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Sezione I – Le nuove giurisdizioni specializzate

A) La Direzione distrettuale antimafia (DD

Accogliendo tali indicazioni, il decreto legge 20 novembre 1991 n. 367 (convertito con modifiche nella legge 20 gennaio 1992, n. 8), determinò nuove regole di competenza, disponendo che le giurisdizioni competenti per le indagini sui delitti di mafia siano le procure distrettuali (cioè «gli uffici del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello nel quale la giurisdizione competente ha la sua sede»). Da allora sono state istituite presso le procure ordinarie dei capoluoghi di distretto di corte di appello le Direzioni distrettuali antimafia, le sole competenti per i reati di criminalità organizzata.

Le norme contenute nell’originario testo legislativo (D.L. n. 367/1991, convertito nella legge n. 8/1992) sono state trasposte nel libro III del D. L.vo n. 159/2001, «Codice delle leggi antimafia»102. Precisamente le norme sono confluite nel primo titolo «Attività informative ed investigative nella lotta contro la criminalità organizzata», all’interno del capo I («Direzione distrettuale antimafia e Direzione distrettuale antimafia»)103.

La legge prevede che per lo svolgimento dei procedimenti relativi a reati commessi o tentati, indicati nell’art. 51, co. 3 bis del codice di procedura penale, il procuratore della Repubblica presso la sede di corte di appello crea all’interno del suo ufficio una «Direzione distrettuale antimafia» (D.D.A.) scegliendo (per almeno 2 anni) magistrati dotati di particolari competenze e di esperienze professionali (art. 70 bis, co.

102 Decreto Legislativo 6 settembre 2001 n. 159, «Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonchè nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia».

103 Nello schema di decreto approvato il 9 giugno 2011, le identiche disposizioni occupavano il libro IV del «Codice delle leggi antimafia», ma, come si è visto, la rimozione dal testo finale di tutte le norme penali – lasciate nella loro originaria posizione – ha determinato la soppressione del contenuto di tutto il Libro I dell’originario decreto.

96 1, R.D. 30 gennaio 1941 n. 12 – Ord. Giud. – aggiunto dall’art. 5 del D.L. 367/1991). Lo stesso procuratore coordina il gruppo che ha creato ed a tal fine assicura la completezza e la rapidità dello scambio di informazioni sullo sviluppo delle inchieste, allo stesso modo che l’esecuzione delle direttive emanate per il coordinamento delle indagini e l’impiego della polizia giudiziaria (art. 70 bis, co. 2). Vennero pertanto state create le Direzioni distrettuali antimafia presso le procure ordinarie dei ventisei capoluoghi di distretto di corte di appello. Tali Direzioni non costituiscono una struttura con una autonomia funzionale, ma esse hanno semplicemente una competenza specifica limitata ai delitti previsti dall’art. 51, comma 3 bis del codice di procedura penale104.

Per meglio comprendere la scelta del legislatore italiano riguardo le competenze della D.D.A., occorre ripercorrere l’interpretazione della nozione di «delitti di criminalità organizzata», nozione che presentava e presenta ancora dei margini di indeterminatezza per l’assenza di un definizione legislativa.

Dopo lunghi dibattiti, tenuto conto (del fatto) che nella legislazione italiana esistono norme che rimandano ad una nozione di criminalità «di tipo mafioso» e delle altre che prevedono quelle di «criminalità organizzata», si è affermata la tesi che ritiene quest’ultima come categoria generale, più vasta della categoria speciale della «criminalità organizzata di tipo mafioso».

Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno dato una indicazione definendo i reati di criminalità organizzata come tutti quelli che una pluralità di persone realizza, per portare avanti un programma criminoso specifico, dopo aver costituito una struttura organizzata, che è più importante del contributo degli associati e che determina dunque, nell’opinione pubblica, un particolare allarme sociale105.

I delitti tipici di criminalità organizzata sono quelli che, anche se talvolta possono essere regolati da norme diverse, sono individuati dalla legge nell’art. 51, comma 3 bis del codice di procedura penale:

- associazione di tipo mafioso (art. 416 bis, c.p.),

- sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630, c.p.)

104 GRASSO P., cit, p.7.

97 - associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74, D.P.R. 309/90),

- associazione finalizzata al contrabbando di sigarette (art. 291 quater, D.P.R. 43/1973),

- tutti i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis o commessi allo scopo di facilitare le attività delle associazioni definite nello stesso articolo.

I delitti indicati nell’art. 51 co. 3 bis sono considerati dalla dottrina i «delitti di criminalità organizzata» nel senso proprio del termine.

Una novità in materia processuale contenuta nella legge 13 agosto 2010 n. 136, «Piano straordinario contro le mafie», riguarda la competenza della Direzione distrettuale antimafia. L’articolo 11 comma 1 della legge n. 136/2010 ha infatti attribuito alle direzioni distrettuali anche la competenza per il reato previsto dall’art. 260 del D. L.vo 3 aprile 2006 n. 152, «Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti».

L’attribuzione è stata effettuata a prescindere dai collegamenti tra le attività costituenti reato e la criminalità organizzata mafiosa. In effetti anche se non possono essere negate le infiltrazioni della criminalità organizzata nella «gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti», tale comportamenti potevano ricadere nella sfera di competenza della DDA anche prima, nel caso in cui fossero presenti i requisiti richiesti dalla circostanza aggravante prevista dall’art. 7 della legge 203/1991.

Dal 2010 quindi le Direzioni distrettuali sono competenti ad indagare sul reato sia nel caso di realizzazione dello stesso avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p., sia nel caso in cui i collegamenti con la criminalità organizzata manchino e si tratti semplicemente di imprese senza scrupoli che agiscono per conseguire un maggiore guadagno e violano i divieti imposti solo per conseguire un profitto ulteriore risparmiando sui costi di gestione e/o smaltimento.

L’introduzione della norma sembra confermare la linea del legislatore di ampliamento delle competenze della direzione distrettuale cui vengono attribuiti – secondo criteri che non tengono necessariamente in conto delle sue funzioni “antimafia”

98 – reati valutati come gravi a prescindere dalla loro connotazione mafiosa, per esigenze di coordinamento legate alla loro normale dimensione ultraregionale o ultranazionale oppure per scelte «emotive e simboliche più che di sistema»106