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L'idea di una poetica euristico - imitativa, secondo l'espressione coniata da Gentili, non è di fatto mai stata messa in discussione dai successivi interventi esegetici e testuali sul frammento di Alcmane: tanto il verbo συντίθεμαι nella variabilità della sua traduzione, quanto il participio del

165 Grande è la fortuna di questo motivo in epoca ellenistica: cf. Simm. AP XV 27,4, dove la Kenning Δωρίας ἀηδόνος è forse palmare ripresa di Bacchyl. 3,98; si vedano gli epigrammi in cui si celebra il melodioso canto di Alcmane, paragonando il poeta stesso a un cigno (Leon., AP VII 19,1s., τὸν ὑμνητῆρ᾿ὑμεναίων / κύκνον) e le sue παρθένοι a usignoli (cf. AP IX 184,9, θηλυμελεῖς ἀηδόνες).

166Cf. Arist. Part. Anim. II 660a,34 – 660b,1, πολυφώνοι δ᾿οἱ μικρότεροι. καὶ χρῶνται τῇ γλώττῃ καὶ πρὸς ἑρμηνείαν ἀλλήλοις πάντες μὲν, ἕτεροι δὲ τῶν μᾶλλον ὥστ᾿ἐπ᾿ἐνίων καὶ μάθησιν εἶναι δοκεῖν παρ᾿ἀλλήλων· κτλ.) Sulla concezione aristotelica del linguaggio e, soprattutto sulla prossimità di espressione vocale di uccelli e uomini, cf. Belardi, 1975, 125ss.; Dieraurer 1977, 126ss.

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Tale è il valore di concelebro in questo contesto, come la maggior parte dei commentatori notano mettendo in relazione con Cic. de inv. I,4, mihi videntur postea cetera studia recta atque honesta, per otium concelebrata ab optimis, enituisse. Cf. Giussani-Stampini 1898, 164s.; Bailey 1947, II, 1542, che parafrasa « ‘to practise’, ‘to have recourse to often’, ‘repeat’» . Cf. OLD2 384, s.v. concelebro 2c, « (transf.) to pay constant attention to».

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Per il valore di levia al v. 1381, cf. Giussani-Stampini 1898, 164: «sono i carmina metricamente regolari, con regolare ritmo quantitativo; è il contrario di horridus, nel senso oraziano di horridus saturnius». Così anche Bailey 1947, II, 1542; Ernout-Robin 1962, 181. In ultimo, cf. OLD2 1020, s.v. levis2 3, «(of speech and style) avoiding harsh sounds, smooth».

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Cf.. Poccetti-Poli-Santini 1999, 242: Il carmen a cui qui si fa riferimento è una «costruzione in primo luogo di origine fonetica e non sintattica», dove «l’artificio straniante del locutore mira a far emergere da una collocazione contigua e asindetica dei vocaboli e dal rapporto tra membra (kola) e incisi (kommata) la dimensione ciclica dell’atto predicato e ritualmente pronunciato»

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verbo γλωσσάομαι, emendato ora nell'accusativo γεγλωσσαμέναν, ora nel genitivo plurale γεγλωσσαμενᾶν, specificano le modalità e la qualità del processo di mimesi e rielaborazione della voce delle pernici171.

Tale interpretazione, tuttavia, implica delle oggettive difficoltà, tra cui la necessità di caricare l'espressione γεγλωσσαμέναν…συνθέμενος di un valore metaforico che non poggia su elementi linguistici certi. Se è vero che il verbo τίθεμαι e il sostantivo θέσις ricorrono già in epoca arcaica a indicare il momento della composizione, essi fanno sempre esplicito riferimento alla sistemazione delle parole in versi172. D'altra parte, per il verbo συντίθεμαι l'unica evoluzione semantica

testimoniata in epoca arcaica rispetto all''originario valore di ‘percepire, intendere’ è nel significato di ᾿venire a patti, convenire, accordarsi᾿173.

Non ci sono dunque ragioni per dubitare che la pericope ὄπα συντίθεμαι vada interpretata proprio sulla base del suo originario significato epico: in Omero la serie di iuncturae del tipo ὄπα ἀκούω, ὄπα συντίθεμαι, ὄπα συνίημι fanno riferimento all'esperienza soggettiva dell'ascolto; nel caso dei verbi συντίθεμαι e συνίημι viene fotografato il momento in cui chi ode, non necessariamente vicino nello spazio, riconosce la voce di chi parla e ne è condizionato nei suoi stati d'animo e nelle sue azioni: ciò accade in Il. II 182, ὁ δὲ συνέηκε θεᾶς ὄπα φωνησάσης (= X 512, XV 442) e Od. XX 92, τῆς δ᾿ἄρα κλαιούσης ὄπα σύνθετο δῖος Ὀδυσσεύς174).

Questi elementi fanno pensare che Alcmane abbia conservato forma e significato dell'originaria espressione omerica per renderla riconoscibile, mutandone allo stesso tempo referenti e contesto: a ispirare e indurre la composizione del poeta non è voce di dea o di moglie, bensì di pernici175.

171Un elenco delle più recenti traduzioni degli ultimi due versi può chiarire questa tendenza: «componendo all'unisono con cinguettanti pernici» (Gallavotti, 1972, 34); «mettendo insieme la voce delle pernici, articolata in un ininterrotto flusso di suoni» (ricostruita dalle osservazioni di Brillante 1991); «connettendo la voce in gorgheggio delle pernici» (Martino-Vox 1996, 186); «componendo in poesia la voce di melodiose pernici» (Bossina 1998); «componendo in linguaggio la voce delle pernici» (Bettini 2007); «mettendo insieme, sciolta in parole, la voce delle pernici» (Gentili- Catenacci 2007, 246).

172Cf. ἐπέων θέσις in Pind. O. 3,8 e LSJ9 794, s.v. θέσις, «setting of words in verse»; Solon. fr. 1,2 W.2 = 2 G-P2, ko,smon ἐπέων ᾠδὴν ἀντ᾿ἀγορῆς θέμενος e cf. West, 140 (app.): ᾠδήν·...videtur glossema esse.

173Cf. Thgn. 306; Pind. P 12,41; N. 4,75; cf. LSJ9 1727, s.v..συντίθεμαι.

174Cf. le osservazioni di Snell, 1924, 44: «Nun scheint aber...sunti,qemai nicht nur “aufmerken” zu heiβen, sondern wie suni,hmi “folgen”, “in sich aufnehmen”, und so würde man gern auch hier das sun-auf den Zusammenschluβ des Inneren mit dem Äusseren beziehen...». Sul valore soggettivo di συντίθεμαι e συνίημι, cf. LSJ9 171, s.v. συνίημι e LfgrE, II 1156 I B 12b s.v. ἵημι e LFGrE XXII 493s. II 17ab s.v. τίθημι; Ebeling 1987, II, 306 s.v.: «mihi compono...animum adverto, animo comprehendo». Sulla recezione della voce in Omero, cf. Laspia 1996, 74s. e 80; cf. LfgrE III 7435 s.v. ὀπός II 3a.

175In questo processo di riscrittura riveste un ruolo importante il termine *ὄψ, estremamente versatile, capace di coprire una vasta gamma di sfumature semantiche e di adattarsi ai più disparati referenti: Nell'epica arcaica il sostantivo si adatta parimenti a voci divine (e.g. alle Sirene in Od. XII 52, 160, 185, 187, 192 e Hes. fr. 150,33 M.-W.) e alle Muse in Hes. Th. 41, 68), umane (Il. III 221, XI 137, XVI 76; Od. XI 421, XIV 492), animali (in riferimento a cicale in Il. III 151; a agnelli, Il. IV 435) e mostruose ( in riferimento agli innumerevoli suoni, comprensibili e non emessi da Tifone, Hes. Th. 830).; Cf. LfGrE III s.v. ὀπός II. Da un punto di vista semantico, il termine *ὄψ acquista il proprio valore in relazione agli stati d'animo che suscita sul suo uditore. Essa non fa riferimento a un momento di ascolto indiscriminato e aperto a tutti, ma definisce un rapporto esclusivo con coloro che la odono e, dunque, un'esperienza vocale di una certa eccezionalità. Cf. Laspia 1996, 82; Berlinzani 2002, 200.

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Più difficile risalire alla forma e al valore originari della forma participiale. Il verbo, hapax legomenon di Alcmane, è conosciuto nella forma attiva γλωσσάω soltanto in un lemma del Lexicum Gudianum (s.v. γλωττήμασιν, 315 De St.), ma le sue attestazioni letterarie nella forma composta ἐπιγλωσσάομαι sono tutte di diatesi media e significato attivo. Nelle tre occorrenze del verbo registrabili il significato è quello di una ‘parola negativa’, di un'espressione impropria nei confronti di qualcuno o di qualcosa (Aesch. Ch. 1045, μηδ᾿ἐπιγλωσσῶ κακά e PV 928, ταῦτ᾿ἐπιγλωσσᾷ Διός; quindi Ar. Lys. 37, περὶ τῶν Ἀθηνῶν οὐκ ἐπιγλωττήσομαι τοιοῦτον οὐδέν)176. Un’ulteriore

conferma a questa accezione semantica arriva da Esichio, il quale glossa il participio presente ἐπιγλωσσώμεναι con ἐπιλαλοῦσαι (Hsych. ε L.).

Questi dati fanno pensare al verbo come a un originario denominativo medio γλωσσάομαι, ancora attestato in epoca classica nelle sue forme composte, e escludono, per l'epoca di Alcmane, la forma del participio perfetto passivo γεγλωσσαμέναν, già riconosciuta da Marzullo come tarda e glossematica. Sembra più opportuno, d'accordo con Gallavotti, correggere il testo tràdito in γλωσσαμενᾶν, intendere il participio in concordanza con κακκαβίδων e recuperare quello che doveva essere il significato originale del verbo, vale a dire “emettere un suono muovendo la lingua”177.

La scelta del genitivo permette inoltre di ricostruire una perfetta corrispondenza sintattica con le succitate formule omeriche (γλωσσαμενᾶν / κακκαβίδων ὄπα συνθέμενος = Il. II 182,...ὁ δὲ ξυνέηκε θεᾶς ὄπα φωμησάσης; XX 380, ὅτ᾿ἄκουσε θεοῦ / ὄπα φωνήσαντος; Od. XX 92, τῆς δ᾿ἄρα κλαιούσης ὄπα σύνθετο διος Ὀδυσσεύς), rendendo ancora più perspicuo il riuso fattone da Alcmane.

Va infatti osservato che il comportamento del verbo γλωσσάομαι si avvicina a quello di alcuni presenti intensivi di origine onomatopeica e di denominativi secondari che esprimono un suono naturale o animale, già attestati in Omero e costruiti a partire da più antichi perfetti e aoristi forti: e.g. μυκάομαι (μυκώμεναι in Od. X 413), βληχάομαι, βρυχάομαι178. Un discorso a parte merita il denominativo λιχμάομαι «giocare con la

lingua, leccare», già attestato in Omero nella forma composta ἀπολιχμάομαι (Il. XXI 123)179. Il verbo, che sembra avere con γλωσσάομαι un'affinità di formazione e di

significato, compare nella descrizione esiodea di Tifone a caratterizzare il gioco di vibrazioni prodotto dalle sue innumerevoli lingue: Th. 825s., ἦν δ᾿ἑκατὸν κεφαλαὶ ὄφιος δεινοῖο δράκοντος, / γλώσσῃσι δνοφερῃσι λελιχμότες κτλ. Alla luce di quanto detto subito dopo (vv. 829s., φωναὶ δ᾿ἐν πασῃσιν ἔσαν δεινῇς κεφαλῃσι, / παντοίην ὄπ᾿ἰεῖσαι ἀθέσφατον), non mi sembra del tutto impossibile che il verbo λιχμάομαι indichi, al di là della descrizione visiva del mostro, anche una caratterizzazione sonora del tipo di voci

176Cf. LSJ9 627 s.v. ἐπιγλωσσάωμαι. 177Cf. Gallavotti 1972, 34.

178Vedi Chantraine, DELG 180 s.v. βληχή; 198 s.v. βρυχάομαι; 719 s.v. μυκάομαι; cf. Schwyzer, GG, I, 683 e Schwyzer- Debrunner, GG, II, 263.

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(ὄπα) che egli può emettere, in modo simile a come si può ipotizzare per γλωσσάομαι in Alcmane180.

Particolarmente calzante è anche un confronto con la seconda Olimpica di Pindaro, dove il concetto dell'inferiorità degli avversari rispetto al poeta è espressa nella metafora di corvi che, di fronte a un'aquila, gracchiano senza disciplinare la lingua (vv. 86-88 μαθόντες δὲ λάβροι / παγγλωσσίᾳ κόρακες ὣς ἄκραντα γαρύετον / Διὸς πρὸς ὄρνιχα θεῖον κτλ. Nell'hapax παγγλωσσία, oltre al generico significato di ‘incontinenza verbale, loquacità eccessiva’, è insita anche la tendenza del corvo a emettere, senza alcun effetto di armonia (λάβροι, ἄκραντα), una serie indiscriminata di suoni, come Pindaro sembra osservare anche altrove (fr. 285 S.-M. = Fulgent. Myth. 1,13). Tale pratica rientra entrerà poi a far parte della rappresentazione tradizionale dell'animale (Plut. Sollert. Anim. 972f)181.

Un importante indizio per comprendere il significato del verbo γλωσσάομαι nel frammento di Alcmane proviene, a mio parere, dalle considerazioni aristoteliche sulle varianti geografiche delle voci delle pernici, riportate anche da Ateneo che riferisce un'osservazione di Teofrasto182.

Dopo aver classificato le varie tipologie di suono emesse in natura in ψόφος, φωνή, e διάλεκτος, definisce quest'ultima “articolazione della voce attraverso la lingua” (HA IV 535a,30s, διάλεκτος δ᾿ἡ τῆς φωνῆς ἐστὶ τῇ γλώττῃ διάρθρωσις) e ne riconosce il possesso, oltre che agli uomini, soltanto agli uccelli (IV 536a,21-23). A questo punto s’inserisce una precisazione sulle διάλεκτοι degli uccelli (IV 536b,9-14):

Διαφέρουσι δὲ κατὰ τοὺς τόπους καί αἱ φωναὶ καί αἱ διάλεκτοι. Ἡ μὲν οὖν φωνὴ ὀξύτητι καὶ βαρύτητι μαλίστα ἐπίδηλος, τὸ δ᾿εἶδος οὐδὲν διαφέρει τῶν αὐτῶν γενῶν· ἡ δ᾿ἐν τοῖς ἄρθροις, ἣν ἄν τις ὥσπερ διάλεκτον εἴπειεν, καὶ τῶν ἄλλων ζῴων διαφέρει καὶ τῶν ἐν ταὐτῷ γένει ζῴων κατὰ τοὺς τόπους, οἷον τῶν περδίκων οἱ μὲν κακκαβίζουσιν οἱ δὲ τρίζουσιν κτλ.

L'affermazione è apparentemente in contraddizione con quanto detto in precedenza: infatti, Aristotele sembra mettere in discussione che la voce che gli uccelli producono attraverso la lingua (ἡ δ᾿ἐν τοῖς ἄρθροις) sia effettivamente una forma di διάλεκτος (ἣν ἄν τις ὥσπερ διάλεκτον εἴπειεν). Accanto alle numerose ipotesi avanzate dagli studiosi183, potrebbe esserci un'ulteriore soluzione a

180Contra, vd. Leclerc 1993, 43. Per la difesa della forma maschile λελειχμότες come uso κατὰ σύνεσιν, cf. West 1966, 385.

181Cf. Gentili et all., 2013, 410.

182 Cf. Ath. IX 390a-b = fr. 181 Wimmer: «οἱ Ἀθήνησι – φησίν - ἐπὶ τάδε πέρδικες (390b) τοῦ Κορυδαλλοῦ πρὸς τὸ ἄστυ κακκαβίζουσιν, οἱ δ᾿ἐπείκεινα τιττυβίζουσιν». L'osservazione di Teofrasto è riportata anche in Ael. HA III,35. Alcuni studiosi sono arrivati a interpretare la collocazione delle κακκαβίδες a est del demo di Korydallos e la loro identificazione con l'attuale specie detta Chukar (vd. infra), vivente nelle isole dell'Egeo, come indizi dell'origine lidia di Alcmane. Cf. Borthwick presso Arnott 1977, 337 n. 1 e il commento di Martino-Vox 1996, 188. Sulla possibile etimologia orientale del termine κακκάβη / κακκαβίς cf. Cardona 1967, 161-164.

183 Vedi Zirin, 1980, 342s. Lo studioso ipotizza che Aristotele introduca questa precisazione per distinguere le due accezioni di διάλεκτος di cui gli uccelli sono capaci: quella di “articolazione” (ἡ ἐν τοῖς ἄρθροις) e quella più comune di “conversazione, reciproca emissione di suoni ai fini della comunicazione”. Diversamente Laspia suppone che Aristotele, in questo passo come in altri (HA IV 536a,20-24; 536a 32- b 2; Part. An. II 660a29-b1), affermi che il possesso della διάλεκτος può essere solo per ipotesi e impropriamente attribuito alle voci degli uccelli e che essa spetta

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questa apparente aporia, vale a dire che Aristotele, al momento di menzionare il κακκαβίζειν delle pernici, abbia in mente proprio il frammento di Alcmane: con l'espressione ἡ δ᾿ἐν τοῖς ἄρθροις, ἣν ἄν τις ὥσπερ διάλεκτον εἴπειεν, che di fatto definisce lo stesso tipo di richiamo, il filosofo sta cercando di interpretare e parafrasare in termini scientifici il testo originale γλωσσαμενᾶν ὄπα κακκαβίδων, riconducendolo, pur soltanto per ipotesi, al concetto a lui familiare di διάλεκτος184. Se

queste supposizioni sono fondate, si può pensare che Aristotele, pur nei suoi dubbi sul reale significato del verbo γλωσσάομαι, lo colleghi all’uso della lingua da parte della pernice al momento di emettere il suo verso.

Sulla base di queste osservazioni testuali e interpretative, propongo dunque di leggere il testo del frammento nel modo che segue:

ἔπη δέ γε καὶ μέλος Ἀλκμάν εὕρετο γλωσσαμενᾶν ´ κακκαβίδων ὄπα συνθέμενος

parole e melodie trovò Alcmane, ascoltando la voce di pernici linguettanti.