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L’essenza e la differenza La relazione tra unità numerica e unità trascendentale

L’essere e l’analogia: metafisica trascendentale e metafisica di trascendenza

4. L’essenza e la differenza La relazione tra unità numerica e unità trascendentale

4.1. L’unità astratta e l’essenza individuale

Dopo aver aperto un orizzonte, a livello analogico e trascendentale, per spiegare come si può risalire dalla molteplicità all’unità e, parallelamente, dal fantasma all’immaterialità, per Maréchal occorre compiere anche il passaggio inverso. In realtà questo passaggio non consiste tanto in un superfluo percorso a ritroso quanto in una ripresa di alcuni passaggi e di alcuni problemi lasciati parzialmente in sospeso. Certo, il punto di partenza è sicuramente da rintracciare nel precedente punto di arrivo ovvero nell’essenza ideale; come è stato spiegato, questa è una ««forma» immateriale», da intendersi come unità astratta, che si basa sulla forma reale – sull’essenza (e sull’essere) dell’ente – e che viene prodotta dall’attività intellettuale di uno spirito cioè di una forma immateriale sostanziale. Si è insistito nel sottolineare che il valore (globale) implicito del concetto in quanto universale, così come inteso dal realismo moderato, «supera quello di una semplice unità astratta di numero»; ciò tuttavia non deve far

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«Dicendum quod singulare in rebus materialibus intellectus noster directe et primo conoscere non potest. Cujus ratio est, quia principium singularitatis in rebus materialibus est materia individualis. Intellectus autem noster, sicut supra dictum est, intelligit abstrahendo speciem intelligibilem ab hujusmodi materia. Quod autem a materia individuali abstrahitur, est universale. Unde intellectus noster directe non est cognoscitivus nisi universalium». S. Th., I, q. 86, a. 1 citato in J. Maréchal, PdM, V, cit., p. 232 [p. 195].

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Cfr. J. Maréchal, PdM, V, cit., p. 232 [p. 195].

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Cfr. ibi, Unità intelligibile e unità universale. L’universalità del concetto, conseguenza dell’immaterialità

dimenticare che proprio tale forma universale, la quale non deriva dalla sola sensibilità ma non è neppure innata, può essere conosciuta oggettivamente grazie alla species e in forza del vincolo alla rappresentazione ovvero al fantasma (corrispondente) da cui è stata tratta135.

Proprio in questo solco è stato precisato che la “conversione”, o “volgimento”, al fantasma è un fattore obbligatorio nella misura in cui la forma astratta, universale e necessaria, è parzialmente indeterminata rispetto al suo essere come «forma oggettiva». Mentre l’essenza reale, in quanto attuata dall’essere, rappresenta l’identità e la totalità dell’ente, l’essenza ideale non restituisce l’individualità che pure ne sta alla base. Questo diventa particolarmente evidente se si considera l’intrinseco e inderogabile richiamo alla materia come complemento di determinazione: la forma di un sinolo mantiene il riferimento alla materia – anche se non a questa o quella materia – anche nella sua astrazione. Perché la forma sia conosciuta davvero

«come oggetto», dunque, deve essere altresì riconosciuto il suo riferimento alla singolarità da cui trae origine: «Natura […] cujuscumque materialis rei, cognosci non potest complete et

vere, nisi secundum quod cognoscitur ut in particolari existens»136.

Il passaggio inverso trae la sua opportunità pure da un altro e correlato elemento. Un ulteriore aspetto sottolineato è quello per cui, sempre nell’astrazione, emerge un’efficienza causale e, a livello metafisico, questo si declina nel passaggio dalla potenza all’atto: l’essenza reale costituisce (anche) l’aspetto potenziale dell’essenza ideale e l’astrazione rappresenta appunto l’attuazione di quest’ultima. Analogamente a quanto avviene nel puro reale, sul quale si basa, il processo intellettivo si articola in un passaggio dal non-essere all’essere ma questo non avviene a prescindere dal reale medesimo. Anzi, proprio perché vi è analogia sia in quanto proporzionalità, tra il rapporto potenza-atto nella realtà e il rapporto potenza-atto nel pensiero, sia in quanto proporzione, tra l’atto della realtà e l’atto del pensiero, è necessario che l’astrazione, nel suo attualizzarsi, riprenda una valenza di singolarità e torni all’atto concreto. La potenza come potenza, infatti, non è essere (e non è conoscibile) e parimenti l’essenza considerata solo come potenza, quindi, non può indicare l’intelligibilità; se però l’essenza è considerata come essenza di un ente esistente, allora essa costituisce effettivamente la potenzialità intelligibile e può essere conosciuta attraverso l’essere ovvero attraverso l’atto. L’atto reale, dell’oggetto e del soggetto, è in definitiva il fondamento oggettivo della conoscibilità stessa: è l’‘è’ che fonda il ‘che cos’è’. Questo punto tuttavia implica un duplice riconoscimento: A) il primato dell’atto a livello logico-ontologico e B) la finalizzazione della conoscenza all’atto e alla sua specificità; l’atto è ‘concreto’ e una conoscenza in ultima istanza priva di riferimento alla singolarità non renderebbe ragione di questo elemento.

Proprio in questi termini si pone un problema già incontrato ma per alcuni versi ancora aperto. L’atto come individualità deve ‘ricomparire’ dall’universalità astratta, la quale ne è un derivato, e deve quindi essere ri-preso e ri-considerato – proprio nella prospettiva di far emergere la sua concretezza – nella misura in cui il completamento del processo di astrazione, e di riflessione, richiede per necessità l’interconnessione delle varie facoltà e quindi la riconvertibilità al fantasma. Maréchal non nasconde una possibile ed estrema eccezione, per quanto non la sviluppi in questo conteso: egli si confronta con la possibilità della mistica, con l’accezione religiosa-sovrannaturale della metafisica, e annota che questo, per alcuni versi, potrebbe essere una occorrenza in cui tale legge di conversione dall’universalità alla singolarità viene aggirata.

Comunque, al di là del peculiare statuto che si può riconoscere alla mistica, il primo problema da affrontare, con i suoi vari corollari, resta quello ricordato. Anzi, in prima istanza è bene sgomberare da subito un dubbio attinente: potrebbe sembrare che la citata

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«Impossibile est intellectum nostrum […] aliquid intelligere in actu, nisi convertendo se ad phantasmata». S.

Th., I, q. 84, a. 7 citato in J. Maréchal, PdM, V, cit., p. 233 [p. 196].

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proporzionalità tra reale e ideale, l’essenziale concretezza dell’atto (nella realtà) e la strutturale riconversione immaginativa (nella conoscenza) portino a circoscrivere la questione della conoscibilità agli enti sinolici. In effetti nel caso di questi ultimi, i quali comprendono la materia nella loro essenza e nella loro idea, la rappresentazione del ‘concreto’ è già indiretta ma è ‘omogenea’. In questo modo si porrebbe un altro ostacolo all’effettiva intellezione di forme che trascendono, totalmente o parzialmente, la materia – nonostante il principio di intelligibilità sia proprio la forma – e ciò finirebbe per inficiare l’argomentazione che si sta sviluppando. Tuttavia per Maréchal l’analogia e la sua necessità diventano “paradossalmente” più evidenti proprio quando si tratta della conoscenza degli oggetti immateriali e questo vale anche per la proporzionalità menzionata precedentemente: l’attualità delle realtà immateriali infatti non prevede la concretezza materiale, ed esclude quindi la possibilità della conoscenza sensibile, ma fa risaltare nella sua pienezza l’intelligibilità della forma in forza della proporzione tra le stesse forme.

In altri termini: la conoscenza dell’essenza dell’essere da parte dell’uomo è sempre indiretta, in qualche misura, ma tende comunque a costituirsi come conoscenza quidditativa ovvero come conoscenza dell’essenza nella sua purezza. Questo comporta due aspetti: 1) la conoscenza di essenze pure, nel senso di essenze non commiste di materia, in sé rappresenta il vero conoscibile a ‘prescindere’ dal fatto che si intraprenda una via dimostrativa propter quid o quia ovvero a priori o a posteriori; 2) proprio questa condizione di tensione all’essenza permette di evidenziare e capire le possibilità offerte dall’inferenza a posteriori. Infatti la mancanza della materia comporta mancanza della sensibilità e quindi la mancanza della possibilità della indispensabile (per l’uomo) conoscenza sensibile; la conoscenza che si ottiene circa i sinoli, tuttavia, da una parte è possibile grazie alla materia e dall’altra parte comprende inevitabilmente la conoscenza delle rispettive forme. Proprio questa conoscenza può essere impiegata in via analogica per approssimare quelle realtà che sono solo forme.

Anche gli oggetti immateriali non sono conoscibili che analogicamente, per mezzo della conoscenza dei loro effetti o delle loro corrispondenze sensibili137

Questi oggetti in sostanza non si possono esperire sensibilmente ma, nonostante ciò, sono conoscibili: nello specifico – come è emerso più volte – la loro conoscibilità è una possibilità intrinseca alla loro causalità ovvero alla loro attualità di cause. Da una parte queste realtà restano ‘altre’ nella loro essenza, così come il loro essere è ‘altro’ rispetto alla dimensione sinolica; dall’altra parte, tuttavia, possono essere conosciute per mezzo della comprensione dei loro effetti e, quindi, come cause di questi effetti (o comunque delle loro eventuali ricadute in termini di sensibilità)138.

Se si riconosce un minimo di rilevanza alla questione dell’oggettività e alla soluzione prospettata dal realismo, il punto diventa dirimente. Già l’essenza in generale non è conoscibile in modo (propriamente) diretto, ma l’essenza di tali enti rimane, totalmente o parzialmente, celata e irraggiungibile. Pur riconoscendo tutto ciò, attraverso la riflessione metafisica si arriva a sostenere che questo apparente scacco dell’intelletto non impedisce tanto un’intellezione oggettiva, da parte del soggetto umano, quanto un’autentica e profonda conoscenza. Ma come è possibile che simili realtà siano «oggettivate», anche solo indirettamente, da parte dell’uomo e perché la loro formalità dovrebbe far risaltare l’analogia? In sostanza secondo Maréchal è necessario e sufficiente A) «oggettivare, in un fantasma, un oggetto materiale» o comunque un elemento che sia relativo a tali enti e soprattutto B) notare in quali termini diventa rivelativo dell’analogia. Attraverso questo fantasma, e in forza della sua forma sottesa ovvero mediante l’essenziale proporzione tra le forme rispetto all’essere, si

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J. Maréchal, PdM, V, cit., p. 234 [pp. 196-197].

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può ricavare una conoscenza oggettiva delle realtà prossime (e del loro essere effetti) e al contempo aprirsi alla conoscenza delle realtà ulteriori (in quanto cause). Nel rapporto di causa ed effetto si può far rientrare come esempio la stessa conoscenza umana: per comprendere l’oggettività del concetto si deve passare dal dato alla sensibilità e, in questa, si deve riconoscere l’azione dell’intellezione; ci si deve insomma basare sul fatto che il palese atto dell’aspetto materiale, in quanto effetto d’intellezione, rimanda autenticamente al corrispondente atto dell’aspetto immateriale in quanto causa dell’intellezione139.

«Incorporea, quorum non sunt phantasmata, cognoscuntur a nobis per comparationem ad corpora sensibilia, quorum sunt phantasmata […]. Et ideo, cum de hujusmodi [incorporeis] aliquid intelligimus, necesse habemus converti ad phantasmata corporum, licet ipsorum [incorporeorum] non sint phantasmata»140.

Questa sintesi della soluzione del problema richiama a sua volta un’altra problematica. Se si è arrivati ad affermare che il riferimento attuale al fantasma, e alla sua singolarità, è possibile e intrinseco a ogni normale conoscenza umana – in virtù della relazione- corrispondenza analogica tra realtà e idealità e tra i diversi piani della realtà – occorre riconoscere contemporaneamente che tale fattore “limita” inevitabilmente «l’unità oggettiva della facoltà immateriale», in modo diretto o indiretto, «entro i confini posti da ogni relazione alla quantità». Quindi, da una parte, la spiritualità riesce a ‘liberare’ la sensibilità e permette di ricondurre alla rappresentazione anche ciò che non è rappresentabile, ma, dall’altra parte, la sensibilità non può che ‘vincolare’ la spiritualità e attraverso la rappresentabilità, e il suo legame alla materialità, impone il fattore quantitativo. In questo senso l’unità dell’intelletto come unità concettuale, la quale è di per sé un’unità «trascendentale», nella misura in cui deve riferirsi al fantasma assume la «funzione di unità di numero»: la funzione «rappresentativa» del concetto insomma non può non avere a che fare con la sua «funzione numerica».

Siamo arrivati al punto in cui, secondo Maréchal, si deve compiere il primo momento di riconversione, dall’universalità alla concretezza, e si deve rinvenire il ‘passaggio’ dall’unità trascendentale all’unità numerica. Proprio nel rapporto attivo dell’intelletto al fantasma e alla sua numerabilità emerge «ogni immediato contenuto diverso», la singolarità e quindi la «rappresentazione» diretta del concetto stesso; di conseguenza tutti gli oggetti saranno concepiti in virtù dell’unità formale ma saranno rappresentati «sotto la legge astratta del numero».

Forse questo rilievo potrebbe suscitare ancora una volta delle critiche da parte dei sostenitori del materialismo, i quali potrebbero contestare l’effettiva ‘utilità’ dell’universale. Tuttavia anche in questa occorrenza, similmente a quanto osservato altre volte, vale l’affermazione che la relativa strutturalità della quantificazione, per il darsi del concetto, non significa che l’unico oggetto formale dell’intelligenza umana sia la «quidditas rei materialis»: se è indubbio che questa limitazione ai termini quantitativi, ma pur sempre intelligibili, è inevitabile, è altrettanto indubbio che essa è dipendente «da una condizione estrinseca

all’intelligenza stessa»141.

Questo punto però può avere una traduzione nei termini critici? Abbiamo già richiamato alcune questioni riguardanti la natura dello schema in Kant – si ricordi la trattazione della species e del collegamento dinamico tra sensibilità e intelletto – e in questo frangente può essere oltremodo opportuno richiamarsi appunto alla teoria kantiana dello schematismo. Come vi è analogia tra il rapporto (kantiano) noumeno-fenomeno e quello (tomista) essenza- rappresentazione, così vi sono analogie interne a quest’ultimo piano: 1) tra le categorie pure dell’intelletto e l’intelletto agente e, appunto, 2) tra gli «schemi» dell’immaginazione, i quali

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Cfr. S. Th., I, q. 88, a. 1 e a. 2 citato in J. Maréchal, PdM, V, cit., p. 234 [p. 197].

140

S. Th., I, q. 84, a. 7 citato in J. Maréchal, PdM, V, cit., p. 234 [p. 197].

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««limitano» l’uso oggettivo delle «categorie» dell’intelletto», e il concorso necessario del fantasma prodotto dall’immaginazione, il quale «limita l’oggetto formale immediato dell’intelligenza».

Maréchal anzi afferma che «l’errore di Kant» – almeno rispetto alla dottrina realista di Tommaso d’Aquino – in fondo sta nell’aver sopravvalutato tale limitazione e, parallelamente, nell’aver sottovalutato l’effettiva possibilità dell’analogia dell’essere: l’analogia tra le due prospettive si arresta (ancora) proprio sul campo dell’analogia. Cosa si intende asserire? Rispetto al criticismo e al suo eventuale relativismo, occorre superare alcune pregiudiziali e ipotizzare che alcuni concetti significhino «oggettivamente altro rispetto all’oggetto che

rappresentano direttamente secondo gli schemi»: è il rilevante problema del trascendimento

(negato) dell’esperienza. La ricerca della soluzione è ciò che spinge, ancora una volta, a difendere e ad approfondire «la dottrina» scolastica «dell’analogia»142.

Da cosa si evince, però, che tale ipotesi abbia consistenza? Occorre (ri)partire momentaneamente da quanto osservato circa l’universale e l’intelligenza: quest’ultima «ha un oggetto formale più esteso» rispetto alla sensibilità e anzi, in quanto facoltà essenzialmente «spirituale», è aperta alla totalità. In definitiva si deve riconoscere che la potenza «intenzionale» manifestata dall’intelligenza non ha altro limite che l’«essere in quanto tale»,

ens qua tale, e ciò, a livello metafisico, è possibile nella misura in cui tale attività è propria di

«una forma spirituale» ovvero di una realtà comunque «capace di sussistere in sé» e di non dipendere fino in fondo dalla materia. Se si ammette ciò, vi sono fondamentalmente due punti che non si può non arrivare a riconoscere, in quanto conseguenze inevitabili e complementari delle precedenti riflessioni, e a ricollegare agli specifici problemi.

Primo punto.

L’oggetto formale dell’intelligenza in quanto intelligenza è l’essere, in tutta la sua estensione143.

La verità in senso ontologico indica appunto il vero nel senso del trascendentale classico ovvero come legame tra l’essere e l’intelligenza. La difficoltà epistemologica che si vuole così evitare o risolvere, la quale riguarda la possibilità di trascendimento dell’esperienza, emerge dalla necessità di traduzione di tale «oggetto formale illimitato» nei concetti oggettivi dell’uomo.

Secondo punto.

L’oggetto formale dell’intelligenza in quanto legata, nell’unità del composto umano, alla sensibilità è l’essere principio del numero, o l’essenza astratta delle cose materiali144.

142

Ibi, p. 235, n. 1 [p. 197, n. 16]. In questa nota, secondo lo stesso Maréchal, è possibile rintracciare una prova dell’esistenza di Dio ovvero uno dei passaggi (del Cahier V) in cui emergono le condizioni di possibilità per strutturare l’argomentazione. In questo caso il punto di partenza è chiaramente interno all’ambito criticista: lo schematismo (kantiano); la chiave speculativa adottata è però sempre metafisica e porta a riconoscere che il concetto di schema deve essere riconsiderato in forza di un orizzonte analogico. Questo apporto consiste nell’individuare sia la proporzionalità tra il rapporto (trascendentale) fenomeno-noumeno e il rapporto (ontologico) rappresentazione-essenza sia il livello e i gradi analogici propri di questi ambiti. Kant infatti sembra sia sopravvalutare la limitazione imposta alla conoscenza dal fenomeno, e quindi dalla rappresentazione, sia sottovalutare la possibilità offerta dall’analogia dell’essere di indagare il noumeno e, quindi, l’essenza; occorre appunto individuare quella proporzione sottesa che consente ai concetti di significare altro rispetto alla loro rappresentazione e che giustifica la conoscenza oggettiva contro il relativismo empiristico. Si tratta del trascendimento dell’esperienza che permette di spiegare l’esperienza stessa e che è proprio della dottrina dell’analogia; ciò che permette all’idea di Dio di riferirsi effettivamente alla trascendente realtà divina. Cfr. J. Maréchal, Passages, cit., p. 371.

143

J. Maréchal, PdM, V, cit., p. 235 [p. 198].

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La verità in senso gnoseologico è immanente al soggetto stesso e quindi comprende il concorso delle varie facoltà del soggetto. La difficoltà epistemologica che si vuole così evitare o risolvere, la quale riguarda la modalità di trascendimento dell’esperienza, emerge dal fatto che l’intelligenza umana ci rappresenta «direttamente» soltanto le essenze materiali in quanto numerabili145.

L’insistenza su questi elementi è motivata dalla loro importanza in sede di impostazione metafisica per risolvere le aporie della teoria critica. Maréchal segue infatti Tommaso d’Aquino, il quale distingue puntigliosamente l’unità risultante dall’oggetto «formale

adeguato della nostra intelligenza», che è appunto l’unità trascendentale «dell’ens qua tale»,

dall’unità risultante dall’oggetto «formale proprio, limitato», di questa intelligenza ovvero dall’unità astratta «dell’ens principium numeri»: «[…]. Sic igitur dicendum est, quod unum

quod convertitur cum ente, non addit aliquam rem supra ens, sed unum quod est principium numeri, addit aliquid supra ens, ad genus quantitatis pertinens»146. Certo, l’unità trascendentale ‘introiettata’ è comunque da considerarsi astratta, ma essa rimanda direttamente all’essere in sé e viene limitata nei termini quantitativi da alcune facoltà dello soggetto. L’unità quantitativa invece è un’astrazione della materialità singola, da un aspetto accidentale dell’essere, ed è naturalmente connessa alla sinolicità del soggetto Occorre dunque evitare ogni possibile confusione tra l’unità (e la molteplicità) a livello dell’essere, trascendentale, e l’unità (e la pluralità) a livello del numero147.

Affrontati questi problemi circa l’unità astratta nelle sue diverse declinazioni, possiamo ora proseguire, e procedere oltre l’unità numerica, verso l’unità individuale. Per l’intelligenza è infatti essenziale poter tornare all’individuo concreto, dal quale per altro parte; si può dire che questa prima tappa della sua dinamica approfondisce il quadro del logos, mostra la relazione tra la realtà come unità e la realtà come numero ed è, pertanto, necessaria. Tuttavia questa stessa tappa non è sufficiente perché manca la definizione del rapporto tra l’essenza specifica, astrattamente recepita, e la determinazione individuale. Abbiamo infatti visto che il primo passaggio parte dall’universale come forma astratta e termina in una «specificazione astratta dell’essere», la quale si rapporta «all’ordine quantitativo» e assume il ruolo di unità «di un numero possibile»; nel secondo passaggio si assiste invece alla conversione dall’astrazione universale, e moltiplicabile, alla conoscenza intellettuale di quegli stessi «oggetti individuali che la realizzano». Questa discriminazione tra le fasi è più opportuna di quanto potrebbe sembrare di primo acchito: senza questa accortezza si rischierebbe di credere – alla maniera di Duns Scoto – che sia possibile concepire l’individualità – che è sicuramente ‘essenza specifica’ – come una sorta di specie “specialissima”, di specie individualizzata ma avulsa da ogni rapporto materiale.

Nell’eventualità che possa ancora sembrare una questione di poco conto e che l’ipotesi scotista non sia problematica, Maréchal oppone una riflessione di Tommaso d’Aquino. In forza dell’orizzonte emergente dall’analogia di attribuzione-proporzione tra l’uomo e Dio, e tra l’intelligenza umana e l’intelligenza divina, l’Aquinate arriva ad affermare che Dio stesso, il quale conosce tutto in sé in quanto Essere da cui dipende ogni essere, conosce certamente sia l’universale sia il singolare ma non potrebbe conoscere gli individui materiali attraverso la sola conoscenza delle loro forme.

Com’è possibile? Se da una parte, per proporzionalità, si può certamente affermare che la forma sta all’atto come la materia sta alla potenza, dall’altra parte si deve parimenti affermare che la materia non è potenza nel senso di un puro non-essere (come rischia di diventare, ad esempio, in una prospettiva neoplatonica): è non-forma e, in questo senso, è non-atto, ma è

145

Cfr. ibi, p. 235 [p. 198].

146

S. Th., I q. 11, a. 1 citato in J. Maréchal, PdM, V, cit., p. 236 [p. 198].

147

Cfr. Pot., q. 9, a. 7. citato in J. Maréchal, PdM, V, cit., p. 236 [p. 198]. Cfr. J. Maréchal, PdM, V, cit., Prima