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Sezione I – Le nuove giurisdizioni specializzate

B) La Direzione nazionale antimafia (D.N.A.)

La soluzione adottata nel D.L. 20 novembre 1991 n. 367 con la creazione di 26 Direzioni distrettuali antimafia ha eliminato il rischio che le indagini per i delitti di mafia potessero essere parcellizzate presso le oltre 160 procure della Repubblica sparpagliate nel paese, ma ciò non era sufficiente per risolvere il problema del coordinamento tra le differenti procure antimafia.

Non è infrequente, e non lo era neanche negli anni novanta, che gruppi mafiosi abbiano interessi in differenti zone del territorio nazionale, o che un delitti di tipo mafioso sia pianificato in una regione e portato a compimento in un'altra. In tali casi, si potrebbe correre il rischio di una sovrapposizione di procedimenti giudiziari originati da diverse procure.

Il coordinamento tra le differenti D.D.A. diviene allora necessario tanto per prevenire e risolvere i conflitti che per permettere che le indagini siano rapide e complete.

In entrambi i casi il coordinamento è assicurato dal procuratore nazionale antimafia, sia personalmente, che tramite i magistrati che compongono la Direzione nazionale antimafia (D.N.A.). Quest’ultimo ufficio è stato creato all’interno della procura generale presso la Corte di cassazione (D. L.vo n. 159/2011, art. 103) alla quale lo stesso procuratore nazionale è preposto (art. 76 bis, co. 1, R.D. 30 gennaio 1941 n. 12 – Ord. Giud. – aggiunto dall’art. 6 del D.L. 367/1991).

La D.N.A. è composta da 20 magistrati, con funzione di magistrati di corte di appello, e che hanno specifiche attitudini ed esperienze nella trattazione di procedimenti relativi alla criminalità organizzata (D. L.vo n. 159/2011, art. 103 co.4).

106 GIORDANO P., Più competenze alla Direzione distrettuale, in Guida al Diritto – Il Sole-24 ore, n. 39, ottobre 2010, p. 64.

99 Il procuratore nazionale antimafia è un magistrato di cassazione il quale, per almeno 10 anni, ha svolto funzioni di pubblico ministero e che possiede specifiche attitudini, capacità organizzative ed esperienze nella trattazione di procedimenti relativi alla criminalità organizzata (D. L.vo n. 159/2011, art. 103 co.2).

Il procuratore nazionale antimafia può utilizzare i suoi poteri di coordinamento (art. 371 bis c.p.p.):

- per prevenire e risolvere i conflitti tra gli organi procedenti; - per stimolare l’attività di indagine.

a) Per quanto concerne il coordinamento diretto a prevenire e risolvere i conflitti nelle indagini, il procuratore nazionale può in particolare (art. 371 bis, co. 3, c.p.p.):

- impartire ai procuratori distrettuali specifiche direttive alle quali attenersi (art. 371 bis, co. 3, lett.f));

- riunire i procuratori distrettuali interessati al fine di risolvere i contrasti insorti malgrado le direttive specifiche impartite (co. 3, lett.g));

- disporre con decreto motivato l’avocazione delle indagini preliminari quando le riunioni disposte non hanno dato esito ed il coordinamento non è statpo possibile a causa perdurante ed ingiustificata inerzia (co. 3, lett.h))-

b) Per quanto concerne il coordinamento finalizzato a stimolare l’attività di indagine, il procuratore nazionale può inoltre:

- assicurare il collegamento investigativo tra i differenti uffici anche per mezzo dei magistrati della Direzione nazionale antimafia (art. 371 bis, co. 3, lett.a));

- curare, mediante l’applicazione temporanea di magistrati della direzione nazionale la flessibilità e mobilità che soddisfino specifiche e contingenti esigenze (co. 3, lett.b));

- provvedere all’acquisizione e all’elaborazione di notizie, informazioni e dati attinenti alla criminalità organizzata (co. 3, lett.c));

- condurre «colloqui investigativi» con detenuti al fine di acquisire informazioni utili con riguardo a delitti di criminalità organizzata (art. 18-bis co. 5 L. 26.7.1975 n. 354);

100 - assicurare l’impiego funzionale della polizia giudiziaria della direzione investigativa antimafia e dei servizi centrali e interprovinciali, anche impartendo direttive per regolarne l’impiego a fini investigativi (art. 371 bis, co. 1 c.p.p.).

Nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata si applicano regole simili per la competenza territoriale del pubblico ministero e per quella del giudice delle indagini preliminari (G.I.P.). Infatti le funzioni di G.I.P. possono essere esercitate solamente dal giudice delle indagini preliminari che ha la sede nel capoluogo del distretto della corte d’appello (il GIP cosiddetto “distrettuale”). Per gli stessi reati, al contrario, le funzioni del giudice del dibattimento sono esercitate da un giudice individuato conformemente alle normali regole di competenza territoriale.

Per quanto concerne i delitti di mafia, dunque, esiste una separazione tra la competenza del GIP e quella del giudice del dibattimento ogni volta che quest’ultimo non è un giudice che ha le sede nel capoluogo del distretto della corte di appello.

Infine occorre fare una considerazione sulle diverse difficoltà che caratterizzano, nelle diverse zone del territorio nazionale, l’individuazione della competenza per i delitti previsti nell’articolo 51, comma 3 bis del codice di procedura penale. In certe zone del territorio nazionale, dove alcune organizzazioni mafiose sono storicamente radicate sul territorio – a differenza che nelle sedi nelle quali la competenza della DDA riguarda fenomeni molto gravi ma circoscritti – spesso non è possibile distinguere a priori le manifestazioni criminali di derivazione mafiosa dalle altre attività delittuose comuni. Questo avviene perché la presenza ed il potere di controllo delle organizzazioni criminali sono state nel passato talmente penetranti da interferie, anche se in maniera differente, in quasi tutte le attività lecite e illecite produttrici di reddito.

Ciò comporta che indagini per reati comuni (per esempio incendi, danneggiamenti, reati fallimentari) possano condurre alla scoperta di veri e propri disegni criminali da parte di organizzazioni criminali, rivelando le infiltrazioni (od i tentativi di infiltrazione) di associati alla mafia nel tessuto sociale e in settori dell’economia lecita.

101 Questa frequente interconnessione è stata rilevata anche nel campo delle inchieste concernenti i delitti contro la pubblica amministrazione. Gravi irregolarità ed episodi di corruzione nel settore dei lavori pubblici in certe aree possono a volte essere ricondotti a sistemi di manipolazione illecita delle aggiudicazioni che opera con l’interferenza, spesso egemone, della mafia. Tutto ciò ha reso evidente l’opportunità di allargare l’intervento dei magistrati della DDA in inchieste concernenti anche la mafia, con l’effetto della creazione delle premesse per una progressiva estensione delle competenze della Direzione distrettuale antimafia107.

A livello transnazionale, ed al fine di migliorare la cooperazione giudiziaria in materia di delitti di criminalità organizzata, con la legge 14 marzo 2005 n. 41 è stata istituita la unità Eurojust, composta da un membro nazionale distaccato da ciascuno stato dell’Unione europea. L’Italia è rappresenta da un magistrato del pubblico ministero con almeno venti anni di anzianità di servizio, al quale non sono però attribuiti i poteri spettanti ai pubblici ministeri (corte cost 136/2011). L’unità ha funzioni di assistenza, collaborazione e sostegno alle indagini delle autorità giudiziarie italiane.

§2. Le giurisdizioni specializzate nell’ordinamento francese

Fenomeni analoghi a quelli verificatisi in Italia sono stati registrati in Francia con uno scarto temporale di circa un decennio. Alla fine degli anni novanta anche oltralpe sono stati avvertiti i pericoli causati dall’internazionalizzazione dei traffici e dalla mobilità delle organizzazioni criminali. Questa evoluzione della criminalità organizzata che non conosce frontiere ha richiesto un adattamento permanente dei dispositivi di risposta previsti dal sistema francese.

La definizione di nuove strategie e si è manifestata l’introduzione di moderne tecniche e di organi flessibili. Questo adattamento era indispensabile al fine di introdurre degli strumenti di indagine specifici, non era concepibile che gli strumenti di

102 indagine fossero limitati ed inadatti a contrastare organizzazioni composte da individui consapevoli di tutte le potenzialità e le nuove tecnologie consententi loro sia di continuare la loro attività criminale, sia di eludere le attività di indagine108.

Si è visto sopra, a proposito della nozione di bande organisée e dell’introduzione del nuovo regime derogatorio relativo ai procedimenti contro la criminalità organizzata, che la legge Perben II del 9 marzo 2004 ha adattato il sistema giudiziario francese per aumentarne l’efficacia e migliorare il livello della lotta contro fenomeni criminali sempre più complessi. Tra le novità introdotte dalla legge c’è l’introduzione di organi giudiziari specializzati nella lotta contro la criminalità organizzata, con una competenza territoriale più ampia degli analoghi organi operanti contro la delinquenza comune (e va sottolineato con una estensione molto più ampia di delle analoghe strutture italiane) in modo da ridurre i rischi derivanti dalla frammentazione delle inchieste e dalle istruttorie per reati nei quali la visione d’insieme è sovente indispensabile per una adeguata comprensione.

Gli articoli da 706-75 a 706-78 del codice di procedura penale prevedono la creazione di giurisdizioni interregionali di accusa, di istruzione e di giudizio specializzate al fine di conoscere dei reati di criminalità organizzata (artt. 706-73 e 706- 74).

La lista di reati di criminalità organizzata ai quali sono applicabili le procedure in deroga (art. 706-73 c.p.p.) determinano anche l’ambito di competenza delle Giurisdizioni Interregionali Specializzati.