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Il ruolo del giudizio tra la logica e ontologia

La verità e la realtà: dalla critica alla metafisica

3. Il ruolo del giudizio tra la logica e ontologia

Da una parte si deve mettere in luce la fondazione metafisica e analogica della logica: il grado dell’immaterialità dell’intelligenza è parimenti la misura della sua realtà e della sua apertura alla realtà, come intelligibilità, nonché la misura della possibilità dell’autocoscienza; il livello ontologico dello spirito esprime la peculiare proporzione rispetto a Dio e quindi la partecipazione all’Essere in quanto Intelligenza e Autocoscienza. Dall’altra parte, allo stesso tempo, Maréchal ritiene indispensabile modulare un simile orizzonte nella scansione critica kantiana. In particolare si sottolinea che le condizioni di conoscenza di un oggetto in quanto oggetto, da parte dell’uomo, appartengono alla logica ‘oggettiva’ ma comprendono il concorso ‘soggettivo’ di sensibilità e intelletto in un’azione specifica e conclusiva: il giudizio. Proprio in quest’ultimo la rappresentazione viene pienamente concettualizzata e sempre in esso, quindi, trovano compimento sia l’introiezione ideale dell’essenza oggettiva sia la consapevolezza di sé da parte del soggetto conoscente. Ciò che occorre riscoprire a livello metafisico, tenendo sempre presente la linea critica, per comporre queste istanze è la valenza ontologica delle componenti costitutive, ovvero dei diversi termini, del giudizio.

4. Il rapporto tra a priori e sensibilità in senso critico e metafisico

4.1. La causalità materiale: tra pura sensazione e conoscenza oggettiva

La sensibilità in quanto ricezione immediata fornisce il dato e, di conseguenza, un imprescindibile punto di partenza per l’esperienza e il giudizio; essa tuttavia non può essere considerata sufficiente a spiegare la dinamica conoscitiva e, inoltre, non deve neppure essere interpretata come pura passività o risulterebbe del tutto avulsa dalle facoltà attive. L’inevitabilità della sensazione deriva dal fatto che l’uomo è costituito in una certa misura, e in definitiva limitato, dalla componente corporea: una simile proporzione non può non riscontrarsi anche nella sua capacità intellettiva; a loro modo il metafisico e il filosofo critico riconoscono che se il soggetto umano – al contrario delle pure forme o, al grado massimo, di Dio – non possiede per natura i propri intelligibili, allora l’unità (ideale) di oggetto e soggetto, sottesa alla conoscenza, esige anche una causalità fisica.

L’attività sottesa alla sensibilità (umana) emerge dal fatto che il soggetto come tale è sempre attivo, o non sarebbe un agente spirituale, e secondo Maréchal persino la sua potenzialità ricettiva è da considerarsi immateriale. Certo, rispetto alla formalità, la causalità materiale è caratterizzata da esteriorità e negatività, che si ritrovano nella sensibilità, ma essa non si riduce a queste caratteristiche: come la materia è sempre materia ‘in-formata’ così la sensazione è sempre un connubio di azione e passione; solo la formalità intellettiva può condurci davvero al noumeno, all’essenza oggettiva, ma essa abbisogna del connesso fenomeno e si intreccia con la materialità.

4.2. La causalità formale: l’a priori, la sua natura e il suo rapporto con la sensibilità

La necessità della causa formale per il darsi della possibilità della conoscenza oggettiva non sta certamente nell’immediatezza del dato ma, anche per il criticismo, nell’emergere di elementi a priori. In prima istanza tale necessità si sostanzia nella priorità dell’unità sulla molteplicità. Al fine di comprendere questa priorità della forma-unità occorre considerarla analogicamente attraverso la metafisica: l’essere in quanto tale, in senso immanente, è unitario e a priori rispetto all’insieme dei suoi fenomeni e, in senso trascendente, l’Essere (assoluto) è Unità a priori rispetto all’essere (relativo) molteplice. Questa struttura del reale si

ripresenta nelle strutture (a priori) della conoscenza: nell’unità del concetto si rivela un aprioricità – rispetto alla molteplicità a posteriori del dato – ed è in virtù di questa unità, e del suo rimando a un’unità reale, che viene attuata l’intellezione dell’oggetto. In questo modo il concetto veicola il coglimento almeno parziale del noumeno, dell’essere stesso, e apre alla conoscenza dell’Essere stesso.

In seconda istanza la causa formale come a priori è indispensabile per l’universalità concettuale: il fenomeno è chiuso nella sua diversità, e individualità, e quindi non può fornire il fattore universale; tuttavia l’intelligenza permette il guadagno di verità eterne, necessarie e universali, quindi ciò deve avere la sua causa nel rapporto apriorico, logico-ontologico, tra forme. Anche in questo caso l’analogia ci permette di procedere oltre e rendere ragione della dimensione ideale: le citate caratteristiche della verità ci fanno superare il dato immediato, fino a riconoscere l’esistenza di un fondamento reale della verità e dell’intelligenza.

Occorre infine notare che la formalità rimanda all’atto, e quindi al principio di attività, ma in diversi modi: è in queste articolazioni che si comprende il legame con la sensibilità. Le potenze operative della conoscenza sono sempre attive e sono tali in virtù della forma, ma possono esserlo in grado minore (assimilatrici) o maggiore (produttrici).

L’autentico universale implica queste dimensioni di apriorità, di formalità e di attualità. Per Maréchal è il risultato di una funzione mentale, ma, soprattutto, esso esprime il legame trascendentale dell’intelligenza con la realtà come tale; anzi, manifesta il rapporto tra l’atto del soggetto e l’atto dell’oggetto e, in profondità, quello tra l’atto immanente e l’Atto trascendente. In definitiva l’oggetto formale delle potenze conoscitive sussiste in virtù di un’attualità (apriorica e formale) ed è tale dimensione a originare le condizioni per il darsi sia dell’oggetto sia del soggetto.

4.3. La compossibilità di apriorità e ricettività

L’apriorità autentica è in sostanza quella dell’atto e della forma. Nel caso di un agente materiale, tuttavia, esiste anche un’apriorità negativa ovvero passiva-potenziale; nel sinolo infatti la materia è elemento costitutivo e ha un’incidenza proporzionale. Comunque la materialità in sé indica potenzialità, non esistenza attuale, e affinché si dia un soggetto è quindi necessario che si dia una forma e che tale forma sia attiva ovvero non si ‘risolva’ nella materia: la condizione non può che estendersi a tutte le facoltà del soggetto e quindi pure la ricettività deve essere, almeno in parte, attiva. In questo senso si può parlare di immaterialità, e quindi di aprioricità, anche per la sensibilità umana ed evidenziare così il peculiare statuto analogico dell’uomo: la sua ricettività è animale in quanto sensibile e spirituale in quanto attiva; senza una tale prospettiva non si potrebbe parlare di forme a priori della sensibilità e senza queste forme non vi sarebbe unità o differenziazione concettuale ma solo indeterminazione.

Maréchal approfondisce questo riferimento al piano spirituale per risolvere anche altre questioni. Il genere in senso logico è estensivo – non contiene i caratteri essenziali delle sue specie – cioè non è fattore di differenziazione (delle specie): come è possibile distinguere le forme se sono separate (dalla materia) e a sé stanti? Ciascun angelo fa specie a sé e tuttavia si differenzia dagli altri: né intraspecificamente, né sulla base del genere, bensì per l’ordine analogico sotteso al genere. L’immaterialità fa emergere la sottesa dimensione analogica dell’ordine, come unità nella differenza, e conseguentemente l’implicita relazionalità dei gradi: un soggetto, sia sinolico sia ‘separato’, è tale se è proporzionalmente affine e differente rispetto all’oggetto e la conseguenza è che la sua conoscenza di un oggetto, in forza di questa proporzione, può implicare sia una comprensione positiva degli oggetti inferiori sia una negativa di quelli superiori. La connaturalità è necessaria per il conoscere e, attraverso l’intenzionalità, non impedisce ma corrobora il coglimento delle differenze.

4.4. La natura e il ruolo gnoseologico dello spazio e del tempo

Per il soggetto la sensibilità è di sicuro un fattore importante ma non totalizzante, o fondante, e soprattutto è legata alla materialità ma non si può spiegare solo con questa. Il discorso diventa più stringente se si considerano la spazialità e la temporalità. Per Maréchal nella teoria kantiana si può di fatto ritrovare, circa questo argomento, una variante del classico ‘senso comune’: combinazione percettiva di una duplice ‘esigenza’ (spazio e tempo). Se il soggetto è anche materiale, allora la sua azione (di conoscenza) segue il suo essere e implica la successione tipica della materia; questa azione è però unitaria ed è tale perché è sottoposta alla condizione a priori (spirituale). La spazio-temporalità si configura come sintesi pura dello spazio attraverso il tempo e come corrispondenza con la realtà.

Ma un soggetto in quanto ente spirituale non dovrebbe essere avulso dalla conoscenza oggettiva della materia? In realtà l’apriorità (immateriale) e l’auto-coscienza dicono di una relazione trascendentale con tutte le dimensioni dello stesso soggetto: il discorso analogico, sull’affinità-differenza tra soggetto e oggetto e sulla conoscenza del reale in virtù dell’ordine sotteso, riguarda naturalmente anche i caratteri quantitativi. La sensibilità non è meramente passiva. La problematica si risolve tenendo presente che attraverso essa si può recepire solo la distinzione dei fenomeni: per rendere ragione di questa, occorre approssimare le essenze noumeniche. Per questo è necessaria l’azione intellettiva: l’intelligenza non è in contrasto con il senso, anzi è collegata, ma è superiore rispetto a questo e può cogliere l’oggettività essenziale.

4.5. La questione dell’infinito tra quantità e sostanza

L’a priori classico, per Maréchal, costituisce quindi il punto focale, analogico e logico- ontologico, sia per la sensibilità sia per l’intellezione. La sua declinazione spaziale e temporale, nel caso della sensibilità, articola l’unità e la differenza del soggetto come pure dell’oggetto in quelle dimensioni. Naturalmente ci si può interrogare ulteriormente sullo spazio e sul tempo: sono infiniti? lo sono in sé o come intuizioni a priori? Tomisticamente si possono distinguere diversi tipi di infinito: a parte l’infinito assoluto e sostanziale, cioè Dio, gli infiniti non possono essere in atto – sarebbero infiniti finitamente infiniti – ma hanno un’esistenza relativa. Il limite reale dello spazio-tempo permette una moltiplicazione virtuale che si riflette nelle forme a priori e, nel divenire, apre una potenzialità indefinita di estensione e durata: la differenza sta nel fatto che in un caso essa è statica e nell’altro è dinamica.

Capitolo III

L’essere e l’analogia: metafisica trascendentale e metafisica di