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Una trasformazione necessaria: vestire e pettinarsi all’orientale

L’abito è uno degli elementi che maggiormente marcano il confine fra Ici e Ailleurs, Je e Autre nel corso di tutto Voyage en Orient. Quando il viaggiatore fa scalo sull’isola di Siro, ancora prima di raggiungere Il Cairo, si rende conto che i vestiti degli abitanti locali, ridicoli se indossati a Parigi, sono in realtà tipici per quei paesi. Al contrario, è il suo abito scuro a provocare accessi di riso:

Le moyen de croire à ce peuple en veste brodée, en jupon plissé à gros tuyaux (fustanelle), coiffé de bonnets rouges, dont l’épais flocon de soie retombe sur l’épaule, avec des ceintures hérissées d’armes éclatantes, des jambières et des babouches. […] Chacun passe pourtant sans se douter qu’il a l’air d’une comparse et c’est mon hideux vêtement de Paris qui provoque seul, parfois, un juste accès d’hilarité. Oui, mes amis! c’est moi qui suis un barbare, un grossier fils du Nord, et qui fais tache dans votre foule bigarrée.210

La differenza fra abito occidentale e orientale è ancora più evidente quando il protagonista arriva al Cairo, città in cui le donne sono completamente velate. Con i loro abiti esse restituiscono al viaggiatore un’immagine pittoresca delle strade della città che assumono «l’aspect joyeux d’un bal masqué.»211 Con un po’ di attenzione, egli può

distinguere l’habbarah di taffetà leggero indossato dalle signore, dal khasmis, di lana o di cotone, che indossano le donne del popolo. Il velo, nascondendo il volto delle donne, accresce il senso di mistero, ma al contempo lascia spazio all’immaginazione di chi le osserva che può così idealizzarne le bellezze nascoste. Le estremità, mani e piedi, rimangono scoperte e le loro decorazioni contribuiscono a dare un tocco di esotismo. Infine gli occhi, unico elemento del viso a non essere velato, sono il carattere più seducente del corpo femminile.

Questa descrizione generica in apertura della sezione Les Femmes du Caire, si concentra subito dopo, nel sottocapitolo Une noce aux flambeaux, su quella della sposa al centro del corteo nuziale che il protagonista osserva dalla finestra del suo albergo.

210 G. de Nerval, Voyage en Orient, op. cit, p.134. 211 Ivi, p.149.

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L’episodio è sicuramente arricchito di colore locale ma se Nerval abbia davvero partecipato ad un matrimonio durante il suo soggiorno al Cairo, questo non è dato sapere con esattezza. In una lettera all’amico Gautier in cui parla delle usanze che ha potuto osservare in Egitto, egli afferma:

Comme moeurs j’ai vu de très curieux -la paque des Copthes et la fête de la naissance du Prophète puis le retour des pèlerins, où l’émir des hadjis passe à cheval sur le dos d’une foule de croyants -puis les mariages dont tu trouveras la

description exacte dans les deux volumes d’un anglais nommé Lane, intitulé Mœurs des Egyptiens.212

Non è chiaro se Nerval intenda dire che ciò che ha visto al Cairo è stato già descritto da Lane o se egli ha intravisto confusamente delle cerimonie che Lane è stato capace di descrivere con maggiore ricchezza di particolari nella sua opera Manners and costums of

the modern Egyptians. Resta il fatto che la descrizione degli abiti della sposa che il suo

personaggio osserva dalla finestra dell’albergo riprende in gran parte quella dello scrittore inglese: “[The bride] is generally covered from head to foot with a red Kashmeer shawl, or with a white or yellow shawl, tough rarely. Upon her head is placed a small pasteboard cap or crown.»213

Nerval, il cui obiettivo però non è quello di scrivere un’opera scientifica o antropologica, aggiunge alla scena alcuni tocchi di colore tipici della sua peculiare modalità descrittivo-narrativa a metà fra realtà osservata e dimensione onirica. Così la sposa diventa «un fantôme rouge portant une couronne de pierreries».214

L’analisi del suddetto sottocapitolo, che segue alla descrizione sopra riportata degli abiti della ragazza, è fondamentale per comprendere gli sforzi assimilativi del protagonista di

Voyage en Orient dell’alterità orientale. Ammirando il corteo nuziale che si snoda per le

strade della capitale, egli arde dal desiderio di unirsi alla folla variopinta nel bel mezzo della notte. Il dragomanno Abdallah lo mette allora in guardia sui gravi rischi che correrebbe qualora mantenesse gli abiti europei e cerca di dissuaderlo dal progetto. Tuttavia, ben determinato, il viaggiatore indossa il machlah che aveva precedentemente acquistato, si avvolge un fazzoletto attorno alla testa, e avendo già la barba lunga, si accinge a seguire il corteo per le strade illuminate del Cairo.

Sfruttando questo travestimento il protagonista riuscirà ad assistere da vicino allo spettacolo pittoresco del matrimonio. Egli continuerà, estasiato, a descrivere gli abiti a

212 G. de Nerval, Lettre à Théophile Gautier in Oeuvres, op.cit, p.141. Io sottolineo.

213 D.Cajus, Qu’alla-t-il faire au Caire ? Le Voyage en Orient de Gérard de Nerval, F. Pouillon et A. Bensa,

Terrains d’écrivains, Littèrature et etnographie, Anacharsis, Forcalquier, 2012, p.79.

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righe delle cantanti e delle danzatrici, la processione delle donne invitate alla cerimonia che portano lunghe mantelle nere e hanno il volto velato di bianco e, infine, il corteo degli uomini, anch’essi riccamente vestiti. Al termine di quel magico evento, il viaggiatore si dichiarerà orgoglioso di avervi preso parte nelle vesti di un vero e proprio cittadino egiziano. Questo atteggiamento mostra, da una parte la sua aspirazione di incontrare l’Altro e di identificarsi con lui, dall’altra il suo desiderio di mettere in questione la propria identità partecipando alle tradizioni orientali: «Saitisfait d’avoir figuré comme un véritable habitant du Caire et de m’être assez bien comporté à cette cérémonie […]».215 L’iniziale

sensazione di estraneità avvertita all’arrivo al Cairo lascerà spazio, grazie alla partecipazione a questo momento di gioia condivisa che è il matrimonio, alla percezione di comunione con quella terra: «Reste le voile…qui, peut-être, n’établit pas une barrière aussi farouche que l’on croit.»216

Questa prima avventura spingerà il protagonista a cercar di comprendere sempre di più le tradizioni della civiltà egiziana: il primo passo sarà cambiare residenza, come esaminato nel sottocapitolo IV.1.1, il secondo sarà prendere l’abito orientale. Finché continuerà a vestire l’habit noir, attirerà gli sguardi degli abitanti locali che lo identificheranno come un «aimable enfant du nord»,217potrà vivere da turista al Cairo ma non da abitante:

Des marchands d’habits m’entourèrent, étalant sous mes yeux les plus riches costumes brodés, des ceintures de drap d’or, des armes incrustées d’argent, des tarbouchs garnis d’un flot soyeux à la mode de Constantinople, choses fort séduisantes qui excitent chez l’homme un sentiment de coquetterie tout féminin. […] assurément, je ne veux pas tarder à prendre l’habit oriental.218

Un ulteriore episodio gli darà conferma dell’importanza di cambiare il suo modo di vestire. Il viaggiatore, in occasione della visita al mercato delle schiave per acquistarne una, indossa dei guanti, tipico accessorio dell’abbigliamento francese del XIX secolo. Questo genera stupore e paura allo stesso tempo in una delle schiave che, pensando che egli sia in grado di cambiare magicamente il colore della pelle delle proprie mani, lo scambia per la personificazione del diavolo:

La grande belle fille chargée de la cuisine […] me regarda d’un air dédaigneux et son attention ne fut attirée que par mes gants noirs. Alors elle croisa les bras

215 Ivi, p.153. 216 Ivi, p.146. 217 Ivi, p.175. 218 Ivi, p.204.

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et poussa des cris d’admiration. Comment pouvais-je avoir des mains noires et la figure blanche? Voilà ce qui dépassait sa compréhension. J’augmentai cette surprise en ôtant un de mes gants, et alors elle se mit à crier : «Bismillah! Enté

effrit? Enté Sheytan? -Dieu me préserve! Es-tu un esprit? Es-tu le diable?»219

Ormai consapevole dell’importanza di vestire l’abito del paese, il protagonista si reca alla boutique del barbiere dove «perd[is] [s]a chevelure européenne»220 e procede

all’acquisto di un takiè, il copricapo bianco orientale che si posa direttamente a contatto con la pelle, e di quello rosso che vi si appoggia sopra. Affinché la trasformazione sia ottimale, compra infine degli ampi pantaloni di cotone blu e un gilet rosso, decorato con un ricamo argentato. Il viaggiatore stesso ammette di avere difficoltà a riconoscersi così vestito: «Je sortis enfin de chez le barbier, transfiguré, ravi, fier de ne plus souiller une ville pittoresque de l’aspect d’un paletot-sac et d’un chapeau rond.»221

Far prendere al proprio personaggio l’abito del paese straniero e indossarlo egli stesso durante il suo viaggio, risponde alla volontaria deterritorializzazione di Nerval in Oriente. Come sottolinea J.-C. Berchet, il déguisement è una pratica che affonda le sue origini nella prudenza e nella curiosità ma anche nel bisogno di uscire da sé per realizzare una trasformazione e un arricchimento interiore:

Changer de vêtement, c’est presque changer de peau. […] Au siècle du col dur, cette allégresse révèle un bonheur physique (être à son aise) ; elle révèle aussi une transgression symbolique : renoncer à soi pour se faire autre.222

Nel corso del suo soggiorno al Cairo, il protagonista non solo assimilerà la cultura orientale, ma avrà anche modo di constatare come quella europea, seppure non in modo capillare come in Turchia, sia penetrata nella capitale egiziana. Per esempio, nell’episodio in cui partecipa alla rappresentazione della pièce La Mansarde des Artistes presso il Teatro del Cairo nota che le spettatrici sono esonerate dall’obbligo di tenere il volto velato. Grazie alle acconciature dei capelli è possibile distinguerne l’origine e lo stato civile. Le greche indossano il taktikos rosso inclinato sull’orecchio, le armene intrecciano degli scialli per realizzare pettinature molto voluminose, le ebree sposate, per non contravvenire alle regole della propria fede, nascondono i loro capelli sotto piume di gallo arrotolate. Tuttavia,

219 Ivi, p.225.

220 Ivi, p.230. 221 Ivi, p.231.

222 J.-C. Berchet, Le voyage en Orient. Anthologie de voyageurs français dans le Levant au XIXe siècle in M.

Apic, Le voyage en Orient de Gérard de Nerval en tant que remise en question de la perspective eurocentriste, op. cit, p.264.

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appena uscite da teatro, riprendono ognuna i propri veli e tornano ad essere difficilmente distinguibili:

A la sortie du théâtre, toutes ces femmes si richement parées avaient revêtu l’uniforme habbarah de taffetas noir, couvert leurs traits du borghot blanc, et remontaient sur des ânes, comme de bonnes musulmanes, aux lueurs des flambeaux tenus par les saïs.223