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L’accusa mossa dagli Spartani e la novità spregiudicata di Timoteo (vv 211s.)

L’accusa messa in bocca agli Spartani da Timoteo in discorso indiretto (vv. 211s. ὅτι παλαιοτέραν νέοις ὕμ- / νοισ{ιν}584

μοῦσαν ἀτιμῶ) è costruita con una certa sapienza. In primo 577 Cf. Wilamowitz 1903, 27. 578 Vd. Edmonds 1927, 325 e Paduano 1993, 536. 579 Cf. Janssen 1989, 132 ad l. 580 Vedi Hordern 2002, 237s. ad l.

581 Cf. Reinach 2010, 41 e Mazon 2010, 57. Cf. anche Leven 2014, 93s. «…drives me about in its blazing hostility and harasses me with burning reproach.»

582 Per l’immagine aristofanea della collera come fuoco, cf. Taillardat 1965, 387s. § 349.

583 Su questa linea si muoveva già Inama, il quale traduce δονεῖ con «agita» ed ἐπιφλέγων con «bruciandomi, quasi: imprimendomi a fuoco il marchi dell’infamia» e di recente Ercoles, il quale propone di tradurre la traduzione dei vv. 210s. proposta da «…infiammandomi mi agita/ e percuote con biasimo furioso». Vedi Inama 1903, 649. Dopo di lui Aron, che pure segue l’interpretazione di Inama per il participio ἐπιφλέγων, ma intepreta δονεῖ…ἐλᾷ τε come un’endiadi e così parafrasa: «Das spartanische Volk quält mich beunruhigend, indem es mich tadelt was für mich bei dem Ansehen Spartas die Bedeutung eines Brandmales hat». Cf. Aron 1919, 32. Di recente su questa linea, si veda la traduzione di Ercoles 2008, 127: «infiammandomi mi agita / e percuote con biasimo furioso». Si segnala qui in nota la recente e isolata proposta di Lambin, il quale emenda λαός di v. 210 nell’accusativo λαόν e traduce: «…me tourmente en embrasant le peuple,/ et me poursuit d’un reproche enflammé». Cf. Lambin 2013, 144.

584 Secondo Janssen la iunctura νέοις ὕμνοις alluderebbe, allo stesso modo di ἐμοῖς ὕμνοις di vv. 204s., al solo nomos dei Persiani, dal momento che il poeta non avrebbe potuto richiedere la protezione di Apollo per componimenti precedenti. Cf. Janssen 1989, 129 ad. l. Tuttavia, l’argomentazione dello studioso risulta eccessivamente razionalistica ed è preferibile cogliere un riferimento alla produzione di Timoteo tout court, come suggerisce anche l’impiego di ὕμνος nell’accezione generica di «canto». Cf. Hordern 2002, 235 ad vv. 204s. Sul valore del dativo, strumentale (soluzione a mio parere preferibile) o di vantaggio, si dividono le opinioni degli studiosi: per la prima interpretazione

171 luogo, la disposizione chiastica del dativo e dell’accusativo enfatizza il contrasto tra gli aggettivi νέος e παλαιός; inoltre, la forma di quest’ultimo, al grado comparativo e con un vocalismo raro rispetto all’equipollente παλαίτερος (tra le sporadiche occorrenze, si vedano Il. XXIII 788, Tyrt. fr. 9,42 W2 e P. N. 6,55)585, sembra peculiare e viene considerata alternativamente dagli studiosi come un’espressione di nobilitazione della musica tradizionale o della sua degradazione. Del primo avviso è Janssen, il quale traduce il termine παλαιοτέραν «ancient and venerable for that reason»586

. Chi associa all’aggettivo una connotazione dispregiativa (e.g. Ercoles, «perché nei nuovi canti non rispetto la Musa antiquata»587) ha certamente presente un altro frammento programmatico in cui Timoteo prende apertamente posizione a favore della propria novità, disdegnando la μοῦσα παλαιά quella che lo ha preceduto (PMG 796 ap. Ath. III 122c-d)588:

οὐκ ἀείδω τὰ παλαιά, καινὰ γὰρ ἀμὰ κρείσσω· νέος ὁ Ζεὺς βασιλεύει, τὸ πάλαι ἦν Κρόνος ἄρχων· ἀπίτω Μοῦσα παλαιά

1 ἀείδω codd. probb. fere omnes edd. : ᾄδω Farnell, probb. Hordern, Sevieri | παλαιά codd. : παλεά

Wilamowitz, prob. Edmunds || 2 καινὰ γὰρ CE, probb. omnes edd. : καὶ τὰ γάρ Bowra, prob. Del Grande : τὰ γάρ Maas : καὶ ταγὰρ A | ἀμά Wilamowitz, probb. Diehl 1-2 , Maas, Page, Zuntz, Hordern, Sevieri : ἄσματα Schneidewin : μάλα

Bergk: ἁμὰ καινὰ Bowra, prob. Del Grande: ἅμα A : om. CE, Eust. || 3 νέον Conomis || 4 πάλαι Meineke || 5 παλαιόν

CE, Eust. | ἀπείτω Α : ἀπίτω CE, Eust. 589

propendono Reinach 2010, 41 e Nieddu 1993, 522 n.3.; per la seconda Mazon 2010, 57; Paduano 1993, 649; Ercoles 2008, 127; Lambin 2013, 144; Leven 2014, 93.

585

L’uso del chiasmo è notato da Nieddu 1993, 522. Per il vocalismo, cf. Janssen 1989, 133 e Hordern 2002, 238s. . 586 Cf. Janssen 1989, 133 ad l. Lo studioso cita un parallelo pindarico in cui il comparativo indica l’antichità della tradizione a cui il poeta si affida per proseguire la sua narrazione (N. 6,55s. καὶ ταύταν μὲν παλαιότεροι/ ὁδὸν ἀμάξιτον εὗρον· ἕπομαι δὲ καὶ αὐτὸς ἔχων μελέταν). L’impiego del comparativo con Stimmung positiva e in contesto metapoetico ha un possibile precedente, seppure a parti invertite, anche in Pind. O. 9, 48s. αἴνει δὲ παλαιὸν μὲν οἴνον, ἄνθεα δ᾿ὕμνων/ νεωτέρων. In questo caso, la presenza del comparativo νεώτερος, oltre aenfatizzare l’opposizione con il precedente παλαιός, produce l’effetto di valorizzare la ‘novità’ del canto.

587 Cf. Ercoles 2008, 127. 588

Il frammento è generalmente considerato, sulla scia di PMG 791, 202-236, la sphragis di un nomos perduto o la conclusione programmatica di un ditirambo. Cf. già Wilamowitz 1903, 65, Del Grande 1946, 122 e Hordern 2002, 252. 589 Per la comprensione dell’apparato, si seguano le seguenti indicazioni: Schneidewin =Schneidewin 1844; Meineke = Meineke 1867; Bergk = Bergk 18824; Farnell = Farnell 1891; Wilamowitz = Wilamowitz 1903; Diehl1-2 = Diehl 1925 e 1942; Bowra = Bowra 1934; Edmunds = Edmunds 1940; Del Grande = Del Grande 1946; Page = Page 1962; Zuntz = Zuntz 1984; Hordern = Hordern 2002; Sevieri = Sevieri 2011. Il testo del frammento sopra riportato è quello di Page 1962, mentre l’apparato è un ampliamento di quello di Hordern 2002. Mentre gli ultimi tre versi sono puri dimetri ionici a minore, i primi due hanno una struttura metrica ambigua, variamente interpretata dagli editori e commentatori. Al v. 1 Farnell è intervenuto sul tradito ἀείδω di v.1 riportando il verso alla misura di un ferecrateo, soluzione approvata da Hordern 2002 e Sevieri 2011, nonché già presa in considerazione precedentemente da Page (id. 1962, 415, app. ad vv. 1-2). G.S. Farnell, Greek Lyric Poetry, London 1891. A favore di un incipit in ferecratei si era già mosso anche Bergk 18824 con la congettura μάλα al v 2., alla quale la maggioranza degli studiosi ha tuttavia preferito l’enfatico ἀμά di Wilamowitz 1903. Quest’ultimo emenda anche παλαιά in παλεά al v. 1 e interpreta i vv. 1-2 come un unico dimetro coriambico, seguíto soltanto da Edmunds 1940. In ultimo, Bowra, che al primo verso non emenda, propone di leggere al v. 2 τὰ γὰρ ἁμὰ καινὰ κρείσσω, dimetro ionico anaclomeno. Cf. C.M. Bowra, Varia Lyrica, «Mnemosyne» I 1934, 179s. Dal momento che non conosciamo il contesto metrico più ampio in cui questi versi si inserivano, mi sembra azzardato intervenire metri causa su ἀείδω (Farnell), e su παλαιά (Wilamowitz) al v. 1: tanto più che il primo verso, nella forma in cui ci è stato trasmesso da Ateneo, risulta uno ionico a minore con primo metron trocaico e quarto elemento del secondo metron libero ( ) ed è quindi struttura metrica del tutto coerente con i successivi vv. 3-

172 L’immagine che emerge da questo pochi versi, per quanto isolati, è quella dell’innovatore spregiudicato che promuove la sua novità a discapito di un’arte poetica antiquata e obsoleta: è proprio da questa reputazione, tuttavia, che Timoteo tenta di svincolarsi nella sphragis e che costituisce il principale capo d’accusa mosso dai suoi detrattori. Dal momento che tutta sua apologia poggia interamente le basi sulla necessità del poeta di liberarsi dalla taccia di ‘svilitore’ della poesia παλαιά, connotare in senso apertamente negativo l’aggettivo παλαιός si sarebbe rivelato del tutto controproducente, tanto più che esso è posto in bocca ai critici, che guardano all’antichità poetica con nostalgia e rimpianto590

. È forse più corretto dire che l’amfibologico statuto della forma παλαιοτέραν e delle sue possibili sfumature semantiche sembra conferire all’accusa degli Spartani, al pari del loro ritratto, una sottesa e ironica patina di ‘arcaicità’: sulla medesima ambiguità sembra essere costruita anche la denominazione degli avversari di Timoteo come μουσοπαλαιολύμας di vv. 216s., la quale recupera e rifunzionalizza le parole dei critici.

L’accusa spartana a Timoteo di disonorare con le sue novità compositive la semplicità dell’antica musica riportata nella sphragis ha generato nella successiva tradizione antiquaria una serie di aneddoti sul presunto rapporto intercorso tra il poeta e Sparta. In particolare, diverse fonti ci testimoniano provvedimenti giuridici da parte degli efori nei confronti del poeta, di cui il più comune consiste nel taglio delle corde in eccesso rispetto a quelle previste dal tradizionale strumento eptacordo (tra gli altri testimoni, cf. Cic. de leg. II 39; Plut. Inst. Lac. 17.238c; de prof. in virt. 13 84a; Ag. 10,7; Apophth. Lac. 220c591). Il fatto che anche il suo precursore e addirittura Terpandro siano vittime di questa disposizione, fa pensare che tali notizie non siano affidabili e siano piuttosto un esito di un processo di idealizzazione promosso dalla critica conservatrice a Platone e Aristotele, la quale conosce uno sbocco nel neo-pitagorismo e neo-platonismo di età imperiale. Tra queste testimonianze è particolarmente interessante quella offerta dal decreto di Sparta contro Timoteo tramandatoci da Boezio nel De Institutione Musica: si tratta di un falso risalente al II sec. d.C.592 che riproduce testualmente i provvedimenti

5 (sulla libertà di costruzione del primo metron, cf. West, 1992, 143; scettico Hordern 2002, 252). Non mi sembrano inoltre particolarmente convincenti le obiezioni avanzate da Bowra contro gli emendamenti di Wilamowitz al v. 2:da un punto di vista stilistico, la posizione incipitaria di καινά attestataci dall’epitome è in enfatico ed efficace contrasto con il precedente παλαιά. Da un punto di vista metrico, la presenza dell’aristofanio ( ) non causa una rottura nel metro, dal momento che la sua struttura è flessibilmente interpretabile come ionica o eolica a seconda del contesto in cui viene inserita. Sulla lettura ‘ionica’ dei due versi iniziali cf. Zuntz 1984, 83; sull’ambiguità tra cola eolo-coriambici e ionici nelle sezioni liriche del dramma, cf. Dale 19682, 143-147 e West 1992, 127.

590

Cf. Marzullo [1993, 426], il quale parafrasa così i versi in questione: «(scil. Timoteo) ha oltraggiato la «musica» d’antan, con inni ossessivamente avanguardistici». Lo studioso mette altresì in evidenza come il frammento PMG 796 sia uno dei più evidenti testimoni dello slittamento semantico negativo subíto dal concetto di ‘antico’ (παλαιός/ ἀρχαῖος) tanto sul piano ideologico e politico, quanto su quello culturale: alla fine del V sec. a.C. le commedie di Aristofane, in particolare le Nuvole, e l’esperienza di Timoteo sono i più autorevoli testimoni di questa forte divaricazione tra i concetti di νέος e παλαιός, la quale comporta sul piano intellettuale un gusto per la ricerca spregiudicata della novità scaltrita e dell’invenzione a tutti i costi. Cf. ibid,. 419ss.

591 Un dossier completo dell’aneddotica è in Palumbo Stracca 1997, 130-132. 592

La non-autenticità del testo è riconosciuta già da Wilamowitz e approvata dalla maggioranza degli studiosi; tuttavia, la sua proposta di datazione in piena epoca ellenistica (II sec a.C.) non può essere accolta, dal momento che alcuni tratti dialettali laconici presenti nel testo, come la rotacizzazione del ς a fine di parola, sono attestati soltanto a partire dal II sec. d.C., salvo qualche sporadica e non probante eccezione. Ciò spinge dunque a non risalire prima di questa data, nella quale operava anche quella che viene considerata dalla critica come la più probabile fonte di Boezio nella trasmissione

173 promulgati dal governo spartano contro le innovazioni musicali di Timoteo e che prevede, oltre al consueto taglio delle corde, anche l’espulsione dalla città di Sparta a monito di tutti coloro che in futuro volessero introdurre ulteriori innovazioni593. trascrizione di Palumbo Stracca 1997 derivata dall’edizione boeziana di Friedlein:

Ἐπειδὴ Τιμόθεορ ὁ Μιλήσιορ παραγινόμενορ ἐττὰν ἁμετέραν πόλιν τὰν παλαιὰν μῶαν ἀτιμάσδη καὶ τὰν διὰ τᾶν ἑπτὰ χορδᾶν κιθάριξιν ἀποστρεφόμενορ πολυφωνίαν ἐισάγων λυμαίνεται τὰ ἀκοὰρ τῶν νέων, διά τε τᾶρ πολυχορδίαρ καὶ τᾶρ καινότατορ τῶ μέλιορ ἀγεννῆ καὶ ποικιλίαν ἀντὶ ἁπλόαρ καὶ τεταγμέναρ ἀμφιέννυται τὰν μῶαν ἐπὶ χρώματορ συνιστάμενορ τὰν τῶ μέλιορ διασκευὰν ἀντὶ τᾶρ ἐναρμονίω ποττὰν ἀντίστροφον ἀμοιβάν, παρακληθεὶς δὲ καὶ ἐν τὸν ἀγῶνα τᾶρ Ἐλευσινίαρ Δάματρορ ἀπρεπῆ διεσκευάσατο τὰν τῶ μύθω διασκευὰν – τὰν γὰρ Σεμέλαρ ὠδῖνα {ρ} οὐκ ἐν δίκα<ι> τὼρ νέωρ διδάκκη – δέδοχθαι † φα † περὶ τούτοιν τὼρ βασιλέαρ καὶ τὼρ ἐφόρωρ μέμψατται Τιμόθεον, ἐπαναγκάσαι δὲ καὶ < > τᾶν ἕνδεκα χορδᾶν ἐκταμόνταρ τὰρ περιττὰρ ὑπολιπόμενορ τὰρ ἑπτά, ὅπωρ ἕκαστορ τὸ τᾶρ πόλιορ βάρορ ὁρῶν εὐλαβῆται ἐττὰν Σπάρταν ἐπιφέρην τι τῶν μὴ καλῶν ἠθῶν, μήποτε ταράρρηται κλέορ ἀγώνων.

Nella costruzione del decreto spiccano il recupero expressis verbis dell’accusa che Timoteo mette in bocca agli Spartani nella sphragis dei Persiani (PMG 791, 211s. ~ Τιμόθεορ ὁ Μιλήσιορ …τὰν παλαιὰν μῶαν ἀτιμάσδη)594

, nonché l’uso del verbo λυμαίνομαι, che nell’autodifesa di Timoteo qualifica quanti sviliscono davvero l’antica antica (PMG 791, 216s. μουσοπαλαιολύμας), mentre nel testo del decreto indica gli atti di corruzione perpetuati da Timoteo attraverso le proprie novità595. In ultimo, il riferimento alle quattro corde supplementari introdotte da Timoteo nella cetra sembra modellato e

del decreto, i.e. il neopitagorico Nicomaco di Gerasa. Così già Wilamowitz 1903, 70; Marzi 1988, 264; Palumbo Stracca 1997, 134-136; Brussich 1999, 30. Scettica Prauscello 2009. Numerose proposte sono state avanzate sulle motivazioni sottese alla redazione del decreto e sulla tipologia di ambiente che abbia potuto concepirlo. La facies linguistica, per quanto curata, è estremamente composita e l’impiego di tratti linguistici laconizzanti – accanto a arcaismi ed elementi della κοινή - non è sempre del tutto coerente: questo ha spinto la maggioranza degli studiosi a ritenere che il decreto non sia opera di un grammatico di professione (pace Thumb e Kieckers 1932, 80), ma che veicoli esso un preciso intento ideologico alla luce del quale vanno lette le peculiari scelte linguistiche e contenutistiche operate dal falsario. Si riferiscono qui di séguito le principali ipotesi interpretative. Wilamowitz pensa a un documento circolante in ambienti non scolastici né peloponnesiaci «als Illustration zu der Musikgeschichte». Cf. Wilamowitz 1903, 70. Palumbo Stracca, sulla base di una puntuale analisi linguistica e dialettologica, ipotizza che il falso sia stato concepito in ambiente neopitagorico e successivamente legittimato da Nicomaco di Gerasa nella sua opera, appellandosi alla propensione di queste cerchie per la falsificazione letteraria, al loro dorico in molto affine a quello presente nel decreto e, in ultimo, alla matrice ideologica generalmente conservatrice della corrente pitagorica e neopitagorica nell’ambito di questione etiche e musicali. Cf. Palumbo Stracca 1997, 129-160. Obiezioni recenti a quest’ultima tesi sono state avanzate da Prauscello, secondo la quale la redazione pitagorica di un decreto moralizzatore in ambito musicale mal si concilia con la celebrata invenzione dell’ottacordo da parte di Pitagora, che consiste proprio nell’aggiunta di una corda supplementare allo strumento tradizionale (Nic. Ench. 5, 244-245 Jan). La studiosa ipotizza che la redazione del decreto, promossa dalle élites della classe dirigente spartana, fosse dovuta alla necessità di riaffermare la propria identità greca in epoca imperiale attraverso un manifesto ideologico volutamente arcaicizzante: in tal modo si spiegano l’uso di un formulario vicino a quello dei decreti di epoca ellenistica destinati ai poetae vagantes, la menzione degli Eleusinia in onore di Demetra – in età imperiale non più agoni musicali, ma feste associate strettamente con la maternità e la fertilità – come occasione per la performance de Le doglie di Semele e, in ultimo, la dizione arcaicizzante del decreto. La scelta del codice giuridico sarebbe dovuta, secondo Prauscello, all’esigenza di legittimare agli occhi di tutti, cittadini e non, la coesione civica di un popolo che si riconosce in un passato glorioso. Cf. Prauscello 2009, 168-188.

593

La procedura dell’espulsione si ricava dalla premessa di Boezio alla citazione del decreto. Cf. Boeth. Inst. Mus. I 1, 182 Friedlein: Quoniam vero eis Timotheus Milesius super eas, quas ante reppererat, unum addidit nervum ac multipliciorem musicam fecit, exigere de Laconica consultum de eo factum est, etc.

594 Il recupero funzionale di questi versi della sphragis è stato colto dalla maggioranza degli studiosi: cf. già Wilamowitz 1903, 70; Palumbo Stracca 1997, 132; Hordern 2002, 8s. Prauscello 2009, 179 n. 67.

595 È interessante osservare come quest’accusa nella sua formulazione (λυμαίνεται τὰ ἀκοὰρ τῶν νέων), sia molto vicina a quella sollevata nei confronti di Socrate, altro celebre sovvertitore dell’ordine costituito. Si veda Hordern 2002, 8s., il quale sottolinea le somiglianze tra il decreto contro Timoteo e quello contro Socrate riportato da Diogene Laerzio (D.L. II 40) e collocato nel Metroon di Atene. Cf. anche Prascello 2009, 179.

174 contrario sulle novità tecniche orgogliosamente rivendicate dal poeta (PMG 791, 229- 231 …μέτροις/ ῥυθμοῖς τ᾿ἑνδεκακρουμάτοις/ κίθαριν ἐξανατέλλει).

Va tuttavia osservato che nel testo del decreto il disonore arrecato all’antica musica, che nella sphragis è espresso in termini evocativi, è esplicitamente identificato con l’abbandono da parte dello strumento eptacorde, il quale costituiva nell’immaginario della critica conservatrice il simbolo della musica tradizionale596. In ciò il decreto riflette una convinzione che fu propria di Platone, Aristotele e soprattutto dello Pseudo Plutarco del de musica, per cui il mantenimento di una gamma limitata di melodie e di ritmi (i.e. ἁπλότης musicale) garantisce l’integrità etica della musica:

Questo atteggiamento trasgressivo rinfacciato a Timoteo, che è una chiara rielaborazione della sua rivendicazione dei ‘metri e ritmi dagli undici suoni’ ai vv. 239ss. della sphragis, ha un possibile precedente in due versi attribuiti a Terpandro e tramandatici da diverse fonti (Terp. fr. 4 G. ap. Strab. XIII 2. 4 σοὶ δ᾿ἡμεῖς τετράγαρυν ἀποστέρξαντες ἀοιδάν / ἑπτατόνῳ φόρμιγγι νέους κελαδήσομεν ὕμνους597

. Come la maggioranza degli studiosi, la Gostoli pone a testo la variante ἀποστέρξαντες («disprezzare») attestata in Cleonide e Clemente Alessandrino, commentando così la sua scelta: «i termini ἀποστέρξαντες e νέους ὕμνους sembrano riferirsi proprio al ‘rifiuto’ di una vecchia tecnica ed all’assunzione, al suo posto, di una ‘nuova’»598

. Va tuttavia osservato che la varia lectio ἀποστρέψαντες presente in Strabone presenta delle evidenti affinità con la formulazione del decreto, in cui il verbo ἀποστρέφω, pur in diversa diatesi, indica l’abbandono dello strumento tradizionale da parte di Timoteo (cf. Boeth. Inst. Mus. I 1 τὰν διὰ τᾶν ἑπτὰ χορδᾶν κιθάριξιν ἀποστρεφόμενορ).