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5. L’enigma del verso 771 Una rassegna delle principali ipotesi

5.3 Ipotesi ‘simposiale’

Tratto unificante di questa macrocategoria, in cui rientra la maggioranza delle ipotesi, è la scelta di interpretare il v. 771 come una riflessione metaletteraria sulla poesia simposiale nelle sue diverse componenti: ruolo del poeta, natura del materiale poetico e tecniche di composizione.

La prima proposta in tal senso risale a Harrison, secondo cui il verso contiene una distinzione interna al materiale poetico della silloge, classificato attraverso il tricolon τὰ μὲν… τὰ δὲ…ἄλλα δέ in base a un criterio di crescenti 'autorialità' e 'originalità': il verbo μῶσθαι ('cercare') farebbe riferimento al ‘prestito diretto’ o appropriazione di materiale altrui (e.g. il trattamento di Mimnermo ai vv. 793-796 e 1017-1022), δεικνύναι al prestito ‘parziale’ o alla reinterpretazione di materiale letterario non proprio (e.g. la rielaborazione di Solone ai vv. 319-322 e 1255s.), infine ποιεῖν alla composizione originale e autoriale346.

Dopo di lui, Kroll, partendo da una riflessione sulla natura sociale e sacrale della missione del poeta, coglie nei primi due verbi del tricolon le abilità fondamentali del poeta, a lui concesse per dono divino: il verbo μῶσθαι corrisponderebbe al momento dell’inventio, più comunemente espressa da εὑρίσκειν; il verbo δεικνύναι indica l'atto professionale di organizzare in versi la materia poetica. In ultimo, il verbo ποιεῖν non viene identificato da Kroll con una delle fasi del poetare, ma con una serie di attività ancillari, quali l'esecuzione del canto e della danza, altrove considerate parte integrante della performance simposiale (e.g. Thgn. 791). I tre cola del v. 771 indicherebbero dunque rispettivamente idee da trovare (τὰ μὲν μῶσθαι), parole da mettere in versi (τὰ δὲ δεικνύναι) e atti performativi che accompagnano la composizione (ἄλλα δὲ ποιεῖν)347

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Il concetto di una missione sociale del poeta contraddistingue anche l'interpretazione di Carrière, il quale, come Kroll, identifica i tre verbi al v. 771 con i compiti ai quali il poeta deve adempiere, conferendo tuttavia all'ultimo elemento del tricolon un valore marcatamente 'tecnico': in tale prospettiva, il momento della ricerca (μῶσθαι) e dell'ammaestramento (δεικνύναι) si accompagna a quello fondamentale della composizione poetica in versi (ποιεῖν)348

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345 Vedi Rossi 1971, 75-86 e, sullo specifico del tetrastico teognideo, le osservazioni di Woodbury 1991, 487.

346Cf. Harrison 1902, 115s. A favore di questa soluzione è anche Highbarger, secondo il quale il v. 771 potrebbe

enunciare e descrivere i processi di imitazione, appropriazione e rielaborazione di materiale letterario precedente ben attestati nel corpus theognideum. Cf. Highbarger 1929, 343.

347 Nelle parole dello studioso, «Gedanken, Worte, Handlungen». Cf. Kroll 1936, 243ss.

348 Una simile soluzione interpretativa si trova in Fraenkel 1976, 463, il quale traduce la serie trimembre in «erdenken, mitteilen, gestalten».

104 Anche Garzya coglie nel tricolon tre differenti fasi del ‘fare poetico’, ma osserva che non sono tutte poste sullo stesso piano, bensì l'ultima, introdotta in variatio da ἄλλα δέ, presenta uno scarto qualitativo rispetto alle precedenti e indica una polarità tra un preliminare momento meditativo- rielaborativo (τὰ μέν…τὰ δέ) e un successivo momento 'creativo' (ἄλλα δέ). Secondo questa interpretazione, il poeta, ispirato dalle Muse, è in grado non soltanto di porsi in continuità con la tradizione scegliendo materiale poetico già esistente (μῶσθαι e δεικνύναι), ma anche e soprattutto di 'creare' poesia innovativa (ποιεῖν)349

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La peculiarità di ποιεῖν rispetto ai verbi precedenti, seppur interpretata in maniera diversa, è colta anche da Edmunds: mentre i primi due verbi farebbero riferimento a uno sforzo mentale (μῶσθαι) che culmina in una manifestazione diretta di conoscenza (δεικνύναι), il verbo ποιεῖν, volutamente isolato e diversificato, designerebbe una comunicazione orale ‘artefatta’. Il verso 771, così costruito, farebbe riferimento alla due possibili realizzazioni della tecnica simposiale dell’αἶνος, rispettivamente quella diretta (μῶσθαι e δεικνύναι) e quella indiretta (ποιεῖν)350

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Sul significato del tetrastico interviene anche Massimo Vetta, secondo il quale il verso 771 non indica semplicemente una pluralità di abilità poetiche, ma descrive la funzione del poeta simposiale scomponendola in tre attività fondamentali e complementari tra loro. Lo studioso individua nella coppia di verbi δεικνύναι/ ποιεῖν il momento della realizzazione del canto orale, in cui la fase dell’esecuzione pubblica più volte ripetuta (δεικνύναι) precede necessariamente il momento della composizione originale (ποιεῖν)351. Maggiori dubbi desta nello studioso il senso del verbo μῶσθαι,

non immediatamente riconducibile a una fase dell'atto poetico stricto sensu; esso viene associato, sulla base del suo significato (‘cercare’, ‘andare in cerca di’, ‘desiderare’), alla disposizione etica che guida il canto simposiale e messo a confronto, per affinità concettuale, con alcuni versi dell'elegia simposiale di Senofane di Colofone (Xenophan. fr. 1, 19s. W2 = 21 B 1, 19s. D-K, ἀνδρῶν δ᾿αἰνεῖν τοῦτον ὃς ἐσθλὰ πιὼν ἀναφαίνει,/ ὡς οἱ μνημοσύνη καὶ τόνος ἀμφ᾿ἀρετῆς)352

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349

Vedi Garzya 1958, 242s. Anche Lanata riconduce la variatio espressiva dell'ultima clausola a una differenziazione qualitativa tra il verbo ποιεῖν e i precedenti: in particolare, questi costituirebbero l’atto iniziale della ‘ricerca’ di un argomento poetabile (μῶσθαι) e quello preliminare di un suo ‘abbozzo’ (δεικνύναι) in vista della definitiva composizione in versi. Cf. Lanata 1963, 65-67. Una soluzione interpretativa affatto simile è quella adottata da Ford nel suo primo intervento sul tetrastico teognideo:«the poet must be mindful [...], make a presentation, in other words “to poetize». Cf. Ford 1981, 304; per una seconda e diversa interpretazione del tetrastico, cf. id. 1985, 90ss..

350 Cf. Edmunds 1985, 107ss. Per l’uso traslato del verbo nel significato di “to fabricate” al v. 771, lo studioso cita gli impieghi di ποιεῖν in Thgn. 713 e μεταποιεῖν in Solon. fr. 20, 3 W2. Per una discussione più approfondita su questi ultimi due passi, cf. infra.

351 Che il verso teognideo presupponga una composizione del canto propria di una cultura orale, in cui il momento della presentazione al pubblico precede quello della trasposizione in versi è idea successivamente recuperata da Ferrari 20002, pagina e Woodbury 1991, 488 («in an oral culture […]if it is possible to fix priorities, it must be said that shaping of a poem in words implies both inspiration and public presentation».

352 Cf. Vetta 1987, 466-479. Occorre tuttavia precisare che il verso 20 dell’elegia senofanea presenta alcuni problemi testuali variamente risolti dagli editori: Vetta adotta le scelte di Gentili-Prato che accolgono la correzione oi` di Koraes sul tràdito w`j h. La tradizione manoscritta è più fedelmente rispettata dalla soluzione di Diels-Kranz e West (fr. 1, 19s. W2 = 21 B1 1, 19s. D-K), i quali, seguendo Ahrens, pongono a testo ὡς ᾖ μνημοσύνη καὶ τόνος ἀμφ᾿ἀρετῆς. La prima

105 Alcune osservazioni a margine della proposta. A sostegno dell'interpretazione del verbo δείκνυμι nel senso di 'eseguire poeticamente' e 'recitare' Vetta menziona solo simili impieghi del composto ἐπιδείκνυμι e suoi derivati, tutti risalenti al più tardo periodo classico (Ar. Nub. 298, ἔλθετε δῆτ᾿, ὦ πολυτίμητοι Νεφέλαι, τῷ δ᾿εἰς ἐπίδειξιν; Plat. Rep. III 398a, dove il poeta viene definito βουλόμενος ποιήματα ἐπιδείξασθαι). Tuttavia, occorre segnalare che un impiego del verbo δείκνυμι nella medesima accezione ha probabilmente più di un'occorrenza già in epoca arcaica. Nel suo commento al passo teognideo, Ferrari cita a confronto due versi di un frammento di Bacchilide (Bacchyl. fr. 15 S-M). Ferrari pone a testo l'integrazione di Blass nell'ultimo metron (fr. 15, 3s. S-M = Ath. XIV 631c χρὴ πάρ᾿εὐδαίδαλον ναὸν ἐλ-/ θόντας ἁβρόν τι δεῖξαι <μέλος>), accolta già da Maehler che nella sua edizione commentata traduce l'espressione μέλος δεῖξαι con «ein Lied aufführen» e segnala tra i loci similes anche il v. 771 di Teognide353. Dopo Vetta, Woodbury segnala per δείκνυμι nel significato di ‘present publicly’ anche il precedente di Alcm. PMGF 59 (b) ap. Ath. XIII 601a, τοῦτο ϝἁδηᾶν Μωσᾶν δῶρον μάκαιρα παρσένων / ἁ ξανθὰ Μεγαλοστράτα354

. In questo caso il verbo, in chiara accezione metapoetica, probabilmente è riferito alla corega e definisce la performance del canto corale355. A quest’accezione di δείκνυμι Nicolaev ha dedicato un recente contributo, aggiungendo alla succitata serie di passi anche Pind. I. 8,47, καὶ νεαρὰν ἔδειξαν σοφῶν/ στόματ᾿ἀπείροισιν ἀρετὰν Ἀχιλέος, dove il verbo δείκνυμι sembra indicare il momento dell'esecuzione poetica356. Nicolaev mette altresì in luce che lo slittamento semantico del verbo δείκνυμι dal campo visivo di 'mostrare' a quello metaforico letterario di 'pubblicare, eseguire' è testimoniato in epoca arcaica anche per l'affine φαίνω (Od. VIII 499, Pind. O. 10, 84s. e, con riserva, Bacchyl. 13, 224; in composizione con ἀνά- in Xenophan. 1, 19 W2); il legame del verbo con l’esecuzione del canto è centrale nel suo corrispettivo latino dicere, e in particolare nelle espressioni dicere carmen et simm. (Catul. 62,4; Hor. Saec. 8; Verg. Ecl. 6,5 e Buc. 1,6; vedi anche OLD2, I 590 6b). Tuttavia l’inserimento dell’occorrenza teognidea in questo filone semantico di δείκνυμι resta soltanto una possibilità per lo studioso357

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L'ipotesi più recente sul tetrastico teognideo è stata avanzata da Bagordo, il quale lo interpreta come una riflessione sul poeta di professione e sulla sua capacità tecnica di trovare 'novità': quando egli si trova in possesso di un'abilità o di una conoscenza straordinaria e, dunque, nuova (v. 769)358, il suo

correzione spinge a tradurre la proposizione introdotta da ὡς come causale; nel secondo caso, ci troveremmo di fronte a una finale oppure a una clausola temporale che indica un'azione eventuale e ripetuta (“ogni volta che”), secondo un impiego della struttura sintattica ὡς + congiuntivo testimoniatoci soprattutto dalla prosa erodotea (I 132; IV 172). Viene invece accettata in tutte e tre le edizioni la correzione di Koraes del tràdito τὸν ὅς in τόνος sulla base di un confronto con Pind. P. 11, 54. Contra Untersteiner 1956, 104. Per quanto concerne il significato attribuito alla iunctura τόνος ἀμφ᾿ἀρετῆς, la maggioranza delle interpretazioni conferisce al termine to,noj l'accezione astratta di “slancio, forte inclinazione” [cf., tra le altre, le recenti traduzioni di De Martino Vox 1996, 865 («tensione alla virtù»), Gerber 1999 (rist. 2003), 413 («striving for excellence»), Lesher 2001, 47 («a striving for virtue») Lami 20056, 185 («per la virtù tensione»)]. Diversamente Diels, il quale in apparato propone di interpretare il termine nel senso concreto di 'voce' (Cf. 21 B 1,20 D-K ad loc., «quomodo sibi memoria et vocis intentio vigeat in virtute canenda»).

353

. Cf. Maehler 1997, 317 e, dopo di lui, Ferrari 20002, 200 n. 3; per δεῖξαι nell’accezione di pronuntiare orationem, versus, cf. Gonda 1929, 32.

354 Cf. Woodbury 1991, 485 n. 8. 355 Cf. Calame 1983, 561ss. 356

Cf. Privitera 1982, 236.

357 Cf. Nikolaev 2012, 551 n. 33 e, in generale, id. 543-572.

358 Bagordo propone di interpretare anche l'aggettivo περισσός di v. 769 nel senso di 'originale, nuovo' sulla base di

alcune sue occorrenze successive e in particolare di Arist. Pol. 1265a 10ss., dove essodefinisce, accanto a καινότομον, una delle peculiarità dei discorsi socratici. Tuttavia, si tratta di una specializzazione retorica attestata soltanto in epoca

106 compito è quello di renderne partecipi gli altri secondo il percorso descritto al v. 771. I tre elementi del verso, introdotti da marche avverbiali (“ora...ora...per il resto”), stanno a indicare le tre fasi che in successione definiscono la funzione sociale e letteraria del ποιητὴς καινοτομῶν: in una prima fase, in quanto servo delle Muse (Μουσῶν θεράπων), il poeta deve affrontare una ricerca guidata dalla divinità (μῶσθαι); poi, dal momento che si trova in possesso di una conoscenza superiore rispetto a quella di tutti gli altri uomini (τι περισσόν), egli ha il compito di portare alla luce quello che ha trovato come un πρῶτος εὑρετής (δεικνύναι)359

; in ultimo, come 'messaggero' di un contenuto che deve essere comunicato (ἄγγελος), egli ha il compito di formalizzare la sua scoperta attraverso la composizione in versi (ποιεῖν), che include anche il momento dell'esecuzione di fronte all'uditorio360.

6. Dal verso come manifesto di ‘novità’ e ‘originalità’ poetica a una nuova ipotesi