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Verbale di dichiarazioni preliminari alla collaborazione

Sezione I. L’informatore di polizia, il collaboratore di giustizia ed il testimone di giustizia in Italia

B. Verbale di dichiarazioni preliminari alla collaborazione

Il decreto prevedeva la redazione di un «verbale di dichiarazioni preliminari alla collaborazione» (art.2) che doveva essere redatto dal Pubblico Ministero e trasmesso in copia alla Commissione Centrale, pena la non ammissione del collaborante al piano di protezione:

- per evidenziare l’importanza del contributo la proposta di ammissione da parte del procuratore della Repubblica (o il suo parere quando la proposta è effettuata da altri) doveva indicare «i principali fatti criminosi» sui quali il soggetto rendeva dichiarazioni ed «i motivi per i quali esse sono ritenute attendibili e importanti per le indagini o per il giudizio» (art. 2, co. 1);

- salvo casi eccezionali il procuratore della Repubblica doveva allegare alla proposta od al parere copia del verbale di dichiarazioni preliminari alla collaborazione con il quale l’interessato aveva «manifestato all’autorità giudiziaria la volontà di collaborare» e nel quale aveva esposto «quantomeno sommariamente i dati utili alla ricostruzione dei fatti di maggiore gravità e allarme sociale (…) alla individuazione e alla cattura dei loro autori» (art. 2, co. 2).

Perplessità vennero subito sollevate da magistrati impegnati nella lotta alla criminalità organizzata e dalla dottrina.

Alcuni magistrati criticarono i contenuti della proposta e del verbale delle dichiarazioni di intenti174.

Le critiche di più ampia portata riguardarono il ruolo ed i poteri della commissione, proprio per l’attribuzione all’organo amministrativo di compiti di valutazione sull’affidabilità del dichiarante, da esercitarsi perfino prima dell’espressione delle valutazioni giudiziali e secondo criteri non predeterminati, con il rischio secondo alcuni di determinare condizioni di obiettiva interferenza sul processo e di inopportune

157 tensioni istituzionali. La successiva valutazione del giudice infatti al fine della concessione dei benefici processuali deve essere autonoma rispetto alle conclusioni dell’organo amministrativo175.

Critiche ancora più forti per quanto concerne la trasmissione della proposta di ammissione al programma di protezione con l’allegato verbale delle dichiarazioni preliminari, reputata una «indebita compressione della potestà del p.m. di disporre la secretazione di atti di indagine», inopportuna perché – dovendo il collaboratore esporre immediatamente i fatti di maggiore rilevanza a sua conoscenza – evidenti ed intrinseci sarebbero i pregiudizi sul naturale evolversi della portata del contenuto della collaborazione, con obiettivi rischi di strumentalizzazione ad opera delle altre parti processuali176.

Secondo queste critiche ne risulterebbe alterato in maniera grave il sistema legale di tutela del segreto investigativo, per l’esistenza di ulteriori illegittime ipotesi di accesso da parte dell’amministrazione agli atti di indagine177.

Critiche di dubbia validità secondo altra dottrina, dal momento che non si può ridurre la commissione ad un ruolo passivo ed acritico rispetto alla proposta del procuratore per cui la soluzione sarebbe stata nella stessa natura della c.d. «dichiarazioni di intenti», verbale che ha la finalità di agevolare il corretto dimensionamento del collaboratore con una valutazione «individualizzata» che presuppone la preventiva conoscenza da parte della Commissione dei contenuti delle dichiarazioni (è in ogni caso la legge – e non il regolamento – ad esigere l’indicazione specifica delle situazioni di pericolo, della volontà di collaborare e dello spessore della collaborazione). Il tutto non si concretizza poi in una esposizione nel dettaglio, in un verbale, dei fatti sui quali la collaborazione interviene, mentre la trasmissione del verbale come detto può essere differita anche per evitare il minimo pericolo di intralci investigativi.

Il «verbale di dichiarazioni preliminari alla collaborazione» divenne alla fine oggetto di conflitto di attribuzione, sollevato dalla procura della Repubblica di Napoli e

175 MELILLO G., MANCUSO P., Osservazioni sul nuovo regolamento per il programma di

protezione dei collaboratori di giustizia, in Cassazione Penale, 1995, p.250.

176 MELILLO G., MANCUSO P., cit., pag. 253. 177 MELILLO G., MANCUSO P., cit., pag. 254.

158 risolto dalla Corte costituzionale. La Corte, accogliendo i rilievi, confermò che il P.M. non poteva essere costretto, con atto normativo del potere esecutivo, a redigere il predetto verbale anche laddove avesse ritenuto che ciò avrebbe potuto nuocere alle indagini178.

Si può notate come nello stesso periodo il dibattito sui collaboratori di giustizia si animi ulteriormente e progressivamente a seguito del loro progressivo aumento nelle aree del sud Italia più toccate dal fenomeno della criminalità organizzata di tipo mafioso e dell’emanazione del decreto che contribuisce a strutturare in maniera più organica la regolamentazione sul collaboratore di giustizia.

Stavolta però l’aspetto centrale del dibattito giuridico – che diviene a volte scontro sulla stampa – non è come negli anni 80 fondato sull’opportunità o meno dell’introduzione nell’ordinamento giuridico della figura della collaborazione di giustizia come strumento di ricerca della prova per il contrasto alla criminalità organizzata.

Se ne ricava che lo strumento di ricerca della prova è ormai entrato a far parte dell’ordinamento e l’importanza rivestita dai collaboratori di giustizia nelle indagini e nei processi sui fatti di criminalità organizzata è divenuta incontestabile. Pertanto le scelte del legislatore di riconoscere utile, anzi imprescindibile l’apporto dei collaboratori e di differenziare chiaramente dopo il 1991 , il trattamento riservato ad imputati e condannati per delitti di mafia a seconda della loro scelta collaborativa o meno risultano ormai condivise da magistrati e dottrina179, quindi si discute e si scrive sulla adeguatezza delle norme che regolano l’istituto e sulle migliorie da apportare ad esso.

Si possono evidenziare in particolare due dei differenti inconvenienti causati dalla vecchia normativa180.

Il primo era che non erano stati stabiliti chiaramente i criteri per determinare l’eventuale revoca del programma di protezione. A causa di ciò si sono avuti diversi

178 Sentenza della Corte Costituzionale del 6-8 settembre 1995.

179 D’AMBROSIO L., Nuovo e contestato regolamento sulla protezione dei collaboratori di giustizia,

Diritto Penale e Processo, n.5, 1995, p. 627.

159 casi di collaboratori che – mentre erano sottoposti al programma – commettevano delitti o si rendevano responsabili di gravi violazioni degli obblighi imposti dal programma181.

Il secondo inconveniente era dato dal fatto che, per incoraggiare le collaborazioni, la disciplina della detenzione dei collaboratori permetteva che il magistrato di sorveglianza – prima della definizione del programma speciale di protezione – potesse autorizzare la loro detenzione «in luoghi differenti dagli istituti penitenziari». Questo era possibile anche se il collaboratore si trovava detenuto per delitti molto gravi.

Da ultimo (secondo l’ordine della nostra trattazione ma non in ordine di importanza) c’era il problema riguardante la situazione dei testimoni di giustizia, che erano disciplinati in concreto dalle stesse norme previste per i collaboratori.

Tra gli anni 1994 e 1997 emersero anche sugli organi di stampa numerose polemiche182 messe in moto da:

- proliferazione dei collaboratori di giustizia,

- diversi episodi di cronaca riguardanti collaboratori ritenuti responsabili di gravi delitti durante la loro sottomissione al programma di protezione183,

- diffusione di notizie relative ai costi della loro gestione184,

- alcuni casi di collaboratori che avevano differito nel tempo le loro dichiarazioni. Nel difendere la validità della previsione contenuta nel regolamento di un «verbale di dichiarazioni preliminari» era stato evidenziato che il grande vantaggio presentato da una “dichiarazione di intenti” era proprio quello di agevolare l’operato dell’autorità giudiziaria e contribuire ad evitare le criticate dichiarazioni a tempo o «ad orologeria»185.

L’11 marzo 1997 i ministri dell’Interno e della Giustizia presentavano un progetto di legge sui collaboratori di giustizia. Il progetto faceva sue tutte le principali critiche scaturite dal dibattito politico e giornalistico dei mesi precedenti, in particolar

181 CARUSO A., op. cit., p. 577.

182 LA LICATA F., Mafia, politici e pentiti, in Pentiti, Donzelli, 2006, p.72. 183 LA LICATA F., op. cit., p.72.

184 LA LICATA F., op. cit., p.76. 185 D’AMBROSIO, cit. p. 792.

160 modo gli obiettivi che risultavano preminenti nell’ambito della riforma erano essenzialmente tre:

- impedire ai pentiti di differire nel tempo la rivelazione delle informazioni in loro possesso e di trarne man mano vantaggio,

- abolire l’impunità totale e dunque prevedere un conveniente periodo di detenzione del collaboratore,

- assicurare l’acquisizione, da parte dello Stato, dei beni del collaboratore acquisiti in maniera illecita.

I tre obiettivi elencati rappresentavano in qualche modo il risultato delle esperienze maturate fino a quel momento nelle sale di udienza dei tribunali italiani.

La nuova normativa sui collaboratori di giustizia –approvata dopo quattro anni di un lungo e laborioso iter parlamentare – è contenuta nella legge 13 febbraio 2001 n. 45. Le più importanti novità introdotte da questa legge sono state:

- la separazione tra i profili premiali e quelli concernenti la sicurezza del collaboratore e dei suoi familiari,

- la figura assolutamente nuova del «contratto» stipulato tra il collaboratore e lo stato. - la differenziazione tra collaboratori e testimoni di giustizia (quest’ultima figura

finalmente disciplinata in maniera autonoma),

Per poter comprendere la portata innovatrice di questa legge, va adesso esaminata la nuova disciplina sui collaboratori di giustizia, risultante in tal modo dal testo della legge precedente (D.L. n. 8 del 15 gennaio 1991, convertito nella legge n. 82 del 15 marzo 1991) a seguito delle modificazioni apportate dalla legge n. 45 del 13 febbraio 2001.