• Non ci sono risultati.

III.2 Studio di caso: l’Istituto Comprensivo Statale di Altopascio-Lucca

III.2.4 L’intercultura

Le attività interculturali assumono prevalentemente la forma del laboratorio, non rivolte a tutte le classi ma in base alla programmazione e alle scelte fatte per l’anno scolastico. I laboratori multiculturali si dipanano nella coerenza orizzontale del curricolo per favorire la continuità tra la realtà del Nido gestito dal Comune, la scuola d’Infanzia, le classi prime e quinte della Primaria e le classi prime della Secondaria. Ad esempio le attività di pasticceria: progetto “ La pasticceria Zitti” per infanzia e primaria, testo illustrato che educa alla diversità e al potere comunicativo del cibo e sempre con la solita finalità “ La signorina Euforbia maestra pasticciera” per la primaria e le classi prime della secondaria.

Le attività più prettamente interculturali si avvalgono della collaborazione di associazioni esterne e utilizzano le tecniche più disparate. Già dalla scuola per l’Infanzia operano attraverso attività ludiche (e.g giochi di origine popolare) e cooperative, rivolte sia a italofoni e non italofoni col fine di sviluppare le capacità linguistiche ( “Il dente batte dove il gioco vuole”). Per le classi quarte della primaria sono previste attività manipolative e creative volte alla gestione delle emozioni e dei sentimenti superando barriere culturali e preconcetti (“Un mucchio di…”). Per la scuola secondaria di I grado invece si propone sempre l’attività della lettura animata di storie della tradizione buddista e laboratori tematici connessi e della favola albanese condotti da una mediatrice culturale. La collaborazione forse più significativa è con la cooperativa Odissea137 che si occupa dell’accoglienza dei profughi e propone una ricca varietà di progetti per le scuole: dalla mediazione alle attività in ottica interculturale. Nel particolare

137

http://www.cooperativaodissea.org/index.php/chi-siamo/12-progetti-attivi/48-attivita-nelle- scuole, ultimo accesso 24/05/2017.

propone un percorso per sviluppare l’incontro con l’altro attraverso la consapevolezza del sé e la conoscenza delle proprie emozioni. Anche queste attività sono variate nel tempo, probabilmente legate in primis ai finanziamenti disponibili e in secundis all’esigenza rispetto a nuovi arrivi sempre più limitati rispetto ai decenni passati.

III.3 Riflessioni

L’indagine ha rivelato come il quadro sia molto disomogeneo, se pur in una realtà complessa particolarmente attenta alle esigenze del territorio e del contesto, data la rilevante presenza di studenti stranieri. Non è presente un plurilinguismo nelle forma auspicata e incentivata dalla Guida, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, a nostro avviso imputabile anche a un livello superiore di organizzazione: da un lato il sistema scolastico nazionale, che determina la quantità di lingue da studiare per ogni grado di istruzione, dato che se pur gli istituti godano di autonomia, stabilisce e gestisce i finanziamenti e i fondi statali, regionali etc. (a riguardo riportiamo che spesso, come per il progetto Erasmus plus, i fondi siano di provenienza europea). Dall’altro versante, più alto e istituzionale, il sistema universitario, che forma gli insegnanti, ma che non prenderemo in esame in questa sede.

Massimo Vedovelli sostiene la necessità di un progetto di politica linguistica a livello generale a fronte di quello che definisce neoplurilinguismo italiano138 , prendendo in considerazione la sempre più consistente e inevitabile presenza delle lingue degli immigrati sul territorio. Purtroppo, sempre lo studioso rimarca come non sia mai stato attuato un vero e proprio progetto di politica linguistica generale indispensabile per sostenere interventi istituzionali, che anche quando vi siano stati presenti interventi isolati “troppo spesso preda della vis burocratica che tanti progetti è stata in grado di distruggere nel nostro Paese

138

Massimo Vedovelli, Il neoplurilinguismo italiano, in Paolo E. Balboni, Daniel Coste, Massimo Vedovelli, Il diritto al plurilinguismo, Milano, Edizioni Unicopli, 2014.

anche in questa materia (educazione linguistica n.d.s)”139

. Ci limitiamo a riportare queste considerazioni limitatamente al campo didattico e non ad interventi sulla lingua da parte delle istituzioni, abbracciando il pensiero di Luca Serianni140, che al contrario ritiene importante siano fatti degli investimenti nella diffusione dell’italiano all’estero141

, come fanno i nostri “cugini linguistici” spagnoli e francesi. Egli auspica allo stesso tempo un adattamento della didattica alle novità scientifiche degli ultimi anni e al ruolo svolto dalla lingua nello sviluppo e nel successo sociale, come abbiamo visto concetto sposato anche dalle istituzioni europee.

Il terreno scolastico, anche se disomogeneo, appare più che mai fertile: le pratiche connesse all’educazione plurilingue sono comunque emerse, anche in forme strutturate e interessanti: dall’utlizzo dell’intercomprensione fra lingue, alla contrastività, alle varie forme di trasversalità tra competenze e discipline, allo sfruttamento e alla valorizzazione del repertorio degli apprendenti. Per quanto riguarda il ruolo e l’importanza della lingua di origine e della relativa cultura, concorrono in gran parte anche fattori sociologici e culturali legati al fenomeno dell’immigrazione e dell’integrazione. Se pur la lingua di origine sia sempre parlata in famiglia:

Per il 38,5% degli stranieri di sei anni e più la lingua prevalente in famiglia è l'italiano. Tra le donne la quota arriva al 45,7%, rispetto al 29,7% degli uomini, ma sono soprattutto i minori (6-17 anni) a parlare italiano in famiglia (47,3% contro il 36,8% dei maggiorenni).142

È comunque indubbio che sia presente una nuova forma di plurilinguismo nella società. L’Istat nel 2012143stima intorno al 1.910.000 gli stranieri immigrati non italofoni e “il 5,8% (della popolazione dichiara) di non essere di

139

Ivi, pag.84.

140 http://informalingua.com/index.php/item/805-l-italia-dovrebbe-avere-una-politica-

linguistica-risponde-il-professor-luca-serianni ultimo accesso 25/05/2017.

141

Recentemte è emerso che sia la quarta lingua studiata al mondo (fonte:

http://www.corriere.it/scuola/14_giugno_16/dante-pizza-italiano-quarta-lingua-piu-studiata- mondo-4edfb4fe-f57a-11e3-ac9a-521682d84f63.shtml) ma rimandiamo per chiarimenti a http://www.ditals.com/la-quarta-lingua-piu-studiata-al-mondo-e-una-bufala/.

142

https://www.istat.it/it/archivio/129285, ultimo 24/05/2017.

143

madrelingua italiana”144

, percentuale simile a quella delle minoranze linguistiche, ma che di norma sono concentrate territorialmente. Vedovelli evidenzia la vitalità e la resistenza di queste lingue in un rapporto dinamico con l’italiano, oltretutto come una possibile fonte di ricchezza economica, dato il ruolo significativo della forza migrante nella nostra economia e il ruolo dei paesi emergenti nell’economia globale.

Dal punto di vista didattico, le insegnanti hanno acquisito e possiedono le capacità e la sensibilità per porre l’apprendente al centro del processo. Non si pianifica né si contempla tuttavia una vera e propria educazione plurilingue strictu sensu: in Italia tendenzialmente come nella maggior parte degli Stati dell’Europa145

, l’unica lingua straniera proposta al livello ISCED1 è essenzialmente rappresentata dall’inglese, lingua franca o veicolare, quindi, a nostro avviso, con caratteristiche diverse da quelle di una lingua nazionale, ormai svincolata dalla cultura britannica. Anche quando sono introdotte altre lingue (di norma comunitarie) al livello ISCED2, sono caratterizzate da numerosi limiti: la subalternità all’inglese a cui si dedicano più ore e che gode di più continuità nel corso degli studi, difatti lo studio della seconda LS, salvo pochi casi di prosecuzione in base all’indirizzo scelto; si interrompe al livello ISCED3. Quest’ultimo è comunque un trend europeo, che vede tuttavia in aumento l’insegnamento di più lingue dal livello ISCED2 e ISCED3146

. L’offerta si limita alle lingue più diffuse in Europa (dopo l’inglese si collocano il francese (33,8%), tedesco (23,1%), spagnolo (13,6%))147 si voglia per peso politico-economico o per numero di parlanti, sono scelte linguistiche che spesso rientrano in quello che Louis-Jean Calvet (2002) definisce un vero e

144

Ibidem.

145 Eurydice-Eurostat, Cifre chiave dell’insegnamento delle lingue a scuola in Europa, 2012,

Commissione Europea,

http://www.indire.it/lucabas/lkmw_file/eurydice///versione_pubblicata_IT.pdf.

146

Eurydice-Eurostat, Cifre chiave dell’insegnamento delle lingue a scuola in Europa, 2012, Commissione Europea,

http://www.indire.it/lucabas/lkmw_file/eurydice///versione_pubblicata_IT.pdf.

147

http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2017/02/23/scuola-italia-al-top-ue-per- lingue-studiate-alle-medie_987f8d53-ccdf-495c-a101-7032d4cd9b05.html, ultimo accesso 29/05/2017.

proprio marché aux langues, che spesso trascura le componenti sociologiche e le motivazioni personali dell’apprendente in nome di risvolti economici.

Nel nostro caso abbiamo visto però come venga inserito nel curricolo l’aspetto dell’intercultura prevalentemente al fine dell’integrazione e una particolare attenzione ai livelli della L2 da raggiungere, quindi con particolare riguardo per gli alunni e gli studenti stranieri che spesso sono soggetti a una certa vulnerabilità sociale ed economica. Si riesce, a volte, a valorizzare il repertorio linguistico e culturale dello studente straniero, che, come spesso è emerso, è particolarmente motivato nell’apprendimento. In misura minore si valorizza il repertorio linguistico nella scuola primaria, dove il focus è orientato sulla lingua si scolarizzazione. Le lingue di origine, di norma non indigene, non sono mai conosciute da nessuna delle insegnanti (salvo un caso isolato per l’arabo) e di norma sono raramente studiate a livello universitario, anche quando tipologicamente e genealogicamente più vicine come il romeno.

Abbiamo visto come più di un aspetto che richiami pratiche didattiche menzionate dalla Guida sia presente in atto o in potenza, non rientrando però sempre in un programma, né strutturato a livello dell’istituzione scolastica, ma caratterizzato spesso dall’iniziativa personale dell’insegnante: si voglia per la formazione personale o per il background biografico ed esperienziale, o le caratteristiche e le tradizioni del plesso. La distinzione è abbastanza marcata tra scuola primaria e scuola secondaria, a nostro avviso dovuta ai diversi percorsi formativi delle insegnanti, che risultano più aggiornati se trattasi di percorsi linguistici relativi alle sole LS comprendenti nozioni di didattica delle lingue straniere. Essenzialmente nella scuola primaria l’insegnamento della LS è affidadata a insegnati generalisti e non specialisti, il contrario avviene dalla secondaria inferiore.

Conclusioni

Nell’introduzione opponevamo la visione delle istituzioni europee, sostanzialmente riassunta dal motto “Unità nelle diversità”, alle attuali forze nazionaliste e populiste e al serpeggiare nel continente di un sentimento antieuropeista. Non è stata nostra intenzione in questo lavoro affrontare questi aspetti legati al piano politico, ma semplicemente volevamo mostrare e spingere a riflettere sul come l’educazione linguistica abbia risposto ad un plurilinguismo di fatto presente nelle nostre società, oggi in forme diverse rispetto al passato, condizione supportata dalla presenza nelle scuole di alunni e studenti stranieri, e attualmente oggetto d’interesse della didattica e dell’educazione linguistica.

Ripercorrendo nel I capitolo le tappe che hanno portato le istituzioni europee a investire nell’incentivazione di un’educazione plurilingue e interculturale, abbiamo esposto come le politiche linguistiche pervadono, attraverso l’apprendimento/insegnamento della/e lingua/e, le dimensioni educativa, sociale e civile del cittadino europeo. La comprensione reciproca favorita dalla capacità di imparare più idiomi, nell’intenzione dell’Europa, dovrebbe influire sulla comunicazione umana in generale, ma anche sull’accettazione di culture differenti dalla propria e quindi sulla capacità di unire i cittadini europei.

Senza ignorare le criticità dell’attuazione di tale politiche, il nostro interesse si è volutamente focalizzato sul plurilinguismo come apripista dell’intercultura, sia come strumento di confronto e dialogo, nel particolare con lo straniero, ma anche come mezzo di arricchimento personale sul piano formativo ed esistenziale. È indubbio che anche la nostra società si sia avviata verso una forma di plurilinguismo diverso e più marcato rispetto al passato, (si pensi al paese fortemente dialettofono di un tempo che come dimostrano i dati ISTAT

2014148 vede l’uso del dialetto sempre più in calo). Questo plurilinguismo è legato per l’appunto alla presenza di stranieri sul territorio e di una II seconda generazione nata e cresciuta in Italia, in maggioranza bilingue. Sono presenti quindi nuove minoranze linguistiche, rappresentate dalle lingue immigrate che a differenza delle minoranze storiche sono diffuse più capillarmente nel territorio nazionale (si veda quanto abbiamo detto facendo riferimento a Vedovelli nel § III.3).

Le istituzioni europee hanno dimostrato una lungimiranza e una solida capacità di analisi dei bisogni della società e degli individui, senza cadere in una visone disincantata della realtà (si veda: “Una sfida salutare. Come la molteplicità delle lingue potrebbe rafforzare l'Europa” § I.3.2). Nell’ultimo paragrafo del primo capitolo abbiamo visto come l’Europa abbia sempre agito inoltre tenendo conto dei più recenti studi scientifici applicati alla didattica: il plurilinguismo rappresenta difatti una risorsa cognitiva per l’individuo, sia in campo educativo che sociale.

Tra le altre motivazioni che hanno spinto questi investimenti, vanno riportate inoltre le considerazioni di spendibilità e di vantaggio economico-lavorativo, non irrilevanti in questo periodo di post-crisi economica. Come abbiamo visto l’“Obiettivo Barcellona”, che prevedeva lo studio di almeno due lingue comunitarie (s veda in proposito il § I.3.2), non a caso nasceva in un Consiglio europeo di natura economica, in una prospettiva volta ad incentivare la competitività e i rapporti con l’estero. Altro bisogno a cui vorrebbe rispondere l’Europa attualmente, è la gestione della nuova componente demografica, che si evince dai dati del III capitolo costituisce una parte rilevante delle nuove generazioni anche italiane. Il focus è stato puntato, per motivi pratici; sugli aspetti didattici legati a una particolare fascia di età del determinato contesto scolastico preso in considerazione, ma l’Europa recepisce e risponde a bisogni più generali, attuali e impellenti in fatto di emigrazione (solo per citarne di

148

nuovo alcuni: l’Integrazione linguistica dei migranti adulti149(ILMA), l’Autobiografia degli incontri interculturali150

).

L’Europa, tramite le sue pubblicazioni e le sue iniziative (si vedano i capitoli I e II) offre una massa enorme di strumenti e di possibilità per proseguire su questa strada, alcuni appositamente rivolti agli insegnanti, vedremo non solo il CARAP151. Alcune sono già sfruttate come il progetto Erasmus, altre di cui recepiamo solo alcuni riflessi, o colti a livello personale da chi si dedica all’insegnamento delle lingue, o se colti a livello istituzionale, limitati in una concreta attuazione.

Attraverso l’indagine rivolta agli insegnanti dell’Istituto Comprensivo Statale di Altopascio (LU), abbiamo cercato di elicitare dai dati raccolti, i riflessi e i riferimenti analizzati nella Guida per lo sviluppo e l’attuazione di curricoli per una educazione plurilingue e interculturale152. A nostro avviso un ruolo fondamentale nell’organizzazione della presenza del plurilinguismo è svolto proprio dall’istituzione scolastica, sia per quanto riguarda la formazione di una sensibilità dei cittadini più giovani, sia per l’integrazione degli alunni e degli studenti stranieri. Lungi da fornire strategie volte all’integrazione o alla gestione di problematiche inerenti all’immigrazione, abbiamo voluto sondare una realtà italiana cercando di osservare quanto le proposte a livello europeo potessero essere presenti o trovassero riscontro nella pratica didattica. Abbiamo visto come anche nella didattica italiana siano utilizzati gli indicatori del QCER, sia a livello nazionale che locale (si vedano i riferimenti nel POf), confermando per i livelli di competenza la loro funzione uniformatrice. Dalle dichiarazioni risulta che la quasi totalità delle insegnanti conosce almeno il QCER e il Portfolio, o per motivi di studio o per motivi di formazione nel corso della carriera, l’aspetto che forse viene meno è l’utilizzo in pratica del testo del QCER e degli strumenti offerti dal Portfolio.

149 http://www.coe.int/fr/web/lang-migrants/context-and-objectives-of-the-ilma-project, ultimo

accesso 09/05/17.

150

http://www.coe.int/t/dg4/autobiography/default_it.asp?, ultimo accesso 09/05/17.

151

Si veda l’Allegato 4 della Guida, pag. 217-223.

152

Possiamo evincere dalle riflessioni scaturite dai dati, come un ruolo fondamentale sia rivestito dalla formazione personale e dalla biografia del docente, fondamentale, ma soggettiva e non sistematica. Le insegnanti hanno dimostrato le capacità e la sensibilità per gestire, e a volte sfruttare, la presenza degli alunni e degli studenti stranieri e del loro repertorio linguistico, ovviamente in base ai limiti che pone l’organizzazione del sistema scolastico nazionale. Osserviamo come ancora l’educazione linguistica si limiti alle discipline linguistiche, senza considerare il fatto che l’insegnamento di tutte le discipline scolastiche sia veicolato dalla lingua, a discapito della trasversalità, che analizzando la Guida abbiamo definito per l’appunto la chiave di volta di questo orientamento educativo. Ad esempio l’educazione linguistica è prevalentemente rimandata all’insegnante di italiano o di Lettere per la scuola secondaria di I grado, limitandone il ruolo pivot per le altre lingue e le altre discipline. Sarebbe interessante fornire anche ad insegnanti di altre discipline, una formazione glottodidattica che riguardi sia l’insegnamento/apprendimento delle lingue, ma anche riflessioni sugli aspetti comunicativi legati alle discipline non linguistiche e all’utilizzo delle microlingue disciplinari153

, che spesso utilizzano per default come linguaggio specifico della disciplina, senza soffermarsi sugli aspetti linguistici e comunicativi. A tal proposito un testo interessante, sempre edito dalla Divisione delle politiche linguistiche e a disposizione sul suo sito, è: Guide pour l'élaboration des curriculums et pour la formation des enseignants - Les dimensions linguistiques de toutes les matières scolaires154 (2016) dedicata proprio a questo ultimo aspetto. Tra gli autori figura anche Jean-Claude Beacco, già autore della Guida che abbiamo preso in esame nel presente lavoro di ricerca. Questa guida può integrare e affiancare la Guida da noi analizzata, proprio nell’aspetto che abbiamo rilevato fondamentale e dinamico, anche se troppo spesso non programmatico e carente, come la formazione dell’insegnante.

153

Paolo E. Balboni, op.cit.§5.7

154

Di Jean-Claude Beacco, Mike Fleming, Francis Goullier, Eike Thürmann, Helmut Vollmer, contributi di Joseph Sheils documento disponibile su: https://rm.coe.int/guide-pour-l-

elaboration-des-curriculums-et-pour-la-formation-des-ense/16806ae61c, ultimo accesso 10/06/2017.

A tal proposito la Guida stessa elenca in appendice (Allegato 3 dal titolo: Elementi per l’individuazione delle competenze degli insegnanti per l’attuazione di una educazione plurilingue e interculturale) 155

, gli elementi che concorrono alla formazione degli insegnanti, che operino in un sistema educativo plurilingue e interculturale, tra cui figura infatti “Una formazione comune a tutti gli insegnanti (di lingua straniera, della lingua di scolarizzazione, delle altre discipline)156. Oltre all’aggiornamento sulle tecniche didattiche più moderne, l’allegato propone di sviluppare le competenze linguistiche dell’insegnante e favorire un repertorio plurilingue, che come abbiamo riportato e osservato nel II capitolo attraverso l’esempio del repertorio della responsabile dell’intercultura, ha contribuito alla sua formazione come docente, attenta e sensibile agli aspetti plurilinguistici e interculturali. Le altre componenti suggerite nell’allegato rientrano poi in una visione non solo accademica della didattica, ma descrivono la formazione anche da un punto di vista più olistico: decentramento culturale, capacità osservativa, atteggiamento etico, etc.157. Questi ultimi aspetti sono emersi dall’indagine come fortemente legati alla soggettività di ogni intervistato, mentre potrebbero rientrare in una formazione più strutturata che coinvolga tutti i docenti (sia nel percorso di formazione universitaria, sia di aggiornamento in itinere). Ricordiamo anche l’Allegato 4 (Strumenti e risorse per l’elaborazione e la realizzazione di curricoli per una educazione plurilingue e interculturale158) che offre una selezione di documenti politici e strumenti tecnici paneuropei per la stesura dei currucoli (tra cui figurano ad esempio i già citati QCER, CARAP,etc). Nel dettaglio una sezione è dedicata alla formazione, soprattutto iniziale, degli insegnanti, proponendo sinteticamente alcuni progetti della Commisione Europea, solo per riportare alcunii interessanti esempi: l’European framework for CLIL teacher education, 159

(2011), strumento di riflessione del CELV, volto a fornire linee guida sulla

155

Op.cit. Allegato 3, pag.202-204.

156

Ivi, pag.203.

157

Op.cit. Allegato 3, pag.202-204.

158

Op.cit. Allegato 4, pag.217-223.

159

metologia CLIL, che come abbiamo visto riveste un ruolo significativo nelll’educazione plurilingue; L’European profile for language teacher education. A frame of reference. Final Report160, rivolto a coloro che sono coinvolti nella formazione teorica e pratica degli insegnanti di lingua, nato da numerosi studi di caso a livello europeo.

Detto ciò possiamo intuire come la gestione di un plurilinguismo de facto, parta comunque dal basso, anche quando strutturata solo in parte, in base alle necessità del contesto, tuttavia l’iniziativa degli insegnanti potrebbe essere potenziata attraverso la loro formazione accademica (in particolare a livello universitario, dando più spazio all’educazione linguistica e alla didattica delle lingue). Come già riportato, Edvige Costanzo e Monica Barni (§ III.1) rilevavano nella formazione degli insegnanti (per Barni circoscritta alla valutazione) insieme all’organizzazione del sistema, una causa della carenza delle competenze linguistiche degli italiani nelle lingue straniere.

Nessuno studio formalizzato potrà sostituire la sensibilità e le capacità che un insegnante si forma sul campo, ma le risorse messe a disposizione dalle istituzioni europee (sotto le più disparate forme: piattaforme, guide e documenti, materiale on line, progetti e collaborazioni) sono sfruttate solo in