L’impatto del percorso migratorio sulle carriere scolastiche delle seconde generazioni.
Dagli anni Novanta la scuola italiana è profondamente cambiata, poiché la popolazione scolastica è diventata una realtà sempre più multietnica, in cui si incontrano e si mescolano modelli culturali diversi. Naturalmente questo nuovo panorama che caratterizza i banchi di scuola lancia nuove sfide alle politiche scolastiche che devono necessariamente spostarsi da un orientamento monoculturale a uno multiculturale.
Le seconde generazioni sono i protagonisti di questo cambiamento e i genitori e gli insegnanti hanno un ruolo spesso decisivo nel loro processo di inserimento. Come si vedrà uno dei momenti più critici di uno studente straniero è rappresentato dalla scelta scolastica. Boerchi (2014) afferma che uno studente di origine straniera si trova a dover compiere una scelta importante in un contesto che risulta essere più complesso rispetto a un coetaneo autoctono. Lo studente si trova a dover valutare la scelta da compiere considerando le aspettative dei genitori nei suoi confronti, le proprie e quelle della società ospitante. Essi si trovano a dover mettere in atto livelli di mediazione più alti e spesso a fare scelte non totalmente coerenti con le proprie capacità reali. Non di rado, come affermano vari autori, proprio gli insegnanti indirizzano questi studenti a scegliere percorsi scolastici meno impegnativi e a non considerare percorsi di studi accademici precludendo loro varie possibilità.
Elia (2014) afferma che per parlare di criticità dei percorsi scolastici degli alunni stranieri bisogna innanzitutto tenere conto che molti sono arrivati in Italia attraverso il ricongiungimento, talvolta dopo molti anni di separazione dai genitori. Come si è visto nel terzo capitolo, il ricongiungimento rappresenta una fase critica per gli stranieri di seconda generazione che compromette le relazioni familiari soprattutto sotto l’aspetto dell’autorità genitoriale. Essi, afferma l’autrice, vedono infranti i loro progetti futuri e sperimentano un senso di demoralizzazione soprattutto nel momento del loro ingresso a scuola, in cui si trovano immersi in un sistema altamente selettivo. L’autrice sottolinea come il loro senso di spaesamento e soprattutto la non conoscenza della lingua di apprendimento inevitabilmente si riflette sul loro percorso scolastico. Altro elemento rilevante è l’età del ricongiungimento (Ambrosini e Caneva, 2008, cit. in Bertani, 2009 : 433). Come osservano gli autori, i giovani di seconda generazione che sono nati in Italia o giunti in età prescolare, incontrano meno difficoltà nell’apprendimento della lingua italiana e di conseguenza tendono a partecipare più attivamente alle attività didattiche e sono facilitati nell’instaurare relazioni con i compagni autoctoni. Al contrario chi
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arriva per ricongiungimento in età più avanzata, incontreranno più difficoltà e spesso corrono il rischio di scivolare in processi di isolamento. Per questi ultimi, afferma Bertozzi (2015), le difficoltà di inserimento possono acutizzarsi soprattutto se nel paese di origine erano abituati ad avere buoni risultati e, una volta arrivati in Italia, nonostante l’impegno, si ritrovano ad avere esiti negativi.
Bertani (2009) in generale individua quattro fattori che possono influire sul successo scolastico: le doti innate, lo status socioeconomico dei genitori, il capitale sociale, il livello di accoglienza nella scuola e nella società. Tralasciando per un momento le doti innate36, l’autore, rispetto alle famiglie, afferma che il livello di istruzione dei genitori, il loro status occupazionale, la struttura familiare e il reddito sono elementi predittivi del successo scolastico. Inoltre osserva che se da un lato lo status socioeconomico ha sicuramente una grande rilevanza, dall’altro lato il capitale culturale e umano lo è ancora di più. Quest’ultima risorsa sembra essere quella che interviene maggiormente nel determinare positivi esiti scolastici, sia per quanto riguarda le famiglie autoctone, sia per quanto riguarda le famiglie immigrate. L’autore sembra suggerirci che l’approccio economico non è sufficiente per un’analisi a tutto tondo dei percorsi scolastici, per cui è necessario allargare il campo di analisi alla «forza» (Ibid. : 438) del capitale umano, poiché esso risulta fondamentale per attingere a vai tipi di risorse. Tuttavia, come specifica Bertani (2009), se l’esperienza migratoria restringe le reti sociali, questo vuoto può essere compensato da comunità etniche sufficientemente coese. Come si è visto con Portes e Rumbaut (2001), una comunità etnica forte e coesa previene l’isolamento e difende da eventuali processi di discriminazione e pregiudizi che possono provenire dal gruppo dominante. Si può vedere come l’autore sembra abbracciare l’approccio teorico di Portes e Rumbaut (Ibid.:), secondo cui un’alta densità dei legami comunitari, porterebbe a un processo di assimilazione selettivo che funge da supporto per un’integrazione positiva non solo della famiglia, ma apporta benefici anche al percorso scolastico dei figli.
Le carriere scolastiche delle seconde generazioni : l’inserimento e i fattori che influenzano la riuscita scolastica.
In generale vari studi e ricerche affermano che le carriere scolastiche delle seconde generazioni sono contrassegnate da un’evasione dell’obbligo scolastico, ripetenze, bocciature, basso rendimento e discrepanze tra l’età e la classe frequentata.
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Per quanto riguarda la classe frequentata, una recente indagine dell’Istat Integrazione delle seconde generazioni37, svoltasi tra marzo e giugno 2015 ha rilevato che il 49% degli alunni stranieri nati all’estero quando arrivano in Italia vengono inseriti nella classe corrispondente alla propria età ma, il 39% e il 12% vengono inseriti rispettivamente nella classe precedente e nella classe corrispondete a 2 anni inferiori la loro età. In generale l’indagine rileva che l’inserimento in ritardo riguarda maggiormente coloro che si sono iscritti in Italia direttamente in una scuola secondaria di secondo grado, mentre nella scuola secondaria di primo grado è stato regolare quasi il 58% degli inserimenti.
Il fatto di inserire i neoarrivati nella classe precedente o a due anni inferiori, sembra costituire un rimedio per favorire l’apprendimento della lingua di insegnamento anche se questo provoca una situazione di scollamento fra ritardo e ripetenza scolastica38 (Mantovani, 2011) e al contempo aumenta il rischio di un abbandono precoce della scuola da parte degli alunni di origine straniera (Strozza, 2008, cit. in Mantovani, 2011 : 152). Tuttavia, come afferma Mantovani (2011), l’apprendimento della lingua del paese di destinazione non è un elemento trascurabile, essa è lo strumento fondamentale sia per comunicare nella vita quotidiana, e quindi anche nelle relazioni tra pari, sia per sviluppare l’apprendimento. Per uscire da questa impasse, come osserva Cattani (2011), le strategie più comunemente adottata dalle scuole italiane è quella di inserire gli alunni di origine straniera nelle classi ordinarie e al contempo far seguire ai ragazzi il cosiddetto laboratorio di italiano L2.
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L’indagine ha coinvolto non solo i ragazzi con un background migratorio, ma anche studenti italiani, insegnanti (di lettere, lingua italiana e matematica) e dirigenti scolastici. L’indagine si è basata su un campione di 1.427 scuole secondarie di primo e secondo grado statali con almeno 5 alunni stranieri per classe. Agli insegnanti e ai dirigenti sono stati somministrati dei questionari volti a raccogliere informazioni su tre aree di indagine: l’accoglienza dei ragazzi stranieri a scuola, le attività a favore dell’integrazione e la formazione rispetto al tema della presenza straniera; per quanto riguarda gli alunni: la storia migratoria, la conoscenza e l’uso della lingua italiana, la scuola, gli insegnanti, i compagni, il tempo libero, gli amici, la famiglia e l’abitazione.
Come posiamo vedere, per quanto riguarda gli alunni, l’indagine non si è limitata ad analizzare soltanto l’ambiente scolastico, ma anche le modalità di socializzazione nel tempo libero. Inoltre nel campione oltre ai minori di seconda generazione in senso stretto sono stati inclusi anche i ragazzi di origine straniera che sono nati all’estero ma immigrati prima della maggiore età.
In merito agli ambiti analizzati l’indagine ha rilevato importanti differenze in base al paese di origine, tra l’essere nativi o immigrati, e anche in base all’età in cui è avvenuta l’immigrazione. Queste differenze hanno riguardato l’inserimento e il rendimento scolastico, il sentirsi o meno italiani, le frequentazioni al di fuori dell’orario scolastico e il luogo in cui vorrebbero vivere da grandi.
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l'Osservatorio nazionale per l'integrazione degli alunni stranieri e per l'intercultura istituito dal MIUR con la DM n. 718 del 5 settembre 2014, nelle sue raccomandazioni e proposte operative fa esplicito riferimento alla necessità di contrastare questa pratica poiché favorisce ulteriori ritardi e demotiva l’alunno al proseguimento degli studi; per questo Osservatorio nazionale incentiva le scuole a elaborare piani didattici personalizzati per gli alunni stranieri al fine di favorire il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento.
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Facendo riferimento al rendimento scolastico l’indagine conferma maggiori ripetenze per i ragazzi con background migratorio. Tuttavia se guardiamo il luogo di nascita dei ragazzi stranieri, emerge che quelli nati in Italia hanno percentuali di ripetenze simili a quelle degli alunni italiani, rispettivamente 22% e 29%, mentre quelli nati all’estero superano il 37%. Il divario tende a crescere nelle scuole secondarie di secondo grado; tra gli italiani quasi il 22% ha dovuto ripetere almeno un anno scolastico, nel caso di stranieri nati in Italia e nati all’estero rispettivamente: 29% e più del 37%.
Come abbiamo appena visto, la tendenza è quella di inserire i ragazzi nella classe precedente rispetto alla loro età e in riferimento al rendimento scolastico risultano avere medie inferiori rispetto a quelle dei ragazzi italiani anche se il divario tende a diminuire per i ragazzi di origine straniera nati in Italia. Questo risultato è dato dal fatto che, come osservano vari autori, tendenzialmente gli alunni di origine straniera nati in Italia hanno acquisito migliori competenze rispetto alla lingua di apprendimento, e questa condizione naturalmente consente loro di partecipare più attivamente alle attività didattiche.
Gushue (2006, cit. in Boerchi, 2014 : 440) rispetto alla riuscita scolastica sottolinea che l’identità etnica ha una forte influenza sulla riuscita scolastica e sulle prospettive di carriera. Secondo l’autore, una forte identità etnica alimenta positivamente il senso di autoefficacia e le aspettative di risultato. Al contrario, gli studenti che non si identificano né nella cultura di origine e neanche in quella ospite incontrano più difficoltà nelle scelte scolastiche e di carriera. L’essere sospeso tra due culture costituisce una criticità che influenza negativamente le dimensioni dell’autoefficacia e delle aspettative di carriera. L’autore inoltre individua due tipi di atteggiamenti adottati dai ragazzi di origine straniera per risolvere questa impasse. Secondo l’autore i minori di seconda generazione tenderebbero di più a considerarsi totalmente italiani e rinnegare la propria cultura di origine e questa strategia risulta funzionale soprattutto se sostenuta dai genitori; in questo caso si avrebbe quel processo di assimilazione lineare che abbiamo già analizzato nel terzo capitolo con Portes e Rumabaut (2001) che secondo gli autori funzionerebbe se opportunatamente supportata dai genitori.
Al contrario, secondo l’autore, i minori di prima generazione tendono a scegliere di aderire completamente alla propria cultura di origine al fine di raggiungere delle soddisfazioni ti tipo professionale in tempi più brevi possibili. Il limite di questa seconda strategia individuato dall’autore sarebbe però che in questo modo i minori di prima generazione limiterebbero le proprie opportunità professionali perché tenderebbero a riprodurre le scelte occupazionali fatte dai loro padri, in questo caso si può intravedere il rischio di quella che Ambrosini e Molina (2005) chiamano «integrazione subalterna». Possiamo vedere come anche Gushue (2006, cit. in
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Boerchi, 2014 : 427) sembra orientarsi verso la teoria di Portes e Rumbaut (2001) secondo la quale un’assimilazione di tipo selettivo tende a favorire l’inserimento e la riuscita scolastica. Un altro fattore determinante e che è stato oggetto di provvedimenti ministeriali39 è la concentrazione degli alunni stranieri nelle classi, poiché l’alta concentrazione di alunni stranieri in un singolo istituto e nelle classi sembra pregiudicare il rendimento scolastico. A tal proposito l’indagine dell’Istat ha rilevato che la distribuzione degli alunni stranieri sul territorio italiano sembra non essere omogenea e la presenza risulta più forte nelle regioni del Centro-nord. Nelle regioni del mezzogiorno e nelle isole, in cui è più contenuto il numero di ragazzi stranieri nelle scuole, le ripetenze presentano percentuali più basse (23,3% al Sud, 21,1% nelle isole contro la media nazionale di 27,7%) e i voti che riportano gli alunni stranieri in italiano e matematica non si discostano di molto dai compagni di classe italiani. Come possiamo vedere, l’indagine conferma l’ipotesi di partenza, ossia che all’aumentare della concentrazione di alunni stranieri nelle scuole e nelle singole classi il loro rendimento diminuisce, al contrario se la concentrazione risulta contenuta è più facile implementare percorsi di integrazione e apprendimento virtuosi.
Tuttavia, come afferma Bertozzi (2015), riguardo a questo tema, dobbiamo distinguere i minori di origine straniera nati in Italia, e quelli ricongiunti. L’autrice osserva che quelli maggiormente a rischio di abbandono scolastico sono i minori ricongiunti; proprio per questo quando parliamo di alta concentrazione di alunni stranieri tra i banchi di scuola dobbiamo tenere in considerazione che le competenze linguistiche cambiano notevolmente tra queste due fasce di alunni di origine straniera e quindi quando parliamo di alta concentrazione dobbiamo tener conto di questa differenziazione.
Inoltre un altro aspetto interessante rilevato dall’indagine è che nelle regioni del Mezzogiorno e nelle isole, in cui è più contenuto il numero di ragazzi stranieri nelle scuole, risultano più alte le quote dei ragazzi che si sentono italiani, che immaginano un futuro in Italia e che frequentano compagni italiani. Da questa rilevazione possiamo dedurre che probabilmente una distribuzione più omogenea degli alunni all’interno delle classi e delle scuole oltre a favorire il rendimento scolastico, favorisce anche le relazioni tra alunni stranieri e autoctoni, rafforzano il senso di appartenenza al paese ospitante e riduce il rischio che si crei quella che Palmas (2005 : 501)
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Attualmente la soglia massima di alunni stranieri per classe prevista dalla Circolare ministeriale n.2 dell’8 gennaio 2010 è del 30%, tuttavia la normativa appare morbida poiché prevede che la soglia può essere alzata o abbassata qualora gli alunni stranieri siano già in possesso di adeguate competenze linguistiche o, al contrario, a fronte della presenza di alunni stranieri che non hanno ancora acquisito una padronanza della lingua italiana adeguata o comunque in tutti i casi in cui sussistono particolari complessità.
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chiama «segregazione scolastica». L’autore afferma la riuscita scolastica non costituisce semplicemente l’esito di un rapporto individuale tra alunno e disciplina ma al contrario, deriva da un rapporto che coinvolge più attori e in particolar modo: docenti, amministrazioni, famiglie e curriculi, relazioni tra i pari, parametri di valutazione e stili di apprendimento. Secondo l’autore quando i processi educativi falliscono, la concentrazione si traduce in segregazione. Essa, come afferma l’autore, rappresenta una sorta di specchio delle modalità educative e dell’insediamento urbano ma sono anche l’esito delle pratiche di auto-affermazione culturale da parte dei migranti e l’esito delle scelte che le famiglie fanno nell’orientare i figli verso un percorso scolastico piuttosto che un altro.
I fattori che influenzano la scelta scolastica.
Gli ostacoli incontrati dalle seconde generazioni durante il loro percorso scolastico si hanno non solo durante l’inserimento, ma anche nel passaggio da un grado di scuola a un altro. In letteratura, come afferma Bertozzi (2015), un fenomeno molto studiato è quello della «canalizzazione formativa», poiché gli studenti di origine straniera tendono ad essere sovrarappresentati negli istituti professionali e tecnici. Tuttavia anche in questo caso permangono delle differenze tra gli studenti di origine straniera nati in Italia e quelli arrivati nel nostro paese attraverso il ricongiungimento, poiché quelli nati in Italia tendono a fare scelte scolastiche simili agli alunni autoctoni.
In generale, sulla scelta scolastica, gravitano diversi fattori che sono legati sia al contesto, sia all’individuo. Partendo dal contesto Giovannini (2014, cit. in Bertozzi, 2015 : 78) individua: la condizione economica della famiglia, l’occupazione, la competenza linguistica e l’accesso alle informazioni sulle diverse scuole. Diversi studi sono concordi nel ritenere che le scelte scolastiche fatte dagli studenti di origine straniera, in particolare i minori ricongiunti, non siano scelte che rispettano le reali inclinazioni personali degli studenti, ma sono scelte che si basano sui consigli degli insegnanti, la conoscenza delle famiglie rispetto ai vari indirizzi scolastici e ai relativi sbocchi occupazionali, il capitale culturale e sociale della famiglia, la classe sociale e il rendimento scolastico pregresso. Tuttavia se da un lato i nati in Italia incontrano tendenzialmente meno difficoltà nel percorso scolastico e sono meno esposti al rischio di essere canalizzati verso indirizzi di studio di tipo professionale, non mancano le eccezioni. L’autrice osserva che non è raro che le ragazze ricongiunte anche tra gli 8 e i 16 anni non incontrano particolari problemi nella loro carriera scolastica, così come anche tra gli alunni di origine straniera nati in Italia possiamo trovare percorsi scolastici più “sofferti”. Secondo l’autrice quello che fa la differenza quindi non è solo il luogo di nascita e il tempo trascorso in Italia a fare la differenza, ma anche la modalità di utilizzare le risorse e il capitale sociale e culturale
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disponibile assumono un peso determinante. Spesso, sia gli alunni sia le famiglie non dispongono di informazioni per fare una scelta sufficientemente pensata; inoltre una mancanza di supporto nell’orientamento da parte della famiglia espone maggiormente gli alunni stranieri all’influenza delle scelte dei pari. Tuttavia, come afferma l’autrice, se da un lato i minori nati in Italia possono contare di più sulla propria conoscenza personale del sistema scolastico, i minori ricongiunti risultano più disorientanti e quindi sono più a rischio di fare scelte poco consapevoli. Riguardo alla scelta scolastica degli alunni stranieri Boerchi (2014) fa un’interessante analisi dei fattori che la influenzano utilizzando il Modello Ecologico-Sociale di Heppner (2008), che si basa sulla prospettiva teorica di Bronfbrenner (1986). Questo modello si fonda sull’idea centrale che per capire lo sviluppo formativo e professionale di un individuo si debba tenere in considerazione non solo delle caratteristiche intrinseche dell’individuo ma anche del contesto di appartenenza. In particolare secondo il Modello Ecologico-Sociale lo sviluppo di una persona è determinato dall’interazione tra quattro diversi livelli di sistema: Ontosistema, che fa riferimento alla caratteristiche interne delle persona; Microsistema, che si riferisce alla famiglia; Ecosistema, fa riferimento alla comunità, alla scuola, ospedale e territorio e infine al Macrosistema che comprende la cultura e il sistema politico. Ogni sistema influenza la persona e più è breve la distanza che li separa e più l’influenza sarà maggiore. È opinione ormai condivisa che la famiglia è il sistema che esercita un’influenza maggiore rispetto agli altri sistemi.
L’Ontosistema, e quindi riferendoci esclusivamente all’individuo, è formato da caratteristiche interne che comprendono sia quelle organiche sia quelle psicologiche che sono legate ad aspetti emotivi, comportamentali e valoriali. Tra le caratteristiche interne una tra le più importanti è il livello di maturità personale. Come osserva l’autore, generalmente le persone immature hanno più difficoltà a capire i propri interessi e le proprie potenzialità e, proprio per questo, trovano più difficoltà quando devono compiere una scelta riguardante il proprio futuro. Inoltre, sempre all’interno dell’Ontosistema l’autore inserisce anche limiti oggettivi come quelli cognitivi; ad esempio i disturbi specifici dell’apprendimento. Altre dimensioni comprese in questo sistema sono quelle che si riferiscono alla sfera del comportamento come: la capacità di gestire l’ansia, il senso di autostima, il senso di autoefficacia verso lo studio, l’autonomia ecc… .Tutti questi fattori risultano ancora più determinanti quando siamo in presenza di alunni di origine straniera. Il microsistema è quello che si riferisce alla famiglia. Quest’ultima, secondo l’autore, traferisce da una generazione all’altra, una serie di norme, principi e valori che influiscono sullo sviluppo dell’identità dell’adolescente che si approccia al mondo degli adulti e inizia a fare scelte importanti riguardanti il proprio futuro come la scelta della scuola. L’autore osserva che la
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relazione che lo studente ha con la propria famiglia è spesso vincolante nelle scelte del figlio, poiché ogni scelta di uno dei membri della famiglia si ripercuote sull’equilibrio della stessa. Per questo, come afferma Boerchi (2014) a volte succede che la scelta del percorso scolastico può essere fatta in modo non sufficientemente libero e poco rispondente alle proprie inclinazioni personali. L’autore osserva come la scelta di un percorso universitario può determinare dei costi economici ed emotivi per la famiglia e, nel caso di studenti di origine straniera ha un peso