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L’assimilazione segmentata delle seconde generazioni tra limiti e opportunità Intorno agli anni Novanta nel contesto statunitense, oggetto di dibattito da parte di var

studiosi21 è stata la cosiddetta «new second generation» (Portes, 1997) nata dai flussi migratori avvenuti dopo il 196522. In particolare gli autori mettono a confronto le seconde generazioni nate dai flussi migratori provenienti dall’Europa nord-occidentale nei primi anni del XX sec. con le seconde generazioni «non bianche» (asiatiche e latine) «post-1965» (Bankston, 1998). Bankston (1998) osserva che verso la fine degli anni Ottanta aumentarono vertiginosamente la presenza di giovani non bianchi nelle scuole e le aree urbane in cui le nuove seconde generazioni si concentrarono furono caratterizzate da un aumento della criminalità giovanile oltre che da una crescente multietnicità. L’autore afferma che oltre ad esserci più bande criminali esse erano diventate anche più violente e iniziarono ad apparire nei quartieri dove gli immigrati «post-1965» (Ibid.) si erano stabiliti. In generale gli studiosi si interrogano sul perché le seconde generazioni di origine asiatica e latina, a differenza di quelle di origine europea, hanno contribuito all’aumento della criminalità.

Bankston (1998) in merito a questo tema rappresenta tre generali tendenze teoriche23 che fanno da cornice ai vari studi e ricerche riguardanti i comportamenti devianti delle seconde generazioni asiatiche e latine negli Stati Uniti e che focalizzano l’attenzione principalmente al contesto socioeconomico: l’approccio economico, l’approccio sociale e l’approccio della disorganizzazione sociale:

L’approccio economico vede le bande giovanili come un mezzo per poter ottenere risorse altrimenti non disponibili. In questo approccio l’intensificazione della violenza sarebbe attribuibile alla crescente competizione tra individui e gruppi per l’accaparramento delle risorse. L’approccio sociale si basa sul sistema delle gerarchie sociali e sulla cultura. Per quanto riguarda il primo aspetto, l’approccio sociale afferma che poiché i figli degli immigrati spesso

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Tra questi troviamo Alba e Nee (1997), Bankston (1998), Portes e Rumbaut (2001)

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Dagli anni '20 la politica migratoria statunitense era stata governata da un sistema che fissava le quote nazionali per gli stranieri in base alla composizione della popolazione americana. La legge sull'immigrazione del 1965 pose fine a questo sistema di quote e ampliò il numero consentito. A seguito del coinvolgimento militare americano nel sud-est asiatico e la caduta dei governi alleati con gli Stati Uniti in Vietnam, Laos e Cambogia nel 1975, la popolazione rifugiata proveniente dal sud-est asiatico divenne parte della nuova popolazione immigrata.

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Come vedremo le tre tendenze teoriche descritte dall’autore si basano su tre principali teorie della devianza, ossia la teoria della deprivazione relativa (Merton, 1938), la teoria del conflitto culturale (Sellin, 1938) e la teoria del controllo sociale (Ross, 1901).

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possono trovarsi in una posizione di svantaggio nella struttura sociale, le bande giovanili potrebbero costituire ai loro occhi fonti alternative di successo, per questo la violenza può derivare dalla ricerca di uno status più prestigioso. In merito alla cultura invece, l’approccio sociale attribuisce importanza alle credenze, alle norme e ai valori dei membri del gruppo etnico. Rispetto alla cultura l’autore individua tre tipi di approcci culturali: l’ approccio di cultura della povertà, che vede le bande giovanili come uno sviluppo delle norme e valori del gruppo etnico al quale appartengono; l’approccio situazionale che rappresenta le norme e i valori delle bande come delle risposte culturali a particolari situazioni sociali che circondano i membri della banda; l’approccio della cultura giovanile, che attribuisce lo sviluppo delle bande giovanili su base etnica a un processo di assimilazione alla cultura giovanile autoctona, nel caso dell’analisi dell’autore, alla cultura americana. In quest’ultimo caso l’assimilazione della cultura americana sembra costituire un fattore di rischio, poiché se da una parte le seconde generazioni tendono ad assimilare i valori del successo e del prestigio tipici della cultura occidentale dall’altro, non dispongono le risorse sufficienti per realizzare le proprie aspirazioni. Questo naturalmente contribuisce a coltivare un sentimento di frustrazione che può spingere a cercare il prestigio nelle gang giovanili.

Infine l’approccio della disorganizzazione sociale enfatizza il rapido mutamento sociale causato dai flussi migratori. Da questa prospettiva, la costituzione di bande giovanili su base etnica è causatea dall’indebolimento del controllo esercitato dagli adulti e da una discrepanza fra l’organizzazione sociale delle comunità etniche e l’organizzazione sociale della società del paese ospitante. Le gang possono fornire una forma alternativa di ordine sociale di fronte all'inadeguatezza o alla perdita dei controlli sociali tradizionali (famiglia e scuola).

Come precisa l’autore, l’utilizzo di un approccio non esclude l’altro e spesso sono stati utilizzati contemporaneamente perché consentono di osservare il fenomeno della devianza delle seconde generazioni in maniera completa tentando di superare i pregiudizi che stanno alla base del tema. Le tre prospettive descritte da Bankston (1998) mettono in risalto come la scarsità di risorse, uno status socioeconomico svantaggiato e lo sviluppo di una subcultura deviante, contribuiscono a una rottura dell’ordine sociale. Questi tre elementi possono essere considerati dei macrofattori che facilitano percorsi di esclusione.

Una sintesi dei tre approcci teorici descritti da Bankston (Ibid.), la troviamo nello studio condotto da Portes e Rumbaut (2001) che rappresenta uno dei principali lavori che ha approfondito il fenomeno delle « news second generation» (Portes, 1997) nel contesto statunitense. Questo studio oltre ad aver analizzato in maniera dettagliata i fattori che hanno contribuito al processo di devianza e marginalizzazione delle seconde generazioni, ha messo in

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discussione il concetto di assimilazione, inteso come processo di assorbimento delle minoranze culturali all’interno della maggioranza culturale.

I due autori individuano due principali fattori che hanno contribuito al processo di marginalizzazione delle seconde generazioni «post-1965» (Bankston, 1998): una struttura socioeconomica a clessidra e la differenza razziale.

Per quanto riguarda il primo aspetto, si tratta della graduale scomparsa delle occupazioni industriali stabili che offrivano agli immigrati e alle generazioni successive la possibilità di stabilirsi nella classe media della società americana ed eventualmente fare carriera nelle gerarchie professionali. Il secondo aspetto invece, riguarda la percezione della società ricevente rispetto alla razza. Secondo gli autori la differenza tra gli immigrati di allora e quelli di oggi è che i primi erano bianchi e quindi facilmente confondibili con la maggioranza anglosassone, quelli di oggi invece sono per la maggior parte di colore e quindi facilmente sottoposti a processi di stigmatizzazione limitando le loro opportunità di inserimento. Proprio per quest’ultimo aspetto oggi, secondo gli autori, i giovani di seconda generazione tendono ad essere assimilati nelle comunità marginali e nei ghetti urbani e quindi è più facile che essi coltivino il rifiuto delle norme e dei valori della società “ospite”. Questi, secondo gli autori, sono i due principali fattori che hanno ostacolato i figli dei migranti post-riforma e che rimettono in discussione il processo di assimilazione che aveva caratterizzato il processo di inclusione dei figli degli immigrati europei.

Scendendo più nel dettaglio, Portes e Rumbaut (2001 : 46-49) partendo dalle storie autobiografiche delle cosiddette «nuove seconde generazioni» individuano due insiemi di variabili che influiscono sui percorsi di assimilazione e che condizionerebbero il futuro delle seconde generazioni. Il primo insieme è composto da tre fattori di tipo contestuale:

- le politiche del governo ricevente; esse variano in un continuum che va dall’esclusione, all’accettazione passiva o all’incoraggiamento. La prima opzione ha l’obiettivo di ostacolare l’immigrazione o costringere gli immigrati a vivere in condizioni di segregazione mettendoli così in una posizione di svantaggio. La seconda alternativa invece concede agli immigrati l’accesso legale ma non facilita il loro adattamento. Quest’ultima alternativa è tipica dell’immigrazione da lavoro di carattere temporaneo. L’ultima opzione invece prevede che le autorità adottino misure volte all’inclusione e a facilitare l’insediamento degli immigrati consentendo loro l’accesso a una schiera di risorse.

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- la società di accoglienza e le modalità di ricezione dei nuovi arrivati; gli autori partono da un principio sociologico consolidato che afferma che più c’è somiglianza tra la popolazione immigrata e autoctoni in termini di caratteristiche somatiche, status, lingua e religione e più è favorita la loro accoglienza. Come abbiamo già visto, a tale proposito, gli autori confrontando le seconde generazioni figli dei migranti provenienti dall’Europa nord-occidentale nei primi anni del XX sec. con le seconde generazioni “non bianche” (asiatiche e latine), osservano che i primi hanno incontrato meno difficoltà ad accedere alla classe media e superiore degli Stati Uniti, mentre i secondi, indipendentemente dalla loro classe sociale di provenienza e dalla conoscenza della lingua inglese, hanno incontrato maggiori ostacoli nell’accedere al mainstream bianco della classe media. Quindi sembrerebbe che più la pelle di una persona è scura e maggiore è la distanza sociale dai gruppi dominanti indipendentemente dalle capacità personali24. Riprendendo il modello di Bourhis et al. (1997), si può affermare che mentre i figli degli immigrati europei sono stati assimilati dalla classe media americana, le seconde generazioni non bianche, hanno subito un processo di esclusione.

- la presenza di una comunità di compatrioti nel paese di accoglienza; essa può contribuire ad agevolare l’accesso alle risorse, talvolta anche a trovare un lavoro e ad attenuare l’impatto con la cultura del paese ospitante. Tuttavia sussistono significative differenze in base alle comunità etniche in cui i nuovi arrivati si inseriscono. Questo perché l’aiuto fornito è subordinato alle risorse e informazioni di cui dispone la comunità. Il gruppo etnico di appartenenza può essere formato da persone che per la maggior parte svolgono lavori poco qualificati o, al contrario, può contenere persone che svolgono lavori più qualificati o appartenenti alla classe imprenditoriale. Per questo la comunità di appartenenza può essere determinante per il futuro dei nuovi arrivati, indirizzandoli o verso un processo di mobilità sociale ascendente o, al contrario, verso occupazioni più umili che possono non coincidere con il livello di istruzione e con il profilo professionale conseguito nel paese di origine.

Oltre ai fattori contestuali che abbiamo appena visto, i due autori individuano due fattori, che possiamo definire endogeni, poiché riguardanti principalmente la famiglia25 e che possono influenzare in modo determinante il processo di integrazione delle seconde generazioni:

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Tuttavia gli autori tengono presente che allora l’economia industriale era in espansione e questo sicuramente ha favorito i processi di integrazione e mobilità sociale.

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- L’ambiente familiare; gli autori affermano che il processo di adattamento delle seconde generazioni è condizionato dalla storia della famiglia e dalle risorse economiche e sociali di quest’ultima. Portes e Rumbaut (2001) partono dal presupposto che i genitori vogliono il meglio per i loro figli, proprio per questo la maggior parte delle risorse delle famiglie sono destinate a dare loro un futuro migliore. Le risorse investite sono principalmente di due tipi di cui, come vedremo nel prossimo capitolo, le seconde sono subordinate alle prime : risorse che consentono l’accesso a beni economici e a migliori opportunità di lavoro e quelle che rafforzano il controllo normativo dei genitori. I genitori che godono di uno status socioeconomico medio-alto possono sostenere con più facilità l’adattamento dei loro figli. Prima di tutto essi hanno accesso a maggiori informazioni rispetto alle opportunità che il contesto sociale offre e, in secondo luogo, dispongono di risorse economiche che facilitano un accesso a beni più strategici, come ad esempio una migliore istruzione. Di conseguenza, la disponibilità di maggiori risorse e di maggiori competenze professionali da parte della famiglia influisce positivamente sul rapporto genitori-figli. La disponibilità di più risorse consente ai genitori un maggiore controllo sui figli influenzando inoltre il ritmo e il carattere del processo di acculturazione di questi ultimi e i successivi risultati di adattamento.

- La composizione della famiglia immigrata; essa risulta particolarmente rilevante nella misura in cui include entrambi i genitori. Gli autori affermano che i bambini che vivono con entrambi i genitori hanno accesso sia a maggiori risorse economiche sia a una maggiore attenzione e guida da parte degli adulti. Inoltre la presenza di entrambi i genitori rende possibile l’accesso a reti sociali più estese. Tuttavia esistono delle differenze in base al genere dei figli. Generalmente nelle famiglie tradizionali le femmine vengono educate a diventare madri e casalinghe al contrario, i figli maschi, vengono incoraggiati ad eccellere nel lavoro. Secondo gli autori questi diversi stili educativi che si basano sul genere producono effetti importanti sul processo di adattamento delle seconde generazioni come: l’apprendimento della lingua del paese ospitante, le aspirazioni e il rendimento scolastico.

Sulla base dei fattori appena elencati Portes e Rumbaut (2001) affermano che il processo di assimilazione inteso come un percorso attraverso il quale una minoranza straniera viene assorbita dalla cultura dominante, rappresenta solo una delle innumerevoli alternative. Per i due studiosi l’impostazione classica del concetto di assimilazione rappresenta una previsione fattuale sull’esito finale degli incontri tra minoranze e maggioranza e al contempo sembra implicitamente affermare che essa rappresenti l’unico obiettivo desiderabile. In realtà gli

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studiosi sostengono che il processo non è semplice e tantomeno scontato. Questa affermazione oltre ai fattori appena elencati, è motivata dal fatto che sia la popolazione immigrata sia la popolazione ospitante costituiscono realtà eterogenee. Come ci fanno notare gli autori, gli immigrati, anche se condividono la stessa nazionalità, sono diversi tra loro per le loro caratteristiche individuali (età, istruzione, abilità professionali ecc…) e per altri fattori inerenti al contesto familiare e sociale. Il processo di assimilazione viene quindi influenzato da innumerevoli variabili e proprio per questo Portes e Rumbaut (Ibid.) parlano, in riferimento alle seconde generazioni, di assimilazione segmentata che rappresenta un percorso i cui esiti possono variare e in cui la completa fusione alla cultura dominante rappresenta soltanto una delle innumerevoli alternative.

Tra gli autori che tuttora sostengono il concetto classico di assimilazione, quindi come mero assorbimento delle minoranze culturali all’interno della maggioranza culturale, troviamo Alba e Nee (1997). Essi descrivono il processo di assimilazione culturale come un processo inevitabile e lineare, che si sviluppa indipendentemente dalla volontà dei soggetti e influenza vari ambiti come: l’apprendimento linguistico, il superamento nel tempo della riproduzione occupazionale su base etnica e la crescita dei matrimoni misti. In generale essi la definiscono come il declino e infine la scomparsa delle differenze culturali e sociali tra la minoranza e la maggioranza etnica. Gli autori ritengono che il paradigma assimilazionista sia ancora valido, nonostante il cambiamento nella composizione demografica del panorama statunitense dovuto alle nuove seconde generazioni. Altro aspetto discusso dagli autori è se i cambiamenti apportati dal processo di assimilazione siano unilaterali o reciproci. Su questo punto gli autori non prendono una posizione netta. Tuttavia affermano che tendenzialmente sono i gruppi minoritari ad avvicinarsi alla cultura della maggioranza e che l’unilateralità dipenda soprattutto dalle caratteristiche delle minoranze etniche. Secondo gli autori più le differenze sono marcate e più si verificherà un cambiamento unilaterale che porterà le minoranze etniche ad assumere le caratteristiche della maggioranza etnica. Occorre sottolineare però che in alcuni ambiti meno rilevanti, come ad esempio nella musica e nel cibo, secondo gli autori si potranno verificare dei cambiamenti reciproci.

In conclusione gli autori sostengono che nonostante la visione classica del concetto di assimilazione sia stata oggetto di diverse critiche, perché accusata di non tenere debitamente conto della diversità nella composizione dei flussi migratori prima e dopo la riforma del 1965, essa tuttavia risulta ancora appropriata per descrivere il processo di integrazione delle nuove seconde generazioni. Per gli autori l’assimilazione è un processo unidirezionale che inevitabilmente tende ad assottigliare per poi eliminare del tutto le differenze. Come si è visto

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nel primo capitolo con Ambrosini (2011, cit. in Ranci e Pavolini, 2015 : 277-278) il modello assimilazionista non respinge lo stanziamento definitivo degli immigrati anche se l’obiettivo è quello di annullare le differenze.

Tuttavia oggi il concetto di assimilazione segmentata di Portes e Rumbaut (2005) rappresenta la tesi più accreditata infatti, vari studiosi, la riprendono per analizzare i processi di integrazione anche in altri contesti come quello italiano. Come si è visto il processo di assimilazione segmentata attribuisce una grade rilevanza ai fattori contestuali e alle risorse della famiglia e della comunità etnica, indebolendo al contempo la rilevanza dell’assimilazione culturale degli individui nel determinare futuro delle seconde generazioni. In sostanza secondo il paradigma teorico dell’assimilazione segmentata l’assimilazione culturale rappresenta solo un’ipotesi non necessariamente auspicabile ai fini di una piena integrazione. Il concetto di assimilazione segmentata rappresenta un percorso e non l’esito del processo di integrazione che rompe «l’asserita linearità del rapporto tra integrazione socioeconomica e assimilazione culturale» (Ambrosini, 2004 : 29). Per questo, secondo il concetto di assimilazione segmentata, l’inclusione socioeconomica non è subordinata a un processo di assimilazione culturale ma, al contrario, sono le modalità di accoglienza, le politiche di inclusione e le risorse di cui dispone l’ambiente familiare e la comunità di appartenenza ad essere determinanti sul processo di integrazione. Questa conclusione è ben sintetizzata da Brubaker (2001, cit. in Ambrosini, 2004 : 23) che nonostante non abbandoni del tutto il paradigma assimilazionista ma lo rivisita26, afferma che l’assimilazione va perseguita a livello socioeconomico e solo così è possibile prevenire forme di segregazione, ghettizzazione e emarginazione.

Ambrosini e Molina (2004) seguendo il paradigma dell’assimilazione segmentata di Portes e Rumbaut (2001) rappresentano bene la relazione esistente tra integrazione socioeconomica e assimilazione culturale nel presente modello elaborato dagli autori (Fig.4). Questo modello mette in luce i possibili scenari dati dal rapporto tra integrazione economica e assimilazione culturale delle seconde generazioni.

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Brubaker (2001, cit. in Riniolo, 2018 : 18) a differenza di Alba e Nee (1997) considera il processo di assimilazione un processo volontario in cui i migranti sono soggetti attivi e non passivi.

62 Integrazione economica Bassa Alta A ss im il az ione C ul tur al e Bassa Downward assimilation: giovani immigrati inseriti in comunità marginali e discriminate, che sviluppano sentimenti oppositivi verso la società ospitante e le sue regole.

Assimilazione selettiva: successo scolastico e progresso economico favoriti dal mantenimento di legami comunitari e codici culturali distintivi.

Alta

Assimilazione anomica o illusoria: acquisizione di stili di vita occidentali, ma in mancanza di strumenti e opportunità per ottenere i mezzi necessari per accedere a standard di consumo corrispondenti.

Assimilazione lineare classica: l’assimilazione culturale, con l’abbandono dell’identità ancestrale e di legami comunitari, di pari passo con l’avanzamento socio economico.

Fig. 4: I rapporti tra integrazione economica e assimilazione culturale delle seconde generazioni immigrate. Ambrosini e Molina (2004 : 39)

Possiamo vedere che nella Downward assimilation i giovani di seconda generazione poiché inseriti in contesti economicamente svantaggiati, sviluppano una coltura oppositiva o «identità etnica reattiva» (Ambrosini e Molina, 2004) ai valori della classe media della società di accoglienza. Questo tipo di assimilazione è tipica dei ghetti urbani o meglio, come precisa Portes (1995, cit. in Ambrosini, 2004 : 27), crescendo insieme alle minoranze economicamente svantaggiate, alimentano dentro di sé un senso di frustrazione poiché introiettano l’idea che ogni sforzo di miglioramento sia inutile e la convinzione di una persistente discriminazione da parte della classe dominante. Come affermano Portes e Rumbaut (2001) questo tipo di assimilazione ha riguardato soprattutto le «new second generation» (Portes, 1997), ossia figli e nipoti dei messicani e portoricani immigrati negli Stati Uniti. In questo caso l’apprendimento di nuovi modelli culturali ha portato le seconde generazioni ad unirsi alle bande giovanili o ad aderire

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alla sottocultura della droga. Questo secondo gli autori è dovuto principalmente al cambiamento del mercato del lavoro. Se in un’economia industriale c’erano più possibilità di ascesa sociale anche in assenza di titoli di studio superiori, in un’economia post industriale questo non è più possibile e di conseguenza le seconde generazioni se vogliono avanzare nella gerarchia sociale devono investire di più soprattutto nella scuola. Tuttavia spesso a causa della scarsità di risorse economiche, le seconde generazioni si trovano incapsulati negli iperghetti in cui apprendono le controculture delle bande giovanili. È facile intuire che in questi casi le seconde generazioni saranno molto probabilmente destinate a intraprendere carriere devianti. Portes e Rumbaut (Ibid.) definiscono queste controculture devianti una sorta di misura di solidarietà in opposizione alla discriminazione esterna, ossia i giovani interiorizzano la convinzione che la loro condizione di minoranza deriva dalla discriminazione che le istituzioni tradizionali esercitano nei loro confronti. Per questo motivo i giovani che aderiscono a questa cultura oppositiva tendono a denigrare le principali istituzioni tra cui la scuola, considerata incapace di migliorare la loro condizione sociale ed economica. Altro aspetto rilevato dagli autori è che spesso i genitori si trovano impreparati di fronte al permessivismo della cultura occidentale. In generale i genitori vengono svuotati della loro autorità parentale tanto da desiderare di