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L’assenza dello scopo di lucro e le società cooperative

Nel documento I profili fiscali dell'impresa sociale (pagine 96-100)

Un problema che poteva sorgere, soprattutto nel caso in cui la qualifica di impresa sociale fosse attribuita ad una cooperativa sociale, riguardava il tema dei ristorni distribuiti ai soci per l’attività che essi stessi svolgono a favore della cooperativa. Infatti, secondo il disposto normativo dell’articolo 2545-sexies, “ 1) L'atto costitutivo

determina i criteri di ripartizione dei ristorni ai soci proporzionalmente alla quantità e qualità degli scambi mutualistici; 2) Le cooperative devono riportare separatamente nel bilancio i dati relativi all'attività svolta con i soci, distinguendo eventualmente le diverse gestioni mutualistiche ; 3) L'assemblea può deliberare la ripartizione dei ristorni a ciascun socio anche mediante aumento proporzionale delle rispettive quote o con l'emissione di nuove azioni, in deroga a quanto previsto dall'articolo 2525, ovvero mediante l'emissione di strumenti finanziari.

In merito alla distribuzione di tali ricavi, si poneva la questione se questi potessero essere intesi come utili derivanti dall’esercizio dell’attività di impresa, perché altrimenti, anche per questi proventi positivi poteva applicarsi il divieto previsto dall’articolo 3 comma 2. Ma anche se non fossero ritenuti utili in senso stretto, rappresentavano comunque componenti positivi che derivavano da operazioni sociali

97 che comportavano una differenza positiva nella gestione imprenditoriale, motivo per cui rientravano comunque nel divieto previsto, perché qualificabili come avanzi di gestione e avrebbero avuto come destinazione, la costituzione di fondi e riserve. Nel27 corso degli anni, si sono succedute diverse interpretazioni in merito alla natura da attribuire al termine ristorno che non rappresenta altro che il risultato dello scambio mutualistico tra la società cooperativa e i soci della stessa. Dello stesso avviso si è dimostrata l’amministrazione finanziaria nella Circolare numero 53 del 18 Giugno 2002. Per quanto riguarda la natura da attribuire al ristorno a favore dei soci della società cooperativa, l’amministrazione finanziaria riportava all’interno del proprio parere, la possibilità di poter indicare il ristorno come componente di conto economico che potrà essere dedotta ai fini della determinazione del reddito di impresa. Ma prevedeva altresì, che lo stesso potesse essere incluso all’interno dell’utile di esercizio della società cooperativa, anche se dal punto di vista di quanto effettivamente corrisposto al socio, potrebbero sorgere delle eventuali differenze dal punto di vista quantitativo-monetario, che però, non si dimostrano di alcun interesse ai fini della nostra trattazione. Ai fini del rispetto del divieto imposto dall’articolo 3 comma 2, si evinceva come nel caso della cooperativa sociale, il “ 28vantaggio mutualistico, il

quale- come è noto – può essere attribuito immediatamente all’atto dello scambio ( Per esempio attraverso lo sconto in una cooperativa di consumo), oppure in forma differita, mediante il ristorno “, possa rappresentare un elemento che mal si addice alla

realtà dell’impresa sociale, visto il contributo che tali organizzazioni devono obbligatoriamente rivolgere all’esterno e non nei confronti dei soci.

Qualsiasi sia l’interpretazione da attribuire a questi componenti positivi, non sarebbe comunque disattesa la disciplina prevista dall’articolo 3 comma 2. Se da una parte questo divieto riguardava le società cooperative che decidevano di assumere la qualifica di imprese sociali, la stessa disciplina non poteva essere utilizzata nel caso di

27Emanuele Cusa, La nozione civilistica di ristorno cooperativo,

http://www.jus.unitn.it/download/gestione/emanuele.cusa/20070115_0804la nozione civilistica di ristorno 28Emanuele Cusa, La nozione civilistica di ristorno cooperativo pag. 5,

98 “cooperative sociali”, che ai sensi dell’articolo 17 comma 3 si prevede che “ le

cooperative sociali ed i loro consorzi, di cui alla legge 8 novembre 1991 n. 381, i cui statuti rispettino le disposizioni di cui agli articolo 10 comma 2 e 12, acquisiscono la qualifica di impresa sociale. Alle cooperative sociali e ai consorzi, di cui alla legge 8 Novembre 1991 n. 381, che rispettino le disposizioni di cui al periodo precedente, le disposizioni di cui al presente decreto si applicano nel rispetto della normativa specifica delle cooperative.“

In base a quanto descritto dal precedente articolo, si comprendeva come il legislatore avesse deciso di mantenere inalterata la disciplina delle cooperative sociali cosi come previsto dalla legge 381/1991, anche se le società cooperative rispettano i requisiti previsti dagli articoli 10 comma 2 e dell’articolo 12, che riportavano da una parte l’obbligo della società di “ redigere e depositare presso il registro delle imprese il

bilancio sociale …” e dall’altra la garanzia che la società era obbligata a rispettare

quanto previsto dall’art 12 “Coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari delle

attività “ , dove si richiede, che “ l’informazione, la consultazione o la partecipazione, mediante il quale lavoratori e destinatari dell’attività possono esercitare un’influenza sulle decisioni che devono essere adottate nell’ambito dell’impresa, almeno in relazione alle questioni che incidano direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla qualità dei beni e dei servizi prodotti o scambiati. “. Questi rappresentavano

sicuramente due articoli importanti dal punto di vista del riconoscimento della qualifica di impresa sociale alle società “cooperative sociali”. Il legislatore decideva quindi di subordinare l’applicazione della disciplina dell’impresa sociale, al rispetto di quanto previsto dall’articolo 17 comma 3, conferendo un valore normativo inferiore alla disciplina speciale prevista per le imprese sociali dando invece maggiore spazio a quanto previsto dalla legge 381/1991. La possibilità di utilizzare una forma commerciale quale quella delle cooperative sociali, attribuendole allo stesso tempo la qualifica di impresa sociale, rappresentava un elemento di sviluppo per questo forme organizzative. La ragione di tale considerazione, era da imputare alla possibilità per i soci di poter sfruttare i benefici previsti dalla disciplina delle cooperative sociali, come

99 nel caso dei ristorni, nonché la possibilità di riconoscere a quest’ultime la qualifica di impresa sociale e le agevolazioni che a tale qualifica sono collegate. La possibilità di usufruire della qualifica di impresa sociale nonché di evitare la maggior parte dei vincoli giuridici previsti dalle disposizioni del decreto legislativo n 155 del 2006, come per esempio in merito all’applicazione dell’articolo 3 comma 2, rappresentava sicuramente una circostanza di non poco rilievo visto il ruolo per la quale è stata prevista dal legislatore. In questo modo quindi, la cooperativa sociale rappresenta l’unica forma giuridica attraverso la quale fosse possibile svolgere un’attività tra quelle espressamente indicate dall’articolo 2 comma 1, prevedendo inoltre la possibilità di distribuire gli utili prodotti dalla società secondo quanto previsto dall’articolo 2514 del codice civile29.

Per evitare possibili speculazioni tramite un utilizzo distorto dello strumento introdotto dal decreto, il legislatore aveva previsto che il divieto disciplinato dall’articolo 3 comma 2 fosse applicato anche nel caso di distribuzione indiretta di utili e avanzi di gestione. Mentre la distribuzione diretta avviene attraverso un manifestazione esplicita della volontà di arrecare un vantaggio ad un soggetto particolare dell’impresa, nel caso di distribuzione indiretta, l’atto non è di per sé volto a ridurre l’utile o l’avanzo di gestione rilevati alla fine dell’esercizio; bensì, rappresenta un atto che comporta un aumento di valore nella situazione patrimoniale soggettiva, che inevitabilmente incide sull’utile che si verrebbe a formare alla fine dell’esercizio. L’articolo 3 comma 2 descriveva i casi di distribuzione indiretta di utili come cosi indicato : “ si considera

distribuzione indiretta di utili : a ) la corresponsione agli amministratori di compensi superiori a quelli previsti nelle imprese che operino nei medesimi o analoghi settori e condizioni, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ed, in ogni caso, con un incremento massivo del 20 per cento; b) la corresponsione ai lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori a quelli previsti dai contratti o accordi collettivi per le medesime qualifiche, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche

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professionalità; c) la remunerazione degli strumenti finanziari diversi dalle azioni o quote, a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati , superiori di cinque punti percentuali al tasso ufficiale di riferimento“.

Nel documento I profili fiscali dell'impresa sociale (pagine 96-100)