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L’assoluto e l’incondizionato alla luce del primo principio e dell’analogia

4.1. Il realismo metafisico e il principio logico-ontologico

Per quale motivo Maréchal sembra nutrire quasi una pregiudiziale nei confronti della validità del dubbio cartesiano? In realtà, l’autore è consapevole del fatto che il metodo di Cartesio costituisce un tassello importante nella costruzione della filosofia contemporanea, ma per converso è lui a ritenere di poter rinvenire, proprio all’interno della teoria cartesiana come pure nei suoi epigoni, una problematica che a sua volta va messa in dubbio: è una certa interpretazione moderna di alcune componenti delle dottrine scolastiche, la quale raffigura quella che in fondo è una sua eredità costitutiva come un sapere vecchio da cui ci si deve differenziare a prescindere. Nella ricerca della verità, per Tommaso d’Aquino, non si può guadagnare nulla in modo autentico se non si perviene all’oggetto universale, se non si giunge al radicamento dell’ideale nel reale e quindi all’essere. La prospettiva di Cartesio concede invece un certo spazio a un rischio di fondo: il vero sapere, cioè la conoscenza oggettiva, deve essere certamente riferita alla realtà per essere tale ma, allo stesso tempo, sembra che non sia necessario che si costituisca tanto sulla realtà dell’oggetto in generale, ovvero sulla «res» in

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sé, quanto su di una realtà particolare, ovvero sulla «res cogitans», cioè sul soggetto stesso in quanto realtà pensante.

Tenendo presente questo punto si può capire ancora di più come mai, per Maréchal, la rivoluzione copernicana di Kant è rilevantissima. Attraverso l’indagine sulla conoscenza, e sulle sue componenti universali, essa permette appunto di superare anche il pericolo della ‘chiusura’ cartesiana nel soggetto pensante. Inoltre si può capire come mai, per lo stesso autore, nell’evoluzione della storia della filosofia il grande punto di svolta è comunque costituito dalla scoperta aristotelica, dal coglimento dell’essere in quanto essere e dal riconoscimento dell’analogicità del medesimo essere: solo la possibilità di pervenire al reale in sé, nelle sue forme essenziali, può rendere sensata e oggettiva la conoscenza. Girando l’osservazione in forma negativa, si può affermare che senza questo guadagno metafisico, logico-ontologico, non sussisterebbe una sensata teoria della verità31: come si cercherà di chiarire, in una simile prospettiva non si avrebbe una dimensione trascendentale in senso forte e quindi nemmeno la possibilità di istituire una teoria della realtà.

In altri termini ciò che viene a mancare nella prospettiva moderna è una parte di ciò che abbiamo sintetizzato nel concetto di logos: l’affermazione necessaria dell’essere. Il medesimo dubbio universale – il problema dell’esistenza del vero – è comprensibile e, soprattutto, risolvibile solo se riscoperto come problema della verità dell’essere. Certo, il cartesianesimo riconosce il soggetto come reale, ma alla fine rischia di isolarlo dalla totalità del reale. L’esistenza del vero, nel senso di realtà conoscibile e conosciuta, assume pieno valore nel costituirsi come correlativo dell’esistenza della realtà in sé: per un verso si dà identità, nel senso che il vero ontologico è la realtà stessa, e per un altro verso si dà analogia tra il vero come realtà e il vero secondo l’accezione logica. Si può parlare di verità se si ammette il rapporto dell’essere ideale all’essere reale e, quindi, 1) se la verità riconosce e ripresenta l’analogia della realtà, la proporzione d’essere tra relativo e assoluto, e 2) se si riconosce un’analogia tra i due ordini ovvero se l’ideale si connota come relativo rispetto all’assoluto del reale.

Come è capitato, la corrispondenza tra verità e realtà può essere negata, ‘a parole’, ma questo non può darsi a livello di pensiero. Anzi, questo legame proporzionato non può che rientrare pienamente nell’ambito del «per se notum». Una sua eventuale negazione affermerebbe per assurdo proprio ciò che vorrebbe negare32. La questione che si staglia sullo sfondo è antica e importante ed è stata sviluppata in molti modi. Nel corso di questa ricerca si tenterà di ripercorrerla almeno in parte chiarendo ulteriormente qualche passaggio fondamentale. In prima battuta si può osservare che ciò a cui ci si trova di fronte è formulabile nei termini di una «necessità trascendentale», di una inevitabilità logica che è anche inevitabilità ontologica, di una affermazione che evidenzia in sé la contraddittorietà di ogni tentativo di negazione: non si può negare l’esistenza della verità senza supporre la verità di una simile affermazione negativa ovvero A) senza presupporre un accordo tra la realtà e il pensiero – di cui però si vorrebbe negare la radice veritativa – e B) senza pretendere al contempo che esista una «disarmonia oggettiva» (però pensabile) tra il pensiero stesso e le cose. Proprio quest’ultima pretesa non può che inficiare a priori la possibilità della negazione, come affermazione negativa sensata o addirittura ‘vera e reale’, e alla fine – per dirlo più sinteticamente e incisivamente – rivela che è nell’atto stesso con cui si vorrebbe negare universalmente il rapporto di verità che quest’ultimo viene sfruttato e quindi affermato.

Le conseguenze di questa semplice ma essenziale riflessione sono perspicue. Per Maréchal, infatti, il non poter non riconoscere tale rapporto, tra il pensiero come pensiero della realtà e la realtà come realtà pensabile, significa anche non poter non ammettere un qualcosa al di fuori del pensiero, un qualcosa che è fondamentale per il pensiero stesso e che

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Cfr. S. Th., I, q. 44, a. 2 citato in J. Maréchal, PdM, V, cit., p. 85 [p. 64].

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assume lo spessore di norma logico-ontologica ovvero di discriminante del vero e del falso. Contro il relativismo e il soggettivismo l’essere viene così positivamente ‘opposto’ al pensiero: se per assurdo il pensiero fosse avulso dalla realtà, allora esso sarebbe norma di se stesso o, meglio, avrebbe una dimensione solo soggettiva e sarebbe in definitiva una non- norma. L’autore suggerisce allora di reimpostare il discorso in modo radicale: si tratta di recuperare una giusta proporzionalità che possa aprire alla sottesa proporzione d’essere. Che cosa significa?

In prima battuta si deve riconoscere un’analogia, che risulterà fondata ma ‘estrinseca’ rispetto all’attribuzione d’essere, tra i vari rapporti di opposizione: è proporzione che può intercorrere tra l’assoluto e il relativo; in questo caso il reale sta all’assoluto come il pensiero sta al relativo. In altri termini il reale (in generale) deve essere inteso come un assoluto cui il pensiero (in generale), nella misura in cui è oggettivo, è relativo. La prima proporzione da considerare è quindi una proporzionalità: è essenzialmente orizzontale e incentrata sull’uguaglianza dei rapporti. In seguito si dovrà notare che, a livello ontologico, sia il reale in generale sia il pensiero in generale comprendono una verticalità tra il vero relativo e il vero assoluto. All’inizio, però, è sufficiente riuscire a constatare che il reale rappresenta un assoluto per il pensiero umano, l’opposto positivo senza il quale quest’ultimo non avrebbe senso.

Acquisito ciò, si potrà scorgere quella che è la complessa articolazione delle proporzioni tra gli elementi in gioco. Il pensiero (in generale) è rapportato al relativo perché se ne evinca la non autosufficienza; il pensiero in sostanza non potrebbe essere davvero pensiero, nella misura in cui per essere tale si deve connotare come pensiero della verità, senza essere pensiero della – e quindi correlato e relativo alla – realtà. La realtà (in generale) è invece rapportata all’assoluto in quanto l’essere reale costituisce il fondamento per la verità, l’in sé che rende possibile l’oggettività, e quindi si presenta come l’assoluto di riferimento per l’essere ideale. Più avanti si avrà modo di riprendere la questione più volte e spiegare l’altro aspetto e cioè la proporzione fondamentale: quando si guarda al termine di riferimento essenziale dell’analogia, cioè all’analogato principale in senso metafisico, allora sia l’essere ideale in generale sia l’essere reale in generale possono essere indicati come relativi – stante la dipendenza, prima indicata, del primo dal secondo – se sono l’ideale e il reale creati oppure possono essere indicati come assoluti se impiegati per descrivere alcuni aspetti del Creatore; in altri termini possono avere connotazioni distinte, e avere un diverso valore, a seconda che siano considerati nella dimensione dell’immanenza piuttosto che della trascendenza33.

Per il momento, per evitare interpretazioni erronee circa l’analogia e l’opposizione citata, si deve comprendere meglio la proporzionalità che rapporta orizzontalmente il pensiero al relativo e la realtà all’assoluto: a tal proposito si può ricorrere a una sorta di (molto) peculiare

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La prima e fondamentale distinzione da cogliere, quando si considera l’orizzonte analogico in generale, vede da una parte l’analogia di proporzionalità e dall’altra parte l’analogia di proporzione: la prima indica uguaglianza di due rapporti ovvero si basa sulla somiglianza, o meglio sull’identità, del rapporto tra il primo e il secondo termine con il rapporto del terzo e del quarto termine; la seconda indica la proporzione come rapporto proporzionato tra i termini ovvero significa che una o più cose (minora analogata) ricevono lo stesso attributo per rapporto ad un’altra (princeps analogatum). In merito a queste due accezioni si è sviluppato un ampio dibattito, che non possiamo riportare in questa sede; nel corso dell’indagine sul rapporto essere-verità in Maréchal, però, si cercherà di mostrare sia i punti essenziali sia i limiti di entrambe queste accezioni e, al contempo, si proverà a delineare una circolarità virtuosa. Anticipiamo però un punto essenziale: per guadagnare il vero orizzonte analogico si dovrà passare dalla prima alla seconda ovvero si dovrà partire dall’analogia come similitudine di rapporti per approdare all’analogia come proporzione o partecipazione a una medesimezza d’essere; in altri termini si metterà in atto un passaggio dalla relazione di tipo ontico alla relazione di tipo

ontologico. Per un quadro generale preciso si rimanda alla voce «Analogia» in Enciclopedia Filosofica,

Bompiani, Milano 2006, Vol. I, pp. 402-414. Comunque, come è stato puntualizzato, avremo modo di approfondire adeguatamente gi snodi principali del tema lungo tutta la ricerca.

incursione di Maréchal nella meontologia34. Per un verso il non-essere in senso estremo, il nulla, è sia l’opposto sia, in modo paradossale, il relativo, dal momento che non-essere è ciò che si dice in relazione all’essere per negarlo. Tuttavia, proprio considerando questa definizione, il non-essere con ‘valenza’ di nulla non è da intendersi tanto come il contrario dell’essere, come ciò che si oppone stando sullo stesso piano, quanto come il contraddittorio, come l’opposto totale e quindi autonegantesi: questo non-essere ‘è’ ciò che nega l’essere stesso, la totalità del reale e, quindi, anche l’opposizione relativa tra pensiero e realtà. Il contraddittorio rappresenta in effetti l’elemento o, meglio, il non-elemento dell’estrema opposizione: in tale ‘opposizione’ all’essere però – e qui sta la paradossalità – si dà o, meglio, si può dare in modo effettivo solo uno dei due opposti. Questa non-condizione è in sostanza la ‘pura’ contraddizione, la contraddizione a livello logico-ontologico e, quindi, il non senso, l’impossibilità ‘assoluta’ della realtà e del pensiero.

L’obiettivo teoretico di tale rilievo dovrebbe risultare abbastanza chiaro. Questa contraddizione, questa non-realtà (e non-pensiero) si oppone alla a quella opposizione che è propria della realtà e del pensiero, e quindi si oppone pure alla loro analogia, e diventa automaticamente sinonimo, a livello trascendentale, di pura irrealtà, di impensabilità e anche di ‘involontarietà’, di “nolontà”. D’altra parte, se il non-essere puro, di per sé, non può identificare nulla allora non può certo essere oggetto di pensiero, e nemmeno di volontà, come anche di una qualunque distinzione. Esso può avere un senso solo in relazione all’essere ovvero in quanto è negazione dell’essere: è negazione di volta in volta espressa o derivante dalle distinzioni categoriche e trascendentali dell’essere.

In sintesi Maréchal evidenzia che, a livello essenziale, il non-essere inteso come diverso o, soprattutto, come nulla può indicare una opposizione, e dunque una relatività, e che però questo genere di opposizione può diventare una non-opposizione: può negare se stessa e ogni altra opposizione, perché può sconfinare nella negazione stessa dell’essere e dunque nella contraddizione. Tuttavia non si può dare un’indicazione di non-essere a prescindere dall’essere, mentre l’essere può naturalmente prescindere dal non-essere, da ciò che non è. Proprio per questo, in modo analogo ma a livello trascendentale, non vi è negazione senza affermazione di verità e non vi è rifiuto senza desiderio di bene («Nulla privatio tollit totaliter esse […] sed tamen omnis privatio tollit aliquod esse: et ideo, in ente, ratione suae communitatis, accidit quod privatio entis fundatur in ente […]. Et sicut est de ente, ita est de

uno et bono, quae convertuntur cum ente»)35. Tenendo a mente questo legame, tra piano ontologico e piano trascendentale, e girando i termini possiamo affermare che, se si ammette l’esistenza del pensiero e della volontà, si pone al contempo e categorialmente l’essere.

Questa riflessione ci porta alla base dell’affermazione dell’essere e dell’incondizionato, all’individuazione del primo principio: se è radicalmente contraddittorio negare l’essere, allora l’essere in quanto tale si connota come principio supremo della realtà e del pensiero.

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Mediante il richiamo al concetto di “meontologia” non si vuole affermare che in Maréchal sia presente una riflessione completa a riguardo, ma semplicemente riconoscere il fatto che, in simili occasioni, l’autore ha tentato di precisare e calibrare i termini di una opposizione mediante un richiamo, esplicito o implicito, alla fondamentale ‘opposizione’ di essere e non-essere e, quindi, al peculiare ‘statuto’ del non-essere. In queste occorrenze si può intendere tale richiamo pensando a una definizione generale, nella quale emerga il fatto che non si tratta di una contraddittoria negazione del principio parmenideo: è la differenza assunta come prospettiva di riferimento, è l’emergere del legame fondamentale tra i differenti all’interno della loro stessa distinzione. Per un efficace approfondimento si rimanda alla voce «Meontologia», in Enciclopedia Filosofica, cit., Vol. VIII, pp. 7301-7302. Per quanto ci concerne, da una parte è importante sottolineare che Maréchal non condivide in pieno le caratterizzazioni platoniche e, soprattutto, neoplatoniche (Proco e Plotino, lo Pseudo-Dionigi e Scoto Eriugena) o anche idealistiche (Schelling) di questa teoria – dal momento che sulla scorta di Aristotele e Tommaso d’Aquino riconosce l’identità come fondamento ovvero non ritiene l’essere originariamente molteplice – ma dall’altra parte occorre riconoscere che, nondimeno, l’autore ritiene importante provare a confrontarsi con queste riflessioni e riflettere sugli indubbi apporti dottrinali che questo settore offre.

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Come risulta probabilmente evidente, l’importanza del tema richiede un minimo di ulteriore analisi e, senza la pretesa di esaurire l’argomento, l’autore tenta ancora una volta di rimodulare l’orizzonte classico in una prospettiva più accessibile alla critica moderna36.

Ma l’esito di questa rimodulazione, in prima istanza, dipende proprio dai principi della realtà e della conoscenza che vengono riconosciuti o, meglio, dal valore che viene attribuito a questi principi. Dunque occorre comunque porsi da subito una domanda precisa: che cosa si intende per «primo principio»? Grazie alle riflessioni dell’autore abbiamo già rilevato che per il darsi della verità – e dal momento che non si può negare senza contraddizione la verità in quanto datità logico-ontologica – devono darsi aprioricamente delle condizioni metafisiche. A livello essenziale dobbiamo ammettere l’essere stesso e la sua analogia, la realtà come ‘assoluto’ di riferimento rispetto al ‘relativo’ del pensiero. E parimenti – sempre sul fondamento dell’essere ma a livello trascendentale – dobbiamo riconoscere l’intelligibilità in quanto caratteristica ontologica ovvero in quanto relazione, intrinseca alla realtà, tra il reale e l’ideale. Quindi abbiamo sostenuto che un contenuto di pensiero si determina sostanzialmente come vero (o falso) sulla base di un rapporto assolutamente stabile (per quanto non statico) con l’essere; inoltre abbiamo rimarcato che tale rapporto ha una dimensione analogica ulteriore, cioè segue l’analogia dell’essere più propria, e di conseguenza è trascendentale e trascendente, riguarda l’essere in un modo e l’Essere in un altro modo.

Secondo Maréchal proprio questa fondatezza e questa stabilità, gnoseologiche e metafisiche, sono espresse dal richiamato “primo principio”, il quale può essere distinto – ma non propriamente diversificato – in due varianti: può essere inteso come principio di identità, se considerato nella sua istanza noetica, nell’immediatezza del suo darsi al pensiero, oppure, se considerato nella sua istanza dianoetica e dunque riflessivamente, come principio di non- contraddizione: «quod est, est» o anche «nihil potest sub eodem respectu esse et non esse». Proprio tale principio è riconosciuto almeno come regola analitica da ogni prospettiva che si può considerare filosofica e che quindi contempli una qualche incondizionatezza nella tematizzazione razionale delle questioni del reale e della conoscenza. Le varie formulazioni e traduzioni possono essere decisive, per la retta comprensione del principio, ma al di là di questo avvertimento possiamo comunque affermare che quelle appena ricordate sono tra le più efficaci e importanti37.

Per tentare di impostare da subito un minimo comune denominatore metafisico e ‘critico’ e per chiarire alcuni fattori ricorrenti delle argomentazioni, ci dobbiamo richiamare al referente sotteso ovvero ad Aristotele. Il motivo di un simile passaggio può non essere chiaro al momento, e in effetti costituisce una parziale anticipazione, ma fa parte integrante del progetto di dispiegamento teoretico dell’orizzonte tracciato da Maréchal. Infatti Aristotele è un punto di riferimento che non ha certo necessità di presentazioni, ma i richiami (espliciti e impliciti) alla dottrina aristotelica o aristotelico-tomista, di cui Maréchal si vale, possono non essere sempre articolati in modo immediatamente fruibile e, in alcuni casi, tendono a presupporre snodi anche complessi.

Diremo che – nell’orizzonte dell’analogia dell’essere e dunque in una prospettiva né equivoca né univoca – l’identità necessaria della cosa con se stessa può essere resa come «A è A», o essere formalizzata in «A=A», e la corrispettiva non-contraddizione può essere indicata come “l’impossibilità per una cosa (un ente) di essere e non essere nello stesso tempo e sotto lo stesso rispetto”. A livello teoretico infatti il principio di identità è l’essere in se stesso in quanto unità necessaria e ultimamente inesprimibile, cioè la fondamentale tautologia che indica direttamente la realtà in sé e per sé: tale principio nega l’equivocità del reale, ovvero la possibilità che si possa affermare tutto e il contrario di tutto, mentre afferma la possibilità di senso della conoscenza. Al medesimo livello il principio di non-contraddizione

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Cfr. J. Maréchal, PdM, V, cit., pp. 84-87 [pp. 64-66].

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è lo stesso essere in quanto unità basilare rispetto alla molteplicità, è cioè l’essenziale articolazione del pensiero che corrisponde all’indicazione della realtà in forma discorsiva e ‘negativa’: tale principio esprime lo stesso reale mettendone in evidenza l’analogicità, il suo poter essere detto in molti modi ma non in tutti, ovvero negandone l’univocità e affermando al contempo l’esistenza di un’unità di riferimento. Queste sintesi dovrebbero aiutare a tenere presente che la verità di ogni espressione, a cominciare da quella di tali formulazioni fondamentali, presuppone sempre e comunque il contenuto cui rimandano, cioè l’essere come

primo principio, sia che venga inteso nella sua immediatezza (identità) sia che venga inteso

nella sua discorsività (non-contraddizione)38.

Da quanto detto dovrebbe risultare evidentemente impossibile una qualunque negazione di tale principio. Tuttavia non sono mancati i tentativi in questo senso e da questi, o almeno da quelli costruiti con maggiore cura, l’autore cerca di trarre utili indicazioni su alcuni problemi della filosofia dall’antichità fino ai nostri giorni. Anzi, a livello di storia generale della filosofia i richiami più facili e rilevanti alle contestazioni dell’identità e della non- contraddizione portano, da una parte, nel pieno dell’antichità e, dall’altra parte, nel pieno della modernità: da una parte la sofistica antica, lo scetticismo antimetafisico, e dall’altra il

relativismo moderno, il riduzionismo antiveritativo. A fronte di innegabili somiglianze tra le

due correnti, l’autore osserva che è indispensabile cogliere anche alcune differenze di fondo. La sofistica infatti trova compimento nello scetticismo radicale e quindi ‘ammette’ il parallelismo tra pensiero e reale, cioè pretende a suo modo di dire la verità, però contesta la metafisica e il primo principio per sostenere, contraddittoriamente, la mancanza di un assoluto