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Il gruppo dei pari e le strategie identitarie.

Le identità etniche individuali

Come afferma Martini (2011), il gruppo dei pari assume una grande importanza nel processo di socializzazione dei giovani adolescenti e come la famiglia e la scuola, il gruppo dei pari rappresenta una sorta di ponte verso il mondo degli adulti. Secondo l’autrice le relazioni con i coetanei nella fase adolescenziale sono caratterizzate da una forte valenza emotiva e condivisione che non si riduce semplicemente nello stare insieme; proprio per questo diventa importante per lo sviluppo dell’individuo.

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Spostando l’attenzione sulle seconde generazioni, la questione si complica, poiché a determinare le relazioni tra pari subentrano molte variabili. L’autrice individua in particolare due variabili che sembrano essere decisive: la propinquità e l’omofilia. La prima fa riferimento alle opportunità di contatto, la seconda si riferisce alla tendenza a scegliere per amici persone simili per caratteristiche sociodemografiche e per stili comportamentali. Come vedremo nella ricerca di Caneva (2011), questi due aspetti diventano rilevanti nelle relazioni amicali intra- etniche e interetniche e vedremo anche come contesti strutturati come la scuola e i centri giovanili o sportivi favoriscono i secondo tipo di relazione e come le relazioni amicali si ripercuotono sull’identità dei ragazzi di origine straniera.

La ricerca di Caneva (2011) è stata condotta tra settembre 2006 e giugno 2007 a Milano. L’autrice descrive, cogliendone le diverse sfumature, le strategie identitarie messe in atto dagli adolescenti di origine straniera che vivono in Italia. Prima di presentare i risultati della ricerca condotta da Caneva (Ibid.), è bene sottolineare che l’autrice ha voluto concentrarsi sui minori stranieri che sono migrati durante la preadolescenza o adolescenza, quindi quelli che secondo la classificazione di Rumbaut (1997) sono definiti rispettivamente, generazione 1,5 e generazione 1,25. L’autrice ha ritenuto opportuno selezionare questi due gruppi perché ha voluto approfondire le problematiche connesse ai processi di costruzione identitaria durante la fase dell’adolescenza all’interno di un percorso migratorio. La metodologia di ricerca utilizzata dall’autrice è quella dell’intervista in profondità e per una migliore comprensione dei risultati della ricerca, nel presente lavoro riporteremo alcune parti delle interviste fatte al campione. Sono state effettuate 48 interviste a giovani tra i 13 e 19 anni di età, arrivati in Italia a seguito di ricongiungimento familiare tra i 10 e 17 anni, di cui 30 sono maschi e 18 sono femmine. I gruppi nazionali selezionati sono quello filippino, peruviano ed ecuadoriano. L’autrice in particolare ha voluto mettere in risalto le relazioni che si sviluppano nel contesto extrascolastico, in particolare focalizzandosi sulle motivazioni sottostanti alla scelta di relazionarsi maggiormente con connazionali o autoctoni. Attraverso le interviste, l’autrice ha approfondito vari ambiti: la storia migratoria del singolo e della famiglia, i motivi della migrazione, l’inserimento nel contesto italiano e i rapporti familiari. Infine sono state fatte domande volte a conoscere i progetti futuri, i desideri e le intenzioni. La ricerca esplorando queste aree cerca di descrivere il ruolo dell’identità etnica sia a livello individuale sia a livello di gruppo ossia quelle che, come abbiamo visto nel primo capitolo, Tajfel (1981, cit. in Zani e Emiliani, 1998 : 129) definisce identità personale e identità sociale. L’autrice ha rilevato che gli elementi richiamati dagli intervistati per definire la propria identità etnica sono principalmente l’appartenenza nazionale, la lingua madre e lo stile di vita e nelle sue interviste ha tracciato sei

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tipi di identità che si posizionano in continuum che va da una identità etnica marcata a una con confini più fluidi:

Il primo tipo di identità è stata chiamata dall’autrice di «rivendicazione». Essa rivendica la propria etnicità di fronte alle tendenze di assimilazione esterne e lo fanno sia nei confronti dei connazionali che rifiutano le proprie origini sia di fronte agli italiani che vogliono assimilarli. Implicita a questa forma di identità c’è una richiesta di riconoscimento e rispetto delle proprie origini che secondo gli intervistati non possono essere rinnegate:

[…] qualcosa del tuo paese lo devi sapere, non puoi trascurare completamente quello che sei, l’origine del tuo paese. Per esempio ci sono quelli che sono nati qua, però devono pur sapere la nostra lingua, almeno alcune parole […].[Loretta, Filippine, 19 anni, in Italia da otto] (Caneva, 2011: 203).

Il secondo tipo di identità viene definita dall’autrice di «reinvenzione», in questo caso gli intervistati cercano di adattare i propri tratti originari al nuovo contesto, le origini non vengono negate ma reinventate:

mi sento misto, tutti e due, italiano ed ecuadoregno, perché i miei amici sono quasi tutti italiani, mi piace scherzare, ridere, e lo facciamo anche in spagnolo, mi chiamano in spagnolo, glielo insegno. Poi quando sto con i parenti e gli amici di mio padre mi piace parlare spagnolo e mi piace stare con loro, scherzare [Fernando, Ecuador] (Caneva, 2011: 203).

Il terzo tipo di identità individuata dall’autrice è stata definita per «contrapposizione», in questo caso vengono prese le distanze da un altro gruppo etnico connotato negativamente attribuendo a sé stessi caratteristiche positive volte a tracciare la distanza tra “noi e loro”. In questo caso le distanze vengono prese non con gli autoctoni ma con altri gruppi etnici:

ora ci siamo trasferiti perché c’era troppa gente di altri paesi, che venivano lì, che facevano casino. Erano dall’India, cinesi, una marea di gente, a gridare, ubriachi. Neanche la domenica pomeriggio riuscivamo a stare tranquilli. Invece adesso dove abito è tranquillo, tutti italiani, tranquilli [Fernando, Ecuador, 16 anni, in Italia da sei] (Caneva, 2011: 209).

Il quarto tipo rappresenta una variante della precedente ma viene definita di «reazione», che si ha quando un gruppo etnico non si sente accettato dagli altri; in questo esaltare la propria diversità risulta, secondo l’autrice, un modo per opporsi all’esclusione sociale:

[…]è più facile con i ragazzi filippini per la lingua, anche il modo in cui ci vestiamo, come ci comportiamo noi filippini, perché ci comportiamo in una maniera, perché i peruviani si comportano in un’altra maniera, vanno in giro…non so…[…]poi parlavano spagnolo e io non

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capivo, e poi non so non mi è piaciuto il loro carattere, facevano troppo casino.[…].Gli italiani…per me il settanta per cento…ti dico la verità eh! Ci sono gli italiani un po’…come si dice…maleducati, cioè non so ci sono altri che fanno proprio casino, non so, soprattutto in questo quartiere ci sono i ragazzi italiani che fanno casino, buttano le bottiglie poi vabbè le vecchie signore danno la colpa a noi, agli stranieri[…] [Angelina, Filippine, 16 anni, in Italia da 6] (Caneva, 2011: 210).

Nel quinto caso l’identità è stata definita «metà e metà» e si costruisce mettendo insieme sia elementi della cultura di origine e elementi della cultura ricevente mettendo in risalto, a seconda dei contesti, i tratti dell’una o dell’altra:

mi sento metà italiana e metà filippina, metà e metà. Perché sono nata nelle Filippine, sono stata un po’ di anni lì, però sono venuta qua, sono cresciuta qua e quindi metà e metà. […]ci sono alcuni miei amici…filippini, siccome qualche volta mi vesto come gli italiani, sai con i pantaloni quelli lì, e le scarpine come le ballerine, «eh ma adesso ti vesti come gli italiani!», poi sai gli stivali, «eh, ormai ti vesti come gli italiani!», «ma no, soltanto adesso». [Angelina, Filippine] (Caneva, 2011: 212).

Nel sesto caso, infine, l’identità viene definita «mista» e tende a non rinnegare le proprie origini anche se rifiuta qualsiasi classificazione, poiché risulta limitante. Per chi ha un’identità di questo tipo, le differenze nazionali non sono importanti:

guarda io sono appunto del mio paese quindi non mi definisco italiano, però vivendo qua ovviamente sei anni alla fine non sono pochi, sette anni quasi, e comunque continuerò a stare qua ancora, […] poi perché definirsi in una nazionalità piuttosto che di un’altra, alla fine siamo nati tutti nello stesso modo no? È un modo per distinguere uno dall’altro e basta, perché alla fine siamo tutti uguali [Antonio, Ecuador, 19 anni, in Italia da sei] (Caneva,2011: 213)

L’autrice attraverso le interviste ha messo in luce la questione della “doppia appartenenza” delle seconde generazioni e ha ricostruito le motivazioni sottostanti la costruzione dei diversi tipi di identità e il ruolo svolto dall’etnicità. Nelle prime quattro ipotesi l’idea di identità etnica risulta reificata, quindi i confini tra “noi e loro” vengono marcati per rivendicare la propria identità originaria di fronte a spinte assimilazioniste da parte della società ospitante ma, allo stesso tempo, come nel caso di Fernando, i simboli identitari possono anche essere reinventati, ossia non vengono negati ma riadattati al nuovo contesto. Su questo punto è bene richiamare la funzione di «reciproca innovazione» descritta da Gozzoli e Regalia (2005) che abbiamo presentato nel terzo capitolo. Grazie agli autori abbiamo visto che i figli spesso fungono da ponte con il sociale, ossia mettono in comunicazione la famiglia di origine con i valori della società di accoglienza. Se da un lato i figli possono rappresentare una fonte di innovazione e

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ricchezza per la famiglia quindi assumendo il ruolo di quello che gli autori definiscono di «tras- duttore», inteso come ruolo di semplice contatto, dall’altro c’è il rischio che il figlio assuma il ruolo di «traduttore» sostituendosi al ruolo genitoriale. In quest’ultimo caso, come abbiamo visto con Portes e Rumbaut (2001) il rischio è che si possa innescare il meccanismo del rovesciamento dei ruoli diventando così fonte non di ricchezza, ma di destabilizzazione che può alimentare conflitti intergenerazionali.

Infine, come abbiamo visto nell’identità definita «per contrapposizione» e in quella definita «di reazione», i tratti etnici possono essere enfatizzati quando nasce l’esigenza di distinguersi da altri gruppi ai quali sono state attribuite caratteristiche negative o per rispondere ad atteggiamenti di esclusione da parte della società.

Un tentativo di lettura delle strategie identitarie delle seconde generazioni attraverso il modello di Bourhis.

Può essere interessante a questo punto, tentare di leggere le varie tipologie identitarie descritte dall’autrice, attraverso il modello di Bourhis et al. (1997)42

che abbiamo analizzato nel primo capitolo, riguardante gli orientamenti di acculturazione43 adottati dagli immigrati nella società ospitante. Come vedremo le varie tipologie di strategie identitarie descritte dall’autrice, mostrano notevoli congruenze con il modello descritto da Bourhis (Ibid.). Tuttavia non mancano delle piccole differenze, ma può essere comunque utile notare i vari parallelismi poiché, come gli stessi autori affermano, questi modelli non devono essere assunti in maniera rigida dal momento che un individuo nel corso del tempo, e in base alle circostanze, può cambiare sia le strategie identitarie, sia gli orientamenti di acculturazione. Le strategie identitarie, così come gli orientamenti di acculturazione, non sono dipendenti esclusivamente dalla volontà del soggetto ma dipendono anche dagli atteggiamenti della società ospitante.

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Come abbiamo specificato nel primo capitolo, il modello di Bourhis et al.(1997) rappresenta una rivisitazione del modello di Berry (1997), noi in questo paragrafo tenteremo di leggere, attraverso il seguente schema (Fig.6) le strategie identitarie descritte dall’autrice attraverso il modello di Bourhis et al. (1997) riguardante le strategie di acculturazione.

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È considerato un valore mantenere la propria identità culturale?

È considerato un valore adottare la cultura del paese ospitante?

SI NO

SI INTEGRAZIONE: identità di reinvenzione; identità metà e metà

ASSIMILAZIONE: identità per contrapposizione.

NO SEPARAZIONE: identità di rivendicazione

ANOMIA: identità di reazione INDIVIDUALISMO: identità mista.

Fig. 6: Relazione tra gli orientamenti di acculturazione di Bourhis et al. (1997) e le strategie identitarie di Caneva (2011).

Possiamo ipotizzare che nel modello di integrazione gli individui tenderanno ad adottare strategie identità definite dall’autrice di «reinvenzione» e «metà e metà». Nel caso della «reinvenzione», come abbiamo visto, le proprie origini culturali non vengono rinnegate ma vengono adattate ai valori della società ospitante; per questo possiamo pensare che probabilmente le strategie di acculturazione saranno volte all’integrazione. Anche l’identità «metà e metà», possiamo ritenerla compatibile con l’orientamento dell’integrazione poiché rappresenta un mix di elementi appartenenti alla cultura di origine e a elementi della cultura della società ospitante mettendo in risalto, a seconda dei contesti, i tratti dell’una o dell’altra. Tuttavia notiamo come entrambe le strategie identitarie presentano dei tratti comuni, anche se, nella prima, l’accento è posto più sull’adattamento, mentre nella seconda sembra che sussista un mescolamento tra le due culture.

Nel modello di separazione possiamo immaginare che gli individui potrebbero sviluppare quella che l’autrice chiama identità di «rivendicazione». Come abbiamo visto nel primo capitolo, il modello di separazione prevede che gli immigrati desiderano mantenere la loro cultura di origine cercando di evitare processi di assimilazione alla cultura dominante; proprio per questo è possibile che l’individuo possa adottare la strategia di rivendicazione individuata da Caneva (2011) che appunto rivendica e esalta l’identità etnica e ne marca i confini, di fronte non solo alle tendenze di assimilazione ma anche nei confronti dei connazionali che rinnegano le proprie origini. Ecco che su quest’ultimo punto Caneva (Ibid.) introduce un elemento nuovo che non troviamo nel modello di Bourhis et al. (1997), ossia che gli individui in questo caso evitano i contatti non solo con persone appartenenti alla cultura dominante, ma anche nei confronti dei connazionali che rinnegano le proprie origini. Nonostante non sussista una completa corrispondenza, possiamo comunque ritenere questi due modalità compatibile perché partono

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entrambe dal presupposto della necessità di opporsi alle tendenze assimilazioniste del gruppo dominante.

Nel modello di assimilazione, possiamo trovare una congruenza con l’identità per «contrapposizione». Come abbiamo visto in precedenza, il modello di assimilazione prevede un allontanamento (che può essere più o meno graduale) dalla cultura di origine e un progressivo avvicinamento alla cultura dominante. In questo caso l’identità per contrapposizione, che come abbiamo visto, prevede un allontanamento da altri gruppi etnici etichettati negativamente, può rappresentare la strada verso un possibile processo di assimilazione, poichè le distanze vengono prese da altri gruppi etnici e non dalla cultura dominante.

Nell’ultimo modello di Bourhis et al.(1997), che come abbiamo visto prevede due strade, ossia anomia e individualismo, possiamo ipotizzare che gli individui possano sviluppare o un’identità di reazione o un’identità mista. Nel caso dell’anomia, che secondo lo schema di Bourhis (Ibid.) prevede un rifiuto sia della cultura di origine sia di quella del paese di accoglienza, può essere probabile che l’individuo sviluppi inizialmente un’identità di reazione che con il tempo lo porta a un orientamento di acculturazione che rifiuta sia la cultura di origine sia quella del paese di accoglienza. In questo caso l’anomia potrebbe rappresentare un possibile esito di un’identità di reazione che inizialmente tende a esaltare la propria etnicità dal momento che non si sente accettato e che può andare a sfociare con il tempo in un acculturazione di tipo anomico.

Infine nel modello individualista, possiamo ipotizzare di trovare identità «miste». Come abbiamo visto in precedenza, gli individualisti rifiutano ogni tipo di categorizzazione e preferiscono trattare le persone come individui; proprio per questo possiamo immaginare che possano rientrare in questo modello le identità «miste» che rifiutano ogni tentativo di classificano pur non rinnegando le proprie origini.

La lettura che abbiamo proposto è solo un tentativo di immaginare come negli adolescenti di origine straniera si possono sviluppare vari orientamenti di acculturazione attraverso le relazioni con i pari autoctoni. Anche se il modello di Bourhis (Ibid.) parla di individui e non di adolescenti può essere utile per fare delle previsioni sugli orientamenti di acculturazione che possono adottare gli adolescenti, anche perché come suggeriscono vari autori44, le strategie identitarie degli adolescenti così come gli orientamenti di acculturazione non sono dipendenti soltanto da una volontà individuale, ma anche dalle istituzioni e dall’atteggiamento della società ospitante.

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Nel precedente paragrafo riferito alla scuola abbiamo visto come la riuscita scolastica dipenda anche dalle politiche scolastiche, le quali a loro volta, riflettono gli orientamenti dei policy maker.

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Dall’individuo al gruppo: le identità collettive delle seconde generazioni.

Come abbiamo già accennato, l’autrice attraverso le interviste ha indagato anche come i simboli identitari vengono utilizzati dai soggetti quando si passa dal livello individuale a quello di gruppo poiché, come afferma l’autrice:

la lingua, il paese in cui si è nati, un certo modo di comportarsi, determinati valori rappresentano i segni distintivi non solo dell’identità del singolo ma anche del gruppo, e tracciano il confine con gli altri gruppi. L’appartenenza etnica diventa il mezzo fondamentale per stabilire i confini e per separate il «noi» e il «loro». (Caneva, 2011: 218).

In questo paragrafo quindi, riprendendo la distinzione Tajfel (1981, cit. in Zani e Emiliani, 1998 : 129), ci concentreremo su quella che l’autore definisce identità sociale e, come in precedenza, riporteremo alcune parti delle interviste di Caneva (Ibid.) fatte al campione. L’autrice ha individuato quattro tipi di identità collettive e ha rilevato che gli elementi che hanno un ruolo rilevante nella socializzazione dei minori di origine straniera sono: la lingua, l’origine nazionale, il periodo di residenza in Italia, il modo di vestirsi e di divertirsi e la religione di appartenenza. Per quanto riguarda la lingua, l’autrice sottolinea che essa non rappresenta solamente un simbolo identitario ma è anche il principale strumento per esprimere sentimenti ed emozioni; proprio per questo molti ragazzi nonostante sappiano parlare piuttosto bene l’italiano, preferiscono passare il tempo libero con ragazzi che parlano la loro stessa lingua perché si sentono meno limitati nella comunicazione. In particolare l’autrice afferma che per tutti i ragazzi intervistati “l’altro” era rappresentato dai ragazzi italiani e non da altri gruppi di ragazzi appartenenti ad altre nazionalità e che le relazioni con gli italiani erano confinate all’interno del contesto scolastico, mentre al di fuori della scuola le relazioni vengono intessute primariamente con i propri connazionali.

In generale l’autrice ha rilevato quattro tipi di strategie identitarie collettive:

il primo tipo e anche il più frequente è la socialità definita “monoetnica”, caratterizzata dalla condivisione della lingua e da un certo modo di atteggiarsi con gli altri, sia per quanto riguarda i modi di comportarsi sia per quanto riguarda i modi di divertirsi: in questa categoria rientrano prevalentemente tutti quei ragazzi che presentano un’identità di «rivendicazione», «reinvenzione», per «contrapposizione» o di «reazione»:

a scuola non parlo tanto, sono timido e poi non so l’italiano. Ho più amici filippini perché con loro parlo la nostra lingua, e poi perché con loro mi sento bene, mi trovo bene, non so perché…con gli italiani non mi trovo bene perché non riesco a parlare…sono gentili, però sono diversi [Oscar, Filippine, 16, in Italia da 3] (Caneva, 2011: 221).

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Il secondo tipo di socialità è quella definita “mista” che si verifica con più probabilità quando la famiglia è ben inserita nel tessuto sociale e quando i ragazzi nelle ore extrascolastiche frequentano contesti strutturati come centri di aggregazione giovanili o squadre sportive, ed è per questo che si presentano più opportunità di socializzare con gli italiani e i ragazzi utilizzeranno probabilmente tratti identitari provenienti da entrambe le culture:

ascolto un casino il reggaeton, i miei amici italiani non lo conoscevano prima, però io glielo faccio sentire, gli porto i cd, gli faccio sentire la musica in oratorio…Quando vengono i miei amici, mia mamma fa i piatti tipici…io però faccio la pasta alla carbonara. [Fernando, Ecuador] (Caneva, 2011 : 214).

Il terzo tipo è rappresentato da una «socialità mista di stranieri», che è caratterizzata da rapporti con altri stranieri eccetto gli italiani, e questo è stato riscontrato soprattutto nei ragazzi latinoamericani che legano con altri giovani stranieri con cui hanno in comune la lingua madre, per questo, anche se cambia il paese di provenienza la comunicazione risulta facilitata:

non mi piace andare con gli italiani, non esco con loro, sono noiosi, non sono allegri, sono seri, nervosi. I miei amici sono tutti sudamericani, non ho amici italiani, gli amici sudamericani li ho conosciuti in discoteca, a ballare la musica latina. Con loro parlo spagnolo e se qualcuno parla in italiano lo pestiamo! [ride]. «Sei sudamericano, perché parli italiano?». Gli italiani non mi piacciono, sono nervosi…non abbiamo niente in comune, siamo completamente diversi, noi siamo allegri [Gabriel, Perù, 17 anni, in Italia da due] (Caneva, 2011: 223).

Infine ci sono le situazioni di socialità nulla, che è frequente nei neoarrivati che fanno fatica a