• Non ci sono risultati.

IL MERCATO È LUOGO NATURALE O ARTIFICIALE?

III.IV AMBIENTE E MERCATO

III.IV.VI IL MERCATO È LUOGO NATURALE O ARTIFICIALE?

Natalino Irti116 sostiene che l’economia di mercato è un luogo artificiale

(locus artificialis), non naturale (locus naturalis), che deriva da decisioni politiche, accolte dal diritto che, a sua volta, conferiscono forma all’economia. I diversi regimi dell’economia variano a seconda del periodo storico in cui si verificano e, di conseguenza, nessuno di questi può dirsi assoluto e definitivo. Non si deve parlare, dunque, di naturalismo economico, al contrario, le cosiddette “leggi dell’economia” sono sempre ricche di istituti giuridici, come nel caso delle leggi relative alla proprietà privata, all’autonomia contrattuale, all’obbligo di adempiere agli accordi o alla libertà di disposizione testamentaria. Questi istituti sono definiti in un dato momento storico, come prodotto della volontà umana e risultato di battaglie politiche, che si trasformano conseguentemente in istituti giuridici. Esiste, poi, una innegabile

116 IRTI, Natalino. L’Ordine Giuridico del mercato. Roma-Bari: Gius. Laterza & Figli

ed intrinseca connessione tra diritto e economia. Ma questo diritto, sarebbe diritto statale o il mercato sarebbe capace di produrre il proprio diritto? Anche laddove il mercato postuli una netta distinzione tra il “mio” e il “tuo”, spetta al diritto statale definire cosa sia il “mio” o il “tuo”, ossia, stabilire un criterio determinativo. Così, il diritto regola lo scambio e determina cosa sia “mio” o “tuo”, criteri che definiscono l’appartenenza dei beni, o rectius il diritto di proprietà. In questo modo, i “liberisti di cattedra” immaginano una spontanea normatività del mercato, una specie di naturalismo, trascurando tuttavia di spiegare cosa garantisca l’efficacia vincolante di un contratto, per esempio, che non si esaurisca in se stesso (si immagini la necessità di una esecuzione forzata, di un intervento statale, di un contratto non adempiuto).

Ora, in tal modo, quando si afferma che il diritto dà forma all’economia e il mercato si risolve in statuto di norme, si vuole dire che la volontà politica tradotta in istituzioni giuridiche presuppone tutte le situazioni.

Anche quando lo Stato si allontana dall’economia, delegando e privatizzando, questo non determina un’assenza di politica economica, bensì una comprensione o una scelta politica di un determinato regime di proprietà e dei contratti.

Il problema sorge con la globalizzazione, andando oltre i limiti territoriali di validità delle norme dei singoli stati. In assenza di una prescrizione eteronoma nell’economia, quest’ultima produrrebbe di per sè il proprio diritto, ossia, sorgerebbe una “spontanea normativa di mercato”? Ovviamente, no. Il problema sarebbe, unicamente, individuare quale diritto sia applicabile, guardando ancora una volta alle decisioni politiche che indichino il cammino da percorrere, frutto di accordi tra gli stati, affinchè il

diritto abbracci l’economia planetaria. Qualunque sia la scelta, sarà politica, e, dopo, giuridica, ritornando al carattere di artificialità, che caratterizza il mercato, ossia una assoluta innaturalità, priva di fondamenti immutabili.

Così, la Lex mercatoria deve essere garantita e assicurata dal potere sovrano, e questa inclusione non è un posterius, ma un prius, poichè gli Stati predeterminano il lecito e l’illecito, il protetto e il rifiutato, che non deriva da leggi naturalistiche o criteri oggettivi, ancorchè tecnici, ma da un volere umano. Nelle parole di Irti:

“E sempre agli Stati si rivolge l’estremo appello dell’economia, quando – come già notammo – gli accordi privati siano ineseguiti e il bisogno della forza coercitiva diventi indifferibile. Proprio codesto appello dimostra che i singoli accordi, e la stessa Lex mercatoria, non costituiscono fonti originarie di diritto, ma sempre presuppongono gli ordinamenti statali.”117

Natalino Irti, in tal modo, giunge alla conclusione di una necessaria conformazione dell’economia al diritto, poichè non solo è subordinata alla conoscenza – alla tecnica118, ma alla lotta politica per difendere, modificare o

abolire un determinato sistema giuridico-economico.

Nello stesso passo, Irti difende119 l’adeguatezza della “complessa e

lucida” soluzione adottata per questo problema da Friedrich August Von Hayek, sebbene non esente da critiche, il quale, adottando il metodo delle dicotomie successive, definisce, innanzitutto, un “ordine” come uno stato di cose nel quale possiamo creare prospettive e ipotesi per il futuro e che può

117 IIRTI, Natalino. Op. cit., p. XI

118Si veda, in proposito: IRTI, Natalino. SEVERINO, Emanuele. Dialogo su diritto e

tecnica. Roma-Bari: Gius. Laterza & Figli Spa., 2001. 111 pag.

essere individuato sotto forma di cosmos o taxis. Cosmos sarebbe, in realtà, quell’ordine spontaneo che risulta dalla regolarità di comportamento degli elementi che la costituiscono, ossia, in tal senso, un sistema endogeno, intrinseco o autoregolamentato. Taxis, al contrario, sarebbe determinata da una azione esterna ad un certo ordine, essendo per ciò esogena o imposta. Il cosmos, in quanto spontaneo, non possiede scopo; la taxis, al contrario, risultato di un progetto o di una volontà che ha individuato ”fini particolari” o una “gerarchia particolare di fini”, è orientata alla possibilità di determinazione di valori e alla loro disposizione a seconda degli scopi perseguiti.

In tal modo, secondo l’ordine delle dicotomie, si giunge alla antitesi somma tra due generi di norme ovvero regole, direttamente riconducibili a ciascuno di questi ordini, che sono rispettivamente nomos e thesis. La prima, una norma spontanea, astratta e indipendente da qualunque fine specifico, di carattere universale, valida per tutti i casi e le circostanze descritte dalla norma, mettendo in condizione tutti coloro che si trovino nella situazione definita di adeguarsi per perseguire fini specifici. La seconda, che serve per gestire una organizzazione o una taxis, indica qualunque norma applicabile soltanto ad un soggetto in particolare ovvero che persegua i fini particolari di chi formula la norma.

Questa ‘grande dicotomia’ corrisponde alla nota distinzione tra il diritto privato e il diritto pubblico e ci porta ad una distinzione tra volontà e opinione, ossia, scelta dei fini e dei valori, facendo sorgere la distinzione antitetica tra nomocrazia e teleocrazia, laddove la nomocrazia sia da ricondursi al

cosmos, che si fonda su norme generali, o nomoi, mentre teleocrazia corrisponde ad una taxis indirizzata a dei fini particolari o teloi.

Conclude Hayek, tuttavia, che la struttura ordinata prodotta dal mercato è un cosmos, perché spontanea, e esattamente per questo motivo, diversa dall’ordinamento, o organizzazione, a cui si è dato il nome di economia (taxis).

La complessità di tale discorso, secondo Irti, possiede la virtù di mostrare che il mercato ha necessità di regole ordinatrici, “non già mani

invisibili, ma la piena e ferma visibilità di regole giuridiche”120; e che tali regole

ordinatrici, derivanti da scelte politiche, conferiscono forma al mercato, e più di ciò, a farlo è la stessa legge, che lo governa e lo costituisce, rendendolo un

locus artificialis e non locus naturalis, il che confermerebbe la sua tesi.

III.IV.VII LE POLITICHE AMBIENTALI E LA NECESSITÀ DI LIMITI ETICI