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L’exemplum di Orfeo: la nascita della lira ποικίλη (vv 221-224)

I versi che aprono la sezione del catalogo dedicata a Orfeo (221s.) presentano un problema testuale. Il papiro reca ποικιλόμουσος e, a seguire, una sequenza di lettere

inoltre le osservazioni di Reimschneider 1941, 926: «Der überschwängliche und etwas gehässige Ton des Timotheos und die Tatsache, daß er in seinem Überblick über die Geschichte der Kitharodie Pers. 234ff. P[hrynis] überhaupt nicht erwähnt, lassen ein persönliches Lehrer-Schüler-Verhältnis zwischen beiden wohl ausgeschlossen erscheinen. Eine Beeinflussung hat trozdem sicher stattgefunden Arist. met. 993b».

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Per l’introduzione di μέτρα λελυμένα nel nomos tradizionale da parte di Frinide e il successivo perfezionamento dell’innovazione da parte di Timoteo, cf. Procl. Chrest. ap. Phot. Bibl.. 320b Bekker, v. 160s. Henry; citiamo qui anche le fonti che riferiscono dell’incremento di due corde alle sette del canonico strumento da parte di Frinide, innovazione che prelude all’incremento di Timoteo fino al numero di 11 corde: Plut. Agis 10,7; Plut. de prof. virt. 84a; Plut. apopht. lac. 220c.

647 Per il significato del termine cf. West 1992, 182: «it seems to combine the notions of Ionian modes and persistent modulation». Alle modulazioni tipiche della Nuova Musica viene associata l’esecuzione di melodie ioniche, considerate lascive ed effeminate. Cf. Ar. Eccl. 883; Plat. Rep. III 398e). Così anche Hordern 2002, 259 ad l.

648Per l’attribuzione del medesino lessico agli eccesi virtuosistici di Frinide, si confrontino le parole del discorso Giusto nei confronti dei ‘nuovi virtuosi nelle Nuvole aristofanee (Ar. Nub. 969-971 εἰ δέ τις αὐτῶν βωμολοχεύσατ᾿ἢ κάμψειέν τινα καμπήν, / οἵας οἱ νῦν τὰς κατὰ Φρῦνιν ταύτας τὰς δυσκολοκάμπτους, κτλ) e l’accusa della Μουσική contro Frinide nel Chirone di Ferecrate (Pher. fr. 155, 14s. K.-A. apud [Plut.] De mus. 1141c Φρῦνις δ᾿ἴδιον στρόβιλον ἐμβαλών τινα / κάμπτων με καὶ στρέφων ὅλην διέφθορεν, κτλ.; le stesse sovversive pratiche sono attribuite nel medesimo frammento anche al ditarambografo Cinesia ai vv. .8s. Il sostantivo καμπή e il verbo κάμπτω, che originariamente appartenevano al lessico agonistico della corsa a piedi o con il τέθριππον e indicavano il momento in cui bisognava girare attorno a una colonnina, slittano in ambito musicale, dove designano in senso traslato virtuosistici tour de force in cui lo strumento o la voce venivano piegati ad eseguire un’ampia varietà modulazioni melodiche, passando dall’una all’altra con una velocità piuttosto sostenuta. Per il valore metaforico del lessico in Aristofane, cf. Campagner 2001, 175s. s. vv. καμπή e κάμπτω; vedi inoltre Taillardat 1965, § 784, 456-459. Per le diverse interpretazioni tecniche di καμπή si vedano Düring 1945, 183s.; Lasserre 1954, 145; Restani 1983, 162; Barker 1984, 93; West 1992, 356; Hagel 2010, 81-87: Franklin 2013, 213-236, in particolare 226-231.

190 chiaramente corrotta (ΟΡΙΥϹΥΝ). Il primo a intervenire è Wilamowitz, il quale propone di emendare in Ὀρφεύς <χέλ>υν e di correggere il nominativo ποικιλόμουσος nel corrispondente accusativo ποικιλόμουσον, parafrasando i due versi in τὴν πολύχορδον κιθαρωιδίαν πρῶτος ηὗρεν Ὀρφεύς, κτλ649

. A parte alcune voci dissenzienti650, la maggioranza degli studiosi si è trovata d’accordo con l’inserimento del nome di Orfeo; tuttavia, non hanno destato consenso unanime la correzione del nominativo ποικιλόμουσος in accusativo e, soprattutto, l’integrazione <χέλ>υν come oggetto di ἐτέκνωσεν: A mettere in dubbio le scelte del primo editore è Jurenka, che propone di integrare ποικιλόμουσον Ὀρφεὺς <λ>ύ<ρα>ν ἐτέκνωσεν: lettura plausibile a livello di senso, ma che tuttavia sembra una semplificazione banalizzante della soluzione di Wilamowitz651. Dopo di lui Blass propone Ὀρφεὺς ὕ<μ>ν<ους> ἐτέκνωσεν652

e la congettura è successivamente adottata da Aron, sia su basi paleografiche («ΥΜΝ wurde leicht zu ΥΝ […] und daß die Endungen der Worte leicht beim Schreiben fortgelassen werden, wissen wir aus einiger Erfahrung und aus Handschriften»), che prettamente letterarie (e.g., la celebre definizione di Orfeo come ‘padre di canti’ in P. 4, 177). Lo studioso si pronuncia inoltre a favore del tràdito ποικιλόμουσος, che farebbe genericamente riferimento all’attività citaredica di Orfeo653

. Infine Hordern, che pone tra cruces l’oggetto di ἐτέκνωσεν, segnala in apparato la proposta di Hutchinson di integrare in Ὀρφεύς <τέχν>ην (τέχναν) ἐτέκνωσεν, la cui corruzione sarebbe giustificata da un’aplografia di sequenze ravvicinate e simili (ΤΕΚΝ ~ ΤΕΚΝ); così anche Bernabé654.

Da questa rassegna di proposte testuali, si coglie come editori e commentatori abbiano rinunciato nella maggior parte dei casi a intervenire in base di ragioni paleografiche: ciò è del

649 Vedi Wilamowitz 1903, 27.

650 Cf. Reinach, il quale propone di leggere nella corrotta sequenza ΟΡΙΥϹΥΝ il sostantivo κροῦσιν e così traduce: «Le premier, le fils de Calliope (Orphée), à la muse variée, inventa en Piérie le jeu des cordes sonores». Cf. Reinach in Calvé 2010, 41 e n. 21. Tuttavia, va detto che il termine κροῦσις, le cui occorrenze sono piuttosto tarde e sempre con il valore tecnico e specifico di «accompagnamento musicale a una performance cantata o recitativa», poco si integra nel lessico marcatamente evocativo dell’affermazione su Orfeo. Fra coloro che più si sono allontanati dalla proposta del primo editore vi è Danielsson, il quale crede di riconoscere nella sequenza tràdita il termine hapax ποικιλομουσοαριστύν e lo traduce «das blunte (tonreiche) Musengekose». A sostegno dell’ipotesi vengono menzionate la complessità e novità del composizione nominale che sono entrambi tratti caratteristici della dizione ditirambica e l’analogia semantica della neoformazione con il valore di ὄαροι (cantus) in Pind. P. 1,98; lo studioso nota infine che la presenza dell’antonomasia υἱὸς Καλλιόπας di v. 223 rende del tutto pleonastica l’integrazione del nome di Orfeo. Cf. Danielsson 1903/04, 39. Le obiezioni all’ipotesi sono numerose: da un punto di vista logico e semantico, la traduzione del composto come «conversazione dai molti toni con le Muse (o delle Muse)» contiene una componente eccessivamente γριφῶδες rispetto ai suoi ben più espliciti corrispettivi sintattici nei due successivi medaglioni di πρῶτοι εὑρεταί (μοῦσαν al v. 236 e κίθαριν al v. 231); inoltre, come si è detto, la presenza del nome di Orfeo è tutt’altro che pleonastica nel catalogo elaborato da Timoteo. D’altra parte, la soluzione di Danielsson presenta delle enormi difficoltà anche dal punto di vista metrico: infatti, si sarebbe costretti a inserire nella serie compatta di gliconei e ferecratei un’incongrua sezione in cola dattilici (v. 220 4da. ̂ ̂ ; 221 adon.; 222 hemm; 223 adon.; 224 5da.; 225 adon.) che rompe gravemente la continuità metrica. Oltre a Danielsson, segnalo la proposta decisamente più recente di Lambin 2003, 362, nn. 21 e 22. Lo studioso, che pure sceglie prudentemente di lasciare il testo tràdito tra cruces, propone nel suo commento di rinunciare al nome di Orfeo e di emendare i vv. 220s. in πρῶτος ποικιλόμουσος τὰς ἀοιδὰς συνετέκνωσεν, intesi come un unico verso composto di cola gliconici in sinafia o, alternativamente, di un ferecrateo e un gliconeo eliminando τάς650. Tuttavia l’ipotesi, oltre a essere paleograficamente implausibile, è arbitrariamente concepita come una letterale reminiscenza della definizione di Orfeo in Pind. P. 4, 177 φορμιγκτὰς ἀοιδᾶν πατήρ. Altrettanto discutibile è la motivazione addotta all’emendamento συνετέκνώσε, secondo la quale il prefisso συν- starebbe ad indicare la paternità congiunta di Apollo e delle Muse – dunque di Hermes e di Orfeo- sul canto: va detto, infatti, che il verbo τεκνόω all’attivo designa generalmente il concepimento di parte maschile (cf. LSJ9

1768 s.v. τέκνόω ΙΙ). 651 Vedi Jurenka1903, 581.

652 Cf. Blass 1903, 657 e 665; id. 1906, 274. 653 Cf. Aron 1920, 32s.

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191 tutto comprensibile alla luce della scrittura poco sorvegliata del papiro e alla trascuratezza dello scriba, i cui errori in alcuni punti denotano una scarsa consapevolezza del significato del testo copiato. Ciò è vero per la corrotta sequenza ΟΡΙΥϹΥΝ, in cui l’unico criterio applicabile per l’emendatio è l’aderenza al contenuto dei vv. 220s. e al loro significato nel contesto del catalogo costruito da Timoteo. Se si accetta questo ragionamento preliminare, l’originaria proposta di Wilamowitz sembra ancora la più adeguata: difficilmente può essere messa in dubbio la bontà dell’integrazione Ὀρφεύς, che si adatta perfettamente alla struttura di questo succinto catalogo di citaredi illustri, in cui ciascuna ‘voce’ è costituita nell’ordine dal nome proprio, dal contributo artistico e in ultimo dalla provenienza geografica di ciascun poeta. La menzione della sua parentela con la musa del canto Calliope non costituisce in sé un’espressione sostitutiva del nome, bensì come un riferimento all’illustre rapporto di Orfeo con il canto655

, al pari della menzione di Lesbo, terra ἀοιδοτάτη par excellence, in relazione a Terpandro al v. 227. Altrettanto adeguata al contesto appare la congettura χέλυν: infatti il termine, che designa il carapace della tartaruga da cui originariamente è stata ricavata la cassa di risonanza, costituisce un simbolo archetipico dello strumento a corde656 e nella tradizione letteraria dell’Inno omerico a Hermes il termine è associato a nascita, invenzione e sonorità della lira (HH 4, 25s. Ἑρμῆς τοι πρώτιστα χέλυν τεκτήνατ᾿ἀοιδόν, / ἥ ῥά οἱ ἀντεβόλησεν ἐπ᾿αὐλείῃσι θύρῃσι κτλ.)657

. Mi sembra dunque del tutto plausibile che Timoteo recuperi questo trattamento letterario del termine χέλυς, pur attuando su di esso una funzionale opera di risemantizzazione: lo strumento che fu un tempo concepito, inventato e sperimentato per la prima volta da Ermes658 è divenuto l’arte citaredica inventata e sperimentata da Orfeo.

A favore di questa soluzione interpretativa si possono citare diversi indizi, interni ed esterni al testo di Timoteo. In primo luogo, come è stato osservato da Ercoles, questa metonimia del

655 Anche la trattatistica erudita riserva particolare attenzione all’origine divina dei singoli poeti e del loro rapporto con la msica: si veda la presentazione di Anfione in Eraclide Pontico (fr. 157 Wehrli ap. [Plut.] De mus. 3 1131f τὴν κιθαρῳδίαν καὶ τὴν κιθαρῳδικὴν ποίησιν πρῶτόν φησιν Ἀμφίονα ἐπινοῆσαι τὸν Διὸς καὶ Ἀντιόπης, τοῦ πατρὸς δηλονότι διδάξαντος αὐτόν. Cf. Ballerio 2000, 18s. n. 10. La studiosa osserva che l’origine divina dell’arte musicale di Anfione le conferisce anche un forte potere taumaturgico, come nel caso di Orfeo. Sulle affinità tra i due poeti e sulla confusione tra i due nell’aneddotica che li riguarda, cf. rispettivamente Plat Ion. 553 = 973 T II Bernabé; Paus. VI 20,18 = 964 T II Bernabé e Ps.-Callisth. Hist. Alex.Magn. rec. E 12,6 (46, 2 Trumpf) = 965 T II Bernabé.

656 Sulle raffigurazioni di Ermes con una χέλυς , tartaruga in ricordo dell’invenzione della lira, cf. Settis 1966, 83-94. 657 Si vedano anche HH 4, 153 e 242, dove χέλυς è utilizzato in assoluta interscambiabilità con λύρα e φόρμιγξ a designarel’eptacordo; cf Càssola 1975, 166. Il medesimo strumento viene invocato da Saffo come δῖα e φωνάεσσα in fr. Sapph. fr. 118, 1, V. Dalle scarsissime occorrenze in epoca arcaica si può ipotizzare che il termine fu ben presto percepito come poeticamente marcato e che in epoca classica fosse ormai considerato un preziosismo letterario (cf. i sintagmi euripidei καθ᾿ἑπτάτονόν τ᾿ὀρείαν χέλυν in Alc. 446s. e παρά τε χέλυος ἑπτατόνου in HF 683). La patina arcaica del termine potrebbe aver giustificato la sua scelta da parte di Timoteo, al pari dell’epico κίθαρις.

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La tradizione attribuisce l’invnezione dello strumento a corde alternativamente a Hermes, Apollo, Terpandro; tuttavia, alcuni testimonia tracciano una linea di continuità tra la costruzione della lira a opera di Hermes, il suo passaggio nelle mani di Apollo che fu il primo a perfezionare l’arte del κιθαρίζειν e infine l’insegnamento di quell’arte a Orfeo, archegeta dei citaredi umani. Cf. Musaeus 26 T III Bernabé e [Orph.] 975-977 II/2 Bernabé. Su queste testimonianze, cf. anche Vergados 2013, 89s. e n. 24.

192 concreto (strumento) con l’astratto (arte citaredica) non è isolata nella sphragis: nell’automenzione di Timoteo che conclude il catalogo di innovatori, il sostantivo κίθαρις indica, more homerico, tanto la lira quanto l’arte di suonarla (cf. infra ad v. 231). Aggiungo che l’ipotesi secondo cui Timoteo avrebbe applicato questo medesimo meccanismo retorico al termine χέλυς permette di cogliere nella serie degli accusativi χέλυν (v. 220), μοῦσαν (v. 227) e κίθαριν (v. 231) un perfetto parallelismo, sul piano sintattico e semantico. Infatti, tutti e tre i termini qualificano l’arte citaredica e ne rappresentano le diverse tappe evolutive: il concepimento a opera di Orfeo, l’accrescimento a opera di Terpandro, la rigenerazione a opera di Timoteo.

D’altra parte, la tradizione che presentava Orfeo come πρῶτος κιθαρῳδός è ormai ben affermata all’epoca di Timoteo659

. Già Pindaro lo annovera tra i citaredi discendenti da Apollo in Pind. P. 4, 177s. ἐξ Ἀπόλλωνος δὲ φορμιγκτὰς ἀοιδᾶν πατήρ / ἔμολεν, εὐαίνητος Ὀρφεύς660: l’evocativa espressione pindarica è chiaramente riecheggiata dai vv. 220s. dei Persiani, come si evince dalla comune applicazione della metafora ‘generativa’ all’attività poetica orfica (φορμιγτὰς πατὴρ ἀοιδᾶν ~ ποικιλόμουσον χέλυν ἐτέκνωσεν). Aggiungiamo che nell’Ipsipile euripidea, pressoché contemporanea ai Persiani di Timoteo nella proposta di datazione sopra avanzata, Orfeo è il mentore di un’intera stirpe di sacerdoti-ministri attici, il cui capostipite Euneo – progenie di Ipsipile e Giasone - fu istruito personalmente dal cantore trace nell’arte citaredica (Eur. Hyps. TGrF V/2 64 ii, 1622 μοῦσάν με̣ κι̣θάρας ᾿Ασιάδος διδασκεται [scil. ᾿Ορφεύς]). Questo passaggio della figura di Orfeo da musicista mitico a primo citaredo storico ha delle testimonianze anche nella trattatistica erudita tra V-IV sec. a.C. e nella prosa letteraria di IV sec.a.C., le quali gli riconoscono la composizione di canti: ricordiamo in questa sede che Glauco di Reggio riferisce dell’assoluta anteriorità artistica di Orfeo rispetto a tutti i citaredi e aulodi, nonché dell’influenza che i suoi canti esercitarono su Terpandro ([Plut.] De mus. 4, 1132e). In un passo dello Ione platonico in cui una serie di generi musicali e poetici vengono associati ai corrispettivi illustri archegeti, Tamiri fa capo

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Accanto al successivo dossier di passi, si segnalano anche le numerose testimonianze letterarie di epoca arcaica e classica che valorizzano il potere taumaturgico della musica di Orfeo. Tra gli altri il succitato Bacchyl. 29(d), 6-8 M.; Aesch. Ag. 1629s.; Eur. Bacch. 560-564; Eur. IA 1211-1214; vedi inoltre Ap. Rh. I 26-31 e 572-574. Per il completo prospetto dei testimonia, cf. 943-959 T, II 430-435 Bernabé.

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La caratterizzazione di Orfeo come εὐαίνητος riecheggia la menzione ibicea del cantore come ὀνομάκλυτον Ὀρφήν, la quale tuttavia, pur alla luce di questa ripresa, è destinata a rimanere oscura (Ibyc. PMGF 306 ap. Priscian. Inst. VI 92, Gramm. Lat. II, 4 Keil). A proposito dei versi della Pitica, va segnalato che gli scoli ci riportano interpretazioni contrastanti dell’espressione ἐξ Ἀπόλλωνος tra gli antichi: mentre Ammonio l’intende in senso traslato come un riferimento alla filiazione artistica di tutti i poeti da Apollo, secondo una convinzione ben testimoniata nell’epica (Hes. Th. 94s. ἐκ γάρ τοι Μουσέων καὶ ἑκηβόλου Ἀπόλλωνος / ἄνδρες ἀοιδοὶ ἔασιν ἐπὶ χθόνα και κιθαρισταί, κτλ.), secondo Charis il complemento esprime una parentela stricto sensu tra Orfeo e Apollo, attestata in alcune, seppur minoritarie, testimonianze letterarie. Cf. schol. 313a, II, 139s. Drach. Per le testimonianze di Apollo come padre di Orfeo, cf. 895- 898 T, II, 406s. Bernabé. Tuttavia, come nota opportunamente Giannini nel suo commento ai versi della Pitica, la paternità apollinea sarebbe in contraddizione con un frammento pindarico in cui Orfeo viene designato come figlio di Eagro (fr. 128c, 11s. M. υἱὸν Οἰάγρου <δὲ> / Ὀρφέα χρυσάορα) e sembra dunque più verosimile pensare che in questo caso Apollo sia menzionato come protettore della musica e del canto, esattamente il ruolo in cui Timoteo lo invoca all’inizio della sphragis (vv. 202s.).

193 alla citaristica, mentre Orfeo alla citarodia (Plat. Ion. 533b οὐδ᾿ἐν αὐλήσει γε οὐδὲ ἐν κιθαρίσει οὐδέ ἐν κιθαρῳδίᾳ οὐδὲ ἐν ῥαψῳδίᾳ οὐδέπωτ᾿εἶδες ἄνδρα ὅστις περὶ μὲν Ὀλύμπου δεινός ἐστιν ἐξηγεῖσθαι ἢ περὶ Θαμύρου ἢ περὶ Ὀρφέως ἢ περὶ Φημίου τοῦ Ἰτακησίου ῥαψῳδοῦ, κτλ). A ciò si aggiunga che nell’iconografia vascolare attica di questo periodo Orfeo viene spesso raffigurato in costume greco nell’atto di suonare la χέλυς davanti a uomini e donne di Tracia e che a tale raffigurazione si aggiunge talvolta anche il simbolo ‘musicale’ della tartaruga; inoltre, alcuni vasi a partire dal 530 a.C. sembrano testimoniare contatti tra l’iconografia di Orfeo e quella del citaredo di professione661.

Va infine ricordato che in epoca classica si afferma lo statuto di πρῶτος ἑυρετής di Orfeo, nel campo della composizione musicale e non solo: secondo Crizia, egli fu l’inventore del verso esametrico (Kritias B 88 F 3 D-K ap. Mall. Theodor. De metr. VI 589, 20 Keil metrum dactylicum hexametrum inventum primitus ab Orpheo C. asserit), mentre nelle Rane aristofanee il suo nome è inserito in un succinto catalogo di utili insegnamenti di poeti antichi (tra cui Esiodo e Omero) ed è collegato all’introduzione delle pratiche misteriche nel consorzio umano (Ar. Ran. 1031-1033 ὡς ὠφέλιμοι τῶν ποιητῶν οἱ γενναῖοι γεγένηνται. / Ὀρφεὺς μὲν γὰρ τελετάς θ’ ἡμῖν κατέδειξε φόνων τ’ ἀπέχεσθαι, / Μουσαῖος δ’ ἐξακέσεις τε νόσων καὶ χρησμούς, κτλ.)662

.

Data quest’immagine di Orfeo come πρῶτος εὑρετής, rimane da chiarire la posizione e il significato dell’aggettivo hapax ποικιλόμουσος, «dalla variegata musica». La sua attribuzione al sostantivo χέλυς proposta da Wilamowitz – e non a Orfeo, come da papiro- trova sostegno in una serie di paralleli pindarici, in cui i composti a base ποικιλο- sono riferiti all’accompagnamento dello strumento a corde: in O. 3,8s., il χρέος di lode verso Anesidamo consiste in φορμίγγα τε ποικιλόγαρυν καὶ βοὰν αὐλῶν ἐπέων τε θέσιν σύμμεῖξαι πρεπόντως e in O. 4,3 le Horai inviano il poeta a celebrare la lode ὐπὸ ποικιλοφόρμιγγος ἀοιδᾶς ἑλισσόμεναι; altrove Pindaro si rivolge al suo laudandus Timasarco dicendo che se il padre Timocrito fosse ancora in vita, canterebbe per lui un inno di vittoria ποικίλον κιθαρίζων (N. 4,14).

Per comprendere a pieno il significato di questi utilizzi, occorre considerate in modo più approfondito la polisemia dell’aggettivo ποικίλος, che nel suo trattamento pindarico trova la massima esemplificazione. Avendo la caratteristica peculiare di esprimere un flessibile concetto di movimento e molteplicità, il termine può essere riferito a diverse sfere sensoriali, a oggetti reali

661 Per l’iconografia di Orfeo citaredo tra i traci, cf. LIMC VII/2 (1994) 57-60, nn. 7-14, 16, 22-28 e Xeni-Garezou in VII/1 (1994, 84s.). Per la possibile raffigurazione di Orfeo come citaredo professionista in costume greco, la studiosa segnala un’oinochoe attica risalente al 530 a.C., dove la figura è corredata dall’iscrizione ΧΑΙΡΕ ΟΡΦΕΥ e un lekythion, sempre attico del 460 a.C., in cui l’iconografia del citaredo presenta uno schema figurativo affine a quello di Orfeo. Cf. LIMC VII/1, 97, nn. 170-177.

662 Sulla stretta connessione del verbo καταδείκνυμι con l’opera dei πρῶτοι εὑρεταί, cf. Thraede 1962, 163s. e Gonda 1929, 44. Per un’evoluzione della figura di Orfeo come cantore e poeta nelle testimonianze letterarie cf. Ziegler 1939, 1257-1254; Bernabé 2002, 61-78; Ercoles 2009, 49-67.

194 come a concetti astratti e assumere, a seconda del suo contesto di applicazione, sfumature semantiche e connotazioni differenti: a causa di questa versatilità e ambiguità d’uso, l’aggettivo è dotato di un forte potere evocativo. Se riferito alla sfera visiva, il termine può avere una sfumatura coloristica e indicare la varietà di sfumature su una superficie screziata (Pind. P 4,214 ποικίλον ἴυγγα e P. 8,46 δράκοντα ποικίλον663

); se è applicato alla manifattura di un oggetto, ne indica la complessa elaborazione e ne implica dunque l’alta qualità estetica. Tale concetto nobilitante di sofisticatezza e lavorazione è veicolato dall’aggettivo anche quando esso è applicato a nozioni astratte come il canto e il suono664. In Pindaro, che spesso utilizza la metaforica artigianale per descrivere la composizione poetica e identifica il canto come un ‘prodotto finito’ per il committente, il manufatto ποικίλος può coincidere con il componimento (fr. 179 S.-M. ὑφαίνω δ᾿Ἀμυθαονίδαισιν ποικίλον ἄνδημα e 192, 2 S.-M. εἶα τειχίζωμεν ἤδη ποικίλον κόσμον αὐδάεντα λόγων e N. 8, 14s. φέρων / Λυδίαν μίτραν καναχηδὰ πεποικιλμέναν); in altri casi, l’aggettivo viene riferito esplicitamente al canto per evocarne la complessità formale (cf. Ο. 6, 86s. ἀνδράσιν αἰχματαῖσι πλέκων/ ποικίλον ὕμνον; N. 5, 42 ποικίλων ἔψαυσας ὕμνων). L’attributo mantiene lo stesso significato e la stessa connotazione positiva quando esso è riferito al suono della lira che accompagna il canto ed evoca un’architettura di suoni elaborata e variata, che produce τέρψις su chi ascolta: non c’è traccia nell’impiego pindarico del termine di un’accezione metapoetica marcata e ‘tecnica’ (i.e. ποικιλία nel senso di ‘novità’ o ‘sperimentazione’)665

.

Tuttavia, deve essere considerato che proprio nel periodo della Nuova Musica i termini ποικίλος e ποικιλία conoscono un processo di radicale risemantizzazione e tecnicizzazione: essi si specializzano a indicare la spregiudicata variatio melodica e musicale, intesa in tutte le sue forme più eclatanti: produzione di suoni e ritmi discordanti (ἑτεροφωνία), eccessiva varietà dei suoni (πολυφωνία, πολυχορδία) e, in generale, l’allontanamento dall’originaria ἁπλότης musicale con nuove sperimentazioni. Questo slittamento semantico è ben testimoniato nella critica conservatrice e moraleggiante dei dialoghi platonici, come anche nei giudizi sugli innovatori musicali del V-IV sec. a.C. conservati nel de musica pseudoplutarcheo. In una riflessione sull’educazione musicale dei giovani aristocratici, Platone condanna la ποικιλία e πολυχορδία strumentale come tortuosità melodica e eccessiva varietà dei suoni che ostacolano l’apprendimento con la loro oscurità (Rep. III

663 Cf. anche Il. X 29s. παρδαλέῃ ποικίλῃ; E. Bacch. 249 ἐν ποικίλαισι νεβρίσι. 664

Un’eccezione rilevante a questa caratterizzazione positiva dell’aggettivo ποικίλος in Pindaro si manifesta quando essa non è associata all’elemento musicale, bensì alla parola e al pensiero: in questo caso, infatti, esso indica la sofisticata costruzione e l’artificiosità di un eloquio che persuade subdolamente o trae in inganno. Cf. Pind. O. 1, 29 δεδαιδαλμένοι ψεύδεσι ποικίλοις ἐξαπατῶντι μῦθοι e N. 5, 28s. πείσαισ᾿ἀκοίταν ποικίλοις βουλεύμασιν, / ψεύσταν δὲ ποιητὸν συνέπαξε λόγον, κτλ. Su quest’ultimo passo cf. Hubbard [1985, 101-106], il quale non esclude che l’aggettivo ποικίλος mantenga tale sfumatura semantica anche quando è riferito al canto e che ni questi casi faccia riferimento alla ‘enhancing deception’ del discorso eulogistico. Per l’associazione del termine con il lessico dell’inganno, cf. Detienne- Vernant 1978, 18s.

665

195 399d 7- 400a 3); in Leg. VII 812d 1 – e 5 Platone ritorna sul tema dell’educazione musicale e bandisce la ποικιλία intesa come «le chromaticisme, c’est-à-dire les variations infimes entre les genre et entre les différentes organisations et échelles harmoniques, le décalage entre les partitions instrumentale et vocale, mai aussi les nuances rythmiques» 666. Nel De musica, la ποικιλία designa tanto la complessità ritmica praticata dagli antichi nel rispetto del καλὸς τύπος ([Plut.] de mus. 21 1138b-c; si tratta forse di ποικιλία pindarica?667), come anche la complessità delle modulazioni di Timoteo e di Filosseno ([Plut.] De mus. 30 1141c)668.

Ritorniamo all’hapax ποικιλόμουσος di PMG 791, 220: da un punto di vista linguistico, esso è coniato sulla scorta dei composti della tradizione pindarica che designano il suono prodotto dalla lira e da un punto di vista semantico esprime la stessa vaghezza ed evocatività dei modelli ποικιλόγαρυς e ποικιλοφόρμιγγος. Tuttavia va osservato che Timoteo, conferendo una dizione tradizionale al composto e attribuendolo all’originario strumento del πρῶτος εὑρετής Orfeo, ricostruisce un’inclita tradizione letteraria anche per la propria ποικιλία, come già aveva inteso Wilamowitz nella sua succitata parafrasi τὴν πολύχορδον κιθαρωιδίαν ηὗρεν Ὀρφεύς669

. Tale concetto di ‘varietà musicale’ non deve essere tout court identificato, come sostiene Janssen, con un aumento delle corde della lira da sette a nove, testimoniatoci da Eratostene e da uno scolio agli Aratea di Germanico ([Orph.] 975 T II/2 Bernabé)670. Timoteo non ci offre elementi sufficienti per intuire possibili innovazioni di carattere musicale o organologico sottese al termine ποικιλόμουσος; anzi, è proprio la dizione arcaicizzante e vaga dei vv. 220s. (πρῶτος ποικιλόμουσος Ὀρ - / φεὺς

666 Cf. Wersigner 2001, 37. Sul passo si veda inoltre anche Barker 1995, 41-60. 667 Cf. Barker 1993, 53s.

668

Le cause e le circostanze socio-politiche sottese a questa demonizzazione della ποικιλία sono state brillantemente indagate da Csapo. Lo studioso osserva che nel contesto culturale ateniese alla fine del V sec. a.C. la crescente sperimentazione musicale comportava uno sconvolgimento nel modello di educazione elaborato dalle élites