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Da Ateneo a Gentili: la poetica della mimesi nel frammento di Alcmane

I versi di Alcmane, a noi pervenuti in condizioni testuali difficili, non devono tuttavia aver lasciato dubbi sul loro significato ad Ateneo, il quale ne offre un'interpretazione certa sulla base delle considerazioni del peripatetico Cameleonte (Ath. IX 389f - 390a): ὡς καὶ ὑπ᾿Ἀλμᾶνος [390a] λέγοντος οὕτως (fr. PMGF 39 = 91 Cal.), σαφῶς ἐμφανίζων ὅτι παρὰ τῶν περδίκων ᾄδειν ἐμάνθανε. Διὸ καὶ Χαμαιλέων ὁ Ποντικὸς ἔφη (fr. 24 Wehrli)\ «τὴν εὕρεσιν τῆς μουσικῆς τοῖς ἀρχαίοις ἐπινοηθῆναι ἀπὸ τῶν ἐν ταῖς ἐρημίαις ᾀδόντων ὀρνίθων· ὧν κατὰ μίμησιν λαβεῖν στάσιν τὴν μουσικὴν» κτλ.

Secondo Cameleonte, che mutua una concezione dell'arte come imitazione e apprendimento propria già del naturalismo ionico di V sec a.C. e che raggiungerà una definitiva teorizzazione in campo poetico con Aristotele, Alcmane avrebbe ‘trovato’ ἔπη καὶ μέλος, e composto apprendendoli dal

145 Cf. Gallavotti 1972, 34. 146 Cf. Calame 1983, 482. 147 Cf. Bossina 1998, 9ss. 148 Cf. Emperius 1835, 6; Meineke 1867, 170. 149 Cf. Schneidewin 1844, 33. 150 Cf. il commento di Calame 1983, 483 ad l.

151 Per gli argomenti a favore in tal senso, si vedano Desrousseaux 1952, 41 e Marzullo 1955, 75ss. 152Sull'argomento, vedi anche Degani-Burzacchini 20052, 288.

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canto delle pernici in zone solitarie154.

Tali affermazioni vengono spesso collegate a un altro frammento in cui Alcmane si professa onnisciente conoscitore delle arie degli uccelli, usando per esse il termine νόμος per la prima volta nella sua accezione tecnico-musicale155 (fr. PMGF 40 = 140 Cal., οἶδα δ᾿ὀρνίχων νόμως / πάντων):

i diversi suoni prodotti in natura, una volta appresi, diventano a tutti gli effetti materiale poetico. Tale operazione sembra dipendere dallo stesso poeta, mentre altrove egli chiede alle Muse, inesauribili fonti di canto, di intonare me,lh nuovi a ogni occasione (così in fr. PMGF 40 = 4 Cal., Μῶσ᾿ἄγε Μῶσα λίγηα πολυμμελές / αἰενάοιδε μέλος / νεοχμὸν ἄρχε περσένοις ἀείδην156) e

attribuisce all’opera di altri la dolce e variegata novità del canto (fr. PMGF 4(a),6s. = fr. 57.6s. Cal., γαρύματα μαλσακὰ. [/ νεόχμ᾿ἐδί,<δα>ξαν τέρπ[ κτλ157.

Tuttavia, le osservazioni di Ateneo non chiariscono in che modo avvenga la ‘scoperta’ mimetica del canto per Alcmane, né tantomeno si è in grado di comprenderlo sulla base del testo, che proprio negli ultimi due versi, è fatalmente corrotto. A ciò hanno tentato di rimediare i molti interventi sopra segnalati e gli altrettanto numerosi contributi esegetici che si sono concentrati sul valore semantico di ciascun termine, raggiungendo risultati a volte molto diversi.

Marzullo, il quale non crede all'ipotesi della creazione poetica come processo di mimesi, giunge a una soluzione drastica e destinata a rimanere isolata. Lo studioso, dopo aver addotto numerose

154Il commento di Cameleonte riecheggia verbalmente il pensiero democriteo riportato da Plutarco (Plut. Sollert. Animal. 974 = Demokrit. VS 68 B 154): γελοῖοι δ᾿ἴσως ἐσμὲν ἐπὶ τῷ μανθάνειν τὰ ζῷα σεμνύνοντες, ὧν ὁ Δημόκριτος ἀποφαῖναι μαθητάς ἐν τοῖς μεγίστοις γεγονότας ἡμᾶς ἀράχνης ἐν ὑφαντικῇ, χελιδόνος ἐν οικονίᾳ καὶ τῶν λιγυρῶν, κύκνου καὶ ἀηδόνος, ἐν ᾠδῇ κατὰ μίμησιν. Sull'interpretazione del frammento cf. Sorbom 1966, 70 e Brancacci, 2006, 190s. Tale principio ritorna in maniera del tutto limpida in Lucr. V 1377-1379 (Bailey 1947, I): at liquidas avium voces imitarier ore / ante fuit multo quam levia carmina cantu / concelebrare homines possent aurisque iuvare. Sul passo cf. Giussani 1898, 164s.; Bailey 1947, III, 1542s., Ernout-Robin 1962, 180s.

155Vd. Del Grande 1932, 186 n. 4. Lo studioso parla di quest'impiego di no,moj con valore ‘scientificamente’ esatto a indicare una tipologia di melodia fissa, sempre ripetuta e variata soltanto al momento dell'esecuzione.

156Il frammento è con ogni probabilità il preludio a un partenio nella sua formulazione più ricorrente e riconoscibile: l’invocazione alla Musa si accompagna all’uso tecnico del verbo a;rcein che indica il suo compito di introdurre il canto e di spingere le fanciulle a eseguirlo. Cf. Calame 1983, 349ss.

157Qualche parola sulla storia di questi versi. A partire dall’editio princeps del papiro, che corregge al v. 6 il testo tràdito ἐδείξαν in ἔδειξαν, si è dato inizio a una serie di congetture sul possibile soggetto dell’azione, difficilmente ricostruibile in un contesto tanto lacunoso. Lobel (The Oxyrinchus Papyri, XXIV (1957), 23) propone cautamente di integrare la lacuna di v. 6 in Τέρπ[ανδρος e rammenta il nome di Polimnesto in un altro frammento di Alcmane (PMGF 145 = 225 Cal.). L’ipotesi, che si è persa nell’edizione di Page 1962 è riaffiorata nelle osservazioni di Treu 1968, 35ss, il quale suggerisce di leggere accanto a quello di Terpandro il nome di Polimnesto sulla base di una corrispondenza tra i μαλσακὰ γαρύματα del frammento e la definizione del poeta come euvmelh,j di una glossa esichiana (cf. Hesych. p 2891 Schmidt s.v. Πολυμνήστειον ᾄδειν). Tuttavia, Calame nella sua edizione non accetta la proposta, corregge il testo del papiro in ἐδίδαξαν, riconduce l’azione alle Muse e propone di integrare la lacuna successiva con una forma aggettivale (e.g. τερπνός). Vd. Calame 1983, 424. Da ultimo, Davies difende la forma ἔδειξαν e l’originaria proposta di Lobel sulla base di un uso idiomatico del verbo δείκνυμι in relazione alla figura del πρῶτος εὑρετής (del resto, così già Thraede 1962, 162ss.). Cf. Davies 1986, 25-27. Sebbene l’idea di Davies sia suggestiva, essa non può trovare una conferma definitiva nel contesto lacunoso del papiro. Non trovo necessaria la correzione di Calame, dal momento che il verbo dei,knumi compare altrove in Alcmane in riferimento alla performance poetica (PMGF 59(b) = 149 Cal. τοῦτο ἁδηᾶν ἔδειξε Μωσᾶν / δῶρον μάκαιρα παρσένων / ἁ ξανθὰ Μεγαλοστράτα) e non manca, in questa accezione , di possibili loci similes, cf. Bacchyl. fr. 15,4 M., ἁβρόν τι δεῖξαι <μέλος> e sull'integrazione cf. Maehler 1997, 317; cf. Thgn. 770, τὰ μὲν μῶσθαι, τὰ δὲ δεικνύναι, ἄλλα δὲ ποιεῖν.

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ragioni «semantiche, semasiologiche e storiche» per rifiutare il tràdito γλωσσαμενον nel testo di Alcmane, lo riconduce a un verbo tardo γλωσσάω, attestato soltanto in una chiosa dell'Et. Gud. che da esso fa derivare il termine γλώττημα, e lo ritiene derivato da γλῶσσα nel senso tecnico- grammaticale di «espressione estranea, inusitata, incomprensibile». Ciò porta Marzullo a pensare che il participio corrisponda a un glossema penetrato nel testo dopo Ateneo, nella forma γλώσσαμενος ( = interpretatus) o, più probabilmente, γεγλωσσαμένον ( = glossatum) in riferimento al termine ‘glossematico’ κακκαβίδες. La glossa, che una volta penetrata nel testo doveva essere concordata con l’originario ὄπα, si lascia ricostruire nella forma γεγλωσσαμέναν, dove l’α non è elemento dialettale laconico, ma vocalismo bizantino. Ecco, in breve, le ragioni dell’espunzione dal testo del participio e della volontà di negare alla iunctura ὄπα συντίθεμαι γεγλωσσαμέναν qualsiasi valore metapoetico158.

Al contrario, Bruno Gentili riabilita il testo degli ultimi due versi e ne offre un’argomentata interpretazione che coglie nel processo di εὕρεσις / μίμησις descritto da Ateneo una più ampia concezione della poesia in epoca arcaica159.

Secondo Gentili, nel frammento di Alcmane il momento dell'inventio poetica (εὑρεῖν) non consiste in una creazione ex nihilo, bensì nell'esito di un simultaneo processo di riproduzione e rielaborazione di determinate fonti linguistiche e musicali che il poeta conosce e ha appreso; tali sono le arie delle pernici, che vengono ‘composte in poesia’ a partire da un dato naturale. In quest'ottica, il momento dell'imitazione e dell'apprendimento (la μίμησις e la μάθησις nominate da Ateneo / Cameleonte) sono le modalità attraverso cui il poeta organizza il materiale secondo norme metriche, poetiche e stilistiche. A conferma di ciò, lo studioso osserva come i medesimi principi si applichino non soltanto alle relazioni del poeta con i fenomeni naturali, ma anche al rapporto con la tradizione poetica, la quale, all'atto pratico del comporre, costituisce il primo, necessario repertorio a cui attingere. Da un punto di vista linguistico e semantico, l'espressione γεγλωσσαμέναν κακκαβίδων ὄπα συνθέμενος non si esaurisce in un mero atto di ascolto: il poeta ‘compone’ (συντίθεμαι) la voce delle pernici, significata dall'onomatopea κακκαβίζειν, dopo averla ‘trasposta in linguaggio’, ‘verbalizzata’ (γεγλωσσαμέναν).

A sostegno di tale ipotesi, Gentili menziona due testi letterari in cui l'imitazione di suoni prodotti in natura è espressamente alla base di un'operazione poetica. Il primo parallelo è offerto dall’inno omerico Ad Apollo, dove le Deliadi, dopo una proemiale invocazione innodica alle divinità e una sezione di carattere epico-narrativa, danno inizio alla loro performance canora con un unicum mimetico di straordinario impatto: la simultanea esecuzione delle voci e degli onomatopeici accenti

158Cf. Marzullo 1955.

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(al v. 162, βαμβαλιαστύν) di tutti gli uomini, greci e ξεῖνοι, che giungono pellegrini sul luogo di culto dà vita a un nuovo canto, panellenico e di qualità160.

Nel caso della Pitica 12 di Pindaro, dedicata all'auleta siracusano Mida, il collegamento tra processo mimetico e prodotto poetico è ancora più evidente: l'inventio (εὑρεῖν), la composizione e l'etimologia del nomos polikephalos sono il frutto dell'imitazione sul flauto da parte di Atena dei fitti e lugubri sibili di compianto a Medusa prodotto all'unisono dalle teste delle Gorgoni e dei loro serpenti (P. 12,6-8, τάν ποτε / Παλλὰς ἐφεῦρε θρασεῖαν <Γοργόνων > / οὔλιον θρῆνον διαπλέξαισ᾿Ἀθάνα e, ancor più chiaramente, vv. 19-24, ...αὐλῶν τεῦχε πάμφωνον μέλος, / ὄφρα τὸν Εὐρυάλας ἐκ καρπαλιμᾶν γενύων / χριμφθέντα σὺν ἔντεσι μιμήσαιτ᾿ἐρικλάψκταν γόον / εὗρεν θέος κτλ)161.

Tracce della poesia come mimesi del canto degli uccelli sono state colte162 anche in alcuni canonici

paragoni letterari ben attestati in epoca arcaica e oltre, come ad esempio la celebrazione o autocelebrazione del poeta attraverso l'identificazione con un uccello melodioso163. La pratica è già

nella lirica corale: nel quarto Epinicio Bacchilide parla di sé come del ἁδυεπὴς ἀ]να-/ ξιφόρ[μιγγος Οὐρ[αν]ίας ἀλέκτωρ (vv. 6s.), alludendo con il canto sonoro del gallo alla sua voce di ‘araldo’ della vittoria di Ierone164. Come ancora più probante, a confronto con la ‘σφραγίς’’ di Alcmane, viene

citato il suggello all’Epinicio 3, dove il poeta celebra e affida ai posteri, unitamente all'ode appena composta e alle imprese del laudandus, anche la qualità del proprio canto, paragonandosi con l'uccello melodioso par excellence (vv. 96-97, σὺν δ᾿ἀλαθ[είαι] κα̣λῶν / καὶ μελιγλώσσου τις

160Cfr. H. Hymn. Ap. 156-164 (Càssola): πρὸς δὲ τόδε μέγα θαῦμα, ὅου κλέος οὔποτ᾿ὀλεῖται, / κοῦραι Δηλιάδες Ἑκατηβελετάο θεράπναι\/ αἵ τ᾿ἐπεὶ ἂρ πρῶτον μὲν Ἀπόλλων᾿ὑμνήσουσιν / αὔτις δ᾿αὖ Λητώ τε καὶ Ἄρτεμιν ἰοχέαιραν, / μνησάμεναι ἀνδρῶν τε παλαιῶν ἠδὲ γυναικῶν / ὕμνον ἀείδουσιν, θέλγουσι δὲ φῦλ᾿ἀθρώπων. / πάντων δ᾿ἀνθρώπων φωνὰς καὶ βαμβαλιαστύν [βαμβαλιαστύν ET : κρεμβαλιαστύν (-σύν, -στήν) cet. : βαμ corr. Γ2 : βαμ ss. L Π] /

μιμείσθαι ἴσασιν· φαίη δέ κεν αὐτὸς ἕκαστος / φθέγγεσθ᾿· σφιν οὕτω καλὴν συνάρηρεν ἀοιδή,. Per la variante βαμβαλιαστύν, preferita da Càssola [1975, 497 ad v. 162] e non esclusa da Allen-Halliday-Sikes che pure pongono a testo κρεμβαλιαστύν [19362, 224s. ad v. 162], cf. J. Humbert, Un mot nouveau?: βαμβαλιαστύς, in Mélanges offerts à A.M. Desrousseaux par ses amis et ses élèves, Paris 1937, 225-228. Sull'ἀοιδή delle Deliadi sono state avanzate numerose ipotesi: Wilamowitz 1920, 451s. parla di una connessione con l'antico canto non greco del poeta licio Oleno. Così Càssola 1975, 497. Per l'ipotesi di una riproduzione mimetica dei diversi dialetti parlati dai pellegrini, cf. Allen- Halliday-Sikes 1936, 227; per una poliglossia dei diversi idiomi attraverso la loro riproduzione onomatopeica, cf. De Martino 1982, 95ss.

161Cf. schol 12a II, 265 Drach., dove il verbo διαπλέκω (v.8), riferito tanto alla composizione dei sibili in poesia quanto all'intreccio visivo dei serpenti delle orride teste, è spiegato con il verbo συντίθημι, in consonanza con l'interpretazione gentiliana del termine (Cf. Gentili et all. 1995, 673); inoltre, si veda schol. 15b II, 265 Drach., dove lo scoliasta illustra il processo di μίμησις compiuto da Atena in termini vicini alle considerazioni di Cameleonte in Ateneo: τούτου τοῦ συριγμοῦ κατακούσασα ἡ Ἀθηνᾶ τοῦ ἐκ τῶν ὄφεων πρὸς μίμησιν τοῦ θρήνου καὶ τοῦ γινομένου συριγμοῦ ἐκ τῶν ὄφεων ἐπένοησε τὴν αὐλετικήν, κτλ. Per il valore di εὑρεῖν nella dodicesima Pitica, cf. Bernardini 1967, 88; per il significato della μίμησις di Atena, cf. Burton 1962, 26; G. Sörbom 1966, 59ss.; Schlesinger 1968, 278.

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Vd. Bossina 1998.

163Per lo stilema letterario nel fr. PMGF 39 = 91 Cal., cf. Bossina 1998, 10s. Per una rassegna delle identificazioni poeta = uccello nella lirica arcaica, cf. S. Martinez 1998-1999, 107-122.

164 A riprova di ciò, cf. il precedente di Simon. PMG 583, ἱμερόφων<ος> ἀλέκτωρ e la fortuna dell'immagine in Theocr. 7,47.

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ὑμνήσει χάριν Κηΐας ἀηδόνος)165.

Questa equazione letteraria trova effettivamente riscontro anche nelle teorie della trattatistica antica e in particolar modo aristotelica, secondo le quali la voce degli uccelli possiede caratteristiche articolatorie estremamente vicine a quelle umane, spesso divenendo il veicolo di un'embrionale forma di comunicazione e di apprendimento reciproci166. Questa specie di linguaggio, che nel suo

forte grado di affinità con quello dell'uomo rimane comunque una modalità espressiva ancestrale e estranea, vicina alla parola profetica o barbara, costituirebbe, secondo alcuni, il primo stadio dell'esperienza poetica. Tale concetto traspare con chiarezza nei succitati versi di Lucrezio, che ora ha senso recuperare: l’imitazione delle sonore voci degli uccelli, pratica antica come arcaica è la forma verbale che la definisce (v. 1379, at liquidas avium voces imitarier ore), è il primo fondamentale stadio di un’operazione di progresso che consiste nell’esercizio costante su quel materiale sonoro sino a renderlo un prodotto lavorato167, armonioso, ‘ritmico’168 (vv. 1380s. ante

fuit multo quam levia carmina cantu/ concelebrare homines possent aurisque iuvare)169.

Dunque, secondo tale interpretazione, Alcmane vanta orgogliosamente di aver interiorizzato e rielaborato proprio questo embrionale afflato artistico: l’atto di inventio consisterebbe perciò nella comprensione mimetica della voce ‘altra’ degli uccelli e nella sua riorganizzazione in un linguaggio umano e poetico170.