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Osservazioni conclusive Il nuovo κλέος dell’Odissea

Alcune osservazioni supplementari su questo status quaestionis. Jesper Svenbro ha ben dimostrato come le numerose scene metapoetiche dell’Odissea mettano in luce lo strettissimo rapporto tra la volontà dell’uditorio e il successo del canto aedico. Tuttavia, ancor più importante mi sembra il fatto che lo svolgersi di tali scene permetta di delineare il profilo di un uditore ideale, che è sempre contrapposto a categorie di uditori imperfetti: la compresenza di diverse tipologie di pubblico costituisce così un importante punto di partenza per interpretare ciascuna affermazione metapoetica e per comprenderne la funzione nel più ampio contesto dell’Odissea. Nel caso della dichiarazione di Telemaco nel libro I, ritengo che nel ‘canto più nuovo per chi lo ascolti’, inteso

97 Già Brillante nota opportunamente come le φρένες nel lessico psicologico omerico rappresentino l’organo sede di una conoscenza specificamente subita e passiva: la sua menzione nel contesto dell’arringa apologetica di Femio produce l’effetto di ricondurre la conoscenza poetica dell’aedo (παντοίας οἴμας al v. 348) alla sola responsabilità della divinità. Sul significato e ruolo di φρήν nella dizione omerica e arcaica, cf. Darcus Sullivan 1977, 41ss. e ead. 1979, 159ss. 98 L’interpretazione dei vv. 349s. (ἔοικα δὲ τοι παραείδειν/ ὥς τε θεῷ) è controversa. In primo luogo, fa difficoltà la costruzione personale del verbo ἔοικα: quest’ultima, particolarmente frequente nei tragici (si vedano in particolare le occorrenze + inf. pres. di Aesch. PV 971.e Cho. 926; Soph. OT 744 e Ph. 317), ma non attestata nei poemi omerici, dove si rintracciano paralleli soltanto in alcuni impieghi affini del verbo δοκέω (Il. VII 192 e Od. XVIII 382). Ebeling [1885, II, 357 s.v. εἴκω] interpreta «decet me tibi canere» e così Monro [1901, II, 236], che intende «I am fit to sing before you» e dunque «it is fit that I should sing». Similmente Stanford [1962, 365 ad loc.], il quale aggiunge che l’affermazione di Femio, oltre a esaltare le qualità dell’aedo, è un atto adulatorio nei confronti di Odisseo. Nordheider [LfrgE II 621s. s.v. ἔοικα] propone di tradurre παραείδειν con un potenziale («ich meine, daß ich von dir singen könnte»). Privitera ap. Fernández Galiano 2015 [20077], 67 traduce «mi pare di cantare da te/ come da un dio». Il verbo ἔοικα indica di solito un giudizio personale basato sull’evidenza, come nota Untersteiner a proposito di un’occorrenza del verbo nelle Coefore eschilee [2002, 438 ad Cho. 883s.]. Nel suo commento, Fernández Galiano [1986, 256s.ad loc.] osserva che l’hapax παραείδειν che a esso si accompagna «denota l’azione di sedersi onorificamente a fianco di un superiore», che di fatto ben si allinea all’atto di fedeltà nei confronti del sovrano professato dall’aedo. Quest’ultima ipotesi è suffragata in primo luogo da quelle occorrenze di παρά, in cui la preposizione sta ad indicare con chiarezza la vicinanza dell’aedo al proprio pubblico al momento dell’esecuzione (cf. Od. I 154 ~ XXII 352 Φήμιος, ὅς ῥ᾿ἤειδε παρὰ μνηστῆρσιν ἀνάγκῃ), e soprattutto dal valore omerico della frequente formula predicativa ὥς τε θεῷ, che indica generalmente lo status di autorevolezza e prestigio di chi viene ricoperto di onore da altri. (cf. Il. XXII 394 e XXIV 258 in riferimento a Ettore; Od. V 36 ~ XIX 280 ~ XXIII 339, in riferimento alla condizione di Odisseo ricoperto di doni dai Feaci; in ultimo si veda anche Hes. Th. 91, in riferimento all’autorevolezza del βασιλεύς tra la folla). L’utilizzo di una fraseologia ambigua risponde bene alla strategia aedica dell’ ‘interesse rimosso’. Nel contesto immediato delle parole di Femio, l’affermazione può essere interpretata soltanto come una dichiarazione di professionalità e fedeltà nei confronti di Odisseo; di contro, se viene letta alla luce del vantaggio che essa e tutte le altre della sua supplica, vogliono sortire, non è difficile scorgervi un tono adulatorio e persuasivo.

40 come résumé dei ritorni e dunque prefigurazione dell’Odissea stessa, sia implicata più di una possibile accezione interpretativa, al di là del carattere ‘recente’ della materia, e che questo sia suggerito dalla diversità di effetti sortiti dalla performance sull’uditorio.

Ripercorriamo ora i momenti fondamentali delle reazioni del pubblico. Femio esercita un chiaro effetto fascinatorio sui Proci i quali, normalmente scomposti e rumorosi, sono ridotti al silenzio e all’ordine. Ciò dipende dalla scelta della materia di canto: alle orecchie dei pretendenti il racconto dei νόστοι λυγροί degli Argivi ha accenti del tutto rassicuranti e mancando, come si pensa, di un qualsiasi riferimento ad Odisseo, invita i Proci a inserire e silentio il ritorno odissiaco in questa categoria di sciagurati destini e, dunque, a dimenticarlo (Od. I 325-327). Il piacere che il canto suscita nei Proci scompare per l’irruzione di Penelope che chiede all’aedo di attingere ad altri θελκτήρια tra quelli che i cantori conoscono: l’argomento scelto l’addolora troppo (vv. 337-344).

Le opposte reazioni dei Proci e Penelope sono esemplari e illustrano una precondizione fondamentale del successo del canto aedico, vale a dire l’estraneità degli uditori agli eventi cantati99. Soltanto in chi non si sente coinvolto, il cantore può esercitare in modo normativo e atteso la sua professione: essa infatti ha il compito socialmente riconosciuto di provocare piacere (τέρψις) nell’uditorio – si pensi alla definizione dell’aedo δημιουργός come ὅ κεν τέρπῃσιν ἀειδών formulata da Eumeo in Od. XVII 385 e all’elogio del piacere del canto simposiale fatto da Odisseo in apertura del libro IX (vv. 2-11) 100 – e, in alcuni casi particolari come quello del canto di Femio, un effetto di malìa e fascinazione che conduce il pubblico alla completa dimenticanza di sé (θελξις) 101

. Al

99 A queste conclusioni giunge Walsh [1984, 2ss] il quale, partendo dall’episodio del canto di Demodoco alla reggia dei Feaci, identifica due tipologie di pubblico, una ‘regolare’ e recettiva in quanto non coinvolta negli eventi cantati, e una ‘atipica’ costituita da quanti si sentono personalmente toccati dalla materia di canto. Così anche Nannini 2007, 44ss. Contra, de Jong 1986, 422. Una diversa suddivisione di pubblico è proposta da Pucci [1986, 201ss.]: sulla base di un’interpretazione del canto di Femio nel libro I vicina a quella di Svenbro (vedi supra), lo studioso riconosce in Penelope una «sober reader» che non è succube della θέλξις e in Telemaco un «intoxicated reader» che subisce il potere fascinatorio del canto e, dimentico della visita di Atena e delle sue rassicurazioni, difende incondizionatamente Femio. 100 L’encomio odissiaco esalta e promuove il valore sociale del canto aedico: alla capacità del cantore di allietare il pubblico si lega infatti senza soluzione di continuità quella di esercitare una funzione associativa e pacificante, specialmente nel contesto del simposio. Tale concetto di base è espresso in un’argomentazione elaborata e artatamente scandita dall’impiego dell’aggettivo neutro καλόν e simm. in gradi climaticamente organizzati dal positivo al superlativo (v. 3s. ἤτι μὲν τόδε καλὸν ἀκουέμεν ἐστὶν ἀοιδοῦ/ τοιοῦδ᾿, κτλ; v. 5 οὐ γὰρ ἐγὼ γέ τί φημι τέλος χαριέστερον εἶναι; v. 11 τοῦτο τί μοι κάλλιστον ἐνὶ φρεσὶν εἴδεται εἰναι). A proposito cf. Latacz 1966, 100s. e Huebeck 2015 [200711], 181 ad l.

101 A tal proposito, Finkelberg ha a più riprese sostenuto che la θέλξις costituisce la caratteristica peculiare del canto di Femio e, in generale di ogni ἀοιδὴ νεωτάτη: essa è infatti, secondo la studiosa, l’effetto provocato dalla narrazione di contenuti che non sono mai stati ascoltati in precedenza dal pubblico [cf. 1985/88, 1-10; ead. 1998, 90ss.]. L’ipotesi, tuttavia, suscita più di un’obiezione: Penelope stessa nel suo intervento segnala infatti che l’argomento dei ritorni degli Achei era un tema di canto abituale presso la reggia di Itaca e che tra i θελκτήρια alternativi al canto dei νόστοι non è annoverabile soltanto il canto eseguito da Femio, ma anche le molte οἶμαι tradizionali che gli aedi abitualmente sono soliti celebrare nei canti (v. 338 ἔργ᾿ἀνδρῶν τε θεῶν τε, τά τε κλείουσιν ἀοιδοί). A sostegno della propria interpretazione, la studiosa si richiama alla θελξις suscitata dagli ἀπόλογοι e dai racconti dall’eroe itacesi di Odisseo, mai ascoltati in precedenza, e dal canto delle Sirene, il quale fornisce un sapere inedito e universale (Od. XII 188-191). Tuttavia, nel caso degli ἀπόλογοι, l’effetto di fascinazione prodotto sui Feaci è dato dall’assoluta estraneità di questi ultimi alla materia cantata e dall’eccezionale sovrapponibilità degli eventi cantati all’esperienza di Odisseo; in terra itacese, la θέλξις è l’effetto ammaliatore prodotto dalla verosimiglianza con cui Odisseo espone contenuti ingannevoli

41 contrario, il canto di eventi troppo vicini nel tempo addolora chi vi è emotivamente coinvolto ed è destinato a fallire, perché non può produrre piacere nel suo pubblico 102.

I Proci rispettano pienamente questo target di pubblico: ottusamente dediti a qualsiasi genere di piacere, essi non si sentono in alcun modo coinvolti negli eventi narrati da Femio e anzi sono incondizionatamente recettivi al canto dell’aedo, com’è polemicamente messo in luce da Telemaco all’inizio della sua conversazione con Atena Mente (Od. I 159-162 τούτοισιν μὲν ταῦτα μέλει, κίθαρις καὶ ἀοιδή, / ῥεῖ᾿, ἐπεὶ ἀλλότριον βίοτον νήποινον ἔδουσιν,/ ἀνέρος, οὖ δή που λεύκ᾿ὀστέα πύθεται ὄμβρῳ/ κείμεν᾿ἐπ᾿ἠπείρου, ἢ εἰν ἁλὶ κῦμα κυλίνδει)103

. Chi, in vero, non è ammaliata dal canto di Femio, e anzi ne provoca l’interruzione, è proprio Penelope, la quale, in un attimo di simpatetico ascolto, associa alla materia di canto i dubbi, la memoria, la nostalgia e il dolore suscitati dall’assenza di Odisseo.

Telemaco, quasi nelle vesti di arbiter tra le inclinazioni dei Proci e della madre, decide di incoraggiare il canto, costringendo la madre ad ascoltare o, in alternativa, a ritirarsi nelle sue stanze. La spiegazione più ovvia e immediata a questa diversità di atteggiamento è che Penelope, al momento del rimprovero di Telemaco, non fa parte del pubblico riunito a banchetto: nell’episodio del canto di Femio, come anche in tutte le scene di convivialità presenti nell’Odissea, la regina viene descritta in condizioni di volontario isolamento dall’intrattenimento aedico, perché impegnata ad alimentare con le lacrime il ricordo del marito104. Telemaco, nella sua acquisita maturità, difende

(cf. Od. XIX 203 ἴσκε ψεύδεα πολλὰ λέγων ἐτύμοισιν ὁμοῖα); in ultimo, tra le conoscenze offerte dalle Sirene a Odisseo e compagni non compare soltanto un sapere universale, ma anche gli eventi vissuti dall’eroe in prima persona a Troia (Od: XII 188s. ἴδμεν γάρ τοι πάνθ᾿, ὅσ᾿ἐνὶ Τροίῃ εὑρείῃ/ Ἀργεῖοι Τρῶές τε θεῶν ἰότητι μόγησαν). Quello che spinge Odisseo a voler ascoltare non è l’ansia di una conoscenza ignota (Finkelberg), ma la nostalgia di un passato eroico. È stato messo in luce da Pucci che l’intervento delle Sirene è caratterizzato da una dizione prettamente iliadica e tale aspetto stilistico contribuisce a spiegare il significato dell’episodio all’interno dell’Odissea: se sul piano dell’intreccio narrativo l’incontro con le Sirene è un potenziale ostacolo per il ritorno dell’eroe, sul piano metapoetico esso rivela l’atteggiamento del poeta dell’Odissea nei confronti di una precedente tradizione letteraria. Cf. Pucci 1979, 121-132. 102 Lo stesso concetto è presente anche in un passo della Teogonia esiodea, in cui, a proposito dell’origine divina e dei compiti del cantore, si afferma che nel caso di un uditore affranto ed emotivamente coinvolto l’ἀοιδός deve ricorrere contenuti cronologicamente lontani nel tempo perché il canto raggiunga un effetto realmente consolatorio e rassicurante (Hes. Th. 98-103 εἰ γάρ τις καὶ πένθος ἔχων νεοκηδέι θυμῷ/ ἄζηται κραδίην ἀκακήμενος, αὐτὰρ ἀοιδός / Μουσάων θεράπων κλεῖα προτέρων ἀνθρώπων / ὑμνήσει μάκαράς τε θεοὺς οἵ Ὄλυμπον ἔχουσιν, / αἶψ᾿ὅ γε δυσφροσυνέων ἐπιλήθεται οὐδέ τι κήδεων/ μέμνηται· ταχέως δὲ παρέτραπε δῶρα θεάων). Alla luce di tale affinità si può ipotizzare con una certa ragionevolezza che tali dinamiche del canto non coinvolgano soltanto il pubblico di Esiodo (cf. West 1966, 45), ma anche e soprattutto l’uditore della poesia epica tout court. Cf. Pucci 2007, 121. ..

103 Un riferimento sarcastico a questa condizione di edonistica insensatezza dei Proci viene posto in bocca a Odisseo, proprio a dare inizio alla loro strage (Od. XXI 428-431 νῦν δ᾿ὤρη καὶ δόρπον Ἀχαιοῖσιν τετυκέσθαι/ ἐν φάει, αὐτὰρ ἔπειτα καὶ ἄλλως ἑψιάασθαι μολπῇ καὶ φόρμιγγι· τὰ δ᾿ἀναθήματα δαιτός).

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Si fa qui riferimento ai versi che descrivono l’ascolto del canto dal piano superiore e la discesa nel megaron della regina (I 328-336). Numerosi indizi del volontario isolamento della regina sono rintracciabili in tutto il poema: appena concluso il banchetto in occasione del ritorno da Sparta di Telemaco, la regina esprime il desiderio di consumare sul letto il proprio dolore (XVII 101-104) e altrove descrive la medesima condizione come una luttuosa quotidianità (XIX 513-517, cui fa seguito l’efficace similitudine con il canto dell’usignolo). Nel banchetto dei Proci a cui partecipa anche Odisseo nel XVII libro, ci sono ulteriori indicazioni sulla posizione decentrata di Penelope al momento dell’intrattenimento: ella viene a sapere dei maltrattamenti subiti Odisseo da parte dei pretendenti rimanendo nelle stanze con il suo séguito di ancelle (vv. 492s. τοῦ δ᾿ὦς οὖν ἤκουσε περίφρων Πηνελόπεια/ βλημένου ἐν μεγάρῳ, μετ᾿ἄρα δμῳῇσιν ἔειπεν· e vv. 505s. ).

42 l’aedo, perché quest’ultimo ha eseguito esattamente il proprio compito, ossia dilettare con il canto il pubblico, di cui la regina non fa parte (v. 346s. μῆτερ ἐμή, τί δ᾿ἄρα φθονέεις ἐρίηρον ἀοιδόν/ τέρπειν ὅππῃ οἱ νόος ὄρνυται;). Ιn tal senso, l’intervento del ragazzo ha un’importante funzione di poetica interna, perché definisce il ruolo dell’uditore legittimo e ideale del canto di Femio.

Tuttavia, Telemaco non si limita a prendere le parti dell’Implizit Hörer del canto aedico. Mentre la versione dei ritorni che Femio intona risulta la più nuova all’orecchio dei Proci soltanto per la contemporaneità della materia e non certo per l’originalità del canto o per il fatto che per la prima volta è da loro ascoltato (anzi: questa doveva essere una delle οἶμαι più eseguite durante il loro banchetto), Telemaco è in una condizione ben diversa dagli altri uditori al momento del canto. Alla luce delle informazioni ricevute da Atena-Mentore, egli percepisce il canto dei νόστοι, che tante volte deve aver udito in precedenza, come il più nuovo di tutti (ἀοιδὴ νεωτάτη), perché narra vicende ancora in corso ed è destinato a completarsi soltanto con il ritorno di Odisseo a Itaca, vale a dire con l’Odissea stessa: l’aggettivo νέος fa dunque riferimento alla continuità dell’argomento odissiaco con l’οἴμη tradizionale dei νόστοι (νεωτάτη nel senso del ‘più recente dei ritorni’) e, allo stesso tempo, all’assoluta peculiarità del ritorno dell’eroe rispetto agli altri già celebrati (νέος nel senso di ‘il più nuovo dei ritorni’). Su un piano metapoetico, si può ipotizzare che l’espressione ἀοιδὴ νεωτάτη pronunciata da Telemaco rifletta il giudizio dell’uditore reale dell’Odissea, che bene è a conoscenza di questa ‘novità’ del canto di Femio105

.

In particolare, mi sembra che Telemaco si faccia portavoce di una mutata concezione di κλέος, nella sua duplice omerica accezione di ‘gloria ottenuta attraverso le imprese’ e ‘canto che celebra imprese’106. Nell’intervento appena precedente di Penelope il termine κλέος fa riferimento

alle glorie ottenute da Odisseo in terra troiana, ricordate da Penelope al momento del canto di Femio e da lei percepite in stridente contrasto con un νόστος ancora incerto e irrisolto (vv. 343s., τοίην γὰρ κεφαλὴν ποθέω μεμνημένη αἰεὶ,/ ἀνδρὸς, τοῦ κλέος εὐρὺ κάθ᾿Ἐλλάδα καὶ μέσον Ἄργος). A questo punto, Penelope non può far altro che chiedere a Femio di smettere, dal momento che con il canto dei ritorni è venuta meno quella funzione consolatoria che il κλέος iliadico del marito esercita ancora su di lei. Al contrario Telemaco, dopo la conversazione con Atena/Mentore, apprende dell’esistenza di un’altra forma di κλέος, che non si identifica più con le imprese della

105 A tal proposito, mi sembra più che plausibile l’ipotesi di alcuni studiosi, secondo cui la differenza di reazione tra madre e figlio riflette in qualche modo lo scarto generazionale del pubblico dell’Odissea rispetto a quello che lo ha preceduto e, dunque, anche la sua maggiore predisposizione verso le nuove tendenze letterarie. Cf. Grandolini 1996, 106 e Perceau 2002, 219 n. 125.

106 Nei poemi omerici il termine κλέος è investito di diversi significati, da quello più prosaico di ‘notizia’ (l’unico al quale, secondo Olson [1995, 1-23], vanno ricondotte tutte le occorrenze omeriche di κλέος) si passa a quello di ‘reputazione’, intesa come metro di giudizio da applicare verso sé stessi e verso gli altri. Cf. LfrgE II 1438-1440 s.v. Per l’identificazione di κλέος con il termine tecnico che definisce la poesia epica, cf. Nagy 1974, 231-261 e in particolare 250: «the actions of gods and heroes gain fame through the medium of the Singer and the Singer calls this medium kleos».

43 guerra di Troia, bensì con il κλέος di vendetta sui Proci, che viene profeticamente anticipato attraverso il paradigma di Oreste, dalla stessa Atena (Od. I 297-300 ἦ οὐκ ἀΐεις οἷον κλέος ἔλλαβε δῖος Ὀρέστης/ πάντας ἐπ᾿ἀνθρώπους, ἐπεὶ ἔκτανε πατροφονῆα,/ Αἴγισθον δολομῆτιν, ὅ οἱ πατέρα κλυτὸν ἔκτα;). In questo momento della narrazione, Telemaco viene a conoscenza di una caratteristica strutturale della narrazione odissiaca , al pari del narratore e dell’uditore primari: il κλέος e νόστος di Odisseo non sono in rapporto di mutua esclusione tra loro, ma sono invece eccezionalmente complementari. Mentre infatti i νόστοι luttuosi narrati da Femio, e precedenti a quello odissiaco, sono attraversati da eventi luttuosi che compromettono il κλέος già acquisito o, nella migliore delle ipotesi, lo confermano senza accrescerlo (Achille), Odisseo non soltanto conserverà il κλέος ottenuto in precedenza, ma conoscerà anche quello del ritorno e della vendetta107.

Questa continuità temporale del κλέος odissiaco, che comprende senza soluzione di continuità le compiute imprese iliadiche e quelle del ritorno ancora da compiersi, comporta anche un’eccezionale continuità del suo κλέος poetico. Nelle poche riflessioni dei personaggi iliadici sull’argomento, esso viene descritto come canto tradizionale di imprese altrui avvenute nel passato (i.e. i κλέα ἀνδρῶν oggetto del canto di Achille in Il. IX 189) o alternativamente come vagheggiamento di una celebrazione futura, dal momento che soltanto i posteri possono eternare nel canto i destini che si compiono nel presente108, ma in nessun caso, comunque, il κλέος costituisce un possesso personale e testimoniabile in prima persona.

Nell’Odissea, invece, l’eroe è eccezionalmente contemporaneo al proprio κλέος e testimone in vita della sua fissazione nel canto. Di questa peculiare condizione ‘metapoetica’ è consapevole anche lo stesso Odisseo, come ci dimostra il momento dell’ἀναγνώρισις presso i Feaci all’inizio del libro IX. Il canto di Demodoco è stato appena stato interrotto da Alcinoo a causa del ripetuto pianto di Odisseo: l’eroe, ascoltando eventi della guerra di Troia che l’hanno coinvolto personalmente,

107

Sulla superiorità di Odisseo su tutti gli altri eroi Argivi, in quanto detentore a un tempo di κλέος e νόστος, vedi Nagy 1979; Edwards 1985, 89-91. Così anche Goldhill 1991, 99: «Odysseus […] not only has the kleos of his feats in Troy- that are recalled by Helen, Menelas and Demodocus in particular- but also achieves the kleos of a successful return and a completed revenge. Odyssseus’ triumph is a trumping on the achievements of the other heroes.». Il più influente modello iliadico scavalcato da Odisseo è quello di Achille che, scelto il κλέος a discapito del ritorno in patria e di una vita lunga, è divenuto per tutti gli eroi che gli sono sopravvissuti paradigma di ‘morte gloriosa’ e di κλέος ἄφθιτον (cf. le profetiche parole del Pelide in Il. IX 412s.): Odisseo, che durante l’incontro con l’anima di Achille nella prima νέκυια auspica per sé una fine simile e lo definisce il più fortunato dagli Achei (Od. XI 482-486), si troverà di fatto a superare Achille-e con lui il modello eroico iliadico par excellence- ottenendo anche il ritorno.

108 Nell’Iliade il κλέος abitualmente coincide con la gloria acquisita sul campo di battaglia e rappresenta la legittimazione più alta dell’individualità eroica. Ciò che preme in questa sede osservare è che in quest’accezione il κλέος non è mai un possesso, ma un obiettivo da raggiungere; un risultato di cui l’eroe non può essere testimone in vita, ma che ha una dimensione soltanto post mortem e in aeternum. Cf. le parole di Achille in Il. IX 412-416, nonché la formula τὸ δ᾿ἐμὸν κλέος οὔ ποτ᾿ὀλεῖται pronunciata da Ettore in Il. VII 91. La medesima prospettiva è presente anche nelle poche riflessioni iliadiche sul κλέος poetico (cf. in particolare le parole di Elena in Il. VI 356-358). Sul concetto, vedi Marg 1957, 11s. «Ruhm, weiter nd dauernder, über den Tod hinaus, ist das große Verlangen der Homerischen Helden. Ihn gibt vor allem der Sänger, der die Kunde befestigt und weiterträgt».

44 riacquista consapevolezza del suo glorioso passato e, in perfetto pendant con la reazione di Penelope al canto di Femio nel libro I, ne sente il forte stridore con l’incertezza del tempo presente fino a consumarsi di lacrime. A differenza della regina, Odisseo tenta di occultare il dolore procuratogli dalle vicende narrate e anzi, incoraggia Demodoco chiedendogli di cantare il più famoso dei suoi δόλοι iliadici – il cavallo di Troia –, ben consapevole che nessuno meglio di lui è in grado di valutare la veridicità di quel racconto (VIII 487-498). Gli occhi si bagnano di nuovo e, a questo punto, Odisseo è costretto da Alcinoo, che ormai ha compreso la causa della reazione dell’ospite, a rivelare la propria identità (IX 19s.): εἴμ᾿Ὀδυσεὺς Λαερτιάδης, ὃς πᾶσι δόλοισι/ ἀνθρώποισι μέλω, καί μευ κλέος οὐρανὸν ἵκει.

Dalle numerose peculiarità stilistico-linguistiche della formula di ‘disvelamento’, si evince che Odisseo non sta semplicemente ottemperando alle consuete norme di ospitalità che impongono di riferire le sue origini a chi le ha richieste, ma sta enunciando un pensiero più profondo109. In particolare, l’uso del verbo μέλω in costruzione personale e alla prima persona è un hapax morfosintattico in Omero e la sua accezione semantica risulta volutamente ambigua: al significato concreto di «essere motivo di preoccupazione a causa delle astuzie» che ben si accorda all’immagine di un Odisseo πολύμητις appena ricostruita da Demodoco, si affianca quello figurato di «essere noto, conosciuto per le astuzie» e, di conseguenza, «essere noto come materia di canto». In quest’ultima accezione, il verbo μέλειν è attestato soltanto una volta in Omero, in cui si allude alla popolarità della nave Argo (Od. XII 69s. οἴη δὴ κείνῃ παρέπλω ποντοπόρος νῆυς/ Ἀργὼ πᾶσι μέλουσα, κτλ); successivamente ricorre nella teognidea elegia di Cirno, in cui al fanciullo è garantita una fama immortale perpetuata attraverso il canto simposiale (Thgn. 245s. οὐδέποτ᾿οὐδὲ θανὼν ἀπολεῖς κλέος ἀλλὰ μελήσεις/ ἄφθιτον ἀνθρώποις αἰὲν ἔχων ὄνομα). Nel caso omerico, il verbo μέλω è riferito a un oggetto mitico ampiamente celebrato e dunque a un’οἴμη ormai tradizionale (i.e. la nave Argo); nell’elegia teognidea è il poeta che, attraverso la promessa della celebrazione futura e post-mortem (μελήσεις) di Cirno, ipostasi convenzionale per tutti i destinatari del canto simposiale, assicura ripetibilità e universalità al proprio canto.

109 Numerosi studiosi hanno riscontrato nella formula dell’ἀναγνώρισις dell’eroe una maggiore insistenza sull’identità