-L’identità è sempre relazionale, hai ragione- Michela Marzano, “L’amore che mi resta”
Sommario
Introduzione ... 4
Capitolo I ... 8
Le politiche linguistiche europee ... 8
Introduzione ... 8
I.1 Un breve excursus storico ... 13
I.1.1 I primi quarant’anni ... 16
I.1.2 Gli enti preposti: la Divisione delle politiche linguistiche e il Centro per le lingue moderne ... 18
I.2 Il 2001: Una pietra miliare per le politiche linguistiche e l’educazione linguistica in Europa ... 21
I.2.1 L’Anno Europeo per le lingue ... 21
I.2.2 Il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue e il Portfolio europeo per le lingue... 23
I.3 La contemporaneità ... 29
I.3.1 Plurilinguismo e intercultura ... 29
I.3.2 La promozione del plurilinguismo ... 35
I.3.3 Aspetti neuroscientifici e psicologici: i benefici dell’educazione plurilingue ... 40
Capitolo II ... 43
Per una educazione plurilingue e interculturale: l’attuazione dei curricoli ... 43
Introduzione ... 43
II.1.1 Una “Guida” per lo sviluppo e l’attuazione dei curricoli... 44
II.1.2 Competenza e repertorio linguistico ... 48
II.2.1 La progettazione del curricolo ... 55
II.2.2 La chiave di volta: la trasversalità ... 58
II.2.3 Riflessività e metalinguistica ... 60
II.3 Il côté interculturale ... 65
Indagine su un caso italiano: ... 69
Introduzione ... 69
III.1.1 Il contesto educativo linguistico italiano ... 70
III.1.2 L’influenza europea nel contesto italiano ... 74
III.2 Studio di caso: l’Istituto Comprensivo Statale di Altopascio-Lucca... 79
III.2.1 La metodologia d’indagine ... 85
III.2.2 La Scuola Primaria... 91
III.2.3 La Scuola Secondaria di I grado ... 98
III.2.4 L’intercultura ... 102 III.3 Riflessioni ... 103 Conclusioni ... 107 Bibliografia ... 115 Sitografia ... 119 Appendice ... 121 Ringraziamenti ... 124
Introduzione
Nel particolare momento storico che il mondo sta attraversando, caratterizzato dagli strascichi della crisi economica, dal consolidarsi della globalizzazione e dagli imponenti flussi migratori verso i paesi occidentali; ci troviamo di fronte al sorgere di nuovi nazionalismi e di forme di populismo di natura fortemente antieuropeista, come controaltare dell’incremento di società sempre più inevitabilmente plurilingui e pluriculturali. L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (d’ora in avanti UE) apre scenari incerti per un’istituzione nata proprio come risposta alle centinaia di anni di conflitti in seno al vecchio continente, culminati con il più tragico e drammatico evento rappresentato dalla seconda guerra mondiale, in cui proprio i nazionalismi avevano prodotto risultati devastanti per la società europea.
In contrasto con questo scenario, quest’anno celebriamo due eventi significativi ed emblematici per la storia delle istituzioni europee: i 60 anni della firma dei Trattati di Roma, che istituivano la Comunità Economica Europea (CEE)1 e attraverso il quale si consolidarono le fondamenta istituzionali della successiva UE, e i 30 anni dalla nascita del progetto di mobilità studentesca, che attualmente conosciamo sotto le varie forme del progetto Erasmus2. Questi due anniversari simbolici rappresentano forse i mezzi attraverso i quali si è cercato maggiormente di formare un’identità europea affine a un vero e proprio spirito di cittadinanza: il versante istituzionale e il versante educativo volto alla formazione di una cittadinanza europea attraverso l’istruzione e la mobilità.
Le istituzioni europee: il Consiglio Europeo, l’Unione Europea, la Commissione Europea, etc (solo per citare quelle di cui considereremo l’operato). collaborando spesso tra loro, hanno sempre investito nelle politiche linguistiche come mezzo per eccellenza volto alla formazione dei cittadini e
1
http://europa.eu/european-union/law/treaties_it, ultimo accesso 23/05/2017.
alla promozione della loro mobilità tra gli stati membri. Il più recente orientamento delle istituzioni europee è totalmente rivolto verso la promozione di un’educazione linguistica plurilingue e interculturale, come mezzo di comprensione reciproca, di inclusione sociale e di esercizio di una cittadinanza democratica, principi che si affiancano alla storica tutela della ricca diversità linguistica del vecchio continente. Questa concezione è in netto contrasto con i numerosi fenomeni nazionalistici e populisti, che stanno cercando di minare l’esistenza stessa dell’UE, e che spesso, affianco a forme di protezionismo e nazionalismo, supportano radicali forme di difesa della lingua e della cultura nazionale.
Nel primo capitolo dell’elaborato vogliamo ripercorrere quindi le tappe più significative relative alle politiche linguistiche delle istituzioni europee, che hanno portato all’attuale orientamento degli interventi e delle iniziative nel dominio della didattica delle lingue. Si sono susseguite nel tempo numerose pubblicazioni riguardanti il plurilinguismo e l’intercultura, fenomeni che caratterizzano da sempre le società umane, ma attualmente sempre più oggetto di iniziative da parte delle istituzioni, e aspetti riguardanti anche la società italiana data la presenza sempre più cospicua di migranti. L’Italia non è definibile storicamente come una potenza coloniale, salvo alcune limitate esperienze non paragonabili alla storiografia delle altre nazioni europee (britannica, francese, belga, etc.), e, al contrario, è stato un paese di emigranti. Si è trovata quindi solo recentemente, rispetto ad altri stati europei, a gestire una sempre più rilevante presenza di migranti e anche il conseguente fenomeno di scuole sempre più multietniche.
Nel secondo capitolo, partendo da un’analisi della Guida per lo sviluppo e l’attuazione di curricoli per una educazione plurilingue e interculturale3
, (d’ora in avanti Guida) cercheremo di offrire una visione d’insieme delle pratiche volte all’incentivazione di un’educazione linguistica nell’ottica
3
La traduzione consultata è adopera di Edoardo Lugarini per “Italiano LinguaDue”,© Università degli Studi di Milano, 2011. Disponibile su: www.italianolinguadue.unimi.it Semestrale del Master Promoitals www.promoitals.unimi.it Supplemento al n. 1. 2011.fonte: http://riviste.unimi.it/index.php/promoitals/article/view/8261, ultimo accesso 11/05/2017.
plurilingue e interculturale promossa dalla istituzioni europee. Il testo è un documento non solo teorico ma programmatico, è stato scelto nel mare magnum delle pubblicazioni a livello europeo perché riedito recentemente nel 2016 (prima edizione risalente al 2010), dopo un periodo di sperimentazione e di ulteriori riflessioni e ampliamenti a livello istituzionale e accademico europeo. Prenderemo in considerazione solamente questo documento dato che risulta sufficientemente ricco sul piano delle informazioni e degli aspetti affrontati sul tema, che gli autori hanno trattato anche in altre pubblicazioni, e poiché riflette e prosegue le teorie e gli intenti del ben più noto Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue (da ora in avanti QCER) (Consiglio d’ Europa, 2001). Un altro aspetto che ha contribuito alla scelta della Guida è il focus del testo puntato su un piano più didattico e linguistico del plurilinguismo e dell’intercultura, che tocca solo in parte gli aspetti più prettamente sociologici e politici, affrontati ampiamente da altri testi.
Nel terzo capitolo descriveremo innanzitutto come
l’insegnamento/apprendimento della LS (lingua straniera) sia stato inserito nella scuola italiana e come si sia strutturato negli ultimi anni nel nostro sistema scolastico. Inoltre tramite un’indagine su una realtà didattica italiana, ci porremo l’obiettivo di vagliare l’influenza di queste politiche e gli aspetti connessi a una possibile educazione plurilingue e interculturale già presenti in un contesto didattico specifico, che ci fornirà il caso di studio del presente elaborato. Assumiamo il punto di vista delle istituzioni europee, che vedono in questa forma di educazione una valida e possibile risposta, strutturata e concreta, al cambiamento linguistico e culturale in atto. Cambiamento che sta attraversando anche la società italiana, e che ha visto modificate significativamente le sue componenti demografiche negli ultimi vent’anni (si consideri la presenza di una II generazione di migranti nel un contesto educativo).
L’indagine nell’istituto che abbiamo selezionato, è stata svolta tramite un’intervista semistrutturata. La traccia dell’intervista è stata redatta alla luce dell’analisi del documento analizzato nel secondo capitolo, e si focalizza sugli
aspetti programmatici e didattici del curricolo: è quindi rivolta alle insegnati della scuola primaria e alle insegnanti della scuola secondaria di I grado che si occupano di insegnamento/apprendimento di LS e italiano L2 (lingua seconda). Abbiamo scelto l’Istituto Comprensivo Statale di Altopascio (LU) poiché lo scrivente vi ha frequentato un corso in preparazione ad una certificazione in didattica dell’ italiano come lingua straniera4
, occasione che gli ha permesso di conoscere una realtà didattica che si trova ad affrontare da svariati anni un cospicua presenza di alunni e studenti stranieri (attualmente il 27,9% sul totale).
Le fil rouge che attraversa l’elaborato si dipana quindi dagli aspetti teorici e istituzionali del primo capitolo, passando per la descrizione dell’attuazione e delle pratiche didattiche presentate nella Guida, per innestarsi nella realtà quotidiana della scuola italiana, dove si cercherà di elicitare dalle interviste i possibili riferimenti e i semi di una possibile educazione linguistica plurilingue e interculturale.
L’interesse sorge dalla necessità, anche riscontrata dallo scrivente durante il corso di studi e il tirocinio curricolare in didattica dell’italiano a stranieri presso un istituto privato, di arricchire la formazione didattica di quella dimensione europea, che ha contribuito a uniformare il continente in questo campo e a renderlo sempre più all’avanguardia. Una concezione della didattica delle lingue moderne, quindi che non si limiti a una sterile autoreferenzialità disciplinare, ma, in una prospettiva “umanistica” e olistica, si spinga oltre il piano linguistico, comprendendo anche altre dimensioni (variabili personali e sociali) dell’insegnamento e dell’apprendimento.
4
DITALS I, Certificazione di Competenza in Didattica dell’Italiano a Stranieri, Università per Stranieri di Siena, http://ditals.unistrasi.it/, ultimo accesso 07/06/2017.
Capitolo I
Le politiche linguistiche europee
“In un'UE che si fonda sul motto «Uniti nella diversità», la capacità di comunicare in diverse lingue rappresenta un'importante risorsa per le persone, le organizzazioni e le imprese”5
. Michaela Franke e Mara Mennella Introduzione
La Babele linguistica del vecchio continente, come sostiene Tullio De Mauro, è caratterizzata da un plurilinguismo genetico6, addirittura più ricco di quello del subcontinente indiano, costituito da un numero di abitanti ben più elevato, all’incirca un miliardo rispetto ai circa 700 milioni di europei. Come l’essere umano anche una lingua nasce, cresce, cambia e muore, praticamente vive: la piattaforma Etnhologue7 annovera in Europa 287 lingue viventi di cui 31 in buono stato di salute, 55 in difficoltà di sopravvivenza e 50 morenti. Sul piano dell’ufficialità i vari Stati del continente riconoscono:
62 lingue ufficiali. Di queste 50 hanno lo status di lingue nazionali ufficiali, altre di lingue lesser used o moins répandues o di minoranza, riconosciute come co-ufficiali8.
Sul versante istituzionale l’UE, composta da circa 510 milioni9 di abitanti, riconosce 24 lingue ufficiali (il bulgaro, il ceco, il croato, il danese, l'estone, il
5
Michaela Franke e Mara Mennella Politica linguistica, Note sintetiche sull’Unione Europea 10/2016,
fonte: http://www.europarl.europa.eu/atyourservice/it/displayFtu.html?ftuId=FTU_5.13.6.html, ultimo accesso 09/05/2017.
6
Tullio de Mauro, In Europa son già 103 Troppe lingue per una democrazia, Bari, Laterza, 2014 cap. V.
7
https://www.ethnologue.com/region/Europe, ultimo accesso 20/04/17.
8
finlandese, il francese, il greco, l'inglese, l'irlandese, l'italiano, il lettone, il lituano, il maltese, il neerlandese, il polacco, il portoghese, il romeno, lo slovacco, lo sloveno, lo spagnolo, lo svedese, il tedesco e l'ungherese)10 in rappresentanza di 28 stati membri (i dati comprendono ancora il Regno Unito). A queste vanno sommate “oltre 60 lingue autoctone regionali o minoritarie, parlate da circa 40 milioni di persone”11(grassetto nel testo originale).
In aggiunta l’Europa è attualmente investita da imponenti flussi migratori esterni e interni, che si protraggono dagli ultimi 10 anni, di conseguenza sono presenti nei vari Stati dell’UE ulteriori categorie di parlanti: i cittadini di paesi terzi estranei all’Unione e i cittadini europei che si muovono all’interno di essa per svariati motivi, per esempio le giovani generazioni spinte recentemente a migrare dalla crisi economica.
Al 1 gennaio 2015 i cittadini di paesi terzi che dimoravano nell'UE-28 erano 19,8 milioni, mentre le persone residenti nell'UE-28 e nate al di fuori dell'UE erano 34,3 milioni12.
I dati aggiornati al 2014 evidenziano che in quell’anno almeno 3,8 milioni di persone sono entrate in uno Stato membro, 2,8 milioni sono emigrate da uno Stato membro dell'UE. Le due cifre racchiudono quindi anche gli spostamenti interni dei cittadini europei. Dei 3,8 milioni di immigrati nel 2014: 1,6 milioni sono cittadini di paesi non membri dell'UE, 1,3 milioni possiedono la cittadinanza di uno Stato membro dell'UE diverso da quello in cui sono immigrati, 870. 000 sono immigrati in uno Stato membro dell'UE del quale avevano la cittadinanza (per esempio cittadini che rimpatriano o cittadini nati all'estero) e circa 12. 400 sono apolidi.13 Se alla luce dei dati riportati a inizio
9
Per l’esattezza 510 484 430 dati al 01/01/2016,
fonte:http://ec.europa.eu/eurostat/tgm/table.do?tab=table&plugin=1&language=en&pcode=tps 00001, ultimo accesso 04/05/17.
10
https://europa.eu/european-union/topics/multilingualism_it, ultimo accesso 04/05/17.
11 https://europa.eu/european-union/topics/multilingualism_it, ultimo accesso 04/05/17. 12
http://ec.europa.eu/eurostat/statisticsexplained/index.php/Migration_and_migrant_population_s tatistics/it, ultimo accesso 04/05/17.
13
http://ec.europa.eu/eurostat/statistics
capitolo sommiamo questi ultimi dati, evinciamo come la diversità e la pluralità linguistica e culturale siano peculiari e intrinseche all’Europa oggi come ieri.
In UE istituzionalmente ogni cittadino si vede garantito il diritto:
di usare una qualsiasi di queste lingue (tra quelle ufficiali n.d.s.) nella corrispondenza con le istituzioni dell'UE, che sono tenute a rispondere nella stessa lingua. Tutti i regolamenti e gli altri atti legislativi dell'UE sono pubblicati in tutte le lingue ufficiali ad eccezione dell'irlandese (attualmente solo i regolamenti adottati congiuntamente dal Consiglio dell'UE e dal Parlamento europeo sono tradotti in irlandese)14
riconoscendo un’ insolita sostanziale parità tra le lingue di ogni paese, se consideriamo che un’organizzazione come l’ONU, composta da 193 Stati, utilizza solamente 6 lingue ufficiali.
Le pubblicazioni e i siti ufficiali della maggior parte delle istituzioni europee internazionali sono abitualmente edite e redatti in inglese e in francese che assieme al tedesco rappresentano le lingue “di lavoro”: la prima lingua franca e trasglottica per antonomasia, nonché lingua della globalizzazione, la più studiata e la più versatile per fini comunicativi data la sua diffusione; la seconda detentrice ancora del titolo di lingua della diplomazia e comunque seconda lingua parlata e studiata in UE. Attualmente tra le conseguenze della Brexit15,non scevra da finalità polemiche, è stata contemplata la problematica relativa all’utilizzo predominante della lingua inglese16
all’interno delle istituzioni dell’UE. Come abbiamo visto l’Unione utilizza come lingue ufficiali le lingue riconosciute nei diversi Stati membri ma in rapporto 1:1, ossia è stata scelta una lingua ufficiale in rappresentanza di un singolo stato, per esempio all’epoca della loro entrata l’Irlanda e l’isola di Malta scelsero rispettivamente il gaelico e il maltese, dato che l’inglese era già lingua ufficiale in UE come
14 https://europa.eu/european-union/topics/multilingualism_it, ultimo accesso 02/05/17. 15
Parola macedonia (British+exit) che indica l’uscita del Regno Unito dall’UE dopo consultazione referendaria del 23 Giugno 2013.
16
http://www.repubblica.it/esteri/2016/10/27/news/brexit_un_taglio_alla_lingua_con_il_regno_u nito_fuori_l_unione_europea_non_parlera_piu_inglese_-150675134/ ultimo accesso 09/05/17.
lingua del Regno Unito, quindi essendo lingua co-ufficiale, per esempio in questi due ultimi stati, il problema dell’utilizzo dell’inglese sul piano burocratico non sussisterebbe.
Le istituzioni e le forze politiche europee consce della ricchezza e della diversità linguistica e culturale, sin dagli albori del progetto di un’Europa unita, come vedremo più avanti nello specifico, hanno sempre valorizzato nei trattati, nelle convenzioni, nelle politiche educative, l’importanza dell’apprendimento/insegnamento delle lingue e di politiche linguistiche condivise, sia concepite come fertili fondamenta del passato e del presente che come nutrimento per il futuro. Un’ottica da considerarsi particolarmente moderna, in contrasto con le numerose tendenze puriste che vorrebbero le lingue tendenzialmente impermeabili al cambiamento e da difendere strenuamente. L’Europa coglie quindi appieno come “la diversità e la molteplicità delle lingue non appartiene dunque alla patologia, ma alla fisiologia del linguaggio”17.
Parlando di istituzioni ci riferiremo prevalentemente al Consiglio d’Europa e all’Unione Europea e alla Commisione europea, e alle rispettive misure adottate nel corso degli anni relativamente alle politiche educative linguistiche. Il Consiglio d’Europa, composto da 47 Stati membri, non fa parte dell’Unione (al cui interno è presente l’organo del Consiglio europeo):
Il Consiglio d'Europa e l'Unione europea condividono gli stessi valori fondamentali - diritti umani, democrazia e stato di diritto - ma sono entità distinte che svolgono ruoli diversi, seppur complementari18.
Le politiche linguistiche si sviluppano in diversa forma e contenuto nell’arco degli ultimi 60 anni: dalla Convenzione culturale europea del 1954 fino al 2016, anno in cui è iniziato l’aggiornamento dei descrittori del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue, spartiacque e faro dal 2001 di tutte le politiche successive in materia linguistica e educativa. Le politiche
17
Tullio de Mauro, In Europa son già 103 Troppe lingue per una democrazia, Bari, Laterza, 2014, pag.47.
promosse dalle istituzioni mirano allo stesso tempo a rinforzare le peculiarità linguistiche e culturali di ogni stato membro e a promuovere, attraverso differenti modalità, l’intercomprensione.
Attualmente tra i capisaldi dell’Unione figura in primis la lotta alla discriminazione fondata sulla lingua e al rispetto della ricca diversità culturale e linguistica. Non ci si limita, tuttavia, a tutelare le minoranze e le diversità linguistiche, ma si incentiva la diffusione delle lingue stesse e la mobilità dei cittadini e di riflesso la “comprensione interculturale”19. Come vedremo la mole delle pubblicazioni e dei progetti inerenti alla diffusione delle lingue in soli 60 anni risulta imponente, complessa e riccamente strutturata sotto i più svariati aspetti linguistici e non: dalla didattica, all’utilizzo in campo lavorativo, ai diritti linguistici, all’analisi sociolinguistica, a livello educativo, scolastico e accademico, ma anche sul piano politico, lavorativo e personale del cittadino. Riporteremo le tappe più significative, approfondendo nel corpo del capitolo le riflessioni e le iniziative, a nostro avviso, più rilevanti e importanti che hanno concorso a definire l’attuale assetto delle politiche educative e linguistiche delle istituzioni europee, prevalentemente collocate nel nuovo millennio. Anche se, le istituzioni hanno solo la facoltà di proporre e non di imporre le politiche linguistiche elaborate, è importante sottolineare, come i progetti, gli studi e le pubblicazioni sotto l’egida delle istituzioni europee siano stati, o rappresentino in potenza, un essenziale e vitale incentivo al confronto in campo linguistico e glottodidattico, nonché un mezzo di diffusione delle riflessioni più recenti e moderne relative a questi ambiti di studio.
19
Michaela Franke e Mara Mennella Politica linguistica, Note sintetiche sull’Unione Europea 10/2016 fonte:
http://www.europarl.europa.eu/atyourservice/it/displayFtu.html?ftuId=FTU_5.13.6.html, ultimo accesso 09/05/2017.
I.1 Un breve excursus storico
Già prima della creazione effettiva delle istituzioni stesse, gli Stati fondatori hanno individuato nella diversificazione culturale e linguistica un fattore di possibile coesione e di ricchezza. Il progetto di un’Europa unita nasce dopo il tragico secondo conflitto mondiale, dove la sete di conquista dei nazionalismi totalitari aveva causato la devastazione del cuore di gran parte del vecchio continente. Nel 1954 si ratifica a Parigi la Convenzione culturale europea la quale ha in sintesi come obiettivo:
lo sviluppo di una reciproca comprensione tra i popoli europei e un reciproco apprezzamento delle diversità culturali, la salvaguardia della cultura europea, la promozione di contributi nazionali ad un patrimonio culturale comune dell’Europa nel rispetto degli stessi valori fondamentali, incoraggiando, in particolare, lo studio delle lingue, della storia e della civiltà delle Parti della Convenzione. 20
Il concetto di lingua è concepito e legato fortemente alla storia e alla civiltà di ogni paese, difatti nello specifico l’articolo 2 sancisce che:
Ogni Parte Contraente, nella misura del possibile: incoraggerà i suoi nazionali allo studio delle lingue, della storia e della civiltà delle altre Parti e concederà le facilitazioni atte a promuovere detto studio nel suo territorio, e si sforzerà di diffondere lo studio della sua lingua, o delle sue lingue, della sua storia e della sua civiltà sul territorio delle altre Parti Contraenti e di agevolare ai nazionali di queste lo svolgimento di tali studi sul suo territorio.21
Solo per citare due dei documenti politici più significativi per il consolidarsi dell’UE, il Trattato sull’Unione europea (versione con modifiche introdotte dal trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1º dicembre 2009) e la Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea
20 https://www.coe.int/it/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/018, ultimo accesso
09/05/17.
21
https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId, ultimo accesso 19/05/2017.
(proclamata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione) ribadiscono tra gli articoli fondanti i due orientamenti volti alla tutela e alla diffusione della diversità culturale e linguistica, rispettivamente all’articolo 3 del Trattato:
«Essa (UE n.d.s.) rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo».22
E all’articolo 22 della Carta si sancisce che:«L'Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica»23.
Riassumiamo sinteticamente nel grafico seguente (Figure n.1-2-324) le tappe più significative delle politiche relative alla lingua sotto le diverse forme d’azione: le risoluzioni del comitato dei Ministri e dell’Assemblea parlamentare, la fondazione di enti predisposti ad attività in campo linguistico, la promozione di progetti nel dominio linguistico ed educativo, la pubblicazione di documenti, l’organizzazioni di eventi, etc.
22
https://europa.eu/european-union/sites/europaeu/files/eu_citizenship/consolidated-treaties_it.pdf#page=18, ultimo accesso 09/05/17.
23
Gazzetta ufficiale dell’Unione europea C 83/394 30.3.2010,
http://for.indire.it/cittadinanzaecostituzione/offerta_formativa/public/documenti/04_TUE-TFUE-CDFUE_2010-2.pdf.
24
I dati principali e la suddivisione cronologica sono tratti e rielaborati da L’Éducation
plurilingue en Europe. 50 ans de coopération internazionale, edito dalla Divisione delle
politiche linguistiche in occasione dell’anniversario della ratifica della Convenzione culturale europea nel 2004 (si veda bibliografia).
Figura 1.Tappe findamentali delle politiche linguistiche europee (I parte)
Figura 2. Tappe fondamentali delle politiche linguistiche europee (II parte)
•1954 Convenzione culturale europea •1957 Divisione politiche linguistiche
1954-1963
•1963 Primi progetti dominio linguistico •1964 Creazione Associazione Internazionale per la Linguistica Applicata1963-1962
•1971 Modern Language Project •1975 Threshold Level1971-1977
•1982 Raccomandazione riguardante la riformulazione: curricoli, metodi di insegnamento e valutazione1981-1988
•1989 Partecipazione ai progetti dei nuovi Stati membri
•1994 Centro Europeo per Lingue Moderne •1997 Risoluzione riguardante
l'insegnamento precoce delle lingue dell'UE •1998 Raccomandazione riguardante il ruolo
della comunicazione interculturale e plurilinguismo
Figura 3. Tappe fondamentali delle politiche linguistiche europee (III parte)
I.1.1 I primi quarant’anni
Nei primi anni di formazione dell’Europa (intesa come le varie istituzioni politiche) l’attenzione in campo linguistico è stata orientata all’incentivazione della mobilità e alla tutela del patrimonio europeo di cui fa parte a giusto titolo la diversità linguistica, come già espresso nella Convenzione.
In seguito si svilupperà sempre di più la dimensione sociale e politica della lingua, con un occhio sempre rivolto verso le più aggiornate riflessioni e
•2001 Anno Europeo per le Lingue: •Quadro Comune Europeo di Riferimento •Portfolio Europeo
1998-
2001
•2002 Consiglio europeo: "Obiettivo Barcellona" •2003 Guida per l’elaborazione delle politiche linguistiche educative in Europa. Dalla diversità linguistica all'educazione plurilingue2002-2003
•2005 Una nuova strategia:
quadro per il multilinguismo
•2006 Lingue di
scolarizzazione. Piattaforma delle risorse e dei riferimenti un’educazione plurilingue ed interculturale
•2008 Multilingualism an
asset for Europe and a shared commitment
•2010 Guida per lo sviluppo e l’attuazione di curricoli per una educazione plurilingue e interculturale *
•2014 Conclusions on
multilingualism and the development of language competences
* Testo oggetto di analisi del II
Capitolo.
metodologie in campo didattico: ad esempio nel periodo dal 1963 al 1972 si incentiva la cooperazione tra gli Stati e la diffusione dei metodi all’epoca più innovativi, come ad esempio gli audiovisivi, nonché gli studi di linguistica applicata sostenendo la fondazione dell’Associazione Internazionale di Linguistica Applicata fondata poi nel 1964 a Nancy25 e tuttora in attività. I primi interventi di forte impatto sulle programmazioni nazionali e sugli studi in genere di didattica delle lingue compaiono negli anni ‘70, quando vengono alla luce i progetti probabilmente più significativi a livello internazionale e dove si gettano le fondamenta per tutti i successivi.
Un gruppo di ricerca promosso nel 1971 dal Consiglio d’Europa elaborerà all’interno del Modern Language Project la definizione del cosiddetto livello minimo o meglio conosciuto come livello soglia (Threshold Level). Da queste valutazioni scaturiranno poi diverse pubblicazioni in paesi differenti ognuna per una specifica lingua trattata. Al gruppo di ricerca prevalentemente britannico di cui fa parte John Trim si affiancherà in seguito un’equipe francese guidata da Daniel Coste, tutt’ora esperto presso il Consiglio. Col Thresold Level (per la lingua inglese) pubblicato nel 1975 da Jan A. van Ek, si fornisce un sorta di inventario delle competenze e delle conoscenze necessarie per “sopravvivere” nell’ambiente sociale del LS a livello quotidiano. È, da sottolineare quindi la rilevanza dell’analisi della situazione comunicativa, di matrice pragmatica e sociolinguistica. Come evidenzia Massimo Palermo, si introducono concetti che rimarranno saldi in ambiente linguistico e glottodidattico “come l’attenzione al discente e ai suoi bisogni comunicativi e la necessità di una programmazione per obiettivi”26
, da questi bisogni si individueranno poi “le situazioni e gli atti comunicativi più rilevanti”27
. Compare la descrizione dei domini, riproposti successivamente nel QCER, e si traduce inoltre in pratica il metodo nozionale-funzionale, infine si introducono tra gli altri i concetti di nozione generale e particolare.
25 http://www.aila.info/en/about/what-is-aila.html, ultimo accesso 09/05/17. 26
P.Diadori, M.Palermo, D.Trocarelli Manuale di didattica dell’italiano L2, Perugia, Guerra Edizioni, 2009, pag. 134.
27
Il Threshold Level influenzerà significativamente la programmazione di curricola, di manuali e dei corsi di lingua straniera. Verrà in seguito ripubblicato rivisitato nel 1991 con la collaborazione di J.L.M Trim, che già coordinava il gruppo di studi nel 1971.
Per tradurre nella pratica le politiche linguistiche elaborate nel corso degli anni, il Consiglio d’Europa si è dotato nel corso del secolo scorso di due enti dediti allo studio, la ricerca, la promozione e l’attuazione di progetti e programmi in materia linguistica, come illustreremo nel paragrafo seguente.
I.1.2 Gli enti preposti: la Divisione delle politiche linguistiche e il Centro per le lingue moderne
Nel 1957 viene fondata a Strasburgo la Divisione delle politiche linguistiche, la quale opera all’interno dei programmi educativi europei promossi dal Consiglio d’Europa in un’ottica intergovernativa. La Divisione rappresenta difatti un forum di scambio e di confronto tra i vari esperti dei vari stati membri. Il forte legame con la dimensione sociale e politica della lingua compare significativamente anche nella struttura del sito del Consiglio28, dove la sezione dedicata alla Divisione figura pertanto sotto la voce: Education et langues, Politiques linguistiques posta emblematicamente nella sezione Démocratie29.
Tra i primi obiettivi troviamo infatti, come già accennato, “la promotion des droits dell’homme, de la citoyenneté démocratique, de la cohésion social et du dialogue intercultural.”30
Riassunti attualmente negli obiettivi programmatici attraverso la promozione di:
a. il plurilinguismo: tutti i cittadini dell'Unione hanno il diritto di acquisire un livello di competenza comunicativa in diverse lingue, e
28 http://www.coe.int/t/dg4/linguistic/default_FR.asp?, ultimo accesso 09/05/17. 29
http://www.coe.int/t/dg4/linguistic/default_FR.asp?, ultimo accesso 09/05/17.
30
https://www.coe.int/t/dg4/linguistic/Source/leaflet_LPD_%20Aug08_FR.pdf, ultimo accesso 09/05/17.
questo, per tutta la vita, in base alle loro esigenze (approfondiremo questo aspetto nel § I.3)
b. la diversità linguistica: l'Europa è multilingue e tutte le sue lingue hanno lo stesso valore come mezzo di comunicazione e di espressione della propria identità. Le convenzioni del Consiglio d'Europa garantiscono il diritto di utilizzare e imparare le lingue;
c. la comprensione reciproca: la comunicazione interculturale e l'accettazione delle differenze culturali in base alla capacità di imparare altre lingue;
d. la cittadinanza democratica: la partecipazione ai processi democratici e sociali nelle società multilingue è facilitata dalla competenza plurilingue degli individui;
e. la coesione sociale: pari opportunità per lo sviluppo personale, l'istruzione, l'occupazione, la mobilità, l'accesso alle informazioni e di arricchimento culturale dipende dalla capacità di apprendere le lingue e per tutta la vita 31
Tutti gli obiettivi sopra riportati confluiscono in: progetti e programmi di cooperazione, pubblicazioni, piattaforme on line, che analizzano e offrono spunti e strumenti per l’attuazione dei principi sanciti.
Oltre ai cardini più significativi dell’operato della Divisione come: il QCER , il Portfolio europeo per le lingue, etc. (che analizzeremo nel § 2.2 ) tra i progetti più rilevanti riportiamo alcuni esempi come l’ Integrazione linguistica dei migranti adulti32(ILMA), nata per rispondere ai bisogni impellenti e più che mai attuali degli Stati membri e dei migranti stessi. In particolare, per la
31
Traduzione a opera dello scrivente fonte:
http://www.coe.int/t/dg4/linguistic/Division_FR.asp, ultimo accesso 09/05/17.
32
http://www.coe.int/fr/web/lang-migrants/context-and-objectives-of-the-ilma-project, ultimo accesso 09/05/17.
valutazione e l’acquisizione delle competenze comunicative del paese di accoglienza, promuovendo progetti per la formazione e la valutazione nel rispetto dei diritti fondamentali sanciti dai trattati europei.
Altro programma gestito dalla Divisione è l’Autobiografia degli incontri interculturali33, col fine di sviluppare e incentivare una visione critica sull’incontro con l’altro, concepito come:
un’esperienza tra persone che provengono da paesi diversi, oppure tra persone dello stesso paese, che appartengono però ad ambienti, per esempio regionali, linguistici, etnici o religiosi, diversi.34
Tale progetto è rivolto sia alle scuole che al singolo, inserendosi nel filone del long life learnnig, sia alla dimensione autonoma del cittadino, col fine di comprendere i meccanismi che soggiacciono a questi scambi e arricchire proprie competenze interculturali.
L’altro ente linguistico del Consiglio d’Europa, è il Centro europeo per le lingue moderne (fr: CELV, en: ECLM) fondato a Graz in Austria nel 1994, il quale ha la funzione di aiutare gli Stati membri ad attuare le politiche linguistiche educative. Nello specifico:
a. migliorando la pratica nel campo dell’ apprendimento e dell’insegnamento delle lingue;
b. promuovendo il dialogo e lo scambio tra le persone attive in questo campo;
c. formando i moltiplicatori;
d. apportando il sostegno alle reti e ai progetti di ricerca relativi al programma del Centro.
Catalizzatore delle riforme per l’insegnamento e l’educazione, il Centro organizza e promuove programmi annuali connessi alle politiche del Consiglio
33
http://www.coe.int/t/dg4/autobiography/default_it.asp?, ultimo accesso 09/05/17.
34
europeo: ad esempio l’ultimo ancora in corso di svolgimento 2016- 2019 Les langues au cœur des apprentissages35
all’interno del quale si cerca di promuovere e attuare le politiche più recenti. Nel dettaglio attraverso :
a. Gruppi di riflessione sulla formazione degli insegnanti sull’insegnamento fin dalla tenera età, la cooperazione fra insegnanti e percorsi di insegnamento;
b. Attività di formazione nei diversi Stati e nella propria sede a Graz, che coprono gli aspetti attualmente più valorizzati dall’UE e.g.: l’ottimizzazione delle classi plurilingui per migranti adulti, il CLIL, l'apprendimento interculturale attraverso la mobilità con il progetto PluriMobil, l’utilizzo del Portfolio etc;
c. Attività di mediazione, tramite conferenze e workshops volti a promuovere gli strumenti del ECML e specifici argomenti come la valutazione.
Trattando l’operato dei due enti linguistici abbiamo già accennato, senza approfondire, ad aspetti quali il plurilinguismo e l’intercultura che dominano le attuali politiche linguistiche europee e che, come esporremo successivamente, sono emersi in maniera più incisiva dal 2001 in occasione dell’ Anno europeo per le lingue.
I.2 Il 2001: Una pietra miliare per le politiche linguistiche e l’educazione linguistica in Europa
I.2.1 L’Anno Europeo per le lingue
In rosso nella figura n.1, III parte (§ I.1) è evidenziata la sezione dedicata all’anno 2001, ossia l’Anno europeo per le lingue, durante il quale fu
35
http://www.ecml.at/ECML-Programme/Programme2016-2019/tabid/1796/Default.aspx, ultimo accesso 09/05/17.
pubblicato e promosso il QCER, pietra miliare per l’educazione linguistica in Europa e non solo.
L’Anno europeo per le lingue (AEL) è organizzato dal Consiglio d’Europa, tramite la Divisione delle politiche linguistiche, e la Commissione Europea. Come si evince dalla dichiarazione comune per l’inizio dell’AEL del segretario generale del Consiglio d’Europa dell’epoca, l’austriaco Walter Schwimmer, e il commissario europeo per l’Educazione e la Cultura Viviane Reding:
«Tout le monde mérite d'avoir l'occasion de profiter des avantages
culturels et économiques que les connaissances linguistiques peuvent apporter. L'apprentissage des langues aide également à renforcer la tolérance et la compréhension entre les personnes issues d'horizons linguistiques et culturels différents.»36
Si riassumono in poche righe gli attuali aspetti valorizzati in campo linguistico, dove le dimensioni linguistica, sociale e politica si intersecano funzionalmente: da un lato il democratico diritto a una valida educazione da spendere in campo lavorativo/economico e come arricchimento personale, dall’altro si sottolinea come l’educazione linguistica possa favorire la tolleranza, la comprensione tra culture e di conseguenza la coesione sociale. Ancora più dettagliatamente si sottolineano le tre dimensioni sovra citate negli obiettivi ufficiali dell’AEL:
a. aumentare la consapevolezza del patrimonio linguistico europeo e sviluppare un’apertura ai diversi linguaggi e alle diverse culture come fonte di arricchimento reciproco da promuovere e proteggere nelle società europee;
b. motivare i cittadini europei a sviluppare il plurilinguismo, vale a dire sviluppare un certo livello di capacità di comunicazione in diverse lingue, tra cui quelle lingue meno diffuse e insegnate; si viene così a
36
http://edl.ecml.at/Abouttheday/Origins/tabid/1520/language/fr-FR/Default.aspx, ultimo accesso 09/05/17.
migliorare la comprensione reciproca, una più stretta cooperazione e la partecipazione attiva al processo democratico europeo;
c. incoraggiare e sostenere l'apprendimento delle lingue per tutta la vita al fine dello sviluppo personale dei cittadini europei, in modo che possano acquisire tutte le competenze linguistiche necessarie per far fronte ai cambiamenti economici, la società sociale e culturale.37
Questa concezione caratterizza le fil rouge che giungerà fino ai giorni nostri. L’AEL, come la maggior parte dei progetti a livello europeo ha il fine di allargare e diffondere il dibattito relativo alle pratiche linguistiche e alle politiche linguistiche incentivando e promuovendo le proprie pubblicazioni. Amplia inoltre il raggio di azione dato che punterà sulla cooperazione non limitatamente all’Europa: ad esempio con l’Unesco e altre organizzazioni non governative. I suoi canali saranno molteplici: eventi, conferenze, dibattiti televisivi, festival, concorsi, campagne, esposizioni. L’evento più significativo è la celebrazione e l’istituzione della Giornata europea per le lingue che ricorre ogni anno il 26 settembre, ribadendo attraverso corsi, conferenze, dibattiti, la sensibilizzazione alla varietà linguistica e culturale europea promuovendola e valorizzando l’apprendimento delle lingue rivolto a qualsiasi tipologia di utente.
I.2.2 Il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue e il Portfolio europeo per le lingue
Il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue: Apprendimento, Insegnamento, Valutazione (fr:CECR en:CERF) rappresenta l’opera summa delle attività europee in ambito linguistico e di educazione linguistica, la pietra miliare dell’insegnamento/apprendimento e il faro per i programmi e le politiche linguistiche successive.
Analizzando l’incipit del I capitolo riassumiamo gli obiettivi principali:
37
http://www.coe.int/t/dg4/linguistic/Source/LivreAEL_FR.pdf pag. 5, ultimo accesso 09/05/17.
Le Cadre européen commun de référence offre une base commune pour l’élaboration de programmes de langues vivantes, de référentiels, d’examens, de manuels, etc. en Europe38
ossia dotare l’Europa di riferimenti comuni per un’educazione linguistica: dal piano scolastico/accademico, all’ambito dei corsi di lingua, delle certificazioni e della formazione personale
Il décrit aussi complètement que possible ce que les apprenants d’une langue doivent apprendre afin de l’utiliser dans le but de communiquer; il énumère également les connaissances et les habiletésqu’ils doivent acquérir afin d’avoir un comportement langagier efficace.39
analizzando ed elaborando le competenze generali e linguistiche necessarie per acquisire una lingua con il fine principale della comunicazione “La description englobe aussi le contexte culturel qui soutient la langue40”, tenendo in debita considerazione la dimensione sociale e culturale
Enfin, le Cadre de référence définit les niveaux de compétence qui permettent de mesurer le progrès de l’apprenant à chaque étape de l’apprentissage et à tout moment de la vie.41
Infine probabilmente la componente che più ha avuto un impatto sul piano internazionale: la definizione di livelli e dei descrittori comuni di competenza linguistica.
I livelli ( o descrittori o indicatori) comuni A1 A2 B1 B2 C1 C2 (che si articolano su tre livelli generali suddivisi poi per tre attività, si veda le figure n.4-5) appartengono ormai al linguaggio di chiunque voglia approcciarsi a un corso di lingua, un manuale, una certificazione, e in primis alla compilazione di un curriculum vitae, grazie anche alla diffusione del progetto EUROPASS42 che ha prodotto nel 2012 il comunemente noto “cv formato europeo”, creato grazie alla collaborazione della Commissione europea e del Centro europeo per
38
https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId =09000016802fc3a8 pag. 9, ultimo accesso 09/05/17.
39 Ibidem. 40 Ibidem. 41 Ibidem.
lo sviluppo e la formazione professionale, col fine di fornire uno strumento internazionale che attesti le competenze professionali e accademiche fra cui figura il Portfolio europeo per le lingue.
Figura 4. Descrittori QCER e PEL
Figura 5. Attività descrittori QCER e PEL
Non ci addentreremo nella loro descrizione, senza tuttavia togliere risalto all’indubbio impatto in campo linguistico dei livelli comuni, che per l’epoca offrivano riferimenti dettagliati ed esaustivi. Il ruolo preponderante è sicuramente quello unificatore, che a livello internazionale ha permesso non solo una comparazione e un allineamento di parametri valutativi, così importanti come quelli linguistici, ma ha concesso all’apprendente anche fuori dall’insegnamento scolastico e formale di conoscere e interrogarsi sulle componenti specifiche della propria competenza a ogni livello.
Il QCER non adotta volutamente specifiche teorie linguistiche né metodi e approcci didattici, descrive il funzionamento e le strategie dell’apprendimento/insegnamento e della valutazione, essendo concepita come un’opera di riferimento non prescrittiva, in cui la dimensione comunicativa e sociale orientata all’azione e alla lingua d’uso ha comunque un ruolo predominante.
C Avanzato
B Intermedio
A Elementare
•C2 Padronanza •C1 Efficacia •B2 Progresso •B1 Soglia •A2 Sopravvivenza •A1 ContattoScritto
Parlato
Comprensione
•Interazione •Produzione orale •Ascolto •LetturaAnche se adombrati dal successo degli indicatori all’interno del QCER erano già presenti in primo piano l’importanza del plurilinguismo e la promozione di un’educazione plurilingue e interculturale. Nel capitolo V si descrivono le competenze generali e linguistiche in relazione all’uso e alla conoscenza di una lingua richieste da un particolare evento comunicativo fornendo delle liste dettagliate di elementi che costituiscono i diversi tipi di competenza.
Sul piano linguistico le competenze sociolinguistica e pragmatica sono in ambito comunicativo quelle più legate alla conoscenza culturale, alle norme sociali e al sistema di valori nell’incontro con un interlocutore appartenente a una cultura diversa dalla propria, si sottolineano però anche i tratti tipici di una prospettiva interculturale (l’aggettivo interculturale ricorrerà svariate volte nel capitolo). Ad esempio le competenze generali racchiudono il savoir (sapere strictu sensu o competenza culturale) che comprende la cultura generale o meglio la conoscenza del mondo e quindi il sapere socioculturale: questa conoscenza della cultura e della società sottostante a una lingua non è di norma pregressa e spesso è basata su stereotipi, questo sapere in realtà concorre a sviluppare una “presa di coscienza interculturale”. Non ci si limita alla conoscenza della ricchezza delle diversità regionali europee, ma anche a considerare il modo in cui appariamo noi agli altri o una determinata cultura appare agli occhi di un’altra.
A sua volta queste attitudini vengono considerate nel concetto di savoir-faire, ossia come comportarsi, e interculturalmente parlando, si sottolinea l’importanza della capacità “d’établir une relation entre la culture d’origine et la culture étrangère”43
, la sensibilità per acquisire strategie volte al riconoscimento dell’altra cultura a al fine di stabilire un contatto con i suoi esponenti. Si descrive così una particolare capacità che permette all’utente/appredente di ricoprire un ruolo di vero e proprio intermediario culturale, per evitare incomprensioni e sciogliere conflitti interculturali e oltrepassare le relazioni superficiali stereotipate sfociando auspicabilmente in
43
https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId= 09000016802fc3a8, ultimo accesso 09/05/17.
una sorta di empatia. Non per ultimo il savoir-être (o competenza esistenziale) descrive quelle caratteristiche svincolate dalla conoscenza e dall’educazione ma peculiari di ogni individuo: le nostre motivazioni, i fattori personali che ci spingono a conoscere e a interagire in una lingua diversa dalla propria, i nostri stili cognitivi e soprattutto i tratti della nostra personalità. Insieme di capacità e attitudini coinvolte sia nell’atto comunicativo che nell’atto di apprendere una LS o L2. Un obiettivo educativo importante viene per l’appunto considerato “le développement d’une personnalité interculturelle”44
che si fonda su queste
attitudini e sulla consapevolezza propria e altrui. Nel Cap.VIII trattando la diversificazione linguistica nella progettazione del curriculum si propongono inoltre le definizioni della competenza plurilinguistica e di quella interculturale.
L’altro “grande” documento è il "Portfolio europeo delle lingue". Questo rappresenta essenzialmente un documento personale che testimonia e attesta la propria “storia linguistica”.
Diviso in tre sezioni : 1. il Passaporto
2. la Biografia linguistica 3. il Dossier
Essenzialmente rende possibile indicare, tramite un’autovalutazione le proprie competenze linguistiche utilizzando i descrittori del QCER (Sezione Passaporto). La funzione documentaria risulta dettagliata dalla Biografia linguistica che registra le fasi dell’apprendimento e delle proprie esperienze linguistiche e culturali ossia il contatto con le lingue, rappresentando anche un utile strumento con funzionalità didattica. È possibile monitorare così il processo di acquisizione/apprendimento e permette di autovalutarne le fasi e i livelli raggiunti. Il Dossier permette di mostrare in pratica i livelli raggiunti e le
44
https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId= 09000016802fc3a8, ultimo accesso 09/05/17.
modalità adottate tramite la raccolta della propria produzione linguistica e degli strumenti che la hanno permessa(e.g. registrazioni, gruppi di lavoro,etc.)
Nel 2016 è stata lanciata on line una versione, al momento pilota, che rivisita e amplia i descrittori del QCER, frutto di un aggiornamento biennale realtivo agli anni dal 2014 al 2016. L’esigenza sorge anche dalle svariate richieste per continuare a sviluppare i descrittori e colmare le lacune riscontrate alla luce dei nuovi strumenti disponibili. Si rivedono, solo per citare un esempio, aspetti già presenti come quelli relativi alla fonologia: l’introduzione del controllo fonologico, e subalterni il riconoscimento di suoni e articolazioni e dei tratti prosodici. Inoltre si arricchiscono i descrittori per un livello pre-A1 e si revisiona il livello C e in aggiunta si adeguano i livelli agli apprendenti più giovani. Sul versante dell’innovazione si aggiungono domini all’epoca della pubblicazioni non presenti o non rilevanti come al giorno d’oggi: il telefono, le telecomunicazioni e l’interazioni on line, che attualmente hanno rivoluzionato e dominano la nostra comunicazione.
Si elaborano nuovi descrittori per una nuova componente come la mediazione (aspetto che approfondiremo nel II capitolo), che affiancherà la ricezione, l’interazione e la produzione, la quale riveste in linea con i tempi un’importanza per il contesto plurilingue e pluriculturale, indispensabile ad esempio per l’integrazione dei migranti.
I.3 La contemporaneità
I.3.1 Plurilinguismo e intercultura
Negli ultimi anni il maggiore investimento delle politiche linguistiche europee si è focalizzato, come abbiamo premesso, sugli aspetti legati al plurilinguismo e all’intercultura per arrivare a elaborare, con una certa enfasi, riflessioni e strumenti finalizzati alla formazione e all’educazione di un cittadino europeo plurilingue immerso in un contesto sempre più multilingue.
Prima di affrontare l’argomento necessita un breve chiarimento terminologico, dato che spesso i termini in questione sono usati con accezioni diverse nelle differenti lingue europee e nelle diverse discipline, possono quindi risultare polisemici. Nella maggior parte dei documenti pubblicati sotto l’egida del Consiglio d’Europa, l’aggettivo multilingue è essenzialmente impiegato come attributo per una società, mentre plurilingue per un individuo. Plurilingue non è quindi in rapporto di sinonimia perfetta con poliglotta come succede in italiano, il quale in realtà rappresenta una sorta di iperonimo, che designa qualitativamente un individuo padroneggiante più lingue con un’accezione spesso implicita di un alto livello di competenza e di perfomance. Il plurilinguismo a cui siamo chiamati a rispondere attualmente, incentivato negli anni dalle istituzioni europee, è essenzialmente già insito nelle nostre società, accresciuto dall’educazione linguistica e dalla intensa mobilità dei cittadini europei. Con multilinguismo, nei documenti del Consiglio d’Europa, si identifica il fenomeno peculiare di quelle aree geografiche in cui per ragioni territoriali o storiche/politiche (e.g. regioni di confine) sono presenti più di una lingua, da sottolineare come questo non implichi che ogni abitante parli necessariamente tutte le lingue presenti. Per l’Unione Europea il termine multilinguismo invece racchiude entrambi i significati precedentemente esposti, come del resto il termine possiede in lingua inglese. Possiamo parlare di multilinguismo endogeno per quanto riguarda qualsiasi società europea riferendosi alla coesistenza della lingua nazionale (di norma corrispondente a
quella maggioritaria e per questo definita anche dominante), delle sue varietà, di dialetti e di lingue minoritarie, che nel tempo possono essere state più o meno tutelate o osteggiate. In numerosi territori di Stati facenti parte l’UE sono presenti più lingue contemporaneamente, solo per citare alcune co-presenze di lingue.: da Stati come il Belgio dove sono riconosciute ufficialmente tre lingue in rappresentanza delle tre maggioritarie componenti etniche/culturali (francese (vallone), olandese (fiammingo) e tedesco); all’ Italia dove nello specifico parliamo di minoranze linguistiche, là dove sono presenti piccole componenti della popolazione che hanno una lingua materna diversa da quella maggioritaria, che nel nostro caso coincide con quella italiana. Spesso la lingua minoritaria è anche legata ad un’identità collettiva diversa, come nel caso del Südtirol che si identifica con l’identità austriaca o in Valle d’Aosta dove il francese affianca ufficialmente l’italiano. Cosa che non avviene per default in medesime condizioni, per esempio nei parlanti la lingua catalana ad Alghero. I casi sovra menzionati rappresentano una forma di multilinguismo dovuto a fattori storici e geografici e vantano una tradizione di politiche linguistiche consolidate e codificate dalle leggi regionali e dello Stato nazionale (come vedremo per l’Italia nel III capitolo § III.1.2.).
A fianco di queste realtà storiche si va delineando un multilinguismo di natura esogena dovuto ai flussi migratori e agli spostamenti per motivi lavorativi di cittadini europei sempre più significativi, come dimostrano i dati a inizio capitolo. Nessuna società può definirsi tout court monolingue e addirittura nemmeno nessun individuo: proprio in questa direzione si sono orientati i più recenti studi promossi dalla Divisione delle politiche linguistiche, evidenziando come una forma di plurilinguismo sia essenzialmente una condizione già esistente nella società. Già all’interno di un sistema monolingue figurano differenti varietà: diafasiche (relative al contesto), diatopiche (relative alle aree geografiche), diastatiche (relative alla stratificazione sociale), diamesiche (relative al mezzo di comunicazione), varietà che in misura diversa concorrono a formare ed esprimere una delle molteplici identità sociali e linguistiche di un parlante.
Come sottolineano Jean-Claude Beacco e Michael Byram (coautori del testo analizzato nel capitolo successivo):
du point de vue du science du langage, toute variété linguistique, quel que soit son statut social, est un systeme de signes qui sert de base à la communication d’un groupe humaine45
Un parlante monolingue padroneggia a livelli diversi varietà distinte, che possono rappresentare le varie identità linguistiche legate ai differenti contesti d’uso e agli ambienti sociali a cui appartiene, incrinando così una visione idealizzata, come quella di un parlante nativo, a cui sovente si tende nell’apprendimento/acquisizione di una lingua straniera. Si possono annoverare: il registro del proprio nucleo familiare, del proprio gruppo etnico, dei vari gruppi sociali, della propria generazione, delle attività che svolge a fine lavorativo o ricreativo. Il grado personale di competenza sarà poi determinato dal percorso di studi intrapreso, dal lavoro svolto, dalle motivazioni, dall’esperienza e dagli interessi personali, fattori quest’ultimi presi in grande considerazione dagli approcci didattici comunicativi e umanistici più recenti.
Il plurilinguismo è genetico come sottolinea De Mauro (2014), e rappresenta anche una realtà attuale in fieri vicina al cittadino europeo, come esperienza individuale e biografica, e come esperienza “collettiva” di appartenenza a uno spazio politico e culturale comune. Citando Daniel Coste: “C’est le monolinguisme qui devient l’exception, le plurilinguisme la presque règle.”46
Inoltre sul versante culturale e storico Tullio de Mauro47 propone riflessioni interessanti relativamente alla presenza di ulteriori fattori unificanti non solo linguistici, ma strettamente legati, solo per citarne alcuni:
45
Jean-Claude Beacco and Michael Byram Guide pour l’elaboration des politiques
linguistiques educatives en Europe. De la diversité linguistique à l’éducation plurilingue
Strasbourg 2003 pag.25, http://www.coe.int/t/dg4/linguistic/Guide_niveau3_FR.asp ultimo accesso 09/05/17.
46
Daniel Coste Diversité des plurilinguisms et formes de l’éducation plurilingue et
interculturelle Les Cahiers de l'Acedle, volume 7, numéro 1, 2010 .Notions en questions en
didactique des langues – Les plurilinguismes p.144, fonte:
https://acedle.org/old/IMG/pdf/Coste_Cahiers-Acedle_7-1.pdf, ultimo accesso 09/05/17.
47
Tullio de Mauro, In Europa son già 103 Troppe lingue per una democrazia, Bari:. Laterza, 2014.
a. La diffusione dell’alfabeto greco che poi genererà quelli latino e cirillico utilizzati da tutte le lingue europee;
b. La basi giuridiche che nascono dalla common law e dalla civil law degli antiche romani;
c. La cultura letteraria e scientifica greco-romana che contribuirà alla formazione del lessico intellettuale europeo;
d. La cristianizzazione.
Sul versante didattico, analizzando le società europee e i loro approcci all’educazione linguistica si trova quindi un campo fertile per l’incentivazione del plurilinguismo e l’interculturalità, dato che si può notare come ogni società sia già intrinsecamente plurale e multilingue, nello specifico come il contesto educativo presenti tale condizione da un punto di vista linguistico:
Figura 6 Lingue di scolarizzazione, tratto da AA.VV. Education Plurilingue comme projet, Divisione delle politiche linguistiche europee, Consiglio d'Europa,2009, (si veda BIblioografia)
L’apprendente in contesto di scolarizzazione si trovi a rapportarsi con:
a. la lingua di scolarizzazione, di norma una e maggioritaria nello stato, medium per la trasmissione degli altri insegnamenti, definita il pivot, da cui costruire l’insegnamento plurilingue per
far partire la riflessione linguistica sulla presa di coscienza della propria complessità e varietà interna in rapporto alle varietà esterne. Ed essa stessa materia di insegnamento.
b. le lingue straniere moderne (significativamente in francese “vive”), non presenti nell’ambiente comunicativo quotidiano. Tale insegnamento innanzitutto deve abbandonare l’aspirazione al modello utopistico del parlante nativo. Può tenere al contrario in considerazione i recenti studi neuorofisiologici (si veda avanti § I.3.3) relativi ai periodi critici più adatti per l’acquisizione di determinate competenze in maniera più ottimale. Assieme si annoverano le lingue classiche, caratterizzate dalla mancanza della componente orale e comunicativa, le quali tuttavia rappresentano un sistema linguistico e culturale.
c. le lingue minoritarie o regionali, di cui l’apprendente può essere o meno parlante, le quali possono essere o meno oggetto di insegnamento, affianco alle nuove lingue degli alunni immigrati, lingue d’origine parlate in famiglia, che possono o meno essere valorizzate come risorsa linguistica.
d. le lingue delle altre materie, usualmente insegnate nella lingua di scolarizzazione, portano comunque in sé forme di comunicazione differenti ed extralinguistiche, dal grafico all’illustrazione, spesso la trattazione scientifica è mediata dall’inglese come lingua franca.
Ovviamente ogni condizione plurilinguistica è difficilmente svincolabile dal proprio contesto e mostra una notevole complessità. Si possono tuttavia evidenziare basi comuni e comportamenti da evitare, come ad esempio uno dei
più significativi dovuto all’utilizzo esclusivo della lingua nazionale come lingua di scolarizzazione, portatrice di identità, ossia come lingua per l’insegnamento delle altre materie, la quale può ostacolare il processo di apprendimento in particolar modo come sottolinea Byram:
pour les enfants qui parlent une langue totalement différente à la maison. S’ils sont encouragés à «oublier» la langue de la maison, les effets risquent d’être encore plus négatifs, car cela revient à leur demander d’«oublier» la langue qui les rattache à la maison48
Appurato che la condizione plurilingue, o quanto meno plurale, è presente nella nostra società, è possibile proiettarci in contesto globale attraverso un approccio più olistico delle competenze richieste.
Alla luce degli ultimi 50 anni di storia della didattica delle lingue è ormai, se non impossibile, almeno sconsigliabile, approcciarsi all’insegnamento di una lingua svincolandola in primis dai fini comunicativi e sociali (metodo nozionale-funzionale, etc.) e in secundis dal nesso lingua-cultura. Fatta forse eccezione per una lingua franca, come ormai è da considerarsi l’inglese a livello mondiale. Lingua franca dei contesti turistici, economici, accademici e istituzionali perde in larga parte le proprie peculiarità culturali, anche se il processo di globalizzazione attraverso la diffusione dell’inglese almeno per i fenomeni pop, dal vestiario alla musica, ha avuto come base “culturale” la cultura consumistica e l’immaginario anglo/statunitense.
Riassumendo il plurilinguismo viene inteso come la competenza “potentielle et/ou effective à utiliser plusieurs langues, à des degrés de compétence divers et pour des finalités différentes.”49
: non solo contempla le diverse lingue utilizzate, ma da apprendere, attraverso l’insegnamento formale o meno, e
48
Michael Byram Langues et identités Etude preliminaire. Langues de scolarisation Conférence intergouvernementale Langues de scolarisation: vers un Cadre pour l’Europe Strasbourg 16-18 octobre 2006. Division des Politiques linguistiques, Strasbourg
www.coe.int/lang/fr, ultimo accesso 09/05/17.
49
Jean-Claude Beacco and Michael Byram Guide pour l’elaboration des politiques
linguistiques educatives en Europe. De la diversité linguistique à l’éducation plurilingue
Division des Politiques linguistiques Conseil de l’Europe Strasbourg 2003 pp 8 (si veda bibliografia).
implica quindi un repertorio di più lingue, non necessariamente conosciute in egual misura. Ogni lingua è poi portatrice di una conoscenza e di un’esperienza culturale, da qui l’interculturalità. La competenza plurilingue, concepita come vero e proprio valore democratico, è considerata alla base di una sensibilizzazione che favorisca una capacità di tolleranza linguistica, la quale vedremo in seguito si intreccia necessariamente con la competenza interculturale. La consapevolezza della competenza plurilingue offre la possibilità di riconoscere e considerare sullo stesso piano le diverse varietà conosciute anche se con differenti scopi comunicativi. Il districarsi fra più codici differenti implica un’adattabilità più marcata, una capacità a cambiare registro, ad utilizzare diversi canali di comunicazione, a riconoscere le proprie esigenze comunicative e le altrui così da saperle fronteggiare, e a sopperire per esempio là dove i livelli di competenza non corrispondano.
I.3.2 La promozione del plurilinguismo
Nel 2002 durante il Consiglio europeo tenutosi a Barcellona, dove si sono trattate strategie a livello comune in campo prevalentemente economico, analizzando le basi di un’economia competitiva si è evinta l’importanza della conoscenza, e quindi dell’educazione e della formazione. Tra le misure da adottare in questo ambito emerge infatti l’esigenza educativa conosciuta poi con il nome di “obiettivo Bercellona” :
to improve the mastery of basic skills, in particular by teaching at least two foreign languages from a very early age: establishment of a linguistic competence indicator in 2003;50
ossia l’insegnamento di almeno due lingue straniere sin dalla tenera età.
Il primo passo ufficiale inerente al plurilinguismo è rappresentato dalla comunicazione della Commissione europea del 2005 Una nuova strategia
50
http://ec.europa.eu/invest-in-research/pdf/download_en/barcelona_european_council.pdf, pag.19, ultimo accesso 09/05/17.