considerare gli aspetti fiscali che sorgono nel momento in cui decidono di gestire la liquidità attraverso un processo di cash pooling.

A seconda di come un gruppo societario intende realizzare la propria piattaforma di gestione accentrata della liquidità, possono prodursi in modo diretto o indiretto effetti di compensazione dei saldi di conto corrente e movimenti di valuta all’estero e possono instaurarsi rapporti tra le società con pagamento reciproco di interessi.

Una delle questioni fiscali che coinvolgono anche le tecniche di cash pooling consiste nel trattamento fiscale degli interessi attivi e passivi per le singole società che aderiscono all’accordo.

L’art. 109 del Tuir afferma che gli interessi attivi e passivi concorrono alla determinazione del reddito secondo il principio di competenza.

Il Testo unico delle imposte sui redditi, nel Dpr. 917/1986 all’art. 89 comma VII, stabilisce che «per i contratti di conto corrente e per le operazioni bancarie regolate in conto corrente, compresi i conto correnti reciproci per servizi resi intrattenuti tra aziende e istituti di credito, si considerano maturati anche gli interessi compensati a norma di legge o di contratto».

Quindi, il legislatore tributario ha previsto che, sia gli interessi attivi che passivi, concorrono alla formazione del reddito d’impresa, non per il loro saldo derivante dalla compensazione, ma bensì per l’intero ammontare maturato. Questo operativamente sta a significare che gli eventuali interessi attivi e passivi di ciascuna società compensati nel pool account devono essere imputati dalle società partecipanti nell’esercizio della relativa maturazione.

In sede di dichiarazione dei redditi, le società che hanno aderito al cash pooling sono tenute a determinare gli interessi attivi e passivi maturati nel periodo d’imposta; se in conto economico è stato imputato direttamente il saldo degli interessi maturati dopo la compensazione, le società sono chiamate ad operare una variazione:

♦ in aumento per la parte di interessi attivi che sono stati compensati con gli

interessi passivi e che non sono stati iscritti in conto economico perché compensati;

♦ in diminuzione per la parte degli interessi passivi che sono stati compensati

con quelli attivi e che non sono stati evidenziati nel risultato economico d’esercizio.

Il regime di deducibilità degli interessi passivi è stato a lungo disciplinato dall’art. 96 del Tuir il quale prevedeva che «la quota di interessi passivi che residua dopo l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 97 e 98 è deducibile per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi»; con la legge 244/2007 (legge finanziaria del 2008) è stata abrogata la disciplina della

thin capitalization e sono state introdotte molte novità sul regime di indeducibilità degli

interessi passivi e degli oneri finanziari dal reddito d’impresa.

La nuova normativa prevede un’unica limitazione alla deducibilità degli interessi passivi dal reddito delle società; in sintesi, riconosce la possibilità di dedurre gli interessi passivi fino al limite degli eventuali interessi attivi, mentre l’eventuale parte eccedente nel limite del 30% del Risultato Operativo Lordo della gestione caratteristica, e con la possibilità di portare la quota di interessi passivi non dedotta al successivo esercizio concorrendo alla procedura di deducibilità del nuovo anno.

Altra questione fiscale delicata che interessano le operazioni di cash pooling è la possibilità di rendere applicabile la ritenuta fiscale a fronte della corresponsione degli

interessi, cioè, in una situazione di accentramento della tesoreria, le società che si sono viste ripianare uno scoperto di conto corrente, si trovano a dover corrispondere interessi passivi alla società pooler e quindi, il soggetto che eroga gli interessi deve verificare se su di essi deve applicare (e in quale misura) la ritenuta.

Le variabili che influenzano la disciplina sulle ritenute sono due: la localizzazione delle società e la tipologia di cash pooling adottata.

I casi che possono verificarsi sono tre:

1) erogante e percettore di interessi sono residenti entrambi in Italia;

2) erogante residente in Italia, mentre il percettore degli interessi è residente

all’estero;

3) erogante residente all’estero e percettore di interessi residente in Italia.

1. Soggetto erogante e soggetto percettore residenti in Italia

Nell’ipotesi in cui entrambi i soggetti, erogante e percettore, siano residenti in Italia il problema se applicare o meno la ritenuta alla fonte non si pone in quanto, gli interessi da corrispondere costituiranno componenti positive di reddito che concorreranno alla determinazione del reddito d’impresa imponibile della società percipiente.

2. Soggetto erogante residente in Italia e società percipiente residente all’estero Questa particolare fattispecie si configura in presenza di gruppi multinazionali e, la circostanza che la società a cui devono essere corrisposti gli interessi è residente all’estero richiede una distinzione a seconda che si tratti di un cash pooling zero balance o di un notional.

a) Zero Balance System

L’articolo 26 del DPR 600/1973 delinea una regola generale e afferma che, dove non sia diversamente previsto, i redditi di capitale corrisposti a non residenti, anche se conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali, sono assoggettate a ritenuta alla fonte nella misura del: 27% se i redditi sono corrisposti a soggetti che risiedono in Stati a regime fiscale privilegiato, del 12,50% se,invece, i redditi sono corrisposti a soggetti che risiedono in Paesi non a fiscalità privilegiata.

Altro aspetto da considerare è quello introdotto dall’art.26-bis (DPR 600/1973) il quale, per i redditi di capitale, limita l’esenzione a quelli diversi dai depositi e conti

correnti bancari e postali, con esclusione degli interessi ed altri proventi derivanti da prestiti in denaro. Quindi sono soggetti a ritenuta alla fonte i mutui e i negozi di deposito e conto corrente utilizzati come strumento per la realizzazione di un prestito in denaro.

Per quanto riguarda lo ZBS, la risoluzione 58/2002 dell’Agenzia delle Entrate,

riconosce tale negozio come un “conto corrente non bancario”55 e quindi gli interessi

riferiti a tale contratto non possono essere qualificati come interessi da prestito di denaro.

In conclusione, è stata esclusa l’applicazione della ritenuta da parte del soggetto residente quando la reciprocità delle rimesse, l’inesigibilità e l’indisponibilità del saldo fino alla chiusura del conto non consentano di ricondurre l’accordo tra società residente e società non residente a un prestito di denaro, e quindi nello ZBS la corresponsione degli interessi può essere ricondotta all’esenzione della ritenuta alla fonte prevista dall’art. 26-bis del DPR 600/1973.

b) Notional Cash Pooling

Nel caso in cui le società del gruppo aziendale siano legate da un contratto di cash pooling del tipo Notional la questione risulta diversa.

Il contratto di Notional, secondo la risoluzione 194/2003 dell’Agenzia delle Entrate, è a tutti gli effetti un negozio di prestito di denaro e quindi soggetto alla ritenuta alla fonte.

L’Amministrazione finanziaria ha così negato, a tutti gli effetti, l’applicabilità dell’art.26-bis, «in quanto le modalità di funzionamento del contratto di “notional cash pooling” inducono a ritenere che le relative prestazioni obbligatorie sono sostanzialmente riconducibili ad un’operazione di prestito di denaro».

Questo dettato è stato fortemente criticato da parte della dottrina e nel 2003 è stata emanata una normativa dall’Unione Europea (2003/49/CE) che prevede l’esenzione da ritenuta alla fonte quando siano presenti determinate condizioni56.

55 Vedi paragrafo 2.9

56 Le condizioni elencate dalla normative si riferiscono a una serie di requisiti che sono

qualificabili come elementi costitutivi della fattispecie senza ai quali non si può accedere al beneficio. Per quanto riguarda l’ambito oggettivo rientrano, nelle condizioni (poste dalla normativa), i redditi derivanti da titoli, obbligazioni, da prestiti e, in particolare, gli interessi derivanti da mutui, depositi e conti correnti.

Per ciò che concerne l’ambito soggettivo, il nuovo regime di esenzione si applica a tutte le società di capitali ed enti commerciali residenti nel territorio dello Stato.

La normativa europea è stata ratificata dall’ordinamento tributario tramite il D. Lgs. n. 143 del 30 maggio 2005, che ha introdotto l’articolo 26-quater nel DPR 600/1973; questo ha portato ad una invalidazione dei vincoli posti in tema di “reciprocità delle rimesse” o di “inesigibilità o indisponibilità del saldo”, in quanto, per il nuovo regime di esenzione devono essere solo verificate le condizioni poste dalla direttiva comunitaria.

3. Società erogante residente all’estero e società percipiente residente in Italia Nel caso in cui la società che eroga gli interessi è residente all’estero e la percipiente ha sede in Italia, bisogna vedere la normativa del Paese estero che potrebbe (come non) prevedere una ritenuta alla fonte.

Se tra il nostro Paese e quello estero esiste una convenzione contro la doppia imposizione, che disciplina questa particolare ritenuta, la società italiana potrà chiederne l’applicazione.

La disciplina contro la doppia imposizione è disciplinata dal nostro ordinamento all’articolo 165 del Tuir, il quale al primo comma prevede che: «se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta fina alla concorrenza della quota d’imposta italiana corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo al lordo delle perdite dei precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione».

Le commissioni e gli interessi riconosciuti alla società tesoriera richiamano l’attenzione fiscale soprattutto nel caso in cui le società appartenenti al gruppo e sottoscriventi un contratto di cash pooling sono: sia residenti che non nel territorio dello Stato italiano.

In questa fattispecie, la determinazione dell’ammontare delle commissioni deve rispettare la normativa dell’ordinamento tributario in materia di transfer pricing disciplinata all’articolo 110 del Dpr 917/86, che mira a porre un divieto affinché, tramite la cessione di bene e servizi a prezzi definiti artificiosamente all’interno di un gruppo societario, possano spostarsi componenti di profitto da Paesi a fiscalità più gravante ad altri più agevolata.

L’art. 110 stabilisce che i redditi derivanti da operazioni tra società appartenenti alla stesso gruppo aziendale e non residenti nel territorio dello Stato sono valutati in

base al valore nominale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei bene e servizi ricevuti, se ne deriva un aumento di reddito. Quindi nel contratto di cash pooling, le commissioni e il saggio d’interesse devono essere di un ammontare che rispetti il criterio del valore normale.

Infine per quello che riguarda la disciplina Iva, il cash pooling appartenendo alle operazioni finanziarie rientra tra le operazioni esenti Iva ai sensi dell’art. 10, n.1), del Dpr n.633 del 26 ottobre 1972. E per ciò che concerne la normativa sull’Irap, l’art. 5 del D. Lgs. 446/1997 stabilisce che gli interessi attivi e passivi derivanti dalle operazioni di accentramento della tesoreria sono iscrivibili in Conto Economico alla voce “C) Proventi ed oneri finanziari” e quindi non concorrono a formare la base imponibile ai fini Irap.