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L’influenza della nascita e dell’arrivo dei figli sul sistema famiglie e sul progetto migratorio.

La fase del ricongiungimento rappresenta la parte più delicata, non soltanto per le lunghe e onerose procedure burocratiche, ma anche perché la famiglia ricongiunta non corrisponde più a quella lasciata nel paese di origine. A volte cambiano i membri della famiglia31 ma anche se rimangono gli stessi, cambia l’equilibrio all’interno della coppia e la relazione con i figli che nel frattempo sono cresciuti. In questa fase il significato del progetto migratorio cambia perché non si tratta più di un evento temporaneo, ma diventa una condizione permanente. Gli adulti si ritrovano a fare i genitori in una cultura nuova che, pur se conosciuta, non ne hanno avuto esperienza attraverso il ruolo di genitore. In questa fase l’adulto che ha dato avvio al progetto di migrazione cambia prospettiva, poiché non è più il lavoratore che sostiene la propria famiglia a distanza, ma deve fare il genitore in una società con modelli educativi del tutto diversi. Si tratta di rivedere i ritmi familiari tra la dimensione di lavoro e cura (Gozzoli, Regalia, 2005; Ranci, 2011). Altro aspetto importante è il sistema delle aspettative dell’adulto e del figlio. Spesso l’adulto si aspetta che i figli siano riconoscenti dei sacrifici fatti e che riescano ad affermarsi nella società di accoglienza, dall’altro lato invece abbiamo i figli, che nonostante desiderino rivedere il genitore, subiscono una rottura dolorosa con la comunità di appartenenza poiché si separano dagli amici e da chi li ha accuditi fino a quel momento.32 Risulta evidente quanto può

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Questo può verificarsi quando le madri o i padri conoscono un nuovo partner nel paese di immigrazione.

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Secondo Ambrosini (2008, cit. in Ranci, 2011 : 237), altro nodo critico che si trovano ad affrontare i minori di seconda generazione, è la drastica contrazione delle risorse a disposizione poiché, fino a quel

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essere problematico il ricongiungimento per i figli. Gozzoli e Regalia (2005 : 113) sottolineano che i genitori si ritrovano ad accudire i figli in una condizione «forzatamente nucleare», ossia la famiglia composta dai due genitori e i figli. Tuttavia Ranci (2011) osserva che per i figli più piccoli il percorso di integrazione risulta più semplice poiché essi sono stati meno tempo separati dal genitore. Al contrario, per i figli già adolescenti, che durante la separazione sono cresciuti senza la supervisione del genitore, il ricongiungimento presenta molte più criticità poiché essi sperimentano un processo di frammentazione identitaria, e talvolta provano rabbia verso chi in passato li ha abbondonati e che ora li sradica dal loro contesto di vita. Come afferma Longomarsino (2005) gli adolescenti, una volta raggiunti i genitori, spesso incontrano difficoltà nell’instaurare relazioni di amicizia con i coetanei autoctoni, nella gestione degli spazi e del tempo libero e soprattutto il più delle volte vedono infrangersi le loro aspettative nei confronti sia del genitore sia del paese di arrivo. L’autrice osserva che spesso il ricongiungimento si traduce in una delusione poiché si trovano inseriti in contesti precari in cui i genitori fanno fatica a svolgere un ruolo educativo forte sia per le molte ore di lavoro fuori casa, sia per i modelli educativi del paese ospitante che spesso divergono con quelli del paese di origine.

Ambrosini (2015), in merito a questo tema delinea sei elementi che possono concorrere o pregiudicare la stabilità familiare e che differenziano tra loro le traiettorie familiari:

- Lo status legale, è evidente che l’eventuale irregolarità anche di un solo genitore può compromettere il progetto migratorio.

- L’abitazione; in termini di dimensioni, comfort, area di residenza, prossimità con i servizi. Come abbiamo visto con Portes e Rumbaut (2001), abitare in quartieri svantaggiati espone i figli a un maggior rischio di assumere comportamenti devianti. - La composizione e la stabilità familiare, la presenza di entrambi i genitori e un rapporto

coniugale stabile supportano il ruolo genitoriale; le donne sole con figli spesso incontrano più difficoltà poiché non riescono a far conciliare i tempi di lavoro e cura. - L’occupazione dei genitori e la presenza di una rete familiare allargata; se da un lato il

lavoro dei genitori permette di aumentare il proprio capitale sociale e di attingere a più risorse, dall’altro complica la gestione familiare, proprio per questo diventa importante la presenza di una rete familiare allargata che funga da supporto nella gestione dei figli. Con Portes e Rumbaut (2001) abbiamo visto come per la funzione educativa, risulti altrettanto importante la presenza di comunità etnica coesa.

momento, hanno vissuto nel paese di origine con le rimesse e i doni del genitore primo migrante, che gli hanno consentito di condurre uno stile di vita più abbiente rispetto a quello dei coetanei.

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- Interessi e riferimenti culturali delle famiglie migranti; il legame con la cultura di origine può essere in parte conservato, altre volte, come afferma l’autore la cultura di origine può essere richiamata soltanto in alcune circostanze celebrative, o al contrario può continuare ad influenzare notevolmente i progetti futuri, le pratiche educative, le frequentazioni ecc.

Risulta chiaro come gli elementi delineati dall’autore possano influenzare il rapporto genitore- figlio e in generale la stabilità familiare.

Un altro fattore non trascurabile è che spesso il ricongiungimento, a causa di eventi familiari circostanti, viene comunicato improvvisamente senza che i figli siano preparati e per questo può essere vissuto come un’imposizione (Ranci, 2011). Lagomarsino (2005) osserva che in questo modo i figli non hanno il tempo di elaborare il distacco e l’arrivo nel paese di destinazione, con il rischio che il ricongiungimento possa provocare una condizione di profondo disagio.

Gozzoli e Regalia (2005) in merito al tema del ricongiungimento nonostante affermino che esso costituisca un evento stressante per l’intera famiglia che deve rivedere i propri stili educativi alla luce di quelli del paese ospitante, al contempo osservano che in realtà le separazioni non sono necessariamente traumatiche se compensate da una famiglia stabile nel paese di emigrazione. I due autori intravedono le maggiori criticità del ricongiungimento non tanto nell’età in cui esso avviene ma nell’età della separazione e nell’eventuale nascita di altri componenti durante l’assenza del figlio.

In generale come afferma Skoda (2014), i figli sono esposti a un doppio rischio: un’esclusione reale o simbolica dall’universo socioculturale dei genitori e da quello del paese di accoglienza. L’esperienza migratoria dei minori o della propria famiglia porta spesso a conflitti familiari e a un diffuso senso di smarrimento che può sfociare in manifestazioni aggressive dei figli nei confronti dei genitori, o in un’adesione acritica ai modelli culturali dei coetanei autoctoni con il rischio di un’assimilazione verso il basso. L’autore individua tre elementi fondamentali da tenere presente quando si parla di “famiglia in migrazione” e che influenzano la capacità adattiva al nuovo ambiente e le configurazioni relazionali post-migratorie: la molteplicità dei percorsi che portano alla ricostruzione della famiglia in emigrazione, i modelli familiari di riferimento e il motivo e significati della migrazione.

- Il primo aspetto si riferisce al fatto che non possiamo generalizzare alcuni atteggiamenti o comportamenti dei migranti poiché, come abbiamo già visto con Favaro e Colombo

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(1993, cit. in Gozzoli e Regalia, 2005 : 89-92) i percorsi migratori non avvengono tutti allo stesso modo; alcuni iniziano con il viaggio di una sola persona, e solo inseguito con il ricongiungimento, altri invece sono iniziati in maniera congiunta e in altri casi ancora la separazione permane. Le ragioni che spingono gli uomini a emigrare sono prevalentemente di carattere oggettivo e in generale le persone tendono a emigrare dai paesi più poveri ai paesi più avanzati. Gozzoli e Regalia (2005 : 37) individuano due gruppi di fattori che caratterizzano i processi migratori: i push factors e i pull factors. I primi sono prevalentemente fattori oggettivi presenti nel paese di origine tra cui: l’alto tasso di disoccupazione, le poche possibilità professionali, l’insufficiente livello di retribuzione, l’urbanizzazione con i suoi costi, l’elevata pressione demografica, il regime politico ecc.. I secondi, sono invece i modelli di vita del paese di arrivo, spesso idealizzati poiché veicolati dai mass media e dal racconto dei connazionali già partiti. Tuttavia come sostengono Portes e Rumbaut (2001), i fattori di espulsione e attrazione non sono le sole condizioni che predispongono alla partenza ma, la decisione di partire, dipende in gran parte anche dalla presenza nei paesi di arrivo di connazionali o parenti che li hanno preceduti e che li sostengono nell’organizzazione del viaggio, fornendo risorse cognitive e sociali necessarie per l’adattamento nel nuovo contesto. Inoltre, anche le motivazioni di tipo psicologico, hanno un peso considerevole nella decisione di emigrare, poiché entrano in gioco non solo i fattori necessitanti ma anche le aspirazioni, i desideri e i valori di riferimento di chi emigra e che quindi agisce in modo trasformativo sulla propria vita considerando gli ostacoli come opportunità di cambiamento e miglioramento.

- Per quanto riguarda il secondo elemento, l’autore ci ricorda che ogni cultura ha un modello di famiglia di riferimento rappresentata contemporaneamente dalla dimensione ideale (ruoli, valori, storia, antenati, il genere, ecc...) e reale (relazioni, comportamenti, modalità di accudimento dei figli ecc...). Mentre nelle culture occidentali abbiamo la famiglia di tipo nucleare composta dalla coppia adulta e dai figli nella altre culture troviamo la famiglia allargata che comprende anche la parentela.

- Il terzo elemento infine coincide con la migrazione stessa, che rappresenta un evento traumatico e quindi diventa fondamentale operare un’esplorazione spazio-temporale capace di svelare perché si è deciso di emigrare e i significati soggettivi e oggettivi attribuiti all’evento. Come affermano Gozzoli e Regalia (2005 : 38), «ciò che accomuna l’esperienza di chi emigra è la dimensione della crisi», vale a dire la messa in discussione o rottura di un equilibrio esistente che può comportare rischi o opportunità.

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La nascita o l’arrivo dei figli, come accennato prima, modificano profondamente l’assetto familiare e il progetto migratorio. La famiglia si trova a rimettere in discussione il progetto migratorio e il ritorno in patria diventa sempre più un progetto aleatorio. A questo punto diventa centrale il tema della cura delle culture familiari. Le certezze e i modelli di riferimento tradizionali del paese di origine vengono messi in crisi dal momento che i figli si trovano a crescere in un contesto socioculturale che richiede modelli di crescita e di socializzazione completamente diversi. Questa discrepanza ha impatti significativi sulla qualità dell’incontro e del legame con la famiglia che diventa difficile da gestire; si tratta di mediare tra due diversi sistemi culturali con saperi e significati diversi e che prevedono modelli di cura che differiscono tra loro. Questa discrepanza si manifesta già dalla gravidanza, poiché la madre si confronta con abitudini culturali, mediche e sociali che non conosce33. Con il ricongiungimento familiare, la famiglia si trova a vivere emozioni e fratture provocate dal cambiamento improvviso, i figli perdono le figure di riferimento che avevano nel paese di origine e spesso, una volta arrivati nel paese di immigrazione, la realtà non combacia con le loro attese. I figli si ritrovano a ricevere azioni di cura da una famiglia composta dai soli genitori che cercano di adattare il loro stile educativo a quello del paese di accoglienza e a volte, presi da un sentimento di inadeguatezza e frustrazione, possono prendere la scelta dolorosa di rimandare i figli al paese di origine34. Le differenze di parenting sembrano acuirsi nella percezione che ne hanno i figli quando iniziano a frequentare la scuola e a confrontarsi con i loro coetanei e con gli stili educativi del paese di accoglienza (Gozzoli, Regalia, 2005). Tuttavia, come sottolineano gli autori, non sono i valori sostenuti dai genitori a essere disadattivi per le giovani generazioni, ma spesso lo sono le modalità con cui norme e valori familiari vengono proposti e la capacità di rinegoziarli con il nuovo contesto di riferimento (Gozzoli e Regalia, 2005). In questa fase i ruoli assunti dai genitori e dai figli sono nuovi: mentre i genitori si ritrovano a negoziare tra stili genitoriali diversi i figli fungono da ponte con il sociale. I figli si trovano sospesi tra il mondo familiare e il mondo pubblico, essi diventano una fonte di innovazione o di destabilizzazione che può accelerare i processi di integrazione della famiglia o produrre crepe all’interno di essa. Gli autori definiscono questo processo come funzione di reciproca innovazione che i membri ricevono l’uno nei confronti dell’altro. In questo processo i ruoli possono capovolgersi a causa

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Moro (2005) approfondisce questo tema con riferimento alle donne che provengono dalle regioni rurali ad esempio del Magreb, dell’Africa nera, Sri Lanka ecc. L’autrice osserva che queste donne migranti percepiscono il modello medico del paese ospitante in modo violento o addirittura pornografico. Esse si sentono sole nell’affrontare la gravidanza che nel loro paese di origine rappresenta un momento iniziatico e sostenuto dalle donne del gruppo.

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Questa preoccupazione come abbiamo visto nel secondo capitolo si verifica nei casi di Downward assimilation.

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delle maggiori competenze linguistiche e culturali dei figli rispetto ai propri genitori. Molto spesso i figli assumono un ruolo di traduttore, inteso come ruolo sostitutivo dell’adulto o tras- duttore, inteso come ruolo di semplice contatto o “ponte” tra i due contesti socio-culturali: quello della famiglia e quello della società di riferimento. La relazione tra i figli e i genitori può essere messa in crisi da molteplici variabili; mentre il bambino sviluppa una maggiore competenza nel mondo esterno, dentro le mura domestiche non trova adeguato supporto e gratificazione per i suoi sforzi di apprendimento. Egli rischia di trovarsi solo ad affrontare il processo di integrazione e spesso percepisce le competenze dei propri genitori inadeguate rispetto a quelle richieste dalla società. Gli autori osservano che solitamente i figli attribuiscono ai genitori un «sapere supposto» (Ibid.116), ma nel caso di famiglie migranti, le competenze dei genitori non risultano funzionali al contesto di immigrazione e per questo spesso subiscono una sorta di squalifica da parte dei figli con conseguenze dannose per il loro percorso di crescita. Rosembaum (2003, cit. in Gozzoli, Regalia, 2005 : 116) parla di «silenzio multiplo dei genitori». Essi sono silenziosi nella lingua di origine svalorizzata nel paese di accoglienza e silenziosi nella lingua del paese di accoglienza che non riescono a padroneggiare adeguatamente trovandosi spesso incapaci di tramandare la loro identità culturale ai figli.

Altra fase ricca di criticità è l’arrivo dell’adolescenza; anche se sussistono delle differenze tra il minore nato nel paese di immigrazione e il minore nato nel paese di emigrazione e successivamente ricongiunto. Nel primo caso, la famiglia si troverà a interagire con un ragazzo che considera il paese di immigrazione come la “sua casa” anche se è consapevole della propria diversità etnica e per questo il figlio si trova a dover fare i conti con il patrimonio e il progetto familiare dei propri genitori. Nel secondo caso invece, l’arrivo dell’adolescenza comporta il dover confrontarsi con la propria diversità sia con riferimento ai compagni, sia con riferimento ai genitori. Egli si trova a gestire le proprie aspettative, le aspirazioni dei genitori e l’adattamento alla nuova cultura cercando di instaurare un rapporto con dei genitori che non conosce più, poiché sono stati distanti a lungo. Una condizione di questo genere può portare i ragazzi ad assumere posizioni estreme; a volte saranno sicuri e fieri della propria identità culturale e la ostenteranno come strategia difensiva, altre volte invece si vergogneranno della loro diversità e questa insicurezza li porterà a chiudersi in sé stessi. La gestione di queste molteplici appartenenze da parte dei figli può assumere un carattere conflittuale in relazione ai valori, ai modelli di identificazione e di generazioni. Tuttavia gli autori sottolineano che questo conflitto non assume necessariamente caratteristiche di disagio e malessere, poiché spesso le maggiori criticità si riscontrano in famiglie che già stanno vivendo momenti di difficoltà e proprio per questo il conflitto può sfociare in un divario maggiore tra i figli e i genitori (Gozzoli

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e Regalia, 2005). Maggiore è la discrepanza tra le relazioni che il giovane vive all’interno della propria famiglia e quelle che vive all’esterno con il gruppo dei pari e maggiore è il rischio di impoverimento del loro processo di identificazione. Gli esiti in questo caso possono essere diversi; da una parte il giovane potrebbe percepire i genitori come un ostacolo alla propria emancipazione e questi ultimi, di conseguenza, potrebbero abbandonare completamente le loro funzioni genitoriali nei confronti del figlio.

Un altro aspetto preso in esame dagli autori e che ritroviamo anche con Portes e Rumbaut (2001) è il rapporto tra i genitori e le figlie di seconda generazione. Gli autori affermano che il rischio di un conflitto culturale intergenerazionale può nascere più facilmente con le figlie, poiché su di esse si acutizzano i contrasti legati alle aspettative sociali e culturali della famiglia e del paese di accoglienza. Inoltre, sottolineano gli autori, le adolescenti immigrate danno più importanza alle relazioni con i coetanei e coetanee autoctone. Queste esigenze spesso stridono di più con le istanze tradizionali riguardanti le differenze di genere della cultura di origine. Questo perché i genitori si aspettano dalle figlie una maggiore adesione ai principi e valori della cultura di origine rispetto ai figli maschi, anche se, al contempo, le spingono ad emanciparsi sul versante dell’istruzione e del lavoro aderendo ai valori occidentali. Abbiamo in questo caso una dicotomia tra sfera pubblica e privata. Mentre nella sfera privata si richiede loro di aderire ai modelli tradizionali, nella sfera pubblica sono incitate a divergere dai valori tradizionali e interiorizzare i valori occidentali. Questa contrapposizione può portate le giovani immigrate a fare un percorso riflessivo più profondo sul significato dei valori tradizionali con il rischio di instaurare con i genitori un rapporto particolarmente teso e conflittuale.

Il meccanismo del rovesciamento dei ruoli e il rischio di uno scivolamento verso il