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Le limitazioni della libertà individuale La garde à vue

La garde à vue consiste nel privare della libertà individuale la persona sospettata e mantenerla a disposizione dell’ufficiale di polizia giudiziaria per le esigenze dell’indagine.

L’istituto non è facilmente comparabile alle ipotesi di privazione o limitazione della libertà personale presenti nel’ordinamento italiano.

In Francia la garde à vue è una misura di detenzione di polizia, privativa della libertà, decisa da un ufficiale di polizia giudiziaria.

Dopo la legge del 15 giugno 2000 la possibilità di una sottoposizione alla custodia a vista era limitata alle persone contro le quali esistevano degli indizi che facevano presumere che esse avevano commesso o tentato di commettere un reato. La legge del 4 marzo 2002 ha modificato queste condizioni ed ha stabilito che l’ufficiale di polizia giudiziaria può «custodire a sua disposizione ogni persona contro la quale esistono una o più ragioni plausibili di sospettare che ha commesso o tentato di commettere un reato». Egli può dunque, in teoria, applicare (l’istituto) indipendentemente dalla gravità del reato.

La durata di tale tipo di custodia è limitata a 24 ore, ma essa può essere prolungata di 24 ore su autorizzazione del pubblico ministero, quest’ultimo dovendo essere immediatamente avvisato di ogni sottoposizione alla custodia a vista.

19 L’organizzazione della gendarmeria prevede brigate investigative specializzate ed altre operanti contro la criminalità comune, che sono a livello di Gruppo la Brigade départementale de reseignements et

35 Tuttavia, come si vedrà più avanti, quando andremo ad esaminare l’adattamento dell’ordinamento francese allo sviluppo della criminalità, dopo l’entrata in vigore della legge n. 2004-204 del 9 marzo 2004, detta legge Perben II, la durata totale (massima) della garde à vue può essere estesa a 96 ore in certi casi, in particolare per i dossier di delinquenza organizzata, di sfruttamento della prostituzione aggravato, di traffico di stupefacenti e di terrorismo.

L’inizio della custodia a vista è fissato al’inizio della ritenzione deciso dall’ufficiale di polizia giudiziaria. La persona sottoposta alla custodia deve avere notificato il fatto che essa è sottoposta a garde à vue. Essa deve essere immediatamente informata della natura del reato che motiva l’indagine, della durata della custodia e dei suoi diritti durante la custodia (art. 63-1, co. 1 c.p.p.).

Le persone in custodia a vista hanno in effetti il diritto di far avvertire i loro familiari per telefono in un termine di tre ore, potendo tuttavia l’esercizio di questo diritto essere negato dal procuratore, avuto riguardo alle esigenze dell’indagine. Gli altri due diritti accordati alle persone poste in garde à vue sono assoluti:

- da un lato la persona può chiedere sin dal’inizio della custodia di essere visitata da un medico e può reiterare la sua richiesta in caso di prolungamento della custodia; - dall’altro, essa ha la possibilità di incontrarsi con un avvocato, scelto o nominato

d’ufficio all’inizio della garde à vue.

Tuttavia, per alcuni reati giustificanti una durata della custodia superiore alle 48 ore, il primo incontro con l’avvocato non poteva aver luogo che allo scadere della quarantottesima ora, o della settantaduesima nei procedimenti per traffico di stupefacenti e terrorismo. Inoltre occorre sottolineare che questo incontro era limitato a 30 minuti. La presenza del’avvocato agli interrogatori non era prevista: questi ultimi potevano anche avere inizio prima che l’interessato avesse incontrato il suo avvocato, il quale non aveva accesso al dossier del suo cliente. Quando la garde à vue era prorogata, un secondo incontro con l’avvocato poteva aver luogo a partire dall’inizio di questo prolungamento (art. 63-4, co. 6 c.p.p.).

36 Il sistema si è però evoluto negli ultimi anni a seguito di una serie di pronunce della CEDH e della suprema Corte francese, a seguito delle quali non è più possibile trattenere in custodia il sospettato privandolo della possibilità di interloquire con il suo avvocato. Una sentenza della Chambre criminelle del 19 ottobre 2010 stabilisce che «ogni persona sospettata di aver commesso un reato deve, dall’inizio della garde à vue, essere informata del suo diritto a tacere».

Confronto tra i due sistemi processuali. Conclusioni

Il confronto delle disposizioni analizzate mostra le prime differenze ed analogie tra le due procedure.

Il sistema francese e quello italiano possono sembrare molto differenti per certi principi dichiarati nella procedura ed in particolare per la presenza in quella francese di un giudice istruttore e di una fase di istruzione propriamente detta, che sono state soppresse in Italia da molti anni. Sul piano sostanziale le differenze sono meno evidenti, se si considera che nel sistema italiano hanno fatto ingresso negli anni una serie di correttivi che impediscono di considerare il sistema come interamente di tipo accusatorio ed entrambi i sistemi prevedono sempre dei meccanismi per la salvaguardia dei diritti della difesa e per garantire all’accusato il controllo sugli atti che minacciano la libertà individuale in tutte le sue espressioni di un giudice in una posizione di terzietà maggiore rispetto all’organo dell’accusa.

Ci sono inoltre altre analogie che derivano da una evoluzione storica ravvicinata per quanto concerne l’organizzazione di differenti strutture. È in particolare il caso dell’organizzazione delle forze di polizia: nei due paesi abbiamo un sistema dualista con due forze statali a competenza generale (una ad ordinamento civile ed una ad ordinamento militare) ed una terza con compiti altamente specializzati nel campo tributario (anche se il funzionamento ed i compiti di questo settore è regolamentato in Francia da un apposito Codice delle Dogane che non prevede per i funzionari delle dogane l’automatica attribuzione della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria,

37 mentre le stesse funzioni sono esercitate in Italia da ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria secondo le norme del codice di procedura penale).

Le differenze più marcate, che potevano prima essere individuate nella disciplina della garde à vue – misura di polizia (decisa da un ufficiale di polizia giudiziaria) che comporta la privazione della libertà anche al di fuori dei casi di flagranza, la quale non trova dei casi analoghi nel sistema italiano – ma, a seguito dell’evoluzione degli ultimi anni, il sistema francese si è avvicinato a quello italiano.

38 Sezione II - Il concorso di persone e la responsabilità penale nei reati

associativi

Nei due ordinamenti giuridici oggetto del presente studio comparato vige , come si è visto, il principio della responsabilità penale personale, intesa in entrambi i paesi, anche alla luce della più recente giurisprudenza, come responsabilità per il fatto proprio colpevole.

Nei due ordinamenti la responsabilità penale personale è disciplinata sia con riguardo alle condotte poste in essere da una sola persona sia alle condotte plurisoggettive di commissione del reato, che normalmente si ritiene rappresentino una minaccia maggiore per il bene giuridico tutelato.

In relazione ad un possibile primo livello di responsabilità penale derivante dalla commissione di un reato da parte del singolo o ad opera di più soggetti – complici in maniera occasionale anche se responsabili di una molteplicità di reati – sia il codice penale italiano che quello francese regolamentano le ipotesi di commissione da parte di più soggetti di un reato che in linea teorica può essere portato a compimento anche da un solo soggetto.

Il testo penale italiano dedica nel Libro I, all’interno del Titolo IV (Del reo e della persona offesa del reato), un apposito capo alla disciplina del concorso di persone nel reato (Capo III, artt. da 110 a 119 c.p). L’art. 110 recita che «Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita», stabilendo così in linea di principio la regola generale della sottoposizione alla stessa pena per tutti coloro che concorrono nel reato ed individuando poi una molteplicità di regole ed eccezioni per casi particolari, quali:

- la determinazione al reato di persona non imputabile, con la previsione di un aumento di pena a carico di chi ha determinato la commissione del reato (art. 111 c.p.);

- l’accordo per commettere un reato o l’istigazione, con una generale regola di non punibilità per il solo accordo o la sola istigazione (art. 115 c.p.);

39 - l’ipotesi di commissione di reato diverso da quello voluto da qualcuno dei

concorrenti (art. 116 c.p.).

Il capo III prevede anche delle circostanze aggravanti per i casi di reati in concorso (art. 112 c.p.) e delle circostanze attenuanti (art. 114 c.p.). Tra le prime vanno segnalati, anche per meglio comprendere la successiva trattazione, gli aumenti di pena previsti al n. 1), cioè per la partecipazione al reato di cinque o più persone, ed al n. 2), per chi «ha promosso od organizzato la cooperazione nel reato, ovvero diretto l'attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo».

Il nuovo codice penale francese prevede e disciplina invece due distinte figure di carattere generale, la coaction e la complicité.

La prima disciplina i casi riconducibili in linea di massima al nostro concorso di persone. Si ha infatti coazione nei casi di compartecipazione di più coauteurs allo stesso reato. Essa presuppone una azione condotta in maniera non semplicemente concomitante ma in modo concertato, senza possibilità di distinguere tra una azione principale ed un’altra solamente collegata alla prima20. Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione francese si è in presenza di un caso di coazione allorché gli obiettivi perseguiti dagli autori del comportamento colpevole siano gli stessi, identico sia l’oggetto del reato ed analogo l’elemento morale (semplificando si potrebbe dire che ognuno dei coautori commette materialmente e psicologicamente lo stesso reato)21.

Accanto poi all’autore o ai coautori del reato , i quali agiscono in primo piano, il diritto penale francese distingue e differenzia le persone che qualifica complices, ed il cui ruolo è meno evidente ed apparentemente meno importante (artt. 121-6 e 121-7 c.p.). Per esserci complicità occorre secondo il codice la commissione di un reato principale, dal momento che la complicità non è che una forma accessoria di imputabilità del reato, e che la persona qualificata come complice abbia commesso determinati atti, specificamente enumerati dalla legge (art. 121-7 c.p.), che possono consistere in un aiuto od assistenza ovvero in una istigazione22.

20 LEROY J., Droit Pénal général, 2008, p. 249 21 LEROY J., op. cit., p. 250.

40 L’art. 121-6 del codice penale dispone che «sarà punito come autore il complice dell’infrazione». Si tratta di un testo che interpretato letteralmente può significare che il complice deve essere punito non come l’autore del reato principale, ma come se egli stesso fosse l’autore con il rischio di conseguenze estreme come l’applicazione al complice in determinati casi di circostanze aggravanti proprie dell’autore (e quindi non applicabili nemmeno al coautore)23. Malgrado la distinzione tra le due figure sia in linea di principio molto chiara, rendendosi responsabile il coautore – insieme ad altri – dei differenti elementi costitutivi dell’infrazione e commettendo invece il complice uno degli atti descritti dall’art. 121-7, la distinzione non sempre è chiara in giurisprudenza ed a volte la censura della Corte di cassazione non interviene ricorrendo alla teoria così detta della pena giustificata, quando viene constatato che può intervenire la stessa condanna sia che la condotta venga qualificata come quella del coautore o del complice24.

In entrambi gli ordinamenti sono poi presenti delle specifiche fattispecie di reato per sanzionare i casi in cui la compartecipazione criminosa – occasionale ed eventualmente ripetuta – si trasforma in un vincolo stabile e determina l’esistenza di una struttura associativa semplice – associazione per delinquere nell’ordinamento italiano,

association de malfaiteurs in quello francese –costituendo una minaccia ben più grave

rispetto a quella costituita da un accordo non stabile per la commissione di reati.

Saranno analizzate prima le figure associative previste dal diritto penale italiano, partendo dall’associazione per delinquere «semplice» e dai ripetuti tentativi di estenderne il campo di applicazione alle strutture associative tipiche della criminalità organizzata, approfondendo successivamente la struttura dell’associazione per delinquere di tipo mafioso e l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (§ 1). Di seguito saranno prese in esame le norme dell’ordinamento francese che disciplinano il reato di associazione di malfattori e la circostanza aggravante della commissione del reato in banda organizzata ed anche in questo caso l’estensione del loro campo di applicazione per adattarle al contrasto alle forme

23 DESPORTES F., LE GUNEHEC F, op. cit., pp. 531-532. 24 DESPORTES F., LE GUNEHEC F, op. cit., pp. 536-537.

41 complesse di criminalità fino all’introduzione di un regime derogatorio per i reati di criminalità organizzata (§ 2).

Per quanto riguarda la storia del concetto di criminalità organizzata, esso è antico ma l’espressione è apparsa per la prima volta nella letteratura americana del XIX secolo, quando questa faceva riferimento a delle attività criminali strutturate e definite, in particolare alla prostituzione ed alle pratiche di gioco clandestino25.

Successivamente il concetto ha dato vita ad un dibattito negli anni venti, al’epoca del proibizionismo, quando le attività illegali legate ai traffici di alcool erano strettamente connesse allo sviluppo delle organizzazioni mafiose26 e queste ultime avevano già preso una dimensione transazionale27. Nella prima metà del secolo scorso però la Francia, a differenza degli Stati Uniti o dell’Italia, non ebbe a confrontarsi con un sistema criminale stabile imperniato su strutture criminali permanenti, operanti su una grande estensione territoriale.

In Francia questo ha determinato dunque un ritardo nella concettualizzazione di determinati fenomeni criminali ed i professionisti della sicurezza hanno avuto grandi difficoltà ad inquadrare e qualificare l’evoluzione della criminalità, dal momento che la questione si impose molto dopo ed allo stesso tempo la spinta da parte dell’opinione pubblica non fu molto pressante in questo senso28.

Negli anni 60 e 70 alcune organizzazioni criminali intrapresero un cambio di rotta strategico, essenziale per la loro successiva espansione, volgendosi verso i traffici illeciti di sostanze stupefacenti29. Gli Stati Uniti, paese maggiormente interessato dall’importazione e dal consumo di eroina, divennero il teatro di operazioni condotte da organizzazioni criminali europee (all’inizio soprattutto corse e marsigliesi,30

25 LALAM N., La criminalité organisée. Le hiatus entre les réalités et la conceptualisation, in Revue

de la Gendarmerie Nationale, n. 214, marzo 2005, p. 22.

26 LALAM N., op. cit., p.22.

27 VERGES E., La notion de criminalité organisée après de la loi du 9 mars 2004, in AJ Pénal, n.5, maggio 2004, p.181.

28 AUDA G., Le crime organisé, une perception variable, un concept polémique, in Cahiers de la

sécurité, n. 7, gennaio-marzo 2009, p.17.

29 LUPO S. Storia della mafia, Donzelli, Roma, 2004, pp. 241 ss.

42 successivamente siciliane) e proprio in questo periodo l’analisi giuridica del concetto di organizzazione mafiosa divenne prioritaria.

Tuttavia, come si vedrà nel seguito dell’esposizione, nel campo della criminalità organizzata, la particolarità di differenti sviluppi di certi settori criminali ha condotto l’Italia e la Francia ad affrontare il problema in tempi e modi molto differenti.

I due stati, come molti altri paesi europei, sono purtroppo teatro di operazioni per numerosi gruppi criminali di caratura internazionale, operanti in settori strategici dell’economia – anche legale – senza trascurare la presenza in Francia di esponenti della criminalità organizzata di origine italiana, che hanno utilizzato il territorio francese come base d’appoggio, per investimenti finanziari31 e come via di comunicazione per differenti traffici, ancora oggi nel campo del traffico degli stupefacenti32.

§ 1. Le fattispecie associative nell’ordinamento italiano

La presenza di norme penali volte a reprimere le associazioni dedite stabilmente alla commissione dei delitti all’interno della tradizione giuridica italiana è risalente nel tempo.

Nel codice Zanardelli, entrato in vigore nel 1889, fu previsto nell’ambito dei delitti contro l’ordine pubblico il reato di «associazione per delinquere», diretta derivazione dall’ipotesi dell’associazione di malfattori dal codice penale sardo la cui applicazione era stata estesa a tutto il territorio della penisola.

L’art. 248 del codice Zanardelli includeva un ampio numero di delitti-scopo in vista dei quali era costituita l’associazione. Secondo la previsione del primo comma «Quando cinque o più persone si associano per commettere delitti contro l’amministrazione della giustizia, o la fede pubblica, o l’incolumità pubblica, o il buon costume e l’ordine delle famiglie, o contro la persona o la proprietà, ciascuna di esse è punita, per il solo fatto dell’associazione, con la reclusione da uno a cinque anni».

31 PIERRAT J., Mafias, gangs et cartels. La criminalité internationale en France, Denoël, 2008, pp. 401 ss.

32 Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare, XV Legislatura, Relazione annuale sulla ‘ndrangheta, 19 febbraio 2008, pp. 19 e 211.

43 La norma non conteneva alcun riferimento di natura criminologica alla qualità di «malfattori» dei componenti come avveniva nei precedenti codici (i componenti dell’associazione venivano indicati nel 1882 con la parola «persone» e non «malfattori») ma riprendeva il numero minimo di cinque o più persone del codice sardo- italiano.

Il legislatore del 1930, nell’intento di introdurre uno strumento repressivo idoneo, si mosse ancora lungo la linea di tale processo di astrazione, trasformando ulteriormente la tipizzazione dell’associazione per delinquere (art. 416).

Attualmente nel codice penale italiano, tra i delitti contro l’ordine pubblico, sono contenute due diverse norme incriminatrici che prevedono due distinte figure generali di delitto associativo:

- l’«associazione per delinquere» (art. 416 c.p.), - l’«associazione di tipo mafioso» (art. 416 bis c.p.).

Nell’impianto originario del codice era previsto solo la prima delle due fattispecie, la seconda – l’associazione di tipo mafioso – venne inserita solamente nel 1982 per fra fronte a specifiche esigenze di contrasto alla criminalità organizzata.