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Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacent

Tra le altre fattispecie associative previste dall’ordinamento italiano una posizione particolare merita il reato di «Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope», anche per le strette connessioni che le condotte criminose disciplinate dalla norma hanno con le strutture criminali organizzate.

Nel recente passato l’importazione di considerevoli quantitativi di stupefacente dalle zone di produzione a quelle in cui esso viene smerciato e consumato era ritenuto inscindibilmente connesso alle attività della criminalità organizzata, le cui strutture erano le sole ritenute in grado di trattare con i produttori e gestire in sicurezza l’importazione dello stupefacente.

76 A titolo esemplificativo gli artt. 1, 2 e 3 del nuovo Decreto Legislativo riprendevano senza alcuna modifica il testo degli artt. 416 bis, 416 ter e 417 del c.p., o ancora l’aggravante speciale prevista dall’art. 7 del D.L. 152/1991 convertito nella Legge 203/1991 veniva trasposta nell’art. 5 del nuovo D. L.vo.

77 A titolo esemplificativo, in materia penale lo schema di decreto approvato prevedeva al comma primo dell’art. 130 («Disposizioni di coordinamento») che «dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i richiami alle disposizioni di cui agli articoli 416-bis, 416-ter e 417 del codice penale, ovunque presenti, si intendono rispettivamente riferiti alle corrispondenti disposizioni di cui agli artt. 1, 2, 3 e 7 del presente decreto».

78 MENDITTO F., Le luci e le (molte) ombre del c.d. codice antimafia, in Cassazione Penale, n. 3 marzo 2012, p. 794.

79 «Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonchè nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136».

70 L’opinione era supportata dalle modalità di approvvigionamento nei paesi asiatici della morfina base destinata a divenire eroina in Europa e ad essere commercializzata principalmente nel vecchio continente e negli Stati Uniti.

Il dato era suffragato dalle esperienze processuali degli anni ottanta come si ricava dalle analisi condotte dal magistrato Falcone secondo le quali «la materia del traffico di stupefacenti (era) saldamente in mano alle organizzazioni criminali» che controllavano «il traffico internazionale dell’eroina fino ai luoghi di consumo (…) smistata nei luoghi di consumo sempre con l’intermediazione delle organizzazioni mafiose»80.

La materia era disciplinata dall’art. 75 della legge 22 dicembre 1975 n. 685 che disciplinava l’«Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti» distinguendo il ruolo di promotori, capi e finanziatori da quello dei semplici partecipi.

Come nel codice penale, la fattispecie associativa era regolamentata dalla formula generica «si associano allo scopo di», ed un rinvio alle condotte vietate dalla normativa sugli stupefacenti previste nel precedente articolo, senza alcuna indicazione rigorosa delle singole condotte suscettibili di integrare il reato. Neanche in questa fattispecie il legislatore forniva un contributo esplicito per il superamento delle difficoltà a stabilire una netta linea di confine tra l’ipotesi associativa ed il concorso di persone nel reato.

La disciplina della preesistente fattispecie associativa già contemplata nella legge 685/1975 venne sostanzialmente trasposta nell’art. 74 del Testo Unico n. 309 del 1990 («Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope») il quale prevede che «Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 7381, chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l’associazione è punito per ciò solo con la reclusione non

80 FALCONE G., Aspetti e prospettive della cooperazione internazionale nella lotta al traffico degli

stupefacenti, in Mafia e grande criminalità. Una questione nazionale, Atti del convegno, Torino, 1984, ,

pubblicato in FALCONE G., Interventi e proposte (1982-1992), Sansoni Editore 1994.

81 L’art. 73 co.1 del T.U. 309/90, riprendendo il contenuto dell’art. 74 della L. 685/1975, identifica le condotte punibili in quelle di chi «senza l’autorizzazione di cui all’art. 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina,, vende, offre o mette in vendita, cede o riceve a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta, importa, procura ad altri

71 inferiore a venti anni. 2. Chi partecipa all’associazione è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.»

Dal momento che nella norma il legislatore non delineava i requisiti minimi della struttura organizzativa, fu necessario enuclearne i tratti distintivi tramite l’elaborazione di dottrina e giurisprudenza. Il ricorso agli stessi canoni ermeneutici utilizzati nell’interpretazione delle norme contenute negli articoli 416 e 416 bis del codice penale era giustificato dall’uso della medesima terminologia.

L’art. 74 sanziona infatti la condotta di più persone che «si associano». La norma incrimina dunque un accordo stabile finalizzato alla realizzazione di una serie di condotte criminose semplici individuate tra quelle punite dall’art. 73 dello stesso Testo Unico 309/90. Sulla base dei canoni ermeneutici conosciuti sono stati quindi enucleati oltre ai requisiti dell’accordo anche quelli del programma criminoso e dell’organizzazione.

L’accordo differisce dal medesimo requisito richiesto per l’esistenza della fattispecie di cui all’art. 416 del codice solo per la specificità. Il pactum sceleris deve infatti essere connaturato all’ipotesi associativa del T.U. sugli stupefacenti ed avere ad oggetto la realizzazione di un programma criminoso volto esclusivamente alla commissione di una serie indeterminata di delitti relativi alle sostanze stupefacenti.

Il requisito dell’organizzazione è quello che in questo ambito maggiormente interessa per comprendere prima di tutto la profonda differenza che in ipotesi si può avere tra questa ipotesi associativa e quella prevista dall’articolo 416 bis del codice ed in conseguenza il diverso o analogo trattamento processuale delle due figure, dal momento che, come vedremo nel seguito della trattazione, alcune norme procedurali rinviano in modo identico alle fattispecie previste dall’art. 416 bis del codice penale e dall’art. 74 del T.U. 309/90.

Sono varie le conclusioni alle quali dottrina e giurisprudenza sono giunte per quanto concerne il requisito dell’organizzazione.

Secondo la dottrina prevalente, ai fini dell’associazione sanzionata dall’art. 74 T.U. 309/90, è indispensabile che sussista una organizzazione anche non strutturata

72 gerarchicamente ma di carattere stabile , senza che occorra l’effettiva consumazione dei singoli reati fine previsti dall’artt. 73.

Per quanto rudimentale la struttura organizzata deve essere pur sempre idonea alla realizzazione dello specifico programma criminale previsto.

La giurisprudenza si è consolidata sul punto, richiedendo per la configurabilità del delitto previsto dall’art. 74 T.U. 309/1990 un accordo specifico, destinato a costituire una struttura permanente in vista della commissione di una serie indeterminata di delitti preordinati alla cessione o al traffico di droga, ma non una struttura organizzativa articolata e complessa come per i reati previsti dagli artt. 416 e 416 bis del codice penale.

La Cassazione, sottolineando che sul punto «l’indirizzo interpretativo di questa Corte non mostra incrinature», ha ritenuto sufficiente per l’esistenza della fattispecie «la sussistenza di strutture sia pure rudimentali, deducibile dalla predisposizione di mezzi, anche semplici ed elementari, per il perseguimento del fine comune» anche se «la partecipazione al reato in questione va desunta da una serie di episodi, dei quali ciascuno singolarmente può non apparire significativo, ma che, unitariamente considerati, valgono ad interpretare quel quadro di stabilità dell’organizzazione»82

In questo caso secondo la Cassazione «per la configurazione del reato associativo non è richiesta la presenza di una complessa ed articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, anche semplici ed elementari per il perseguimento del fine comune, in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, col contributo degli associati»83.

Emblematiche sul punto le sentenze che confermano la sussistenza del reato per aggregati ultra-elementari. Si può vedere, tra le altre, da una sentenza della Cassazione che configura il reato anche in relazione ad una organizzazione limitata ai componenti

82 Cass. Pen. sez. V, 5 novembre 1997, n. 11899. 83 Cass. Pen. sez. I, 21 ottobre 1999, n. 14578.

73 di una sola famiglia «la costituzione del sodalizio criminoso non è esclusa per il fatto che lo stesso sia imperniato per lo più intorno a componenti della stessa famiglia»84.

§ 2. Le fattispecie associative nell’ordinamento francese

Anche nell’ordinamento francese la presenza dell’ipotesi associativa “semplice”, vale a dire finalizzata alla commissione di non meglio individuati reati, è risalente nel tempo.

L’incriminazione dell’associazione di malfattori (association de malfaiteurs) era espressamente disciplinata dal codice del 1810 e anche nella successiva legge del 1893 essa venne concepita come un attentato alla tranquillità pubblica (paix publique).

Nella formulazione degli articoli 265 e 266 del codice penale del 1810 veniva punita la condotta di criminali associatisi, per la sola esistenza dell’accordo stretto in vista della commissione di una pluralità di crimini contro la persona o il patrimonio, prima della realizzazione del disegno criminoso.

Si puniva l’esistenza di un gruppo strutturato per il solo fatto della preparazione al crimine. Il fondamento dell’ipotesi si ritrovava sin dal principio nell’accresciuto potere acquisito dai “malfattori” associatisi ed organizzatisi e dal fatto che in tal modo essi costituivano una minaccia ancor più grave per la società che si veniva a trovare in una situazione di pericolosa insicurezza, pericolosità che giustificava l’esigenza di punire l’accordo criminoso per rompere il cerchio dell’associazione prima della commissione del reato fine .

Con la riforma intervenuta con la legge del 18 dicembre 1893 vennero ancora ridotti i requisiti minimi richiesti per la sussistenza del reato85 e venne prevista la punibilità di ogni complotto relativo alla realizzazione di crimini contro la persona o la proprietà. Per applicare le norme in materia era richiesta la mera sussistenza di

84 Cass. Pen. sez. VI, 9 gennaio 1995, n. 2772.

85 L’emanazione della nuova norma e l’allargamento del suo campo di azione è da collegare ad una serie di attentati anarchici ed in particolare ad un attentato dinamitardo avvenuto alla Camera dei deputati il 9 dicembre 1893.

74 un’associazione o di un accordo (qualsiasi intesa) a carattere anche non duraturo finalizzato alla preparazione o alla commissione dei crimini contro le persone o le proprietà.: «Qualsiasi associazione formata, quali che ne siano la durata o il numero dei membri, qualsiasi accordo stabilito allo scopo di preparare o di commettere dei crimini contro le persone o le proprietà costituisce un crimine contro la pace pubblica».

È comunque a partire dalla seconda metà del XX secolo che l’incriminazione di associazione di malfattori assunse oltralpe una rinnovata importanza.

La mutata capacità di controllo del territorio durante la prima fase della seconda guerra mondiale, poi l’occupazione ed infine le conseguenze della liberazione avevano provocato uno sviluppo considerevole della criminalità che portò da un lato ad un impiego più frequente dell’incriminazione da parte della magistratura e dall’altro ad una evoluzione legislativa del concetto.

Tutto ciò determinò infatti un crescente ricorso all’incriminazione prima trascurata dell’associazione di malfattori. Mentre le condanne per associazione di malfattori erano rarissime nel XIX secolo e fino alla metà del XX secolo, esse si fecero man mano più numerose negli anni 50 e 60, quando anche le minacce terroristiche (i fatti d’Algeria) spinsero verso una maggiore impiego del reato dell’associazione di malfattori. Un nuovo timore derivante dalla situazione in Corsica negli anni 80, con una nuova ondata di attentati ed un grande sentimento di insicurezza evocato dalla classe politica del momento, condussero così a una trasformazione concettuale dell’incriminazione di associazione di malfattori.