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La distribuzione indiretta e l’articolo 10 comma 6 del Decreto Onlus

Nel documento I profili fiscali dell'impresa sociale (pagine 100-109)

Gli interpreti hanno cercato di dare un significato a questa disposizione, cercando di capire se quanto riportato indicasse in maniera precisa e puntuale ciò che si voleva esprimere attraverso il concetto di “ distribuzione indiretta “. Sicuramente all’interno del disposto normativo erano indicati alcuni casi tipici di distribuzione indiretta di utili, forse anche perché rappresentavano le situazioni più frequenti nel panorama economico e giuridico. Però, ritenere che la distribuzione indiretta si riferisse alle sole casistiche descritte nell’articolo, significava non entrare nel merito della questione. Infatti, la distribuzione di maggiori introiti a vantaggio di soggetti come amministratori, soci, partecipanti, lavoratori e collaborati rappresentava una casistica che non poteva essere sicuramente esaustiva rispetto alle numerose fattispecie che comportano una distribuzione indiretta di utili o avanzi di gestione. A differenza di quanto invece riportato nell’articolo 10 comma 6 del decreto legislativo n. 460 del 1997, in cui si individuavano le situazioni che “ in ogni caso ” comportavano una distribuzione indiretta di utili o avanzi di gestione, si riteneva invece che quanto previsto dall’articolo 3 comma 2 non rappresentasse in maniera esaustiva le possibili casistiche che avrebbero portato al mancato rispetto dell’articolo di cui sopra, lasciando all’imprenditore o a chi gestisce l’impresa, l’onere di calarsi in ogni specifica situazione, al fine di comprendere se effettivamente fosse stato rispettato il divieto previsto dalla disposizione.

101 Secondo quanto meglio disciplinato dal decreto Onlus n. 460 del 1997 all’articolo 10 comma 1 lett. d) “ il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di

gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’organizzazione, …”,

sorge un dubbio in merito ai possibili compensi che amministratori e soci potevano ottenere in funzione della propria attività svolta a favore dell’ente. Per questi soggetti, il problema nasceva nel momento in cui ricevevano utilità a seguito della propria carica ricoperta all’interno dell’Ente stesso. Se da un parte si prevedeva il divieto di distribuire in forma diretta o indiretta utili ai soci o amministratori, dall’altra parte veniva riconosciuta la possibilità di poter essere “ compensati “ per l’attività svolta, quando l’utilità prodotta andava a diretto vantaggio dell’ente. Le attività svolte a favore dell’Ente potevano essere compensate, a differenza di quelle che derivavano dal semplice svolgimento della carica ricoperta e che producevano un vantaggio strettamente personale per il socio o l’amministratore. Anche se non era prevista nessuna misura certa per ritenere che il compenso spettante rientri nel divieto previsto dall’articolo 10, era al quanto evidente come la “ remunerazione “ dovesse essere quanto meno calcolata in funzione dell’attività svolta, sempre nei limiti delle entrate prodotte dall’ente. Nell’intenzione di approfondire il concetto di distribuzione indiretta di utili ai soci e amministratori, l’Agenzia delle Entrate, di fronte alle richieste di chiarimenti da parte dei contribuenti attraverso lo strumento dell’interpello, aveva dato la propria interpretazione all’interno della Risoluzione del 25 Gennaio del 2007 n. 9/E30. La fattispecie in questione, aveva ad oggetto la richiesta di chiarimenti, da parte di una società a responsabilità limitata operante nel settore delle società sportive dilettantistiche, in merito alla possibilità che i soci, amministratori e fondatori, potessero ricevere un compenso dovuto alla propria attività di amministratore della società, senza per questo, violare quanto previsto dall’articolo 90 comma 18 lett. d) delle Legge 27 Dicembre 2002 n. 289. Quest’ultima infatti, disciplina il divieto di distribuzione degli utili attraverso forme di remunerazione tali da ricondurre ad una

30Risoluzione n.9/E Agenzia delle Entrate, Roma 25 Gennaio 2007,

http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/file/nsilib/nsi/documentazione/normativa+e+prassi/risoluzioni/archivio+risoluzioni/risoluzioni+2007/g ennaio+2007/risoluzione+n+9+del+25+gennaio+2007/risoluzione_9.pdf

102 distribuzione indiretta degli utili. Era inoltre richiesto, se fosse possibile ricompensare il socio della propria attività svolta all’interno del complessivo sportivo, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 67 comma 1 lett. m) del Tuir, senza per questo, violare quanto previsto in tema di distribuzione indiretta degli utili. Come ultima cosa, si chiedeva se la corresponsione del canone di locazione a favore del socio, ricevuto dalla società dopo aver concesso in locazione alla stessa l’immobile all’interno del quale svolge la propria attività, potesse rappresentare anch’essa una forma di distribuzione indiretta degli utili prodotti, che potesse compromettere quanto previsto dalla normativa sull’impresa sociale.

Di fronte alle richieste prospettate, l’interpellante avanzava le proprie considerazioni sulle norme previste dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi, facendo riferimento al concetto di giusto valore percepito secondo le consuetudini previste per la fattispecie in esame. Infatti, per quanto concerneva la corresponsione per l’attività di gestione svolta in qualità di amministratore della società sportiva, l’interpellante riteneva di poter affermare che il compenso percepito fosse da attribuire al ruolo di amministratore della società, e che eventualmente, potesse rappresentare una causa di distribuzione indiretta di utili o di avanzi di gestione soltanto nel caso in cui, il compenso spettante fosse collegato in maniera qualitativa e quantitativa all’attività di gestione effettivamente svolta. In merito alla retribuzione per l’attività realizzata, non in qualità di amministratore bensì di istruttore o sportivo dilettante, il contribuente riteneva di poter applicare la normativa prevista dall’articolo 67 comma 1 lettera m) del Tuir, la quale prevede “le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i

premi e i compensi erogati ai direttori artistici ed ai collaboratori tecnici per prestazioni di natura non professionale da parte di cori, bande musicali e filo- drammatiche che perseguono finalita' dilettantistiche, e quelli erogati nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dall'Unione Nazionale per l'Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto. Tale

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disposizione si applica anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche “. Facendo affidamento sulla

disposizione suddetta, il contribuente affermava come l’attività svolta all’interno della società, non fosse diretta alla sola amministrazione della stessa, bensì anche alla possibilità di svolgere un’attività sportivo-dilettantistica alla quale non dovesse applicarsi quanto previsto in tema di distribuzione indiretta degli utili nei confronti degli amministratori. Per quanto invece riguardava il canone percepito a fronte della concessione in locazione del bene di proprietà del socio a favore della società, l’interpellante affermava come il prezzo corrisposto non dovesse ritenersi distribuzione indiretta di utili o di avanzi di gestione, se “ congruo rispetto alla natura

e qualità del bene affittato “. Per la risoluzione della problematica in oggetto,

l’Agenzia delle Entrate rimandava ad una propria circolare, al fine di chiarire il concetto riguardante la distribuzione indiretta di utili nonché degli avanzi di gestione. In sintesi, come tra l’altro riportato nel medesimo modo all’interno della risoluzione esaminata, la Circolare n. 124/E del 12 Maggio 199831 stabiliva quale fosse la disciplina fiscale riservata a tali tipologia di enti, già disciplinati dall’articolo 148 comma 3 del Tuir, nel caso in cui nessuna disposizione legislativa avesse previsto qualcosa in merito. Era prevista l’applicazione della regime fiscale disciplinato dall’articolo 10 comma 6 del Decreto Legislativo n. 460 del 1997. Anche per questa tipologia di enti, che chiaramente svolgevano un’attività commerciale senza prevedere alcuna finalità di lucro soggettivo, si rimandava, in difetto di una disciplina propria, a quanto previsto in tema di Onlus. L’articolo 10 comma 6 era quindi destinato a diventare la norma di riferimento per qualificare la fattispecie che riguardava “ la distribuzione indiretta di utili e gli avanzi di gestione “. È importante tenere in debita considerazione, come l’assenza dello scopo di lucro rappresenti uno degli elementi indispensabili affinché gli enti possano usufruire delle agevolazioni fiscali che strettamente li riguardano. Riprendendo il contenuto precettivo dell’articolo 10 comma

104 6 alla lettera b), si riportava come “ acquisto di beni o servizi per corrispettivi che,

senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale”. Sempre

facendo riferimento a quanto riportato nella Risoluzione esaminata di cui sopra, l’agenzia continuava la propria attività chiarificatrice, prendendo ancora come riferimento l’articolo 10 comma 6 alla lettera c, la quale prevedeva che “ la

corresponsione ai componenti gli organi amministrativi e di controllo di emolumenti individuali annui superiori al compenso massimo previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 1994, n. 645, e dal decreto-legge 21 giugno 1995, n. 239, convertito dalla legge 3 agosto 1995, n. 336, e successive modificazioni e integrazioni, per il presidente del collegio sindacale delle società per azioni. “ Per ultimo, sempre

all’interno dell’articolo 10 comma 6 si prevedeva che “la corresponsione ai lavoratori

dipendenti di salari o stipendi superiori del 20 per cento rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi di lavoro per le medesime qualifiche “. Ciò che accomuna le

disposizioni in oggetto, è racchiuso nella parte iniziale del comma 6 dell’articolo 10, dove si prevedeva che “ si considerano in ogni caso distribuzione indiretta di utili o di

avanzi di gestione..”. Attraverso quanto previsto dal disposto normativo, si ritiene che

il legislatore abbia voluto conferire carattere generale alle disposizioni suddette, al di là di qualsiasi contesto associativo o di attività svolta che riguardasse il mondo del no profit. Le fattispecie che prevedano situazioni che nella sostanza rappresentassero quanto previsto all’interno dell’articolo 10 comma 6, erano obbligatoriamente da qualificarsi come distribuzione indiretta di utili e di avanzi di gestione.

Sempre all’interno della Risoluzione di cui sopra, l’Agenzia riportava un’altra pronuncia, sempre in merito all’applicazione dell’articolo 10 comma 6. Nella Risoluzione n.234/E del 200232, l’articolo 10 comma 6, rappresentava un utile strumento adottato dal legislatore per evitare l’instaurarsi di comportamenti di natura scorretta, nel caso in cui le Organizzazioni senza scopo di lucro e gli altri enti associativi che non svolgono attività commerciale, utilizzassero le forme giuridiche previste dal legislatore al solo fine di poter usufruire delle agevolazioni fiscali previste

32 Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 234 /E del 17 luglio 2002, http://www.finanzaefisco.it/agenziaentrate/cir_ris_2002/ris234- 02.htm

105 per tali tipologie di enti. Come affermato dall’Agenzia delle Entrare, l’articolo 10 comma 6 rappresentava una vera e propria norma a carattere antielusivo di “tipo

sostanziale” a cui il contribuente potesse richiederne la disapplicazione secondo

quanto previsto dall’articolo 37-bis del D.P.R. 29 Settembre 1973 n. 600. Un’importante riflessione resa nella Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate di cui sopra, si riferiva alle fattispecie che non rappresentavano in maniera esatta quanto previsto dalle disposizioni dell’articolo 10 comma 6. In questo caso, l’agenzia affermava la necessità di porre un’attenta valutazione ad ogni singola fattispecie, facendo particolare attenzione alle situazioni in cui il divieto di distribuzione indiretta degli utili potesse manifestarsi attraverso il cumulo delle fattispecie previste dalla normativa. Nel caso di specie, era possibile eludere il divieto previsto, grazie alla percezione di compensi in qualità di socio e amministratore della società, che sommati tra loro possono portare al superamento dei limiti previsti dal D.P.R. 645 del 1994. Per quanto riguarda invece i compensi percepiti dal socio che in questo caso esercitava attività di istruttore per la società sportiva dilettantistica, in merito a quanto previsto dalla lettera m) dell’articolo 67 comma 1 Tuir, gli importi percepiti per lo svolgimento della propria mansione, rappresentavano un’indebita distribuzione indiretta degli utili o degli avanzi di gestione quando i compensi percepiti siano superiori al 20 %, prendendo come riferimento i salari e gli stipendi stabiliti secondo la normativa contrattuale nazionale. In merito alla corresponsione del canone a favore del socio della società sportiva dilettantistica, il divieto di distribuzione degli utili e degli avanzi, disciplinato specificatamente dall’articolo 90 comma 18 lett. d) della Legge n. 289 del 2002, per quanto riguardava l’ente in questione, si prevedeva quando il canone corrisposto risultasse superiore rispetto a quello comunemente praticato dal mercato, avendo come riferimento l’articolo 9 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Il mancato rispetto dei suddetti limiti previsti dal legislatore per evitare un uso distorto dell’ente e delle agevolazioni fiscali che lo riguardano, rappresentano singole fattispecie che ritroviamo all’interno della normativa. Come affermato nel parere fornito dall’Agenzia, è possibile ritenere che gli eventuali compensi percepiti dal socio nelle diverse qualità attribuite all’interno della propria società, possano cumularsi tra

106 loro e quindi portare al mancato rispetto del divieto di distribuzione indiretta degli utili. A conclusione di quanto descritto all’interno della Risoluzione di cui sopra, diventava al quanto evidente, come la ricerca di una definizione da attribuire alla distribuzione indiretta di utili fosse possibile dalla lettura del disposto normativo descritto dall’articolo 10 comma 6 del Decreto Legislativo n. 460 del 1997. Infatti, come affermava parte della dottrina, nessuna definizione appare allo stesso modo esaustiva rispetto a quella presente all’interno del Decreto Onlus. Facendo quindi un confronto rispetto a quanto previsto dalla disciplina del Decreto Legislativo n.155 del 2006, sarebbe stato più opportuno definire in maniera compiuta la fattispecie riguardante la distribuzione indiretta degli utili e degli avanzi di gestione.

Nella disciplina dell’articolo 3 comma 2, ritrovavamo comunque i medesimi criteri quantitativi discussi all’interno della Risoluzione, in merito ai compensi percepiti da soci, amministratori e lavoratori dipendenti. Non si vietava pertanto la remunerazione dei soggetti suddetti per lo svolgimento della propria attività all’interno del contesto imprenditoriale, bensì si richiedeva che quanto percepito non dovesse risultare sproporzionato rispetto a quelli che rappresentano i canoni del mercato. I criteri quantitativi presenti all’interno della disposizione, rappresentavano i limiti oltre i quali la distribuzione indiretta avveniva senza alcun tipo di giustificazione, a seguito, cosi come previsto dalla norma, della possibilità di poter acquisire specifiche competenze e professionalità da parte degli amministratori e dei dipendenti. Si riteneva pertanto possibile applicare una remunerazione maggiore per i soggetti suddetti, senza andare oltre i limiti previsti dalla normativa. In questo modo, si delineava uno spartiacque che avrebbe stabilito quali fossero gli importi rappresentativi degli utili e quali invece, quelli che sarebbero stati riconosciuti come somme corrisposte ai dipendenti dell’impresa per la propria attività svolta all’interno della stessa.

Un’altra attenta considerazione da dover porre in essere, al fine di garantire che la società o l’ente potesse acquisire la qualifica di impresa sociale, consisteva nell’eventuale possibilità di destinare gli utili prodotti dall’organizzazioni ai soggetti a cui l’attività di impresa era specificatamente diretta o riconoscere eventuali benefici a favore di soggetti svantaggiati o con disabilità. In questo caso, si manifestava una

107 fattispecie alquanto differente da quella ritrovata all’interno dell’articolo 3 comma 2, dove si faceva espresso riferimento alle situazioni di distribuzione indiretta degli utili e avanzi di gestione. Si prevedeva l’eventuale possibilità di conferire le risorse prodotte utilizzando la tecnica adoperata nel settore delle cooperative, anche se si ritiene opportuno prevedere tale concessione all’interno dell’atto costitutivo della società, rispettando in tale modo, la disposizione prevista dall’articolo 3 comma 1. In questo caso, si prospettava però un altro problema legato al tipo di attività principale svolta da parte dell’impresa sociale, che non doveva assumere natura erogativa. Si riteneva, che l’esercizio di un’attività di natura erogativa, tipica delle organizzazioni senza scopo di lucro, fosse possibile soltanto se prevista all’interno dell’atto costitutivo qualificandosi come attività di natura secondaria. Dopodiché, nel rispetto di quanto richiesto dalla normativa di cui all’articolo 3 comma 1, gli utili e gli avanzi di gestione prodotti erano inevitabilmente destinati allo svolgimento dell’attività di impresa o all’aumento del patrimonio dell’ente o società.

Come abbiamo appena visto per quanto riguarda la possibilità di distribuire gli utili prodotti dall’impresa sociale ai soggetti ai quali è diretta l’attività d’impresa, niente vietava a maggior ragione, che fosse possibile la distribuzione degli utili in maniera diretta. Infatti, se riprendiamo brevemente la disposizione riguardante l’articolo 3 comma 2, non era possibile ritrovare alcuna precisazione in merito al divieto di distribuire gli utili e gli avanzi di gestione, ai soggetti verso i quali era diretta l’attività svolta dall’impresa sociale. La distribuzione indiretta degli utili poteva avvenire, attraverso una diminuzione dei prezzi da corrispondere per i beni offerti, sempre secondo il rispetto del principio di economicità, che caratterizzava in modo particolare qualifica, ogni attività di impresa secondo quanto previsto dall’articolo 2082 del codice civile. In questo modo, l’impresa sociale avrebbe offerto un bene a un prezzo sicuramente competitivo rispetto a quelli presenti all’interno del mercato, non andando mai al di sotto del costo richiesto per la produzione del bene stesso. Questo rappresentava quindi, una situazione di distribuzione indiretta degli utili prodotti dall’impresa, che avrebbe prodotto un vantaggio immediato nei confronti del soggetto utente dell’impresa sociale.

108 Se nessun problema si evidenziava in merito alla distribuzione di quanto prodotto dall’impresa sociale a favore dei destinatari dell’attività esercita, eventuali problemi potevano invece manifestarsi, quando la distribuzione indiretta riguardava i soggetti di cui all’articolo 2 comma 2. Il motivo di tale affermazione risiedeva nella contrapposizione che si veniva a creare con quanto invece disciplinato dall’articolo 3 comma 2. La distribuzione indiretta degli utili e avanzi di gestione a favore dei soggetti di cui all’articolo 2 comma 2, doveva necessariamente sottostare a quanto previsto per i soggetti indicati dall’articolo 3 comma 2. Infatti, era previsto che la remunerazione a favore dei soggetti lavoratori svantaggiati, non fosse sproporzionata rispetto ai criteri previsti dal legislatore ma soprattutto, nel caso in cui era previsto un corrispettivo maggiore rispetto ai canoni previsti dal mercato, era doveroso riportare la giustificazione di una tale remunerazione.

Un’altra importante disposizione normativa, la potevamo ritrovare all’interno dell’articolo 4 rubricato “Struttura proprietaria e disciplina dei gruppi”. In questo caso, il legislatore indicava le regole da utilizzare per la disciplina dell’attività di direzione e coordinamento delle imprese sociali, previste all’interno del Capo IX del Titolo V del Libro V all’articolo 2545-septies del Codice Civile. Il rispetto delle norme presenti all’interno del Codice Civile dipendeva dalla compatibilità delle stesse rispetto alla realtà delle imprese sociali. Comunque, nel caso in cui quanto assunto dalla normativa codicistica non risultasse compatibile con la disciplina prevista per le imprese sociali, il legislatore affermava come l’attività di direzione e coordinamento si manifestasse ogni qualvolta l’ente o l’organizzazione potevano nominare la maggioranza degli organi amministrativi. Sempre considerando quanto previsto all’interno dell’articolo 4, il legislatore aveva ritenuto di fondamentale importanza escludere dal novero dei possibili soggetti gli enti privati con scopo lucrativo nonché le amministrazioni pubbliche. Si riteneva, che l’esclusione di questi soggetti fosse ascrivibile alla volontà di evitare che un ente il cui scopo non corrisponde a quello previsto per le imprese sociali, potesse impartire delle decisioni tali da modificare la natura degli enti o delle società con finalità non lucrative ma prettamente sociali.

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