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A quasi vent’anni dall’introduzione nel nostro ordinamento della responsabilità amministrativa da reato degli enti, è dato constatare come vasta sia l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in ordine alla questione, oramai divenuta “classica”503, dell’applicazione della disciplina del d.lgs. 231/2001 al fenomeno dei gruppi di società.

Il legislatore del 2001 non ha, infatti, dettato alcuna disciplina espressa in riferimento al tema delle aggregazioni societarie. La valutazione di questa lacuna normativa da parte degli interpreti che se ne sono occupati è, nel tempo, mutata. Se in un primo momento hanno prevalso considerazioni di carattere (più o meno marcatamente) critico504, alcune riflessioni più recenti hanno invece espresso parziale

503 A differenza di quanto avviene negli studi relativi alla responsabilità delle persone fisiche nei gruppi di società, infatti, la dottrina in materia di d.lgs. 231/2001 sembra ben avvedersi del fatto che “è la società capogruppo a presentarsi con ogni probabilità come il soggetto maggiormente a rischio criminale”. In questo senso, G. DE VERO, La

responsabilità penale delle persone giuridiche, in C.F.GROSSO,T.PADOVANI e A. PAGLIARO (diretto da), Trattato di diritto penale, 2008, Milano, p. 125. Cfr. anche C. SANTORIELLO,op. cit., p. 41 ss., che afferma che “non di rado l’organizzazione di

gruppo aggredisce in maniera incisiva una serie indeterminata di beni riuscendo al contempo, proprio in virtù della propria complessità, a scaricare su una delle società che lo compongono responsabilità e sanzioni derivanti invece da una politica unitaria e dalle decisioni imposte dalla holding”.

504 Tra gli altri, si possono menzionare E. SCAROINA, op. cit., p. 213, ove parla di “grave dimenticanza in cui sembra essere incorso il legislatore”; F. C. BEVILACQUA,

op. cit., p. 11, ove afferma che “lasciare il compito di comprendere il funzionamento

della normativa nei gruppi all’interprete, e in particolare al giudice, è piuttosto rischioso”; M. RIVERDITI, La problematica posizione dei gruppi societari nella

disciplina del d.lgs. 231/2001, in R. BARTOLI (a cura di), Responsabiltià penale e

rischio nelle attività mediche e d’impresa, 2010, Firenze, p. 607, in cui sostiene che la

“mancata (espressa) menzione dei gruppi di società non può non destare stupore”; P. BASTIA, Implicazioni organizzative e gestionali della responsabilità amministrativa

apprezzamento per l’opzione seguita dal legislatore. È stato, infatti, osservato come “l’implicita scelta di mantenere fermo il principio di autonomia e distinta personalità giuridica delle imprese che compongono il gruppo pare quella più aderente ai principi di personalità dell’illecito che governano la materia”: a tale conclusione si è probabilmente potuti giungere anche in virtù di una prassi giurisprudenziale che ha, nel tempo, “correttamente” recepito i suggerimenti della dottrina che si è occupata di gruppi di società505. Tuttavia, anche chi si è espresso in tale maniera ha dovuto riconoscere che le norme previste dal d.lgs. 231/2001 con riferimento alle sanzioni applicabili agli enti mal si applicano ai gruppi di società: l’art. 14, infatti, prescrivendo che “le sanzioni interdittive hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l'illecito”, si adatta con difficoltà alla punizione di un ente - quale la holding - che svolge (nei casi di migrazione della responsabilità ex crimine) un’attività “altra” rispetto a quella dalla quale è scaturito l’illecito506.

Anche per tale ragione, dunque, si può ragionevolmente affermare che, con riferimento all’inquadramento (e alla risoluzione) dei diversi

delle aziende, in F. PALAZZO (a cura di), Societas puniri potest. La responsabilità da

reato degli enti collettivi, 2003, Firenze, p. 63 e 64, ove tra i principali limiti del d.lgs.

231/2001 inserisce proprio l’omessa considerazione dei gruppi di società e delle altre “reti aziendali”, cui consegue la constatazione per cui “il decreto […] fa riferimento ad un quadro analitico superato e la sua portata attuativa, nel concreto, inciderà solo parzialmente ed in prospettiva sempre meno”.

505 È infatti la stessa E. SCAROINA, op. cit., 2013, in Riv. dir. comm., p. 1 ss. ad esprimere tale apprezzamento, mutando quindi (a distanza di circa sette anni) la propria iniziale attitudine rispetto alla lacuna del d.lgs. 231/2001. L’Autrice enuncia tale valutazione positiva in quanto intende esprimere la sua predilezione per la soluzione accolta dalla normativa vigente (quella, appunto, del silenzio in riferimento ai gruppi di società) rispetto a quella prospettata dal progetto di riforma del codice penale Grosso, la quale invece si caratterizzava per la volontà di “individuare nella holding la – costante – corresponsabile in relazione a qualsivoglia reato commesso nel contesto del gruppo”. L’Autrice ritiene tale soluzione “problematica e inaccettabile”.

506 Ancora E. SCAROINA, op. loc. ult. cit. L’Autrice ritiene che tale insanabile inadeguatezza non possa che essere risolta mediante l’applicazione della (sola) “misura patrimoniale, prospettabile sia in termini di sanzione pecuniaria che, eventualmente, ricorrendone i presupposti, di confisca”. In questa prospettiva, pertanto, respinge la soluzione avanzata da Trib. Milano in funzione di giudice del riesame, ordinanza del 20 dicembre 2004, cit., ove si era ritenuto che in questo contesto si dovesse applicare la “misura cautelare interdittiva più grave”.

profili problematici della responsabilità ex crimine degli enti nei gruppi di società, il “cantiere della dommatica”507 rimane aperto. Del resto, il pur proficuo dialogo inveratosi tra il formante dottrinale e quello giurisprudenziale nella materia de qua è ancora connotato da brusche interruzioni508 e da nuovi scenari di discussione, tra i quali, ad esempio, quello, per molti versi ancora inesplorato, della responsabilità amministrativa da reato nei gruppi di società “transnazionali”.

In sede introduttiva, peraltro, è opportuno rilevare come il legislatore del 2001 abbia non solo ignorato l’ipotesi di una disciplina espressa dei gruppi di società, ma anche omesso di regolare l’istituto del concorso di più enti nell’illecito, il quale avrebbe invece potuto costituire uno strumento utile a decifrare l’ampio spettro delle (più o meno intense) forme di aggregazione societaria509. Nonostante alcune

suggestioni di segno avverso510, infatti, la maggioranza dei commentatori, nonché alcune pronunce giurisprudenziali511, ritengono

507 Cantiere che C. E. PALIERO, op. cit., in Riv. trim. dir. pen. econ., 2018, p. 175 ss. ritiene aperto con riferimento a tutto l’impianto del “nuovo diritto” del d.lgs. 231/2001. 508 Il riferimento è in particolare a Cass. pen., sez. III, 21 giugno 2018, con nota di M. MOSSA VERRE, Gruppo “familiare” e responsabilità ex crimine dell’ente, in Le soc., 2018, p. 1437 ss., in cui pare potersi ravvisare una involuzione rispetto alle precedenti pronunce di legittimità nella interpretazione della clausola dell’art. 5, co. 2 (interesse esclusivo di terzi) nel contesto dei gruppi di società.

509 Come rileva D. PIVA, Concorso di persone e responsabilità dell’ente: vuoti

normativi, incertezze giurisprudenziali e prospettive di riforma, in Archivio penale,

2016, n. 1, p. 1 ss., infatti, “non può certo ritenersi esaustiva l’analisi sin qui condotta dalla giurisprudenza sui gruppi, dal momento che il concorso si annida in qualsiasi rapporto di collegamento (azionario, negoziale, organizzativo, amministrativo o tributario) o cointeressenza destinato a svilupparsi nella strutturale convergenza di plurime condotte verso un identico risultato”.

510 Fraintendendo il principio di diritto espresso Cass. pen., sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Cass. pen., 2008, p. 4554 ss., con nota di L. PISTORELLI (ove si recepiva la teoria di C. E. PALIERO, secondo il quale la responsabilità dell’ente si fonda su una

fattispecie plurisoggettiva necessaria in cui concorrono la persona giuridica e la persona fisica), il Trib. Venezia, Gip., ordinanza 8 luglio 2015, riportata da T. GUERINI,

Autonomia della responsabilità dell’ente e concorso di persone giuridiche nell’illecito amministrativo da reato, in Rivista231, 2017, n. 2, p. 37 ss., ha disposto un sequestro

preventivo ravvisando un concorso tra enti nell’illecito amministrativo. Correttamente osserva T. GUERINI che “essendovi medesimezza di fatto, l’ente può ‘concorrere’ con l’autore del reato presupposto, ma non può concorrere con un altro ente nel medesimo illecito, in quanto fondato su fatti diversi”.

511 In particolare, Trib. Venezia in funzione di giudice del riesame, ordinanza del 2 ottobre 2015, in Dir. pen. cont., richiamata da T. GUERINI, op. loc. ult. cit.

che, a prescindere dall’opinione che si intenda adottare in ordine alla dibattuta questione della natura della responsabilità delle persone giuridiche512, non si può ammettere l’applicabilità degli artt. 110 ss. nel contesto della responsabilità ex crimine degli enti513: l’estensione di tale disciplina violerebbe i principi di legalità (art. 2) e di tassatività (desunto dall’art. 5) che informano il sistema punitivo del d.lgs. 231/2001514. Tale

soluzione ermeneutica, condivisibile, stimola varie riflessioni515: in questa sede interessa soprattutto evidenziare come da essa discenda la constatazione della radicalità dell’approccio “atomistico” del legislatore del 2001516, il quale ha scelto di non offrire all’interprete alcuno strumento normativo utile a inquadrare i variegati fenomeni di cointeressenza tra enti517.

È indubbio, infatti, che una disciplina del concorso di più enti nell’illecito amministrativo da reato sarebbe stata funzionale a ridurre e decifrare la complessità esponenziale dei gruppi di società. Una conferma di tale intuitivo assunto si ottiene osservando quella dottrina di common law che, nell’inquadramento del poco esplorato tema della

corporate criminal liability nei corporate groups, ha fatto ricorso ai

512 Osserva infatti G. DE VERO, op. cit., p. 311 che “va comunque osservato come, anche in caso di riconosciuta natura penale della responsabilità degli enti, non potrebbe ammettersi senz’altro l’operatività, rispetto alle persone giuridiche, dell’art. 110 c.p.: il carattere di clausola di incriminazione suppletiva, proprio di tale disposizione, sembra richiedere comunque un’espressa previsione nel sottosistema in esame”. 513 Oltre a G. DE VERO, op. loc. ult. cit, anche T. GUERINI, op. cit., in Rivista231, 2017, n. 2, p. 37 ss. e D. PIVA, op. cit., in Archivio penale, 2016, n. 1, p. 1 ss.

514 Amplius, T. GUERINI, op. loc. ult. cit.

515 In particolare, secondo T. GUERINI, op. loc. ult. cit., “la vicenda veneziana di cui si è sinteticamente dato conto nel paragrafo che precede si presenta come un ulteriore tassello del complesso mosaico che compone il volto attuale dell’illecito dell’ente. In particolare, si tratta di una ulteriore dimostrazione della tendenza a riconoscere una piena autonomia al decreto 231 rispetto al sistema penale”.

516 L’impostazione “atomistica” del d.lgs. 231/2001 è enfatizzata da A. SCAFIDI, La

prevenzione della responsabilità amministrativa degli enti nell’ambito dei gruppi societari italiani ed internazionali (prima parte), in Rivista231, 2010, n. 1, p. 91 ss.

517 Cfr. Anche V. TUNINELLI, Concorso nell’illecito e responsabilità dell’ente, in

concetti di “conspiracy”518 e di “complicity”519. Pur avendo constatato

l’impraticabilità di tali schemi punitivi nel sistema (para)penale del d.lgs. 231/2001, è comunque interessante rilevare come gli studiosi anglosassoni abbiano, con il consueto pragmatismo, osservato come i rapporti intercorrenti tra le diverse società che conducono l’impresa di gruppo rappresentino un terreno fertile per la realizzazione di fenomeni di cooperazione criminosa tra enti.

Tuttavia, tali suggestioni non possono essere accolte nel nostro ordinamento in quanto, assimilando il concorso tra la società holding e la società subordinata al concorso tra i rispettivi amministratori520, si

fondano su una logica di stretta “identification” che è però estranea al sistema italiano di responsabilità ex crimine degli enti, il quale invece accoglie - ai sensi degli artt. 6 e 7 del d.lgs. 231/2001 - la nozione di colpa (o colpevolezza) di organizzazione521.

Ciò considerato, dunque, l’approccio marcatamente minimalista del legislatore del 2001 ha posto la dottrina e la giurisprudenza innanzi all’esigenza di ipotizzare ed analizzare diversi possibili paradigmi di

518 F.GOBERT,M.PUNCH, op. cit., p. 156 rilevano infatti che “if a parent and its

subsidiary were to be deemed separate companies, there would be no legal obstacle to finding that they had entered into a conspiracy. The actus reus of a conspiracy is an agreement, which need not be explicit but can be inferred. Often an agreement is inferred from a combination of a common purpose, circumstances which indicate an opportunity to agree and subsequent co-ordinated conduct. Applying these factors to a parent and its subsidiary, it is clear that the two will share common goals. Proof that the two companies till have communicated is also not likely to be difficult”.

519 Ancora F.GOBERT,M.PUNCH, op. cit., p. 154, affermano che “although there is

little precedent for applying principles of complicity to corporate parents and their subsidiaries, this is probably attributable to the embryonic state of the law of corporate crime. […] However, there would seem to be no reason why the law of complicity could not be applied in a parent-subsidiary context”. Di “corporate complicity” si parla

anche negli studi relative al coinvolgimento di imprese (di gruppo) “transnazionali” nella violazione dei diritti umani. Si v. J. CLOUGH, Punishing the Parent: Corporate

Criminal Complicity in Human Rights Abuses, in Brooklyn Journal of International Law, 2008, p. 899 ss.

520 Su cui supra, Capitolo II, § 4 e 4.1.

521 Su cui, ex multis, C.E.PALIERO e C.PIERGALLINI, La colpa di organizzazione, in

imputazione delle varie società del gruppo522. In particolare, i commentatori si sono dovuti impegnare nell’individuazione di soluzioni che fossero sia conformi al (la “versione minima” del523) principio di

personalità della responsabilità (para)penale, ritenuto pacificamente vigente anche nel sistema punitivo degli enti524, sia rispondenti alla più pragmatica logica del “cuius commoda, eius et incommoda”525, la quale impone di verificare quali siano i reali tracciati decisionali che hanno condotto alla commissione dell’illecito526. Anche in questa sede,

dunque, si è riproposta la necessità di mediare tra l’esigenza di garantire il rispetto dei principi fondamentali del d.lgs. 231/2001 e, più in generale, del diritto (para)penale e il bisogno di indurre una

522 Come osserva M. RIVERDITI, op. cit., p. 607 ss., infatti, “di fronte alla presa d’atto di una simile lacuna, le soluzioni percorribili sono, necessariamente, due: arrendersi di fronte alla scelta effettuata dal legislatore, oppure tentare di scovare, tra le pieghe del decreto 231/2001, un aggancio interpretativo in grado di superarne (o, quantomeno) limitarne l’impatto sulle potenzialità operative della nuova disciplina”.

523 Di “versione minima” del principio di personalità, da intendersi come divieto di responsabilità per fatto altrui, nell’ambito della responsabilità degli enti parla G. COCCO, L'illecito degli enti dipendente da reato ed il ruolo dei modelli di prevenzione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2004, p. 90 ss.

524 Cfr. G.DE VERO, op. cit., p. 138. M. RIVERDITI, op. cit., p. 607 ss. ribadisce l’esigenza di rispettare il principio di personalità della responsabilità anche nello specifico “campo problematico” dei gruppi di società.

525 Richiamata da G. DE FRANCESCO, La responsabilità della societas: un crocevia di

problematiche per un nuovo “modello” repressivo, in Leg. pen., 2003, p. 372 ss. come

ideale cui il legislatore del 2001 avrebbe potuto attingere configurando “l’ente collettivo alla stregua di una sorta di destinatario ‘automatico’ della sanzione, purché gli effetti dell’illecito ridondassero in qualche misura a suo vantaggio”. L’illustre Autore correttamente rileva come però il d.lgs. 231/2001, prevedendo anche i criteri soggettivi di imputazione dell’illecito di cui agli artt. 6 e 7, abbia operato una scelta differente, “senza giungere tuttavia ad evocare il piano di valutazione proprio di una ‘rimproverabilità’ per il fatto commesso tale da echeggiare la colpevolezza dell’autore individuale”.

526 Osserva infatti A. SCAFIDI, op. cit., in Rivista231, 2010, n. 1, p. 91 ss. che è necessaria una ricostruzione della disciplina della responsabilità ex crimine degli enti che sia in grado di “garantire un’adeguata tutela della legalità e un’efficiente prevenzione di comportamenti illeciti su un terreno insidioso ed a rischio di abusi qual è quello delle aggregazioni societarie” e di “di evitare che gli evidenti limiti testuali delle norme del decreto si prestino ad inaccettabili manovre ad opera dei vertici decisionali di aggregazioni complesse, finalizzate a confinare le responsabilità penali derivanti da condotte ad essi riconducibili (e le relative sanzioni) nell’ambito della sfera di singole società appartenenti al gruppo, i cui interessi siano ritenuti sacrificabili ad istanze superiori, connesse alle strategie del gruppo stesso”.

“trasmigrazione”527 della responsabilità ex crimine sulla holding in

quanto ritenuta reale detentrice del decision-making power.

Lo studio di tali soluzioni costituisce l’oggetto della trattazione che segue. La loro esposizione avverrà secondo quest’ordine: innanzitutto, si analizzerà la possibilità di considerare il gruppo di società come soggetto attivo unitario del d.lgs. 231/2001; quindi, si verificherà se la

holding possa essere gravata di una responsabilità ex crimine autonoma

in quanto amministratrice di fatto delle subordinate ovvero in quanto titolare di una (macro)posizione di garanzia sul loro operato; in seguito, si sottoporranno a critica le distorsioni cui il criterio oggettivo di imputazione dell’illecito ex art. 5 del d.lgs. 231/2001 è sottoposto quando sia applicato alle aggregazioni societarie nella prospettiva di una responsabilizzazione della capogruppo. Esaurita l’analisi di tali schemi di incriminazione, si osserverà poi la portata applicativa degli artt. 6 e 7 del d.lgs. 231/2001 nel contesto dei gruppi di società. Infine, si dedicheranno alcuni cenni al complesso tema della responsabilità amministrativa da reato nell’ambito delle imprese (di gruppo) “transnazionali”.

2. Il gruppo di società come ente unitario ai sensi dell’art.