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L’introduzione delle figure premiali attraverso la legislazione d’emergenza

Sezione I. L’informatore di polizia, il collaboratore di giustizia ed il testimone di giustizia in Italia

B. L’introduzione delle figure premiali attraverso la legislazione d’emergenza

Alla fine degli anni 70 in Italia si fece strada la consapevolezza che i gravi delitti commessi nell’ambito della strategia della “lotta armata” da parte di soggetti legati alle organizzazioni terroristiche non vivessero autonomamente ma si inserissero piuttosto all’interno di una “complessa strategia criminale”, con importanti conseguenze sul piano investigativo, processuale e sanzionatorio. Ne seguì la creazione dei primi organismi investigativi specializzati e la realizzazione di forme di coordinamento tra gli uffici del pubblico ministero addetti alle indagini (primi pool antiterrorismo in alcune procure del Nord Italia e pool antimafia a Palermo).

Vennero anche istruiti i primi maxi-processi aventi ad oggetto sia le condotte di partecipazione degli imputati alle associazioni criminali sia un elevato numero di specifici reati – attentati, sequestri di persona, rapine di autofinanziamento (per le organizzazione terroristiche), omicidi, grandi traffici, stupefacenti (per le organizzazioni mafiose) – rappresentativi delle finalità avute di mira dall’una o dall’altra associazione.

Fu necessario prevedere per quegli specifici fatti di criminalità organizzata sanzioni più gravi di quelle stabilite dal codice penale per gli analoghi delitti riferibili alla criminalità comune.

I primi importanti successi investigativi e la compattezza della risposta istituzionale consentirono l’instaurarsi di numerosi processi ed imposero ad alcuni imputati anche una attenta riflessione sulla scelta criminale a suo tempo compiuta

Emerse pertanto fortemente la necessità di utilizzare dei mezzi di prova provenienti dall’interno delle stesse organizzazioni per poterne destabilizzare la compattezza e rompere il vincolo associativo142.

133 In quello stesso periodo infatti alcuni terroristi, ripudiando l’ideologia della lotta armata, decisero di collaborare con la giustizia e fornirono chiavi di lettura ed elementi di prova fondamentali per disgregare il movimento terrorista e, conseguentemente, la stessa magistratura reclamò l’adozione di una legge che potesse incoraggiare le nuove collaborazioni. Allora il legislatore nell’ambito della c.d. «legislazione d’emergenza» – sotto la spinta di magistrati ed investigatori – oltre ad aggravare le sanzioni a carico degli autori di tali reati, introdusse per la prima volta, in modo sperimentale e con una certa rapidità, misure in favore dei “pentiti”. In tal modo furono accordate sostanziali riduzioni di pena a tutti coloro che, dissociandosi dalle organizzazioni terroriste, fornissero un contributo qualificato per dimostrare l’esistenza delle associazioni delle quali essi facevano parte e, di conseguenza, per giungere alla condanna degli associati.

Per usufruire di tali benefici occorreva quindi che l’autore del reato si adoperasse per evitare il verificarsi di ulteriori reati ed aiutasse concretamente l’autorità di polizia o giudiziaria nella ricostruzione dei fatti o la cattura dei loro autori.

In tal modo, per fronteggiare l’emergenza del terrorismo, si attribuì ai benefici sostanziali una funzione di incoraggiamento alla collaborazione “probatoria”.

La collaborazione di tipo probatorio o procedurale si differenzia da quella sostanziale per il tipo di cooperazione richiesta al collaboratore e non in riferimento alla fase in cui si sviluppa la collaborazione (che può essere sia la fase istruttoria o delle indagini preliminari sia la successiva fase processuale). Il collaboratore, per ottenere i vantaggi, deve collaborare con le autorità allo scopo di individuare i delitti ed identificarne i responsabili, denunciando gli altri criminali, generalmente complici o coautori dei reati commessi, anche senza che da tale collaborazione derivi alcuna prevenzione del reato, la limitazione delle sue conseguenze o la reintegrazione dell’offesa143.

I vantaggi concessi ai così detti «pentiti» - come soprattutto gli organi di informazione cominciarono a chiamare tali soggetti – erano diversi secondo il reato commesso e secondo la natura della collaborazione. La collaborazione degli accusati

134 con la giustizia determinava normalmente una riduzione di pena (ma per i reati commessi a fini di terrorismo o di destabilizzazione dell’ordine democratico essa poteva permettere all’accusato di beneficiare dell’impunità).

La caratteristica comune delle prime nuove norme che prevedevano misure in favore dei terroristi che collaboravano con la giustizia era/fu quella di provare a mantenere in linea di principio la coerenza con il sistema del codice penale del 1930. a. Il primo di questi interventi legislativi fu il decreto legge 21 marzo 1978 n. 59,

convertito in legge 18 maggio 1978 n. 191 («Norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati»). In esso i benefici riguardavano gli autori di sequestri di persona, sia che tali delitti fossero realizzati per ottenere un riscatto sia che si trattasse di terrorismo.

b. Successivamente il decreto legge 15 dicembre 1979 n. 625, convertito in legge 6 febbraio 1980 n. 15 («Misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica») stabilì all’art. 4 la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella della reclusione da 12 a 20 anni e la diminuzione delle altre pene da un terzo alla metà nei confronti di chi si fosse adoperato “per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori» ovvero avesse aiutato “concretamente l’autorità di polizia giudiziaria nella raccolta di prove decisive per la individuazione o la cattura dei concorrenti».

c. La legge 29 maggio 1982 n. 304 («Misure per la difesa dell’ordinamento costituzionale») introdusse un trattamento ancor più favorevole per i casi di collaborazione attiva: ergastolo sostituito dalla reclusione da 10 a 12 anni, altre pene diminuite della metà e comunque mai superiori ai 10 anni (art. 3, co. 1), ed infine una ulteriore riduzione di un terzo nelle ipotesi di condotte collaborative di eccezionale rilevanza (art. 3, co. 2).

I casi di non punibilità previsti nell’art. 1 di quest’ultimo provvedimento legislativo sembrano porsi al limite. Apparentemente si cerca di salvaguardare il principio della massima tutela del bene giuridico (con la concessione dei benefici solo nei casi di una sicura attenuazione dell’esposizione a pericolo) ma allo stesso tempo il

135 provvedimento sposta il baricentro del diritto penale dall’accertamento del fatto e dalla tutela dei beni giuridici a quello della personalità e della pericolosità del reo.

Era prevista infatti la non punibilità per coloro che «non avendo concorso alla commissione di alcun reato (...) prima della sentenza definitiva di condanna (…) a) disciolgono o comunque determinano lo scioglimento dell’associazione o della banda b) recedono dall’accordo, si ritirano dall’associazione o dalla banda, ovvero si consegnano senza opporre resistenza» (art. 1, co. 1). L’ordine o il mandato di cattura non doveva essere emesso «nei confronti di chi, avendo commesso uno dei reati previsti nel primo e nel terzo comma, prima che a suo carico sia stato emesso ordine o mandato di cattura o sia stato comunque iniziato procedimento penale, si presenti spontaneamente all’autorità di polizia o all’autorità giudiziaria (…)» (art. 1, co. 4).

In tale contesto nel quale norme premiali vennero introdotte per incentivare una collaborazione di tipo processuale, le nuove fattispecie continuarono a crescere, senza rispettare necessariamente i principi di tassatività e materialità. La fruizione del premio era comunque determinata da una condotta successiva al reato, senza connessione con il principio di offensività e non sempre con la tutela del bene protetto144.

Un problema urgente postosi immediatamente dopo e tenuto in grande considerazione nell’emanazione delle norme successive riguardava la sicurezza del terrorista pentito e dei suoi familiari. Il tradimento da parte del terrorista lo esponeva infatti al rischio di feroci vendette dirette (messa in pericolo della vita dello stesso terrorista) o trasversali (nei confronti dei suoi familiari o delle persone a lui vicine). Inoltre occorreva pensare al possibile reinserimento sociale dei terroristi pentiti.

C. L’estensione dei meccanismi premiali ai mafiosi che collaborano con la