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Aspetti neuroscientifici e psicologici: i benefici dell’educazione

I.3 La contemporaneità

I.3.3 Aspetti neuroscientifici e psicologici: i benefici dell’educazione

Esistono consistenti studi60 relativi alle basi neurologiche dell’apprendimento del linguaggio, i quali si dipanano dall’inizio del secolo scorso fino al boom delle neuroscienze negli ultimi vent’anni, studi che hanno influenzato dalla metà del ‘900 i più recenti approcci e metodi glottodidattici. Tenendo in considerazione questi studi in ambito neurofisiologico e neurolinguistico l’Unione Europea già nel 1997 evidenziava come la qualità dell’apprendimento delle lingue fosse strettamente legato alla precocità dell’insegnamento e per questo lo promuoveva ufficialmente assieme all’incentivazione del plurilinguismo. Per quanto riguarda la didattica, l’apporto della neurolinguistica ha influenzato in particolare l’analisi e la successiva individuazione dei diversi periodi critici per l’apprendimento delle diverse componenti del linguaggio: competenza fonetica-fonologica, sintattica, etc, individuando quale siano le fasce ottimali d’età che influiscono sulla qualità della lingua appresa, in base alle strutture cerebrali coinvolte e alla diversa tipologia di memoria utilizzata. Ormai assodato da anni, è indubbio che prima i bambini vengono esposti alle lingue e migliori e consolidate saranno le capacità acquisite, in particolar modo la maggior parte delle ricerche rinforza come evidenzia Fabbro che: le “lingue si imparano meglio quando esse non vengono insegnate ma adoperate”61

quindi precocemente e come promoso dal QCER, concependole nel loro contesto d’uso, a discapito dell’insegnamento formale.

Per quanto concerne il plurilinguismo il cosiddetto “cervello bilingue”62 ha occupato e occupa una posizione di rilievo nella ricerca neurolinguistica,

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Riferimenti in: Salvatore M.Aglioti, Franco Fabbro, Neuropsicologia del linguaggio, Bologna, Il Mulino, 2006; F.Fabbro, Neuropedagogia delle lingue, Come insegnare le lingue

ai bambini, Roma, Astrolabio, 2004; Andrea Marini, Manuale di neurolinguistica, Fondamenti teorici, tecniche di indagine, applicazioni , Roma, Carocci editore, 2008.

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Franco Fabbro Neuroscienze ed educazione plurilingue ,2007, pag. 7

http://www.agebi.it/index2.php?option=com_docman&task=doc_view&gid=63&Itemid=4, ultimo accesso 09/05/17.

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Tra i principali studiosi sul bilinguismo ricordiamo Michel Paradis della McGill University, and Cognitive Neuroscienze Center, UQAM e.g. A Neurolinguistic Theory of Bilingualism Amsterdam John Benjamins Publishing Company 2004.

producendo una vasta letteratura, nata in principio dalla trattazioni di casi clinici e in seguito aggiungendo tasselli significativi alla rappresentazione cerebrale del linguaggio.

Dal lato fisiologico e neurale la struttura di un cervello apprendente più lingue gode di alcuni vantaggi dovuti allo sfruttamento della plasticità cerebrale, in particolar modo sul piano della memoria favorendo le capacità mnemoniche e sul piano cognitivo rallentandone il decadimento.

Su un versante più prettamente psicologico e cognitivo si evidenziano quei vantaggi legati all’utilizzo più intenso di una determinata capacità cognitiva e al trattamento di svariate informazioni, come è stato recentemente dimostrato la pluralità di stimoli favorisce qualsiasi tipo di apprendimento.

Nello specifico la Commissione Europea ha promosso uno studio sul rapporto con la creatività, come evidenzia Luise, si sottolineano le seguenti correlazioni e come il plurilinguismo favorisca:

- la flessibilità mentale: il plurilinguismo aumenta l’adattabilità della mente in funzione di diverse situazioni comunicative e interculturali; - la capacità di risolvere problemi, che riguarda le capacità di analizzare e catalogare le informazioni, valutare tutte le alternative, pianificare azioni, risolvere task;

- le abilità metalinguistiche: comprendono la sensibilità nei confronti delle lingue, la consapevolezza delle caratteristiche di ogni lingua, l’identificazione delle ambiguità nella comunicazione;

- le abilità interpersonali: il plurilingue riconosce i bisogni dell’interlocutore, si comporta in modo coerente al contesto comunicativo, sa interagire con differenti interlocutori, possiede sensibilità e competenze interculturali;63

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Maria Cecilia Luise Plurilinguismo e multilinguismo in Europa per una Educazione

plurilingue e interculturale LEA - Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente, n. 2 (2013),

pp. 525-535 DOI: http://dx.doi.org/10.13128/LEA-1824-484x-13843, ultimo accesso 02/05/2017.

Queste caratteristiche contribuiscono a rafforzare la tolleranza linguistica, l’adattabilità comprensiva, la prontezza nel variare registro, e come affronteremo nel prossimo capitolo, l’attitudine nell’interazione comunicativa interculturale.

Capitolo II

Per una educazione plurilingue e interculturale: l’attuazione dei

curricoli

"C’est le monolinguisme qui devient l’exception, le plurilinguisme la presque règle.”64 Daniel Coste. Introduzione

Dopo la pubblicazione del QCER il plurilinguismo, e successivamente l’intercultura dominano in modo preponderante la scena delle politiche linguistiche europee. Nell’ultimo decennio come abbiamo visto, si sono susseguite sempre più numerose le comunicazioni da parte della Commissione europea e altrettanti documenti programmatici, pubblicati dalla Divisione delle politiche linguistiche del Consiglio d’Europa (vedi § I.3) relativi alla promozione e alla diffusione di un’educazione linguistica sempre più plurale e interculturale.

Le istituzioni europee hanno operato frequentemente anche in campo linguistico alla luce di indagini statistiche da loro stesse promosse, nello specifico citiamo l’Eurobarometro65, lo strumento statistico sull’opinione

pubblica di cui si avvale la Commissione europea, che nel 201266, 11 anni dopo l’uscita del QCER (2001) e 10 anni dopo l’“Obiettivo Barcellona” (2002), ha rilevato che:

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Diversité des plurilinguisms et formes de l’éducation plurilingue et interculturelle Les

Cahiers de l'Acedle, volume 7, numéro 1, 2010 .Notions en questions en didactique des langues – Les plurilinguismes p.144, ultimo accesso 09/05/17.

65

http://ec.europa.eu/public_opinion/index_en.htm ultimo accesso 05/05/2017.

66

http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/ebs/ebs_386_fr.pdf pag. 5 ultimo accesso 05/05/2017.

a. il 54% dei cittadini europei era in grado di sostenere una discussione in lingua straniera e il 44% si dichiarava capace di seguire una trasmissione televisiva o capire un articolo di giornale in almeno una lingua straniera;

b. il 25% conosceva almeno due lingue;

c. 1 su 10 era in grado di conversare almeno in 3 lingue.

Vogliamo evidenziare che in 19 paesi su 25 la seconda lingua straniera conosciuta era l’inglese e che il 44% non aveva appreso di recente una nuova lingua, mentre il 23% non l’aveva mai fatto, vogliamo aggiungere che sono presenti in Europa realtà statali bilingui e plurilingui antecedenti all’unione politica del continente. Da contro l’88% degli intervistati riteneva che la conoscenza di una lingua straniera fosse utile, e per il 98% lo fosse relativamente al futuro dei propri figli. I dati dimostrano come nella prassi, se pur all’epoca fosse passato un numero consistente di anni dalla pubblicazione del QCER e dall’“Obiettivo Barcelona”, si riscontrava uno scarso sviluppo di una vera e propria educazione plurilinguistica, che difficilmente può essere definita tale se limitata a un “bilinguismo” in cui la seconda componente, quasi nella totalità dei casi, è rappresentata dalla lingua inglese (nella sua versione di lingua franca). Nonostante questa realtà dei fatti, si è tuttavia sviluppata una notevole sensibilità alla percezione dell’utilità e della spendibilità della conoscenza delle lingue straniere, anche se sorge la questione se questa percezione, sia o meno legata prevalentemente alla spendibilità sul mercato del lavoro della sola lingua inglese.