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ASPETTI SFAVOREVOLI NELL’USO DI STRUMENT

IV.I POLITICHE AMBIENTALI E RISPETTIVI STRUMENTI: NOTE

IV.I.III TERZA FASE: STRUMENTI ECONOMICI

IV.I.III.III ASPETTI SFAVOREVOLI NELL’USO DI STRUMENT

È chiaro che vi sono, anche, elementi che possono essere considerati negativi nell’uso di questo strumento, soprattutto dovuto alla mancata comprensione del funzionamento del sistema, o nel caso in cui gli agenti economici, in particolare aziendali, dovessero considerare l’uso degli strumenti economici come costi addizionali nel processo produttivo, o non poter o non voler trasferire i costi finali eventualmente incorporati al consumatore finale. Si prefigura così il rischio serio che il mercato escluda quelle imprese che non sono state in grado di adattarsi alle nuove regole, per la perdita di competitività in ragione delle esigenze stabilite dagli stessi consumatori di acquistare soltanto prodotti “ecologicamente corretti” o quelli che abbiano fatto propria la “variabile ambientale" all’interno dei processi

produttivi. In tal modo, non attraverso un intervento governativo, bensì per la stessa selezione dei consumatori, i prodotti o i servizi “ecologicamente sospetti” non saranno sanzionati nel mercato ma finiranno per scomparire.216

Gli agenti economici che non fossero in grado di comprendere una tale prospettiva e non adottassero, nelle rispettive strategie aziendali, le variabili sociali e ambientali, facendo proprie soluzioni del tipo “guadagna-guadagna”, trascurando che la protezione dell’ambiente non è solo una questione di strategia commerciale, ma anche una condizione di esistenza nel mercato, saranno inesorabilmente votati all’insuccesso. Coloro che, d’altro canto, sapessero approfittare delle opportunità che vanno sorgendo in questi “nuovi” mercati, oltrepassando le tradizionali resistenze, saranno gli agenti economici che sopravvivranno.

Al di là di ciò, non si può non riconoscere che, nella logica del principio dell’inquinatore-pagatore e il correlato consumatore-pagatore, l’adozione di strumenti economici sarà seguita da una “pressione addizionale nella struttura dei costi”217, il che implicherà l’aumento di prezzo del prodotto

finale. La questione che sorge è sapere se il “consumatore-cosciente”, colui che rivendica migliori condizioni ambientali sarà “disposto a pagare” per questo costo addizionale. È evidente che ciò dipenderà da un cambiamento culturale nella società spinta da seri programmi formali e informazioni di educazione ambientale.218

216 GUIMARÃES Et. Al., op. cit., p.80 217 Idem, p. 81

218 In Brasile, la Legge nº 9795, del 27 aprile 1999, a cui è seguita la regolamentazione

mediante Decreto nº 4281, del 25 giugno 2002, dispone sulla educazione ambientale, istituisce la Politica Nazionale di Educazione Ambientale e fornisce altre misure, stabilisce che “L’educazione ambientale é una componente essenziale e permanente della educazione

Un altro elemento negativo nell’uso degli strumenti economici è il fenomeno della “mercantilizzazione”delle risorse naturali o dei beni ambientali, o, anche, della percezione errata del principio dell’inquinatore- pagatore, inteso come principio secondo cui chi paga sarebbe autorizzato ad inquinare219. La società può percepire l’uso dei meccanismi di mercato non

come un mezzo efficace nella tutela dell’ambiente, ma una strategia di mercato in modo che quelli che dispongono di risorse finanziarie continuino ad inquinare, “pagando” per questo. Questo non risolverebbe i problemi ambientali, al contrario, li aggraverebbe nella misura in cui gli agenti economici sarebbero autorizzati a continuare ad inquinare. Poiché i costi sarebbero poi inevitabilmente trasferiti nei prezzi, la diluzione del costi in milioni di consumatori sempre più avidi di consumo produrrebbe un effetto contrario ed escludente, ossia, i consumatori (siano consumatori di materia prima o del prodotto finale, così come le nazioni come un tutto) più ricchi continuerebbero ad inquinare pagando per farlo, mentre ai poveri spetterebbe unicamente la scelta di non far ricorso alle risorse ambientali, non disponendo nazionale, che deve essere presente, in forma articolata, a tutti i livelli e modi del processo educativo, in maniera formale e non formale” (art. 2º), intendendo l’educazione ambientale come “I processi per mezzo dei quali l’individuo e la collettività costruiscono valori sociali, conoscenze, abilità, attitudini e competenze orientate alla conservazione dell’ambiente, bene di uso comune del popolo, essenziale alla benefica qualità di vita e sua sostenibilità” (art. 1º). Dispone, inoltre, che l’“educazione ambientale nell’educazione scolare deve essere sviluppata nell’ambito delle attività delle istituzioni di istruzione pubbliche e private, riguardando: I – educazione basica: a) educazione infantile; b) scuola primaria e c) scuola media; II – educazione superiore; III – educazione speciale; IV – educazione professionale; V – educazione di giovani e adulti” (art. 9º), e che comprende l’”educazione ambientale non-formale, le azioni e pratiche educative orientate alla sensibilizzazione della collettività sulle questioni ambientali e la loro organizzazione e partecipazione nella difesa della qualità dell’ambiente.” (art. 13).

219 Questa una delle critiche al funzionamento del Meccanismo di Sviluppo Pulito del

Protocollo di Kyoto, secondo la quale i Paesi Annesso I della Convenzione Quadro potrebbero continuare ad inquinare, “pagando” ai Paesi Non Annesso I.

di risorse. Ossia, i ricchi continuerebbero ad inquinare, e i poveri continuerebbero a non aver accesso ai beni essenziali della vita, data la scarsità generata dal sovra sfruttamento.

Effetto simile può essere percepito nell’ambito del Meccanismo di Sviluppo Pulito, del Protocollo di Kyoto. I critici dell’uso di questi permessi negoziabili, in ambito internazionale, considerano il meccanismo come un modo per i paesi ricchi, sebbene impegnati in obiettivi di riduzione delle emissioni dei gas serra, di continuare ad usare senza misura le risorse naturali o ad emettere questi gas nei propri processi industriali o agricoli, pagando ai paesi anfitrioni dei progetti di CDM (in particolare i paesi in via di sviluppo, come Brasile, Cina e India) affinchè questi riducano le loro emissioni, e in paesi ricchi utilizzino tali riduzioni avvenute in territorio straniero nei loro stessi conti, per raggiungere gli obiettivi a cui sono vincolati. Con questo meccanismo, dunque, i paesi ricchi potrebbero “truffare” l’accordo sul clima, pagando ai paesi più poveri, il che implicherebbe – secondo i critici – l’assenza di efficacia nelle azioni.

Ad ogni modo, nonostante le critiche che subiscono, i meccanismi del mercato devono essere adattati e ampliati. Considerato che la cosiddetta “crisi ambientale” nasce nell’ambito del sistema dell’economia e nella sua espressione palpabile, ossia il mercato, é lá che il Governo (Regolatore) deve intervenire per internalizzare le esternalità ambientali, allo stesso tempo tenendo presente la necessità di una scala sostenibile, un limite etico per lo sfruttamento delle “risorse” naturali, e non soltanto la capacità dell’ambiente di offrire risorse naturali per il funzionamento del sistema economico e assorbire i rifiuti.