• Non ci sono risultati.

La performance dei μουσοπαλαιολῦμαι: verso una possibile identità? (vv 219s.)

Ai vv. 219s. Timoteo ci offre indizi sulla performance dei μουσοπαλαιολῦμαι, dicendo che essi emettono grida di araldi. La particolare insistenza sull’elemento sonoro (λιγυμακροφώνων, ἰυγάς, τείνοντας) non è passata inosservata già a Wilamowitz, che nella sua parafrasi conferisce rilievo al tono prolungato (λιγυμακρόφωνος) e acuto (ἰυγάς) della voce di questi performers (ὥσπερ οἱ κήρυκες τὴν φωνὴν ἐπὶ μακρὸν μετ᾿ὀξύτητος ἐπιτείνοντες)623

. Su questa scia, sono numerose traduzioni: si vedano Reinach («poussant au ciel leurs cris de hérauts glapissants et braillards»), Mazon («parce qu’ils ont de/shonoré l’art par des glapissements aigus pareils aux longs appels criards des hérauts»)624, Paduano, il quale condensa l’intera perifrasi dei vv. 219s. in un semplice

620 Cf. e.g. Soph. Ant. 1074, dove il termine è riferito alle Erinni. 621

Sul passo cf. Del Corno 1985, 161 ad l.

622 Per analisi e ragguagli bibliografici sull’epigramma di Antifane, cf. Neri 2003, 206-209. 623 Cf. Wilamowitz 1903, 27.

624 Cf. Reinach in Calvé 2010, 41 e n. 20 e Mazon ibid. , 57 e nn. 51-2. Gli studiosi seguono un suggerimento di Weil, che coglie nel paragone con i κήρυκες un’allusione alle strida acute dei galli e raffronta il passo con Ar. Eccl. 30s. ὥρα βαδίζειν, ὡς ὁ κῆρυξ ἀρτίως/ ἡμῶν προσιόντων δεύτερον κεκόκκυκεν). Per obiezioni a questo confronto, si veda Aron 1920, 32: «aber hier soll doch die Unschönheit der dem Timotheus verhaßten Musikrichtung betont werden, während bei Aristophanes Ekkles. 30 […] das tertium comparationis für den Vergleich von Hahn und Herold nur der morgendliche Ruf beider zur Volkversammlung ist». Così anche Janssen 1989, 135s. ad v. 231.

182 complemento («con lunghe acute strida di araldi»), Ercoles («che lanciano urli di araldi forestridenti»), Csapo-Wilson («who launch forth wailings of clear-far-voiced heralds»), Sevieri («levando con voce stentorea grida stridenti»)625. Va detto però che la maggioranza degli studiosi – pur con qualche eccezione- non si è soffermata a indagare più approfonditamente sull’effettiva natura di questa performance e sulla possibile identità dei suoi esecutori nel pensiero di Timoteo, ma si è al contrario limitata a riscontrare in questi versi la disapprovazione verso un’esecuzione ‘gridata’, ripetitiva e con uno scarno repertorio di ritmi musicali, la quale viene posta programmaticamente in opposizione alla ποικιλία praticata da Orfeo, Terpandro e, in ultimo da Timoteo626.

Nella più argomentata proposta interpretativa a riguardo, Ercoles identifica la performance descritta da Timoteo ai vv. 219s. con una pratica citarodica ben documentata dalla trattatistica di argomento musicale tra il VI e il IVsec. a.C.: l’esecuzione cantata di versi epici. Una testimonianza del peripatetico Eraclide Pontico trasmessa dal De musica pseudo-plutarcheo ci informa che Terpandro esercitava la professione di citaredo musicando in ciascun nomos versi epici propri e di Omero: fr. 175 Wehrli ap. [Plut.] De mus. 4, 1132c καὶ γὰρ τὸν Τέρπανδρον ἔφη κιθαρῳδικῶν ποιητὴν ὄντα νόμων, κατὰ νόμον ἕκαστον τοῖς ἔπεσι τοῖς ἑαυτοῦ καὶ τοῖς Ὁμήρου μέλη περιτιθέντα ᾄδειν ἐν τοῖς ἀγῶσιν)627

. Tale esecuzione doveva prevedere, con una certa verosimiglianza, l’utilizzo di strutture metriche semplici ed omogenee (i.e. versi katà daktylon e kat’enoplion) e altrettanto semplici costruzioni melodiche, ripetitive e pressoché prive di variazione628. Questo

625 Cf. Paduano 1993, 536; Ercoles 2008, 127; Csapo Wilson 2009, 286; Sevieri 2011, 87. Così anche Nieddu, secondo il quale Timoteo «sembra alludere a performances su toni acuti ed elevati». Cf. Nieddu 1993, 525 n. 17.

626 Così Janssen 1989, 136 ad vv. 232-233 e 152. Cf. anche Csapo-Wilson 2009, 286: «This is an apt description of the style of song urged by the inventors of ‘tradition’, with ponderos repetitive rhytms, and minimal melodic variations which slavishly follow the natural rhytm and tonic accents of the spoken language». Così anche Leven 2014, 96: «the ἰυγαί (220) of the bad poets belong to the realm of joyful or painful sounds an emotions but not to that of songs (ἀοιδή), while the only quality praised in the voice of those called «far-shouting heralds with a shrill voice (κηρύκων λιγυμακροφώνων) is its range, which is more appropriate to the realm of communication than to that of the inspired poetry». Suggerimenti interpretativi più puntuali si trovano in Hordern 2002, 240 ad v. 219: secondo lo studioso, l’elemento di spicco nella performance dei μουσοπαλαιολῦμαι sarebbe il tono alto della voce, segnala che alcuni fonti letterarie tra la fine del V. e il IV sec. a.C. testimoniano un gusto per canti dai toni bassi (e.g. E. Herc. 1042ss.; Or. 136ss.) e il rifiuto di perfomance attoriali troppo stentoree (Dem. 18, 262). Se si accetta la proposta, rimane tuttavia oscuro il suo nesso con le esecuzioni citarodiche agonali a cui Timoteo in questi versi fa sicuro riferimento. Sevieri ipotizza che la performance, costituita da melodie ripetitive monotone e affini alla cadenza del parlato, sia in qualche modo avvicinabile alla σχονοτένεια ἀοιδά disdegnata da Pindaro nel celebre ditirambo Cerbero oEracle ( fr. 70b, 1-3 S.-M. = P. Oxy 1604 col. II ap. Strab. X 3, 13; Ath. XI 467a; D. H. comp. verb. 14 Π̣ρὶν μ̣ὲν ἕρπε σχοινοτένειά τ᾿ἀοιδά/ δ̣ι̣θ̣υράμβων/ καὶ τὸ σ̣ὰ̣ν κίβδηλον ἀνθρώποισιν ἀπὸ στωμάτων, κτλ.). Il confronto di Sevieri si basa sull’interpretazione dell’aggettivo σχοινοτενής nell’accezione di ‘prolisso, noioso’ (così Wilamowitz 1922, 342; Privitera 1988, 131 n. 19; Van der Weiden 1991, 63; Zimmermann 1992, 44). Tuttavia, il paragone cessa di essere pertinente, se si accetta la convincente ipotesi di D’Angour, secondo cui il termine σχοινοτενής farebbe riferimento alla disposizione del coro nello spazio della performance e a tutti i problemi di acustica e di coordinazione. che tale esecuzione ditirambica processionale comportava. La contrapposizione tra πρὶν δέ di v. 1 e νῦν μὲν di v. 3 mira a sottolineare, secondo lo studioso, il passaggio ai cori circolari nel ditirambo. Cf. D’Angour 1997, 331-351.

627 Sul passo, vd. anche Power 2010, 230-234.

628 Ercoles osserva che la semplicità di queste linee melodiche è testimoniata da Glauco di Reggio, attivo intorno al VI- V sec. a.C.: nella sua opera περὶ τῶν ἀρχαίων ποιητῶν τε καὶ μουσικῶν ci informa che Terpandro traeva ispirazione

183 modello performativo, che ben poca libertà d’espressione concedeva all’originalità del singolo citaredo, è tuttavia approvato dalla trattatistica erudita: quest’ultima, nella sua prospettiva tradizionalistica, mira a ricostruire un passato citaredico del tutto aderente a un καλὸς τύπος musicale basato sulla semplicità melodico-ritmica (ἁπλότης), la stessa a cui Frinide e Timoteo hanno posto fine con l’impiego di una spregiudicata polimetria e di un numero sovrabbondante di note, tonalità e modulazioni. Non stupisce dunque che l’attività citaredica di Terpandro sia funzionalmente concepita in termini di continuità con la tradizione epica piuttosto che di slancio all’innovazione musicale. Secondo Ercoles, il carattere tradizionale che la narrazione epica cantata aveva agli occhi della critica conservatrice fa pensare che proprio questo tipo di esecuzione sia al centro della requisitoria di Timoteo contro i μουσοπαλαιολῦμαι e sia paragonata, per la sua natura ripetitiva e monotona, alle strida degli araldi (vv. 219s. κηρύκων λιγυμακροφώ-/ νων τείνοντας ἰυγάς). Giusta questa proposta, gli opposti giudizi sulla composizione in musica dei versi epici presentati dalla sphragis di Timoteo e dalle fonti della trattatistica corrispondono, più generalmente, a due opposti atti di revisionismo della tradizione citaredica: le prassi esecutive che in quest’ultima sono esaltate come genuinamente tradizionali, vengono di contro addidate da Timoteo come una forma di corruzione e cattiva interpretazione dell’antica citarodia629

.

Presento qui di séguito alcune riflessioni su quest’ultima ipotesi. In primo luogo, il fatto che la composizione di nomoi citaredici in versi epici fosse considerata una prassi esecutiva tradizionale al tempo di Timoteo è ancor meglio provato da un altro passo del trattato pseudoplutarcheo, probabilmente ascrivibile alle riflessioni di Eraclide Pontico sulla natura dei proemi di Terpandro630: ci viene riferito che Timoteo componeva ἐν ἔπεσιν i suoi primi nomoi mescolandovi lo stile ditirambico per non risultare eccessivamente eversivo nei confronti dell’antica musica ([Plut.] De mus. 4,1132e τοὺς γοῦν πρώτους νόμους ἐν ἔπεσι διαμιγνύων διθυραμβικὴν λέξιν ᾖδεν, ὅπως μὴ εὐθὺς φανῇ παρανομῶν εἰς τὴν ἀρχαῖαν μουσικήν)631: Se con λέξις διθυραμβική

diretta da Orfeo nella musica, la quale doveva essere quanto mai semplice e poco strutturata.Infatti, stando a quanto Glauco riferisce, quest’ultimo non fu imitatore di alcun poeta citaredico, né dei compositori di nomos aulodici che lo precedettero (Glauc. Reg. fr. 1 Lanata ap. [Plut.] De mus. 1132e φησὶ γὰρ αὐτὸν δεύτερον γενέσθαι μετὰ τοὺς πρώτους ποιήσαντας αὐλῳδίαν […] ἐζηλωκέναι δὲ τὸν Τέπανδρον Ὁμήρου μὲν τὰ ἔπη, Ὀρφέως τὰ μέλη. ὁ δὊρφεὺς ὀδένα φαίνεται μεμιμήμενος· οὐδεὶς γάρ πω γεγένητο, εἰ μὴ οἱ τῶν αὐλοδικῶν ποιηταί· τούτοις δὲ κατ᾿οὐδὲν τὸ Ὀρφικὸν ἔργον ἔοικε. Vedi Ercoles 2008, 126s. Per l’attribuzione a Glauco di Reggiodi questa sezione del de musica pseudoplutarcheo, interrotta da un’isolata e conchiusa citazione di Alessandro Poliistore dopo αὐλῳδίαν, cf. Lanata 1963, 271s. ad fr. 1.

629

Vedi Ercoles 2008, 124-136; in particolare, 129s. Allo studioso, non sembrano tuttavia note le osservazioni già avanzate da Aron, il quale ipotizza che i vv. 219s. alludano proprio all’esecuzione musicata dell’epos nell’antica citarodia: «Andrerseitz bedeutet auch der Vergleich mit Herolden noch genug, wenn wir daran denken, daß die alte Kitharodie die Angabe des musikalischen Vortrags des Epos hatte, in dem doch die Herolden eine so bedeutende Rolle spielen». Cf. Aron 1920, 32.

630 Il passo, contenuto anch’esso nei dossier di Ercoles, è ivi associato a [Plut.], De mus. 1132d, anch’esso sui proemi terpandrei. Cf. Ercoles 2008, 131s.

631 Sul fatto che Timoteo compose nomoi in versi epici musicati ci informa anche Suda τ 620 A. = Tim. T 2 Campbell …καὶ ἐτελεύτησεν [scil. Τιμόθεος] ἐτῶν ϙζ᾿, γράψας δι᾿ἐπῶν νόμους μουσικοὺς ιθ᾿ κτλ. Hordern è scettico sulla

184 intendiamo l’aspetto ritmico dello stile poetico, se ne dedurrà che nella sua prima produzione Timoteo si sia limitato a fare uso, in una composizione per lo più in versi eroici, della tecnica del ‘discorso continuo’ tipica dei preludi ditirambici (λέξις εἰρομένη) e che, da un punto di vista metrico, abbia affiancato metri sciolti a predominanti strutture katà daktylon o kat’enoplion632. In quanto ci resta dei Persiani –considerati, come si è detto, un’opera della maturità di Timoteo- il rapporto tra le due pratiche compositive appare decisamente mutato: la presenza di strutture esametriche ‘tradizionali’ è testimoniata soltanto dal verso di apertura citato da Plutarco nella Vita di Filopemene, mentre la fonte diretta del papiro di Abusir prova che, almeno per quanto riguarda la sezione prettamente narrativa dell’omphalos, la partitura metrica è realizzata interamente in metra apolelumena e che la sphragis, pur nella sua marcata uniformità, presenta una soluzione metrica del tutto estranea all’originaria pratica compositiva in versi eroici. Quest’evoluzione nella carriera e nella produzione di Timoteo, che si distacca progressivamente dalle prassi esecutive tradizionali a favore di più libere sperimentazioni melodiche e ritmiche, rende del tutto plausibile che egli nei Persiani abbia voluto prendere posizione contro tutti quei citaredi che si limitavano a mettere in musica narrazioni epiche (PMG 791, 219s.).

Un’analisi più approfondita del lessico sonoro utilizzato in questi due versi potrebbe, a mio parere, fornire ulteriori elementi per sostenere tale tesi. La genesi dell’attributo λιγυμακρόφωνος è stata ben spiegata da Janssen, il quale osserva che il conio di Timoteo nasce dalla conflazione di λιγύφωνος, hapax in Omero (Il. XIX 350) e l’espressione μακρὰ βοῶν, riferita con connotazione negativa all’arringa di Tersite (Il. II 224)633

. Esso costituisce di fatto una variante linguistica al canonico epithetus ornans dell’araldo in Omero (λιγύφθογγος, i.e. «dalla voce sonora»: cf. Il. II 50, 442; IX 10; XXIII 39; Od. II 6; cf. anche Il. XI 685 κήρυκες δ᾿ἐλίγαινον), del quale conserva il significato, ma perde l’originaria connotazione positiva e nobilitante634. A tal proposito va osservato che in Omero gli aggettivi λιγύς e λιγυρός, come anche i composti derivati, raramente fanno riferimento all’acutezza di un suono, se non in

notizia: «this would be unlikely given for Timotheus’ reputation for polymetric astrophic verse, and thus what we have […] is presumably a corrupted version of Philo’s text». Cf. Hordern 2002, 9s.

632

Nella Crestomanzia di Proclo ci viene riferito che l’inserimento di strutture λελυμένα nella partitura metrica dell’originario nomos di sistemazione terpandrea avvenne per la prima volta ad opera di Frinide e che Timoteo, dopo di lui, diede al nomos il suo attuale assetto (i.e. preponderanza di strutture metrice sciolte: Procl. Chrest. ap. Phot. Bibl. p. 320b Bekker, v. 160s. Henry δοκεῖ δὲ Τέρπανδρος μὲν πρῶτος τελειῶσαι τὸν νόμον, ἡρώῳ μέτρῳ χρησάμενος […] Φρῦνις δὲ ὁ Μιτυληναῖος ἐκαινοτόμησεν αὐτόν· τό τε γὰρ ἑξάμετρον τῷ λελυμένῳ συνῆψε καὶ χορδαῖς τῶν ζ᾿ πλείοσιν ἐχρήσατο, Τιμόθεος δὲ ὕστερον εἰς τὴν νῦν αὐτὸν ἤγαγε τάξιν.

633 Cf. Janssen 1989, 136 ad vv. 232s. L’espressione μακρὰ βοᾶν è riferita espressimente all’araldo in Thgn. 887 μηδὲ λίην κήρυκος ἀν᾿οὖς ἔχε μακρὰ βοῶντος.

634

Sulla svalutazione dell’araldo nel contesto della sphragis, cf. Power 2010: «Timotheus could be saying that his foils are no more artful than the heralds or criers who announce victories to the large crowds at agônes […].The inferecne would be that his opponents should not be competing at citharodic agônes, but rather performing the less elevated, unmusical duty of the heralds». Sull’esistenza di agoni araldici cf. le testimonianze di Poll. IV 91 e Dem. 19, 338 e il repertorio tradizionale di annunci di apertura e chiusura di agoni in PMG 863 e 865.

185 formule di lamento femminile (Il. XIX 284; Od. IV 259 e VIII 527). Solitamente essi qualificano la chiarezza della parola parlata e l’espressione λιγύς ἀγορητής occorre in riferimento a Nestore (Il. I 248; IV 293), a Telemaco (Od. XX 274), con chiaro valore ironico a Tersite (in Il. II 246), e, in variatio sintattica, a Menelao (λιγέως ἀγορεύειν in Il. III 213s.): questi aggettivo possono connotare la limpidezza del canto (λιγυρὴ ἀοιδή in Od. XII 44) o della voce del performer (Μοῦσα λίγεια in Od. XXIV 62) e, anche quando sono riferiti al suono della cetra, ne indicano la sonorità e la nitidezza (φόρμιγξ λίγεια in Il. IX 186 e Od. VIII 67)635.

Non fa eccezione a questo campo semantico della ‘sonorità’ anche il sostantivo ἰυγή al v. 220 dei Persiani: se è vero che esso, assieme al corradicale ἰύζω e all’equivalente ἰυγμός, è spesso riferito alle strida di paura e dunque è lecitamente riconducibile all’emissione di un suono acuto636, tuttavia in Omero l’occorrenza i due termini indicano l’emissione di un grido definito e chiaro: si pensi in particolare a Il. XVIII 572, in cui lo ἰυγμός è un grido sonoro di gioia che si alterna al canto spiegato nella performance dei fanciulli scolpiti da Efesto nello scudo di Achille637. Alla luce di tutte queste osservazioni, mi sembra dunque più verosimile che il lessico sonoro utilizzato da Timoteo per descrivere la performance dei suoi avversari (λιγύς, μακρός, ἰυγή) non faccia riferimento alla produzione di toni eccessivamente acuti ed elavati, bensì all’altisonanza e la stentorietà della voce, simile a quella degli annunci araldici.

Nel suo studio sul suono nella letteratura greca, Kaimio si sofferma sulle affinità semantiche e d’uso di λιγύς e i suoi composti («sonoro») con λαμπρός («risonante, stentoreo»), nella caratterizzazione della voce degli araldi e cita un passo di Erodoto, in cui il termine λαμπροφωνίη è indicata come la caratteristica peculiare di questa professione (Hdt. VI 60)638

. Sulla base di questa simile caratterizzazione sonora dei termini λαμπροφωνίη, λιγύφθογγος e λιγυμακρόφωνος, vorrei ricordare qui il già citato passo della Vita di Filopemene plutarchea, in cui il citaredo Pilade canta l’esametro di apertura dei Persiani. Subito dopo la citazione del verso, Plutarco formula un’interessante riflessione sulla reazione del pubblico a quell’incipit: Plut. Phil. 11, 362d ἀμὰ δὲ τῇ λαμπρότητι τῆς φωνῆς τοῦ περὶ τὴν ποίησιν ὄψκου συμπρέψαντος,

635 Cf. LFgrE II 1692s. s. vv. λιγύς, λίγα. Il legame di λιγύς con la melodiosità del canto o della voce (Hes. Op. 659 e Th. 275 e 518 riferito alle Esperidi) e, nell’accezione di ‘acuto’, con la sua luttuosità (e.g. Aesch. Pers. 332; Suppl. 113; Eur. Heracl. 832) è successivo all’epos omerico. Diversamente Rocconi, secondo la quale gli aggettivi λιγύς e λιγυρός, come anche il composto λιγύφθογγος qualifichino già in Omero la melodiosità e la godibilità del suono. Cf. Rocconi 2003 84 e nn. 520-524.

636

Per ἰυγή cf. Hdt. IX 43 e S. Ph. 752; per ἰύζω cf. A. Pers. 281 e 1004; Suppl. 808 e 872; per iὐγμός cf. A. Ch. 26; Eur. Heracl. 126. Cf. LSJ9 845 s.vv. ἰυγή, ἰυγμός e ἰύζω.

637 Per quest’accezione semantica dei termini a radice ιυγ- segnalo anche la testimonianza, per quanto più tarda, offertaci da Theocr. VIII 30: nel contesto di un agone bucolico tra il bovaro Dafni e il pecoraro Menalca, quest’ultimo al momento della sua esibizione è definito ἰυκτά (vocativus pro nominativo sulla scorta degli epici ἠπύτα, ἠχέτα): e uno scolio al passo ci chiarisce che il termine è connesso alla sonorità della sua voce: schol in Theocr. 8, 33b, 207 Wendel ἰυκτάς· <λιγύφθογγος> ἰύζειν γὰρ τὸ λιγυφωνεῖν, κυρίως δ᾿ἐπὶ γυναικῶν. Cf. anche il commento di Gow 1965 [19522], II, 176 ad l.

638

186 ἐπίβλεψιν γενέσθαι τοῦ θεάτρου πανταχόθεν εἰς τὸν Φιλοποίμενα κτλ. Plutarco ci riferisce che Pilade ha cantato l’esametro λαμπρότητι φωνῆς (i.e. λαμπροφωνίῃ) e che tale esecuzione si accordava in modo così perfetto con solennità stilistica o tematica del componimento da suscitare negli astanti un forte orgoglio panellenico verso la vittoria di Filopemene a Mantinea. In questa sede interessa osservare che nell’esecuzione dell’esametro d’apertura il citaredo utilizza una nettezza di voce che, quantomeno per lessico, si avvicina molto alla caratterizzazione sonora sopra descritta: c’è dunque da chiedersi se ci siano i margini per cogliere nell’osservazione di Plutarco un effettivo indizio performativo sull’esecuzione degli esametri musicati della citarodia. Giusta quest’interpretazione, il paragone dei μουσοπαλαιολῦμαι con araldi lungisonanti potrebbe essere effettivamente compreso alla luce dell’esecuzione continua e prolungata di versi epici, la quale non si limitava a una sezione del nomos come nel caso dei Persiani, ma ne copriva tutta l’estensione senza eccessive variazioni di ritmo e di metro.