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I profili fiscali dell'impresa sociale

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Academic year: 2021

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1 UNIVERSITA’ DI PISA

FACOLTA’ DI ECONOMIA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale

CONSULENZA PROFESSIONALE ALLE AZIENDE

TESI DI LAUREA

I PROFILI FISCALI DELL’IMPRESA SOCIALE

Relatore :

Prof.ssa Giulia Boletto

Correlatore:

Dott. Simone Lombardi

Candidato :

Dott. Gabriele Luisotti

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INDICE

INTRODUZIONE……… 7

CAPITOLO I LE PROBLEMATICHE SORTE A SEGUITO DELL’INTRODUZIONE DELLA LEGGEN.381/1991………...26

1.1 La disciplina fiscale delle cooperative sociali ……….……...40

1.2 Le erogazioni liberali………...50

1.3 Le imprese del Terzo Settore in Gran Bretagna………..53

1.4 Le disposizioni giuridiche-tributarie che regolano la fattispecie delle erogazioni liberali……….……….. 57

CAPITOLO II L’IMPRESA SOCIALE SECONDO IL DECRETO LEGISLATIVO N. 155/2006…...83

2.1 La qualifica di impresa sociale……….. 86

2.2 L’assenza dello scopo nell’impresa sociale……… 94

2.3 L’assenza dello scopo di lucro e le società cooperative……… 96

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2.5 La costituzione dell’impresa sociale……… 109

2.6 La responsabilità speciale per le imprese sociali………. 110

2.7 La documentazione contabile dell’impresa sociale………. 111

2.8 La disciplina delle operazioni straordinarie nell’impresa sociale……… 112

2.9 Le verifiche da attuare nei confronti dell’impresa sociale……….. 114

2.10 L’attuazione della disciplina dell’impresa sociale a seguito dei criteri adottati dal ministero della solidarietà sociale e dello sviluppo economico………..115

2.11 Gli aspetti fiscali dell’impresa sociale……….121

CAPITOLO III RIFORMA DEL TERZO SETTORE E IMPRESA SOCIALE………..138

3.1 Il codice del Terzo Settore……….. 140

3.2 La nuova riforma dell’impresa sociale dopo il Decreto Legislativo n. 155 del 2006……….150

3.3 L’assenza dello scopo di lucro nel nuovo decreto sull’impresa sociale…………159

3.4 La nuova normativa fiscale dell’impresa sociale dopo la riforma………170

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INTRODUZIONE

Una nuova realtà imprenditoriale si è sviluppata nel corso di questi ultimi anni, a seguito dell’affermarsi della crisi economico-finanziaria, che ha rappresentato la causa principale della riscoperta di un settore1 che si contrappone in maniera decisa a quello privato e pubblico. Questa nuova attività si identifica nell’impresa sociale e si differenzia dalle tipiche organizzazioni che ritroviamo all’interno del terzo settore quali: le associazioni, le società mutualistiche, le società cooperative e, per ultime, le fondazioni. Prima di introdurre il concetto di impresa sociale e i motivi che hanno portato allo sviluppo della stessa, dobbiamo descrivere l’evoluzione che ha riguardato il terzo settore nel corso degli ultimi anni.

Alla fine degli anni Sessanta e successivamente alle prime crisi che riguardarono il mercato privato e il sistema di Welfare2 State, nacque la consapevolezza di utilizzare strumenti organizzativi, quali le cooperative e le associazioni, per dare una risposta ai problemi economici e sociali che si stavano manifestando. Le organizzazioni che si svilupparono in quegli anni non si basavano sulle tipiche regole del mercato privato o pubblico, bensì erano rette da principi che riguardavano il mondo del volontariato e del mutuo soccorso. Il fine di tali organizzazioni divergeva profondamente da quello previsto per le imprese di natura commerciale, che sono principalmente dirette alla remunerazione del capitale investito, la quale rappresenta una delle ragioni principali per cui l’imprenditore decide di investire le proprie risorse all’interno del ciclo

1L’impresa sociale in prospettiva Europa, Carlo Borzaga Edizione31 anno 2001, www.euricse.eu/wp.../Borzaga-Defourny-limpresa-sociale-prospettiva-europea.pdf

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8 produttivo. Invece, per le organizzazioni no profit e per le società cooperative l’attività non era diretta al raggiungimento di un profitto, quanto invece alla conservazione del capitale, al fine di ottenere la massimizzazione del benessere per i propri membri. In risposta alla numerose problematiche di ordine sociale, culturale e economico che si stavano manifestando durante la crisi degli anni Settanta, causata in modo particolare dall’aumento del prezzo del petrolio e dalle difficoltà che lo Stato e il mercato non riuscivano più a risolvere, nacque la consapevolezza di poter creare, da parte del ceto medio e delle persone più svantaggiate, delle strutture organizzative che potessero quantomeno, sostituirsi in parte alle funzioni tipicamente svolte dai due principali attori del mercato ovvero il settore privato e quello pubblico. Le strutture organizzative che si svilupparono nel corso degli anni Settanta erano formate da società cooperative, associazioni mutualistiche e fondazioni. Tali organizzazioni nacquero in risposta alle esigenze di persone bisognose, che offrivano le loro prestazioni in modo volontario e la cui attività non era in alcun modo influenzata dall’ottenimento del profitto, bensì dalla produzione di servizi che fossero a favore della società o di un cerchia ristretta di persone che si identificava nella comunità in cui vivevano. A causa della crisi che stavano attraversando il settore pubblico e quello privato, non solo per la per mancanza di risorse finanziarie, ma anche a causa della perdita di fiducia nell’attività svolta dallo stesso Stato, nacque la necessità di trovare risposte che fossero quantomeno adeguate a risolvere le problematiche che riguardavano la società civile di quegli anni. Le prime forme organizzative nacquero sotto forma di società cooperative di lavoro, che avevano come interesse principale quello di reintegrare persone bisognose che ormai erano state estromesse dal mercato del lavoro. Non solo la forma della cooperativa rappresentò uno strumento di notevole utilizzo e sviluppo in quegli anni, ma anche l’adozione di forme giuridiche quali, le associazioni e le società mutualistiche, ebbero un ruolo rilevante, al fine di risolvere problematiche di natura sociale, economica e culturale.

In quel periodo, non solo in Europa ma anche in gran parte dei Paesi fuori dal confine Europeo, erano in atto profonde modifiche dal punto di vista economico, ma

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9 soprattutto in merito all’adozione di politiche sociali che tipicamente rientravano nelle funzioni svolte dallo Stato. Lo sviluppo di questo nuovo settore, che successivamente prenderà il nome di Terzo Settore, che si contrapponeva e si contrappone tutt’ora a quello pubblico e privato, era ancora alla fase iniziale, ma, ciò nonostante, emerse immediatamente la consapevolezza da parte di economisti e di studiosi della materia, di dover inquadrare queste nuove organizzazioni in una forma giuridica che fosse riconosciuta dallo Stato. Soprattutto negli Stati Uniti, la nascita di questo settore fu oggetto di studio a livello universitario, dove la ricerca andò oltre l’impatto che quest’ultimo poteva avere dal punto di vista economico, ma anche per gli effetti che si potevano rilevare a livello sociale. Purtroppo, le stesse modalità di analisi del fenomeno del Terzo Settore, non furono adoperate in ambito Europeo, a causa delle diversità economiche, sociali e culturali che contraddistinguevano ogni Paese facente parte del Vecchio Continente. Non fu pertanto possibile inquadrare in modo unitario, il nuovo settore che in quegli anni stava prendendo forma e che come già detto precedentemente, si contrapponeva al pubblico e al privato. Lo sviluppo di questo nuovo settore fu oggetto di analisi per comprendere come potesse rappresentare una soluzione alternativa alle mancanze e alle difficoltà che lo Stato e il settore privato iniziavano a manifestare durante gli anni successivi all’avvento delle prime crisi3 economiche. Purtroppo, se da un lato era risultato chiaro, come queste nuove strutture organizzative fossero adatte a ricoprire ruoli determinanti nei settori economici e sociali, dall’altra parte purtroppo, tale consapevolezza non fu accompagnata da un’adeguata regolamentazione del fenomeno dal punto di vista giuridico. Il legislatore infatti, non manifestò alcun interesse nel disciplinare le attività svolte all’interno del terzo settore, in una forma giuridica che le potesse rappresentare insieme alle altre forme previste nel settore pubblico e privato. L’attività regolamentatrice avrebbe invece permesso, a queste nuove forme organizzative, di poter essere incluse all’interno di politiche economiche specificatamente costituite al fine di promuovere lo sviluppo del Terzo Settore.

3Terzo Settore, non solo “ Non-Profit “ ma anche Impact Investing, https://spazioeconomia.net /2016/05/18terzo-settore-come-evolve-in-impact-investing/

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10 Se dal punto di vista giuridico non esisteva alcun corpo giuridico che fosse in grado di dare forma e sostanza a questo nuovo settore, dal punto di vista dell’attività esercitata era possibile riconoscere tratti di similitudine tra le diverse organizzazioni. Infatti, se non consideriamo la forma giuridica utilizzata per lo svolgimento dell’attività e poniamo la nostra attenzione sulla sostanza della stessa, era possibile percepire come ogni organizzazione, al di là della forma giuridica utilizzata, fosse diretta al raggiungimento di uno scopo rappresentato dalla soddisfazione dei bisogni dei soci o associati, senza alcune interesse particolare all’ottenimento di alcun profitto.

Analizzando dal punto di vista gestionale4 le attività intraprese dagli Enti del Terzo Settore, si poteva osservare come l’organizzazione fosse affidata unicamente a soggetti facenti parte della stessa, i quali, non erano soggetti ad alcun obbligo di risultato nei confronti di soggetti terzi all’organizzazione stessa, come poteva invece dimostrarsi per quanto riguardava la gestione amministrativa svolta all’interno degli enti pubblici, dove spesso le decisioni adottate sono dirette al soddisfacimento di interessi a carattere politico.

Inoltre, a differenza di quanto previsto per le imprese commerciali, dove vige la regola della proporzionalità tra il capitale investito e la possibilità di ogni socio di poter influire sulle decisioni imprenditoriali e organizzative della società, per quanto riguarda invece le organizzazioni del Terzo Settore, le scelte erano adottate secondo il principio democratico ovvero, non seguendo il precetto della proporzionalità del capitale conferito bensì la regola di “ una testa un voto5 “.Nonostante fossero evidenti le notevoli differenze tra le attività intraprese dalle organizzazioni del Terzo Settore e le imprese di natura pubblica e privata, in quegli anni e ancora oggi, le organizzazioni no profit e le società cooperative e mutualistiche, hanno assunto un ruolo importante nella produzione di beni e servizi tipicamente prodotti dagli Enti Pubblici Economici.

4 L’impresa sociale, Carlo Borzaga, www.irisnetwork.it/wp-content/uploads/2010/04/Definizione_impresa-sociale.pdf 5L’impresa sociale in prospettiva Europea, Introduzione dal Terzo Settore all’impresa sociale, Jacques Defourny, pag. 16, www.euricse.eu/wp.../Borzaga-Defourny-limpresa-sociale-prospettiva-europea.pdf

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11 Le problematiche che portarono allo sviluppo di questa nuova forma imprenditoriale, erano rappresentate dall’esigenza di persone svantaggiate di uscire da un sistema economico formato esclusivamente da due attori, rappresentati dallo Stato e dal Sistema Economico privato, i quali si occupavano e si occupano della produzione di beni e nell’erogazione di servizi a carattere pubblico e privato. Allo Stato viene inoltre affidato l’importante ruolo di garantire un livello di equità tra le fasce di popolazione che presentano differenze a livello economico, finanziario e soprattutto sociale. Il raggiungimento di un certo livello di equità all’interno della popolazione, è ottenuto attraverso la redistribuzione del reddito, resa possibile grazie all’imposizione fiscale e a forme di trasferimento finanziarie a favore di fasce della popolazione che si trovano in situazioni di difficoltà. La garanzia di una redistribuzione della ricchezza attraverso forme di intervento da parte dello Stato, è stata assicurata fino all’avvento delle crisi economiche e finanziarie degli ultimi anni, che hanno contribuito in maniera consistente alla diminuzione del Prodotto Interno Lordo. La mancanza di risorse finanziare indispensabili alla realizzazione e all’erogazione di servizi e beni pubblici e alla prestazione di forme di assistenza a favore di persone economicamente e finanziariamente svantaggiate, ha rappresentato sicuramente una delle cause che ha portato allo sviluppo di queste nuove realtà imprenditoriali, che si sono rese possibili attraverso iniziative promosse da soggetti che il più delle volte, operavano all’interno del mondo del volontariato. La mancanza di fiducia da parte della popolazione rappresentò la causa principale che portò lo Stato ad adottare politiche che fossero adeguate all’esigenze sociali e economiche. Infatti, risultò evidente come lo Stato non fosse più in grado di stare al passo con i mutevoli cambiamenti sociali ed economici che in quegli anni si stavano manifestando. L’evoluzione di questo fenomeno sociale e imprenditoriale, nonché la sua progressiva affermazione, non dipese solamente dall’avvento della crisi economico-finanziaria che si sviluppò in quegli anni, ma soprattutto a seguito dello spostamento delle responsabilità dello Stato da un livello centrale ad uno periferico. Questa diversa distribuzione dell’azione pubblica portò alla proliferazione di forme organizzative private dedicate al settore del no profit. Il terzo

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12 Settore divenne quindi in quegli anni, e tutt’ora continua ad essere, lo strumento a cui assegnare le numerose problematiche che lo Stato non riesce a risolvere.

Le organizzazioni no Profit venivano finanziate dallo Stato, per la realizzazione di attività tipicamente affidate agli Enti Pubblici Economici, attraverso strumenti finanziari sotto forma di contributi pubblici. La concessione di finanziamenti da parte della pubblica amministrazione a favore delle imprese sociali rappresentarono senza dubbio la causa che portò alla proliferazione di queste nuove forme imprenditoriali all’interno del mercato pubblico. Se l’erogazione di risorse da parte dello Stato portò inevitabilmente ad una considerevole proliferazione delle imprese sociali all’interno del tessuto produttivo del nostro paese, dall’altra parte il finanziamento di tali somme contribuì a creare una certa dipendenza delle imprese sociali dalla Pubblica Amministrazione. Nel tempo emerse nelle imprese sociali la consapevolezza di ricercare una propria autonomia finanziaria attraverso nuove forme di finanziamento derivanti da soggetti privati. Ciò evidenzia come le imprese sociali potessero godere di un beneficio, che si concretizzava nella possibilità di scegliere l’operatore pubblico o privato al quale chiedere le risorse di natura finanziaria per la propria attività. Questo rappresentava un indubbio vantaggio per queste imprese, la cui forma permetteva di poter affacciarsi ad entrambi i settori presenti all’interno del nostro sistema finanziario. Dagli inizi degli anni Settanta fino ad oggi, le amministrazioni pubbliche e gli enti pubblici economici sono stati affiancati da queste nuove organizzazioni, che hanno assunto un ruolo di primaria importanza, non solo acquisendo una posizione di spicco nella gestione delle scelte di politica interna, ma anche per lo sviluppo che le stesse hanno avuto in ambito economico e finanziario. La realizzazione di beni e servizi a carattere pubblico, è stata spesso realizzata da organizzazioni di Terzo Settore, le quali, non solo attraverso la collaborazione con la pubblica amministrazione, ma anche dotandosi di strutture organizzative e gestionali avanzate, riuscivano a realizzare beni e servizi che tipicamente erano affidati agli enti pubblici economici. L’instaurazione di tale collaborazione nella realizzazione di beni e servizi pubblici rappresentava un

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13 ottimo strumento per poter sopperire alla mancanza di risorse finanziarie nonché all’assenza di fiducia che il cittadino iniziava a riporre nello Stato.

Se poniamo l’attenzione sulle attività esercitate durante la nascita del Terzo Settore, dedicate soprattutto all’assistenza e alla promozione sociale, e le confrontiamo con le attività poste in essere da quest’ultime durante gli ultimi anni, possiamo vedere come le organizzazioni del Terzo Settore abbiano assunto caratteristiche qualitative che le accomunano sempre di più alle imprese di natura privata. La possibilità di realizzare beni e servizi per conto della pubblica amministrazione, non solo le metteva in competizione con altre organizzazioni facenti parte del Terzo Settore, ma anche con le imprese commerciali che presentano una struttura manageriale e organizzativa complessa ma allo stesso tempo efficiente ed efficace. La nascita di questa competizione rappresentò un fattore importante per le Organizzazioni no Profit, le società mutualistiche e le cooperative, perché si resero conto di dover adottare un modello di impresa analogo a quello delle imprese commerciali per poter essere maggiormente competitive in termini di efficienza e efficacia. Questo portò ad un radicale cambiamento del concetto di attività svolta dalle organizzazioni e società del Terzo Settore perché, anche se non era diretta al raggiungimento di un profitto, aveva come scopo la realizzazione di un fine che doveva essere raggiunto secondo logiche tipiche delle imprese private. Il cambiamento che si verificò in merito al tipo di attività svolta, derivava dalla consapevolezza che la produzione di beni e servizi di natura pubblica, concessa a imprese di natura privata, le quali non sono influenzate nello svolgimento della propria attività da interessi di carattere né pubblico né politico, potesse rappresentare un fattore determinante dove indirizzare le risorse economiche e finanziarie, per la soddisfazione dei reali bisogni che riguardano la società e quindi il benessere collettivo. Il contesto di sviluppo che interessò le organizzazioni del Terzo Settore portò inevitabilmente ad una radicale trasformazione delle modalità operative e organizzative, alla realizzazione di beni e servizi pubblici in assenza di pressanti influenze impartite dal settore pubblico e all’introduzione di fattori di innovatività e di efficienza, che non sarebbe stato possibile ottenere se fosse stata utilizzata la consueta

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14 struttura organizzativa adottata dagli Enti Pubblici Economici e dalla Pubblica Amministrazione.

Oltre alle difficoltà di uno Stato incapace di soddisfare in maniera adeguata i bisogni sociali che in quel momento erano ormai diventati incombenti, è doveroso aggiungere come la necessità di trovare una risposta alla soddisfazione di tali bisogni, fosse dovuta in parte alla presenza di inefficienze6 che caratterizzavano il mercato dei beni e dei servizi privati. Quindi, prima di passare all’introduzione della nascita delle imprese sociali in Italia, è opportuno descrivere le inefficienze presenti all’interno del mercato privato, importanti per descrivere successivamente lo sviluppo di questa nuova forza imprenditoriale ovvero l’impresa a carattere sociale.

Il mercato può assumere diverse forme7, ovvero può essere di natura monopolistica, quando un solo produttore si occupa della produzione di beni e servizi; può assumere la forma oligopolistica, quando poche imprese sono deputate alla soddisfazione dei bisogni collettivi privati; oppure può essere di natura concorrenziale, quando molteplici sono le imprese che riescono a soddisfare gran parte della domanda dei beni e servizi. Partendo dalla descrizione del mercato monopolistico, il prezzo praticato è funzione della quantità che viene prodotta, la quale viene fissata ad un livello tale da ottenere la massimizzazione del profitto a vantaggio dell’imprenditore. Infatti, quest’ultimo non ha alcun interesse alla realizzazione di una quantità necessaria per soddisfare una quota maggiore di popolazione, riducendo in tal modo il prezzo e aumentando il benessere sociale collettivo, bensì il suo unico interesse consiste nella massimizzazione del proprio profitto, attraverso la determinazione di un prezzo superiore al costo marginale di produzione. Nel caso in cui il mercato sia di tipo oligopolistico, la realizzazione del profitto per le imprese produttrici consiste nell’abbattimento del prezzo di vendita, al fine di per poter soddisfare quella parte di domanda che altrimenti rimarrebbe fuori, nel caso in cui si prenda in considerazione

6Impresa sociale e politica economica, Michele Mosca, https://www.docenti.unina.it/webdocenti-be/allegati/materiale-didattico/361603 7 Microeconomia, Andrew Schotter, Edizione italiana a cura di Pier Mario Pacini, G.Giappichelli Editore, Torino

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15 un mercato di tipo monopolistico. In questo modo si verifica una riduzione del prezzo e conseguentemente del profitto a causa di una maggiore quantità di beni prodotti, che porta ad un aumento del benessere sociale collettivo, anche se non viene ancora raggiunta la sua massimizzazione. A differenza dei due casi precedenti, un mercato di natura concorrenziale prevede la riduzione del prezzo fino ad un livello che permetta l’uguaglianza tra lo stesso e il costo di produzione di un’unità aggiuntiva ovvero il costo marginale di produzione. Questa circostanza permette, a differenza di un mercato monopolistico e oligopolistico, di ottenere una situazione di massimizzazione del benessere sociale. Perciò, nel caso in cui ci si trovi in una situazione di concorrenza perfetta o quasi, il sistema produttivo riesce a realizzare prodotti e servizi ad un prezzo socialmente ottimo. Sfortunatamente8, non è possibile raggiungere il massimo benessere sociale perché il mercato concorrenziale presenta inefficienze che non permettono di raggiungere una situazione di pareto-efficienza per l’imprenditore e il consumatore. Come è possibile desumere da quanto detto precedentemente, il mercato non è altro che il luogo di scambio tra due soggetti: uno diretto alla produzione di beni e servizi al fine di remunerare il capitale investito ed eventualmente ottenere un profitto per se stesso, l’altro, interessato alla massimizzazione della propria utilità attraverso il consumo dei beni e dei servizi realizzati dal sistema produttivo. Questi due attori presentano caratteristiche differenti dovute chiaramente al ruolo che rivestono all’interno di questo spazio di scambio. Per rendere efficiente ed efficace lo scambio all’interno del mercato, l’imprenditore e il consumatore devono essere a conoscenza di informazioni complete sul bene che viene prodotto e consumato. Infatti, sarà importante conoscere le caratteristiche del bene per poter intraprendere una produzione che soddisfi i bisogni delle persone che decidono di comprare il bene o il servizio, ponendo attenzione, chiaramente, al prezzo da praticare. Per quanto concerne invece il consumatore, questo avrà cura di conoscere il reale valore da attribuire al bene in termini di prezzo e di soddisfazione dei propri bisogni. Nel caso in cui i due attori abbiamo a disposizione informazioni complete sul bene e sul servizio

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16 prodotti, sarebbe possibile il verificarsi di una situazione di pareto-efficienza. Purtroppo, a volte le informazioni che il consumatore possiede sul bene e sui servizi prodotti non sono così esaustive da poter stabilire con piena certezza la corrispondenza tra il reale valore attribuito al bene e il prezzo che viene praticato dall’imprenditore. È evidente quindi che, in tale situazione, una parte del surplus viene disperso a favore del produttore, diminuendo conseguentemente quello che andrebbe a vantaggio del consumatore. Questa situazione si verifica perché gli attori che instaurano il rapporto contrattuale all’interno di un mercato di scambio, non sono dotati dello stesso bagaglio informativo che permetterebbe di evitare il sopravvenire di tali inefficienze informative. Soltanto successivamente alla conclusione del rapporto si ha la consapevolezza della presenza o meno di una corrispondenza tra il valore reale e il prezzo del bene scambiato. Oltre alla mancanza di informazioni sulle caratteristiche dei beni prodotti e successivamente consumati, nonché sulla loro reale valutazione in termini di prezzo, il mercato presenta inefficienze dovute alla presenza di esternalità. Queste rappresentano delle situazioni in cui la produzione o il comportamento di una data impresa sono a vantaggio di un consumatore o di un’altra impresa, senza che questi abbiano partecipato effettivamente allo scambio e quindi senza aver sostenuto il prezzo di acquisto o il costo di produzione. Questo fenomeno produce degli effetti positivi o negativi, a seconda del vantaggio/svantaggiato che si crea nei confronti della parte terza alla transazione. Per esempio, nel caso in cui la produzione fornisse un effetto positivo che ricade su una realtà imprenditoriale estranea, questo comporterebbe un mancato guadagno per l’impresa produttrice, che consisterebbe nell’incapacità di ottenere il massimo profitto dalla produzione ottenuta, a causa del mancato riconoscimento di guadagno nei confronti dell’impresa estranea. Infatti, parte di questa produzione sarebbe consumata o sfruttata, senza che l’impresa o il consumatore abbiano effettivamente preso parte allo scambio. La descrizione delle inefficienze presenti all’interno dello Stato Sociale e del mercato privato, hanno la funzione di spiegare il ruolo che potrebbero rivestire le imprese sociali, quale nuova componente del Terzo Settore, nella soluzione di problematiche che riguardano il mercato e il sistema assistenziale/sociale di natura pubblica. Un’organizzazione che

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17 non ricerca il massimo profitto e che non adempie alle proprie obbligazioni secondo logiche che si basano sul prezzo bensì nella ricerca di soluzioni che possano andare a vantaggio delle persone e quindi della collettività, non dovrebbe dimostrare difficoltà nel risolvere le problematiche che sopraggiungono a seguito della presenza di tali inefficienze. Le imprese sociali rappresentano un ottimo strumento per sopperire alle mancanze dello Stato e alle inefficienze del mercato a causa della loro intrinseca natura, che si concretizza nella ricerca della massimizzazione del benessere per le persone che compongono tali organizzazioni e per la collettività.

A differenza delle imprese che svolgono la propria attività nel settore privato e pubblico, l’impresa sociale non era stata oggetto di disciplina da parte del legislatore, con la conseguenza che questa nuova organizzazione imprenditoriale, caratterizzata da un fine sociale, non avesse nessuna forma giuridica che la potesse qualificare dandogli in tal modo un riconoscimento non solo in ambito economico, ma anche legislativo. A differenza di alcuni Paesi, dove l’utilizzo della forma associativa era concesso anche nel caso in cui l’attività svolta avesse una connotazione di natura imprenditoriale, nel nostro Paese non era possibile qualificare le associazioni con scopo mutualistico o meno, come forme giuridiche che potessero anch’esse svolgere un’attività secondo principi imprenditoriali. Se per le associazioni non era prevista la possibilità di rivestire un ruolo importante nello sviluppo di queste nuove forme imprenditoriali, anche per le fondazioni, a maggior ragione, non era possibile svolgere un’attività che potesse avere caratteristiche o tratti di similitudine con quanto svolto tipicamente dall’impresa commerciale. Non essendo possibile sfruttare le forme giuridiche dell’associazione e delle fondazioni, al soggetto privato che voleva svolgere un’attività diretta al raggiungimento di un fine puramente sociale, rimaneva come unica alternativa, nel panorama giuridico delle imprese disciplinate dal legislatore, quello di usufruire dello schema organizzativo della società cooperativa, che si dimostrava come l’unica forma che presentasse caratteristiche di similitudine rispetto a quelle che caratterizzavano l’impresa sociale. L’utilizzo della forma giuridica delle società cooperative, al fine di poter svolgere un’attività di produzione di beni e servizi per la

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18 realizzazione di uno scopo di natura sociale, dipendeva dalla possibilità che il legislatore concedeva alle stesse di svolgere un’attività che non avesse come fine la sola soddisfazione interna dei soci, ma anche quella di soggetti estranei alla compagine sociale. Infatti, a differenza delle associazioni e delle fondazioni che svolgono un’attività di promozione e di assistenza dedite in modo particolare alla soddisfazione dei propri membri, l’impresa sociale assume una connotazione di natura imprenditoriale aperta al mercato dei beni privati e pubblici, differenziandosi dalle organizzazioni che operano all’interno del settore no profit.

Purtroppo, in assenza di una forma che potesse identificare e qualificare l’impresa sociale, le organizzazioni che si svilupparono in quegli anni utilizzarono, come alternativa all’associazione, la forma della società cooperativa, che si presentava come la più adatta per lo svolgimento di un’attività di impresa che avesse come fine la produzione di beni e servizi a carattere sociale. Infatti, a differenza delle altre forme disciplinate dal legislatore, la società cooperativa può essere utilizzata per svolgere un’attività con scopo mutualistico prevalente o non prevalente. In altre parole, lo scopo mutualistico consiste nell’erogazione di beni e servizi diretti a soddisfare i soci della stessa organizzazione, garantendo un vantaggio in termini economici e di qualità del servizio o bene prodotto. L’utilizzo di tali forme organizzative può interessare diversi settori dell’economia, ma può rivolgersi anche al settore sociale, lavorativo, nonché a livello di intermediario nell’erogazione del credito, come è possibile riscontrare oggi, a seguito delle numerose cooperative di credito che si sono sviluppate nel nostro Paese. Per quanto riguarda le società cooperative, queste possono suddividersi in attività dirette a facilitare il consumo dei propri soci o in imprese dirette al reinserimento nel mondo del lavoro di soggetti svantaggiati, i quali non presentano più competenze adeguate per poter rientrare all’interno del mercato del lavoro, qualificandosi in questo caso come società cooperative di carattere lavorativo. Il legislatore disciplina le società cooperative e le associazioni, distinguendole a seconda del loro carattere prevalente o non prevalente. Per poter qualificare un’impresa come prevalente è necessario che l’organizzazione si avvalga dell’apporto di beni e servizi provenienti dai soci stessi.

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19 Oltre all’impiego delle società cooperative, anche le associazioni sono state utilizzate per poter svolgere attività di impresa che avesse come fine la realizzazione di uno scopo a carattere sociale, però, a differenza delle società cooperative, la possibilità di impiegare le associazioni al fine di svolgere un’attività di natura imprenditoriale dipende dalla qualifica che ad esse viene conferita dal legislatore dei diversi Paesi. Infatti, è possibile notare come in Francia9 e in altri Paesi Europei, le associazioni possano rivestire un ruolo importante nell’attribuire una veste giuridica a queste nuove realtà imprenditoriali, mentre in Italia purtroppo, la forma associativa rimane uno strumento non accessibile per lo sviluppo di queste nuove realtà. Nel corso degli anni, e soprattutto agli inizi degli anni Novanta, la forma delle società cooperative acquisì una posizione di primaria rilevanza nella scelta della veste giuridica ritenuta più idonea allo svolgimento di un’attività a carattere prettamente sociale.

Lo sviluppo delle società cooperative in un ambito economico e sociale che si discosta dallo scopo originariamente previsto dal legislatore per tali forme organizzative, non fu accompagnato da un’altrettanta consapevolezza da parte dei governi europei nell’attribuire una forma giuridica a queste nuove realtà imprenditoriali, che avesse caratteri innovativi rispetto a quelle già presenti all’interno del nostro sistema giuridico. Una maggiore responsabilità da parte dei governi europei, nel riconoscere un ruolo di importante contrapposizione rispetto a settori tipicamente presenti all’interno del mercato, ossia rispetto al settore privato e a quello pubblico, avrebbe risolto molte delle problematiche che è possibile riscontrare oggi, considerando anche il peso che tale settore sta assumendo nel corso degli ultimi anni, all’interno del panorama economico e sociale del nostro Paese, nonché degli altri Paesi europei. Quindi, prima che il legislatore muovesse i primi passi verso la disciplina di questo nuovo fenomeno imprenditoriale, che ebbe la sua massima espressione e riconoscimento nel nostro Paese, le diverse problematiche in ambito sociale, assistenziale e culturale, erano affrontate attraverso l’adozione di strumenti giuridici

9Dinamiche evolutive dell’impresa sociale a livello europeo, visibilità, replicabilità e stadi di sviluppo, Osservatorio Isfol n. 3-4/2014, isfoloa.isfol.it › Open Archive istituzionale › Rivista Osservatorio Isfol

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20 quali: associazioni, fondazioni, e non per ultime le società cooperative, che, come già detto, rappresentavano la forma giuridica meglio adattabile alle esigenze dell’impresa sociale. Il problema consisteva in un possibile riconoscimento giuridico di questa nuova forma imprenditoriale, attribuendole una disciplina propria e non usufruendo più della possibilità di adottare la forma giuridica delle società cooperative.

Nel momento in cui il Terzo settore e le imprese sociali raggiunsero dimensioni considerevoli, sia a livello economico che sociale, il legislatore italiano comprese come un fenomeno di così fondamentale importanza, che poteva rappresentare uno strumento indispensabile per la risoluzione della crisi del mercato privato e pubblico, dovesse essere disciplinato. Questo fu possibile attraverso l’emanazione della legge 381 del 1991, che permise l’inserimento delle imprese sociali nel panorama giuridico italiano sotto la denominazione di cooperative sociali. Nonostante continuassero ad esserci numerose restrizioni in merito alle attività che queste imprese potevano effettivamente intraprendere, la presa di posizione da parte del nostro legislatore rappresentò sicuramente un punto di partenza dal quale successivamente modificare e migliorare, dal punto di vista giuridico, queste nuove realtà imprenditoriali. Per la prima volta fu possibile includere, all’interno di una forma giuridica disciplinata dal legislatore, la possibilità di svolgere un’attività a carattere prettamente sociale. Dopo l’introduzione della legge n. 381 del 1991, la natura della società cooperativa non subiva alcuna modificazione, perché, a differenza delle imprese for profit e delle organizzazioni no profit, era ancora insita nella disciplina delle società cooperative la realizzazione di un fine che non fosse rivolto alla massimizzazione del profitto e alla soddisfazione di un bisogno che riguardasse unicamente i membri dell’organizzazione. L’intervento del legislatore ampliò lo spettro delle attività che potevano essere esercitate nell’ambito dell’oggetto sociale disciplinato, dando la possibilità di realizzare un interesse non più diretto al solo soddisfacimento dei soci, ma anche diretto a produrre un beneficio che fosse rivolto alla collettività. Nonostante le aspettative riposte in un’azione legislativa che avrebbe dovuto risolvere un problema giuridico ed economico ormai rinviato da anni, purtroppo il legislatore non dimostrò

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21 abbastanza coraggio nel disciplinare l’oggetto dell’impresa sociale, che fu confinato all’interno di un numero ristretto di attività previste, limitando in tal modo, la possibilità di poter applicare a questa nuova tipologia di impresa, un numero più ampio di attività con finalità sociali. Infatti, risulta alquanto evidente come il numero delle attività esercitabili in ambito sociale possano discostarsi in maniera rilevante rispetto ad un semplice elenco previsto dal legislatore, visto anche il mutevole cambiamento sociale ed economico che in questi ultimi anni ha riguardato la nostra società. Attività di pura assistenza, di promozione, di formazione professionale, rivolte sempre al soddisfacimento della compagine sociale o di parti terze, continuavano a rappresentare le tipiche attività svolte anche nella nuova realtà delle Cooperative Sociali. Il mancato riconoscimento del carattere imprenditoriale che avrebbe dovuto riguardare questo nuovo settore non permise lo sviluppo dell’impresa sociale, che invece sarebbe stato possibile grazie ad una sua precisa qualificazione a livello giuridico. La presenza di una certa dose di coraggio da parte del legislatore nel disciplinare la fattispecie in questione, concentrando la propria attività legislativa più sulla sostanza del fenomeno “impresa sociale” che sulla forma dello stesso, avrebbe evitato che i soggetti desiderosi di intraprendere questa nuova impresa secondo gli strumenti giuridici previsti dal legislatore, dovessero successivamente forzare la struttura organizzativa delle società cooperative o delle associazioni, al fine di adattare l’oggetto sociale alla realizzazione di uno scopo a carattere sociale.

La ricerca di una disciplina che regolasse in principio il fenomeno dell’impresa sociale, ebbe come diretta conseguenza quella di conferire alla stessa un ruolo che sicuramente non era contemplato nel novero dei possibili utilizzi affidati a queste nuove organizzazioni imprenditoriali. Infatti, la consapevolezza da parte dei privati cittadini di creare un nuova forma organizzativa che fosse adeguata a risolvere i problemi sociali ed economici incombenti ebbe, come conseguenza indiretta, la possibilità che lo Stato, e quindi gli eventuali apparati burocratici e politici, potessero sfruttare tale forma imprenditoriale al fine di sopperire alla proprie mancanze. La presenza di un mezzo adeguato e “in parte” conforme alle esigenze sociali ed

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22 economiche, rappresentava sicuramente un utile strumento dove convogliare le risorse finanziarie nonché le agevolazioni legislative e fiscali. In questo modo lo Stato attribuiva maggiori responsabilità ai soggetti privati, i quali adesso potevano avere a disposizione uno strumento che potesse quantomeno dedicarsi a quella parte della popolazione, che per anni aveva riposto le proprie speranze in uno Stato attento ai bisogni non solo di coloro che ricercavano la massimizzazione del benessere collettivo e sociale, ma soprattutto per quella parte della popolazione le cui condizioni economiche e sociali non erano al pari del ceto medio o delle persone più benestanti. Questa sorta di affidamento nell’adempimento delle responsabilità che altrimenti sarebbero state appannaggio dello Stato Sociale, permise di attribuire una nuova connotazione rispetto a quella richiesta dagli stakeholder. Infatti, all’impresa sociale le fu attribuita una funzione più diretta alla redistribuzione delle risorse conferite dallo Stato e dai soggetti privati, rispetto ad una connotazione maggiormente imprenditoriale, e quindi dedita alla realizzazione di beni o servizi. Se dal punto di vista dell’affermazione giuridica, si poteva ritenere che ci fosse stata una qualche forma di sviluppo, lo stesso non poteva dirsi in merito alle caratteristiche imprenditoriali e quindi produttive che si auspicava di poter attribuire a questa nuova realtà. Era abbastanza riduttivo pensare di disciplinare il fenomeno con la sola intenzione di qualificarlo come un semplice mezzo utilizzato al fine di svolgere le mansioni tipiche che altrimenti sarebbero svolte dello Stato. La decisione di affidare il compito di redistribuire la ricchezza attraverso l’esercizio di funzioni a carattere sociale e tipicamente svolte dallo Stato, richiedeva necessariamente che le organizzazioni disciplinate dal legislatore presentassero delle caratteristiche organizzative e strutturali adatte, non solo per svolgere le proprie funzioni ma anche per poter recepire e successivamente distribuire le risorse assegnate dallo Stato. A dimostrazione di quanto appena affermato, riportiamo quanto previsto dall’articolo 5 delle legge 8 Novembre 1991 n. 381, in cui si descrive “ gli enti pubblici economici

possono stipulare convenzioni con le cd. cooperative sociali di tipo B, finalizzate alla fornitura di determinati beni e servizi – diversi da quelli socio-sanitari ed educativi”, il cui importo stimato al netto dell’IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle

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direttive comunitarie in materia di appalti pubblici purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui all’articolo 4 comma 1”. La previsione normativa adottata dal legislatore rimanda al

contenuto precettivo disciplinato nell’articolo 4510 della nostra Costituzione, dove si riconosce l’importanza dell’azione cooperativa e della sua promozione, nello svolgimento di un’attività a carattere sociale attraverso strumenti e verifiche opportune. Si prevede, inoltre, la possibilità di derogare alle disposizioni inerenti al codice dei contratti, sempre che siano rispettati i requisiti previsti dalla Comunione Europea. Infatti, quest’ultima ha favorito la promozione dell’azione cooperativa sociale, grazie all’emanazione delle direttive 17/2004/CEE e 18/2004/CE, dove si esalta l’importanza della funzione sociale nelle specifiche richieste per eseguire le attività previste nelle convenzioni stipulate tra Enti Pubblici e Cooperative Sociali. Grazie a tali direttive emerge ancor più in modo evidente come, non solo a livello nazionale ma anche in un contesto molto più ampio quale quello Europeo, la funzione sociale rappresenti una caratteristica da tenere in debita considerazione oltre ai criteri e alle specifiche normalmente richiesti nell’ambito della contrattualistica tra Pubblica Amministrazione e imprese private. La possibilità di poter esercitare una funzione sociale in un ambito tipicamente non riconosciuto ad un soggetto privato, prevedeva necessariamente, secondo quanto previsto dall’articolo 5 della Legge 381/1991, la presenza di requisiti soggettivi e oggettivi ritenuti indispensabili al fine di poter attribuire gli effetti giuridici dell’attività svolta ai rispettivi soggetti legittimati. Nell’articolo viene chiaramente rilevato come i soggetti legittimati a stipulare tali convenzioni siano rappresentati dagli Enti Pubblici Economici, anche se si ritiene che tale possibilità sia concessa anche alle società a partecipazione pubblica e alle società cooperative di tipo B, il cui scopo consiste nel reintrodurre le persone che si trovano in difficoltà nel mondo del lavoro. Rappresentano società cooperative di tipo B quelle al cui interno presentano un numero di lavoratori che si trovano in situazioni di

10Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, “ Linee guida per gli affidamenti a cooperative sociali ai sensi dell’art. 5 comma 1, della legge n. 381/1991 ( Determinazione n. 3). ( 12°089972), ( G.U. n. 185 del 9-8-2012),

http://www.gazzettaufficiale.it/atto/vediMenuHTML?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2012-08-09&atto.codiceRedazionale=12A08972&tipoSerie=serie_generale&tipoVigenza=originario

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24 svantaggio, in una percentuale pari almeno al 30% rispetto al totale. Anche ai consorzi di cooperative si permetteva di stipulare patti con la Pubblica Amministrazione, sempreché il numero delle società cooperative la cui attività era diretta al reinserimento di persone svantaggiate all’interno del mondo del lavoro, rappresentassero almeno il 70% del totale delle cooperative facenti parte del Consorzio. Per quanto riguarda invece l’oggetto della convenzione tra Pubblica Amministrazione e cooperative sociali, si prevede che quest’ultime possano svolgere un’attività di produzione di beni e servizi, che, come già detto precedentemente, si caratterizzano per avere una spiccata finalità a carattere sociale, che rappresenta la ragione di fondo per cui la pubblica amministrazione ha deciso di concedere tale attività produttiva anche derogando ad alcune delle norme disciplinate nel codice degli appalti. La concessione offerta alle cooperative sociali deve comunque limitarsi allo svolgimento di un’attività che sia a diretto sostegno di lavoratori svantaggiati e che non si sostituisca alla tipica attività svolta dalla Pubblica Amministrazione. Infatti, si ritiene che nonostante sia stato concesso, da parte del legislatore, di poter svolgere una serie di attività all’interno del proprio oggetto sociale, non si riteneva possibile che queste potessero sostituirsi in toto alla realizzazione delle tipiche attività svolte dalla pubblica amministrazione, come nel caso della produzione di opere pubbliche o di servizi a carattere pubblico. L’affidamento di questa tipologia di attività nei confronti delle cooperative sociali, si esauriva in un’attività che era strumentale e quindi di ausilio alla soddisfazione dei bisogni richiesti dalla Pubblica Amministrazione. Ma la possibilità di esercitare un’attività diretta alla fornitura di determinati beni e servizi in deroga ad alcune norme previste nel codice dei contratti, richiedeva evidentemente un controllo dei requisiti soggettivi ed oggettivi nonché del livello qualitativo dell’attività di reinserimento dei lavoratori svantaggiati.

La volontà di conferire alle società cooperative sociali la fornitura di beni e servizi mediante il reinserimento di persone svantaggiate nel mercato del lavoro, rappresentava sicuramente la prova di come lo Stato ricercasse nei soggetti privati, una collaborazione necessaria per svolgere una funzione sociale e di redistribuzione della

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25 ricchezza. Tale concessione era mossa dall’aspettativa che almeno il soggetto privato potesse svolgere la propria attività superando quelli che erano i limiti che caratterizzavano l’amministrazione pubblica di quegli anni. Purtroppo, l’impresa sociale esercitata nella forma della cooperativa sociale, presentava problemi strutturali e organizzativi che non le permettevano di adempiere in maniera completa alla funzione sociale prescritta dal legislatore. Infatti, si riteneva che il legislatore non si fosse preoccupato di fornire strumenti finanziari che fossero adeguati allo scopo previsto, dove una legislazione specifica in merito, avrebbe sicuramente attribuito una connotazione maggiore a questa figura imprenditoriale. Altresì, ha previsto la possibilità di utilizzare diversi strumenti e soggetti a cui attingere per il proprio fabbisogno finanziario. Questo sicuramente poteva rappresentare un carattere di flessibilità nella scelta dei diversi soggetti a cui rivolgere le proprie esigenze finanziarie, se fosse stato però accompagnato da una regolamentazione per quanto riguarda i diversi metodi di finanziamento. Purtroppo, la ricerca di uno strumento differente rispetto a quelli utilizzati dalla Pubblica Amministrazione, non stava producendo i risultati sperati, ma altresì stava sempre più assumendo le peculiarità e le problematiche che riguardavano gli Enti Pubblici Economici. L’importanza di trovare un soggetto giuridico che potesse essere di ausilio all’azione della Pubblica Amministrazione e che allo stesso tempo riuscisse a contribuire alla determinazione di effetti positivi dal punto di vista sociale, non doveva risiedere nella mera identificazione di tali soggetti attraverso semplici parametri individuati dal legislatore, bensì era opportuno disciplinare il fenomeno dal punto di vista sia giuridico che economico, per permettere allo stesso di poter sopravvivere e quindi di conseguenza di competere, all’interno del mercato. Si era quindi intenzionati a costituire una figura che presentasse una struttura organizzativa dinamica e che fosse retta da una disciplina tale da conferirle quei tratti di flessibilità e adeguatezza per una corretta risoluzione dei problemi sociali.

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CAPITOLO I

Le problematiche sorte a seguito dell’introduzione della legge 381∕1991

Il nostro sistema giuridico e in particolar modo il codice civile del 194211, prevedeva, prima dell’introduzione della Legge 8 Novembre n.381/1991, una netta separazione tra le imprese commerciali e quelle di natura non commerciale, evitando che si potesse verificare in alcun modo alcun tipo di interferenza tra i diversi settori. Purtroppo, attraverso la regolamentazione dell’impresa sociale, che ebbe la sua diretta espressione nell’emanazione della Legge sulle “Cooperative Sociali”, anche all’interno del settore no profit, era possibile che i diversi attori economici potessero entrare in competizione tra loro. Questa possibile eventualità non rappresentò la ragione principale che condusse il legislatore a disciplinare il fenomeno dell’impresa sociale, conferendole una forma giuridica alla quale poter imputare gli effetti giuridici della propria attività. Era irrilevante quale fosse la forma giuridica adottata per l’esercizio dell’impresa sociale, mentre si conferiva maggiore importanza alla ricerca e l’ottenimento di un risultato economico, che fosse al contempo diretto alla produzione di un bene o di un servizio a carattere sociale. Purtroppo, non era possibile esulare dalla rilevanza della forma giuridica assunta ai fini dell’imputazione degli effetti giuridici, visto che la disciplina giuridica e fiscale prevista specificatamente per questa tipologia di impresa, poteva essere adottata soltanto per le forme giuridiche di natura collettiva. Si prevedeva infatti, che l’attribuzione di una disciplina di favore non dovesse rivolgersi a tutti i soggetti che svolgevano un’attività di impresa il cui scopo fosse diretto all’ottenimento di un fine a carattere sociale, bensì, era importante riconoscere

11Relazione introduttiva ad una proposta per la disciplina dell’impresa sociale tratta da “ Una proposta per la disciplina dell’’impresa sociale, Andrea Zoppin

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27 l’attribuzione di tali diritti e privilegi solo alle forme espressamente disciplinate dal legislatore. Ma la possibilità di utilizzare le diverse strutture organizzative per l’esercizio dell’impresa sociale, poteva far nascere ulteriori problematiche come per esempio, quella di accordare una funzione erogativa svolta tipicamente da associazioni e fondazioni titolari di impresa, ad organizzazioni disciplinate dal legislatore con la finalità di svolgere una funzione produttiva. Se analizziamo il fenomeno e l’applicazione della disciplina di favore, notiamo come il legislatore non ponesse la propria attenzione sulle caratteristiche del bene o del servizio prodotto, quanto sulle specifiche del soggetto imprenditore nonché sulle modalità di produzione dei beni e dei servizi. Evidentemente, la possibilità di realizzare un bene o un servizio diretto al soddisfacimento della società civile, era collegata senza alcun tipo di equivoco, alla forma giuridica e quindi alla struttura organizzativa che l’imprenditore decideva di utilizzare. Nella Pronuncia della Corte di Giustizia CE Sez. IV, 305/08 e Sez. IV,

C-357/0612, veniva chiaramente riportato, come la forma giuridica di natura collettiva,

rappresentasse la struttura organizzativa da utilizzare per la gestione di un’attività di impresa diretta alla produzione nonché all’erogazione di beni e servizi con uno spiccato carattere di socialità. In questo modo, si negava la possibilità di poter svolgere un’attività di impresa sociale attraverso la forma giuridica individuale. Tale asserzione derivava dalle caratteristiche intrinseche dell’impresa individuale, la quale non prevedeva e non prevede tutt’ora, nessuna distinzione tra il patrimonio personale e quello derivante dall’attività di impresa. In questo caso, sarebbe stato difficile stabilire una netta separazione tra i patrimoni, rischiando di indirizzare risorse utili all’attività di impresa sociale verso fini totalmente opposti, mentre l’adozione di una forma societaria dotata di una propria autonomia patrimoniale perfetta o imperfetta, permetteva di evitare forme di abuso dello strumento sociale al fine di ottenere un lucro di natura soggettiva.

12 Cambia la nozione di operatore economico : la corte di giustizia conferma la partecipazione alle gare pubbliche di università, enti no profit, imprese sociali, fondazioni ed altre organizzazioni, Nota del dott. M. Cozzio, estratto da informator,1, 2010,

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28 Se la forma giuridica era quindi ritenuta essenziale per l’imputazione degli effetti giuridici, economici ma soprattutto per quanto riguardava la possibilità di sfruttare i riconoscimenti previsti in ambito fiscale, era altresì richiesto che l’impresa sociale fosse in grado di immettere all’interno del mercato, una serie di prodotti e di servizi che, confrontati con quelli realizzati dalle imprese no profit e dall’ente pubblico economico, fossero il risultato di un processo caratterizzato da efficienza ed efficacia e che soprattutto, avessero le specifiche necessarie alla soddisfazione dei bisogni richiesti dalla società civile.

Era evidente, come potesse instaurarsi una qualche forma di competizione tra i diversi attori economici presenti all’interno del mercato, a seguito della capacità delle imprese sociali di riuscire a reperire i fattori produttivi ad un prezzo più basso se non a volte in modo totalmente gratuito, come nel caso di coloro che decidono di apportare le proprie prestazioni lavorative senza alcun tipo di retribuzione, perché mossi da una causa non puramente lucrativa; oppure quando soggetti terzi decidono di investire nell’impresa tramite donazioni, senza la richiesta di una qualche forma di remunerazione.

La possibilità che l’impresa sociale rappresentasse uno strumento per l’esercizio di un’attività che potesse dimostrarsi in competizione con le altre realtà economiche, se da una parte poteva simboleggiare un’innovazione che necessitava evidentemente di una sua regolamentazione, a causa dell’importante funzione economico e sociale che veniva ad essa attribuita, dall’altra parte potevano verificarsi situazioni di abuso dovute alle agevolazioni riconosciute a tale tipologia di impresa. Infatti, non esisteva alcuna garanzia in merito all’utilizzo di tale strumento che altresì, poteva essere adoperato per poter usufruire delle agevolazioni fiscali riconosciute a tale soggetto giuridico. Ciò si manifestava nella presenza di organizzazioni che non avessero alcun interesse al raggiungimento di un fine a carattere prettamente sociale, presentando evidentemente delle caratteristiche organizzative e manageriali, che non dimostravano alcun tratto di similitudine con le realtà delle imprese sociali e dell’organizzazioni no profit. Questo portava alla nascita di organizzazioni destinate ad essere prive di una struttura organizzativa, economica e gestionale, che fossero funzionali al

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29 raggiungimento degli obiettivi richiesti dal legislatore e in particolar modo dalla società civile.

Nonostante nella realtà economica potesse verificarsi un uso distorto dello strumento, la volontà del legislatore era diretta alla costituzione di una forma giuridica che potesse rappresentare un mezzo adatto, al fine di raggiungere uno scopo che andasse oltre il semplice soddisfacimento degli interessi personali. Lo strumento giuridico veniva opportunamente disciplinato al fine di risolvere alcune delle problematiche sociali ed economiche cercando di coinvolgere la parte attiva della popolazione, e non come mezzo per il raggiungimento di un fine prettamente personale. L’imprenditore desideroso di intraprendere un’attività che aveva come scopo il soddisfacimento di un interesse generale, aveva l’onere di utilizzare tale qualifica, evitando di apportare per se stesso un guadagno senza che la collettività non potesse prenderne parte. Un comportamento imprenditoriale rivolto al soddisfacimento di un proprio interesse personale, non significava altro che, andare al di là del significato che effettivamente doveva essere attribuito al fenomeno dell’impresa sociale, evidenziando in questo modo, un comportamento che sicuramente non era in linea con il reale interesse del legislatore. Ciò raffigurava una problematica per l’ente no profit e per la società cooperativa, per il semplice motivo che lo svolgimento della propria funzione a livello sociale nonché il divieto previsto dal legislatore nel distribuire eventuali utili ai soci, rappresentavano e rappresentano tutt’ora, le vere motivazioni per le quali chi investe in tali realtà continui tutt’ora a farlo. Per i finanziatori degli enti no profit e delle cooperative sociali, infatti, non era importante quale fosse la percentuale di remunerazione del capitale investito nell’organizzazione, quanto invece, la capacità della stessa di riuscire a produrre in condizioni di efficienza e di efficacia, garantendo la realizzazione di beni e servizi con un elevato grado di qualità. Nel momento in cui i terzi fossero stati interessati a conferire le proprie risorse finanziarie al fine di garantire lo sviluppo di un’organizzazione con un fine prettamente sociale, un’indebita destinazione delle stesse per la realizzazione di uno scopo diverso da quello indicato

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30 nell’atto costitutivo, avrebbe comportato il rischio che l’impresa sociale non ricevesse più le risorse finanziarie necessarie per la propria crescita economica.

Le agevolazioni fiscali riconosciute all’impresa sociale, esercitata sotto la forma di cooperativa sociale o di ente no profit, erano rivolte alla promozione e allo sviluppo di attività che fossero dirette al sociale nonché per sopperire alle eventuali mancanze dello Stato, senza la presunzione di poter pensare, che tali organizzazioni potessero sostituire in toto le attività svolte dalla pubblica amministrazione. Purtroppo, come già detto poc’anzi, tali agevolazioni potevano diventare la causa della nascita di alcuni comportamenti da parte dell’imprenditoria privata, che non avevano come interesse lo sviluppo di queste nuove realtà, ma altresì lo sfruttamento delle stesse per l’ottenimento di benefici altrimenti non raggiungibili tramite l’utilizzo delle diverse forme previste dal legislatore. Diversi possono essere i casi di sfruttamento dello strumento “impresa sociale“, per esempio nel caso in cui l’impresa privata decida di servirsi di tale forma giuridica al fine di poter usufruire, non solo delle agevolazioni fiscali ma anche per poter accedere a forme di finanziamento atipiche rispetto a quelle previste per lo svolgimento dell’attività d’impresa di natura privata, come forme di finanziamento pubblica e contributi che derivano da soggetti privati. La presenza di tali condotte, non solo risiedeva nella possibilità di beneficiare di agevolazioni o di risorse finanziarie altrimenti non accessibili dal mercato privato, ma altresì, nell’utilizzo della qualifica di impresa sociale attribuita dal legislatore a quei soggetti che presentavano determinati requisiti disciplinati dal legislatore. In questo caso, l’impiego del soggetto giuridico a cui imputare tale qualifica, non aveva come scopo il raggiungimento di un fine altruistico e sociale, quanto quello di beneficiare degli effetti positivi derivanti dal ruolo attribuito dalla nostra società civile all’impresa sociale. Ritenere di poter attribuire una funzione sociale e quindi, diversa rispetto a quella prevista dal legislatore in tema di impresa commerciale, non solo comportava il rischio di creare delle organizzazioni che fossero prive di alcuna efficienza ed efficacia dal punto di vista organizzativo e gestionale, ma implicava altresì, che i soggetti disposti a finanziare la nuova impresa e quindi interessati ad una corretta gestione

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31 della stessa, non riconoscendo in questa i risultati e quindi il raggiungimento degli obiettivi sperati, diventassero riluttanti nel destinare le proprie risorse in una nuova realtà imprenditoriale che si prefiggeva di raggiungere obiettivi di natura sociale. Infatti, a differenza delle organizzazioni private che svolgono un’attività di natura commerciale in cui il fine consiste nel raggiungimento di un profitto all’uopo necessario per la remunerazione del capitale investito, nell’imprese sociali e negli enti no profit non è prevista alcuna remunerazione del capitale sociale bensì il solo raggiungimento di un fine prettamente sociale.

La ricerca di forme alternative di finanziamento e il riconoscimento di agevolazioni fiscali, per lo svolgimento di un’attività diretta all’ottenimento di beni e servizi rivolti alla società, rappresentavano elementi importanti per rimediare ad una mancanza di patrimonializzazione che riguardava le imprese sociali nonché le organizzazioni no profit. Infatti, se analizziamo la struttura patrimoniale di queste nuove organizzazioni, possiamo notare come il livello di patrimonializzazione fosse alquanto basso, a causa della mancanza di soggetti che fossero interessati a entrare nel capitale sociale di tali imprese. La causa di tale comportamento, risiedeva nella mancanza di un ritorno economico da parte di chi effettivamente poteva permettersi di investire nell’impresa sociale. L’emanazione della Legge 381/1991, contribuì allo sviluppo e alla proliferazione di queste nuove realtà imprenditoriali, ma ritenere di disciplinare un fenomeno considerando solo il lato giuridico, senza prevedere i possibili strumenti per risolvere le problematiche di ordine finanziario che caratterizzavano le imprese no profit, rappresentava un problema che richiedeva necessariamente una soluzione alquanto tempestiva13.

La carenza di soggetti finanziatori dipendeva dalle caratteristiche intrinseche delle imprese sociali nonché dalla difficoltà per le stesse di riuscire a instaurare una serie relazioni con i diversi attori del mercato. Purtroppo, le organizzazioni e le imprese sociali difettavano di una struttura gestionale tale da garantire una continuità

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32 economica e finanziaria nel lungo periodo. La causa risiedeva nell’esercizio della propria attività, caratterizzato da una logica volta al raggiungimento di un obiettivo sociale, senza considerare le modalità operative tese a garantire lo sviluppo e il progredire di tali organizzazioni in un arco temporale di medio-lungo periodo. Una gestione attenta alla ricerca dell’efficienza ma sempre in un ottica diretta a garantire il raggiungimento degli obiettivi sociali, avrebbe sicuramente prodotto una serie di benefici che si sarebbero concretizzati nella capacità di reperire le risorse finanziarie dai diversi attori economici presenti all’interno del mercato.

Una mancata attenzione alla gestione economica e finanziaria, aveva prodotto in maniera inevitabile, una serie di problematiche che avrebbero riguardato la patrimonializzazione dell’impresa sociale. Era indispensabile, per i soggetti interessati a finanziare l’attività di impresa, conoscere in maniera chiara o quantomeno veritiera, quali fossero le reali condizioni dell’impresa, al fine di poter decidere se investire o meno nell’organizzazione. L’assenza di una gestione economico e finanziaria attenta alla realizzazione di valore economico per l’organizzazione, non rappresentava l’unica problematica che interessava l’impresa sociale. Infatti, oltre a tale difficoltà, si aggiungeva la scarsa capacità delle imprese sociali di riuscire a dotarsi di garanzie reali necessarie al reperimento delle risorse finanziare. L’assenza di una documentazione economico-finanziaria che fosse precisa, chiara e che si sarebbe dimostrata indispensabile per acquisire le dovute informazioni, ma per prevedere inoltre, quale sarebbe stato lo sviluppo dell’impresa in un’ottica temporale di medio e lungo periodo, rappresentava un’altra circostanza che aggiuntasi alle altre, non avrebbe permesso ai terzi finanziatori, di concedere le proprie risorse all’interno di una realtà che presentava numerose problematiche di ordine gestionale e patrimoniale. Il raggiungimento degli obiettivi economici ma soprattutto di quelli di ordine sociale, che rappresentavano sicuramente la ragione principale della nascita e dello sviluppo di tali organizzazioni, risultavano purtroppo limitati dalla mancanza di un mercato dei capitali dove l’impresa sociale potesse reperire le risorse finanziarie necessarie. Tale circostanza, rappresentava un elemento di criticità per lo sviluppo dell’impresa sociale

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33 che intendeva raggiungere i propri obiettivi senza un’adeguata dotazione di capitale finanziario.

Quindi, disciplinare un fenomeno di cosi importante rilevanza sociale, senza prevedere una struttura organizzativa e finanziaria adeguata, significava introdurre all’interno del mercato, uno strumento giuridico ed economico che non sarebbe riuscito a sfruttare in maniera adeguata le numerose agevolazioni previste dal legislatore. Se da una parte, questo fatto rappresentava un elemento sul quale apporre le dovute critiche, dall’altra parte, poteva diventare il pretesto volto alla ricerca di nuove strumenti e mezzi finanziari, che sicuramente avrebbero rappresentato una situazione alternativa rispetto a quanto offerto dal mercato. Ebbe così sviluppò in Italia, un nuovo strumento finanziario, dedicato alla ricerca di capitali, diretti alla nascita e allo sviluppo del mondo del no profit, nonché dell’impresa sociale sotto la denominazione di “ finanza etica “. Tale appellativo richiamava la funzione attribuita a questo nuovo strumento finanziario, che aveva come scopo principale, quello di assegnare le risorse finanziarie alle imprese sociali nonché a tutte le organizzazioni no profit, necessarie allo sviluppo dell’attività con finalità prettamente sociale. Per la prima volta, le risorse finanziarie, erano erogate tenendo in considerazione non solo l’ambito economico e finanziario, bensì l’aspetto dedicato alla finalità sociale dell’impresa, e questo rappresentava sicuramente un carattere di innovatività che riguardava in modo specifico queste nuove tipologie di impresa.

Evidentemente, prevedere l’erogazione di capitali senza considerare la funzione svolta dall’impresa sociale, significava destinare risorse ad una realtà che non avrebbe successivamente rispettato i propri obblighi costitutivi. La possibilità di accedere alle risorse finanziarie, richiedeva in maniera tassativa, che le stesse venissero destinate all’acquisizione di capitale e lavoro, necessari al raggiungimento degli obiettivi sociali che l’impresa si prefiggeva di raggiungere. La valutazione dell’investimento da parte dei finanziatori, dipendeva dalla capacità dell’organizzazione di riuscire a “creare

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