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La presentazione della critica spartana (vv.206-210)

Dopo l’invocazione alla divinità, Timoteo identifica i propri critici con il popolo Spartano, tracciandone tuttavia un profilo tutt’altro che perspicuo. In particolare, la complessa fraseologia che costituisce il soggetto di δονεῖ ed ἐλᾷ (vv. 206s. ὁ μέγας εὐγενέτας μακραίων ἁγεμὼν βρύων ἄνθεσιν ἥβας…λαός) è stata variamente risolta dagli studiosi. Wilamowitz interpreta in parafrasi ὁ γὰρ μέγας τῆς Σπάρτης ἄρχων, ὁ ἐκ παλαιοῦ εὐγενὴς δῆμος, αὐξανόμενος διὰ θαλλούσης νεότητος, ipotizzando che con questa perifrasi Timoteo si stia riferendo al popolo spartano nella sua totalità. Esso viene definito εὐγενής μακραίων, «nicht etwa adlig und alt, sondern ‘von altem Adel’»: in questo modo Wilamowitz cerca di giustificare l’apperente contraddizione del termine μακραίων con con l’espressione βρύων ἄνθεσιν ἥβας552

.

A questa soluzione si oppone Janssen, il quale osserva che l’espressione utilizzata da Timoteo sembra includere soltanto quei nobili di nascita che governano sulla città e non l’intero popolo. L’editore propone di ricostruire come ὁ γὰρ εὐγενέτας λαός con il significato di ‘aristocrazia’ e di identificare nel sintagma μακραίων Σπάρπας ἁγεμών una sua apposizione; assegnando poi all’intera espressione un valore denigratorio, traduce: «for the aristocracy, the oppressive leader of Sparta since the days of old, teeming with blossoms of youth, etc.»553. Nella sua prospettiva filoateniese, Janssen non crede che il tono adulatorio dell’elogio e la presenza del

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Sul valore dell’invocazione simonidea, cf. Stehle 2001, 110-114.

550 È interessante osservare che l’etimologia maggiormente accreditata per il greco ἐπίκουρος fa risalire il termine alla radice *krs del lat. curro da cui *ἐπίκορσος, «Zuläufer». Cf. Solmsen, Etymologien, «ZVS» XXX (1890), 600s.; Frisk GEW I 357; Chantriane DELG 358; Poltera 1997, 444, § 466. Tuttavia, l’etimologia alternativa proposta da Deroy (L. Deroy, Les leveurs d’impôts dans le royamme mycénien de Pylos, Roma 1968, 17-19) interpreta il termine come *ἐπίκορϝος dalla radice *ker che significa «crescere» (cresco, κεράννυμι) e traduce il termine con ‘uomo di rinforzo all’organico’ (cf. PMG 791, 202s. ἀέξων).

551 Vale la pena di ricordare, per l’affinità di formulazione e di significato, anche l’invocazione rivolta da Lucrezio ad Afrodite come alleata della composizione poetica in apertura del de Rerum Natura: Lucr. I 24 te sociam studeo scribendis versibus esse/ quos ego de rerum natura pangere conor. Nel termine socia, al pari del simonideo ἐπίκουρος di cui sembra essere una consapevole ripresa, è valorizzata l’accezione di ‘sostegno, supporto, collaborazione’, mentre nel caso di Timoteo ben più accentuata è la sfumatura semantica di ‘soccorritore, difensore’. Ciò comporta anche una diversa interpretazione sintattica dei dativi che si accompagnano ai passi di Timoteo e Lucrezio, rispettivamente di vantaggio (ἐμοῖς ὕμνοις) e finale/ limitazione (scribendis versibus; cf. il commento ad l. di Bailey 1963, II, 597. A proposito del passo lucreziano, O’Hara ha opportunamente osservato come il termine socia, la cui traduzione greca è proprio ἐπίκουρος, nasconda un’allusione al filosofo ispiratore del poema, assimilato in questo caso alla divinità. Cf. O’Hara 1998, 69-74.

552 Cf. Wilamowitz 1903, 27 (parafrasi); ibid. 52.

553 Cf. Janssen 1989, 20s. Secondo lo studioso la presenza dell’aggettivo μέγας in «unfavourable meaning» potrebbe riecheggiare l’espressione μέγας βασιλεύς con cui comunemente era denominato il re di Persia. Cf. anche Hordern 2002, 235.

164 termine ἁγεμών proiettino l’affermazione di Timoteo in un periodo in cui il dominio della polis spartana si estendeva su tutta la Grecia (ἁγεμων = ἁγεμὼν Ἑλλάδος)554. L’intera menzione del popolo di Sparta non avrebbe valore storico-politico, bensì meramente ideologico, come sembra suggerire il tono vago ed evocativo: l’aristocratico popolo di Sparta costuituisce un’ipostasi di tutti i detrattori del poeta, comprese quelle frange del pubblico ateniese ancora ostinatamente conservatrici555.

In ultimo Hordern intepreta ὁ εὐγενέτας μακραίων Σπάρτας ἁγεμών come apposizione di λαός, cogliendovi, al pari di Wilamowitz, un riferimento al popolo spartano e non soltanto alla sua aristocrazia; alle argomentazioni di Janssen sul valore simbolico e poetico dell’ἁγεμὼν Σπάρτας, Hordern aggiunge che il tono cerimonioso di Timoteo, tutt’altro che sincero, veicola una certa celata ironia e che, su un piano stilistico, la compresenza di espressioni contraddittorie come μακραίων e βρύων ἄνθεσιν ἥβας ha la funzione di mettere alla berlina il conservatorismo in campo musicale di cui Sparta è esempio par excellence556.

La Stimmung ironica dell’elogio, segnalata da Hordern e ancor prima da Inama557, è ipotesi verosimile, suggerita dalla costruzione paratattica e ridondante, nonché da una semantica contraddittoria e poco perspicua che rende a dir poco grottesca e in nulla appropriata a un elogio sincero e solenne ogni traduzione, sia quella che scelga di non enfatizzare la contraddizione tra μακραίων e ἄνθεσιν ἥβας (e.g. Reinach, «L’antique et noble peuple spartiate, gran chef (de la Grèce) debordant d’une jeunesse florissante, etc.»; Paduano, «il nobile, antico,/ popolo degli Spartani, fiorente/ dei fiori della giovinezza,/ nostra grande guida, etc.»558), sia quella che, al contrario, tenda a evidenziarla (così Wilamowitz, «das altadige aber in immer frischer Jugend blühende Spartanervolk etc.»; Mazon, «le noble peuple de Sparte, qui, malgré ses longs jours, reste fécond en jeunes fleurs, etc.»; Bassett. «the populace of Sparta noble from old, bt young in manhood»559). Il carattere vago di questi versi non permette di trarre alcuna sicura conclusione su un’effettiva egemonia di Sparta sulla Ionia come vorrebbe Wilamowitz o su un appello rivolto a

554 Così Croiset in Calvié 2010, 61: «D’ailleurs, le vers 220, où le peuple de Sparte est appelé μέγας ἁγεμών, fait clairement allusion à la situation créée per les évenément de 404». La stessa conclusione è implicitamente tratta da Reinach [2010, 41] che traduce il termine ἁγεμών con «grand chef (de la Grèce)» e a favore di tale interpretazione si schiera Aron 1920, 41: «werden wir nicht Wilamowitzens Auffassung von v. 220, der ἡγεμών mit Σπάρτας in der Weise verbindet, daß damit der herrschende δᾶμος, der Spartiatenstand gemeint sei, sordern Reinach zustimmen müssen, der ἡγεμών als ἡγεμών τῆς Ἑλλάδος versteht». Così anche Bassett 1931, il quale però data il nomos dopo il 412 a.C., inizio del periodo di egemonia Spartana nella Ionia.

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Cf. Janssen 1989, 20.

556 Cf. Hordern 2002, 235s. ad l. Dopo di lui Lambin 2013, 142 n. 132: « Le vers est trop pompeux pour n’être pas ironique».

557 Vedi il commento di Inama 1903, 649: «a me queste parole suonano ironiche, e pel cumulo degli epiteti e per la contraddizione fra μακραίων e βρύων ἄνθεσιν ἥβας». L’ipotesi è direttamente respinta da Aron, secondo il quale il tono parodico dell’elogio sarebbe del tutto inappropriato alla solenne invocazione apollinea a incipit di sphragis e alla riconosciuta autorità di Sparta in questioni musicali. Cf. Aron 1920, 36.

558 Vedi Reinach in Calvié 2010, 41; Paduano 1993, 536. 559

165 uno specifico gruppo sociale come vorrebbe Janssen560; è molto più logico pensare che Timoteo, proprio attraverso l’ambiguità linguistica, voglia ironicamente sottolineare il no-sense delle accuse dei suoi critici ancor prima di esporle, mettendo in ridicolo quel conservativismo che Sparta incarnava agli occhi della Grecia e, si può supporre a maggior ragione, di un pubblico Ateniese561.

Sulla base di queste osservazioni, non mi sembra fuori luogo ipotizzare che i versi in questione, ben lungi dall’essere un elogio al dominatore spartano, abbiano piuttosto la struttura di uno straniante e inconsueto patchwork letterario in cui sono rielaborati ad hoc alcuni convenzionali motivi eulogistici della ‘spartanità’, come l’esercizio della giustizia attraverso il governo oligarchico, il valore guerriero e l’educazione musicale. Questa topica tradizionale è particolarmente sfruttata nella celebrazione poetica della città di Sparta sin da epoca arcaica, come ci testimonia Plutarco citando alcuni versi rispettivamente sotto i nomi di Terpandro (Terp. fr. 5 G. ap. Plut. Lyc. 21 53b-c ἔνθ᾿αἰχμά τε νέων θάλλει καὶ Μῶσα λίγεια/ καὶ Δίκα εὐρυάγυια, καλῶν ἐπιτάρροθος ἔργων562

) e Pindaro (Pind. fr. 199 S.-M. ap. Plut. Lyc. 21 53c ἔνθα βουλαὶ γερόντων / καὶ νέων ἀνδρῶν ἀριστεύοισιν αἰχμαὶ, / καὶ χοροὶ καὶ Μοῖσα καὶ Ἀγλαΐα). Queste sintetiche caratterizzazioni, che per la loro cogente affinità sul piano espressivo e contenutistico fanno pensare a un modulo eulogistico standardizzato facilmente riutilizzabile, potrebbero costituire, a mio parere, un diretto modello della ‘lode rovesciata’ che Timoteo fa degli Spartani ai vv. 206-209. La distinzione della popolazione spartana per classi di età che negli esempi succitati è programmaticamente inserita a fini encomiastici viene recuperata da Timoteo, ma la sua simmetria sintattica è completamente stravolta attraverso l’affastellamento paratattico di epiteti, sostantivi e locuzioni participiali in chiaro contrasto tra loro. Ai vv. 206s. l’espressione ὁ εὐγενέτας μακραίων Σπάρτας ἁγεμών563

può riecheggiare la convenzionale lode alle capacità governative della vecchia aristocrazia spartana (Pind. fr. 199,1 S.-M. βουλαὶ γερόντων ἀριστεύουσι), mentre l’immagine veicolata in λαός βρύων ἄνθεσιν ἥβας ai vv. 207s. sembra fare riferimento alla giovinezza del

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Janssen tenta di ovviare alla contradditorietà dell’espressione ἄνθεσιν ἥβας, riferendola non al ‘fiore della giovinezza’, ma a «the full flowering of one’s phisique, one’s adult prime». Cf. Janssen 1989, 133 ad l. .Cf. tuttavia Prato 1968, 99 ad Tyrt. fr. 10,28 W2. =. fr. 7, 28 P

561 Cf. Csapo-Wilson 2009, 286: «We would suggest…that Sparta in this passage refers less to a political and geographical entity than to an ideological construction by conservativ critics. The language need refer to nothing more than negative criticism from a source which is perhaps not Sparta itself, buto ne which invokes Sparta as a bastion of traditional music.»

562 L’autenticità del frammento in questione, come anche dell’autoreferenziale Terp. fr. 2 G., è messa in dubbio da Wilamowitz 1903, 64s. n.1. Lo seguono le edizioni di Diehl 19422 e Page 1962; vedi anche Van Groningen 1955,184; a favore dell’attribuzione sono Janni [1965, 93], il quale pensa a un’inflenza diretta di Terpandro su Pindaro e Gostoli [1990, 140s.], la quale non esclude che entrambi i poeti abbiano invece attinto indipendentemente a temi poetici ed etici comuni. Tra le ipotesi sulla provenienza del frammento, si veda Bergk 18824, 12: «est fortasse ex carmine, quo Lacedaemoniorum discordiam composuit.»

563 Anche Lambin ipotizza, sulla base dell’epiteto μακραίων, un riferimento alla gerousia e per ovviare alle contraddizioni di questa supposizione con la presenza del nominativo λαός, emenda quest’ultimo termine nel corrispettivo accusativo. Tuttavia, alla luce delle osservazioni appena fatte sui modelli letterari rielaborati da Timoteo, non ritengo la correzione necessaria. Vedi Lambin 2013, 142, nn. 127 e 132.

166 popolo spartano in armi, celebrata nei succitati frammenti pindarico e terpandreo attraverso l’espressione νέων ἀχμά/ ἀχμαί564

. Sembra che Timoteo costruisca la caratterizzazione dei suoi critici attraverso il ribaltamento di questi collaudati spunti eulogistici e letterari; inoltre, l’accostamento ironico di giovinezza e vecchiaia nella descrizione degli Spartani ha la funzione di anticipare l’inconsistenza delle accuse che essi gli muovono, basate esclusivamente su un’opposizione antico/nuovo (i.e. vecchio/giovane). A questa strategia retorica e letteraria si accompagna anche una mirata scelta di un lessico altisonante: sono infatti presenti aggettivi rari e poetici come εὐγενέτας e μακραίων. Il primo è variante metrica del più comune εὐγενής e occorre in alcune sezioni liriche euripidee con valore marcatamente positivo (Eur. Andr. 770-773; Ion 1060; Phoen. 1510)565. Anche l’aggettivo μακραίων ha una certa caratura poetica, come si evince dalle sue occorrenze in tragedia esclusivamente in lyricis. Il termine è particolarmente frequente in Sofocle, dove, oltre a indicare la durata di un periodo di tempo circoscritto (cf. Soph. Ai. 193 in riferimento a σχολή e OT 518, in riferimento a βίος), può riferirsi agli dèi e qualificare la loro condizione di beata longevità (cf. Soph. Ant. 987 in riferimento a Μοῖραι; Soph. OT 1098s. τίς σ᾿ἔτικτε/ τῶν μακραιώνων κτλ). Se riferito a esseri mortali, il termine ha tuttavia una sfumatura negativa: in un passo dell’Edipo a Colono il coro parla della lunga vita di Edipo come di un susseguirsi di pene e sofferenze e lo definisce con un pungente gioco etimologico «miserabile» e «vecchio» (Soph. OC 151s. δυσαίων/ μακραίων θ᾿, ὅσ᾿ἐπεικάσαι)566. L’oscillazione di μακραίων

564 Si tratta in entrambi i casi di espressioni metaforiche convenzionali e ben riconoscibili alla luce dei numerosi precedenti. Per ἄνθεσιν ἥβας cf. Il. XIII, 48; Hes. Th. 988; Tyrt. fr. 7, 28 W2 = 7, 28 P; Solon fr. 12,1 W2; Thgn. 1007, 1070. Per νέων αἰχμά cf. Pind. O. 13, 22s.; N. 10, 13; I 5, 33. Altri, diversamente, hanno ipotizzato che la iunctura βρύων ἄνθεσιν ἥβας ricordi la caratterizzazione dell’esercito persiano ormai sterminato nelle parole di Serse ai vv. 180s. ἥβαν νέων πολύανδρον (~ Aesch. Pers. 670 νεολαία γὰρ ἤδη κατὰ πᾶσ᾿ὄλωλεν; cf. Hordern 2002, 222 ad l.). Per il topos letterario della giovinezza perduta in battaglia cf. Simon. A. Plan. IIIb 4,18 e III 5, 52; Il. XVI 857; XXII 363; Alcm. fr. 3,27 Cal =PMGF 1,27; Aesch. Pers. 733, CEG 13, 82, 136, 155, etc. Vedi Bravi 2006, 51 n. 66. Per l’immagine nobilitante della gioventù spartana in armi, cf. anche la parenesi di Tyrt. fr. 10, 15 W2

= 7, 15 P. ῏ Ω νέοι, ἀλλὰ μάχεσθε παρ᾿ἀλλήλοισι μένοντς, κτλ.

565 Nell’Andromaca il termine è riferito all’importanza di natali eccellenti come fonte inesuaribile di risorse in situazioni difficili (And. 770-773 εἴ τι γὰρ πάσχοι τις ἀμήχανον, ἀλκᾶς/ οὐ σπάνις εὐγενέταις,/ κηρυσσομένοισι δ᾿ἀπ᾿ἐσθλῶν δομάτων/ τιμὰ καὶ κλέος· κτλ.). L’aggettivo ἐσθλός in questo caso non sembra far riferimento alle qualità morali, ma alle nobili origini al pari di εὐγενέτας, come dimostra anche il riferimento alla pratica araldica di dichiarare nome e genealogia negli agoni (v. 772). Cf. Lloyd 1994, 142 ad l. L’aggettivo εὐγενέτας ricorre anche in Ion 1060, dove connota gli Erettidi progenitori degli Ateniesi ed εὐγενεῖς per definizione in quanto autoctoni; in ultimo, in Ph. 1510 l’aggettivo εὐγενέτας, la cui coloritura poetica è accentuata dal legame sintattico con l’epico προπάροιθε, costituisce il terzo elemento di una patetica Polar Ausdruckweise. Sulla priorità delle occorrenze euripidee, vedi Jansen 1989, 129s., Brussich 1990, 71 e Hordern 2002, 258. Va osservato che la scelta dell’alternativa linguistica rara e poeticamente marcata è una caratteristica dello stile di Timoteo, che altrove preferisce γηγενέτας, attestato soltanto in Eur. Ion 1466 e Ph. 128, al più diffuso doppione γηγενής (cf. Tim. PMG 801 σὺ δὲ τὸν γηγενέταν ἄργυρον αἰνεῖς). Janssen segnala a proposito di εὐγενέτας (et simm.) la possibilità che si tratti di varianti linguistiche create metri causa, in analogia al conio omerico dell’aggettivo εὐμενέτης (Od. VI 185) al posto del più comune εὐμενής – che, tuttavia, come osserva lo studioso non è attestata in Omero come variante preponderante. Più interessanti sono le conclusioni di Janssen a proposito della scelta di Timoteo (ibid. 130): «T. chooses this variant, because he has a preference for newly coined words which, in spite of their newness, do not show this».

566 Questa varietà di accezioni riflette le Erweitungen semantiche del sostantivo αἰών nel corso del V sec. a.C. Degani osserva come a partire dalla tragedia eschilea il termine αἰών non indichi più genericamente un periodo di tempo finito o il suo contenuto, ma anche sepcificamente l’età di qualcuno (cf. Soph. OC 152) e, in alcuni casi, la vita umana (e.g.

167 tra i significati di «venerando» e «vecchio» produce un effetto inevitabilmente ironico nella sphragis.

Anche il lessico di violenza e di guerra utilizzato da Timoteo per descrivere l’azione dei suoi detrattori ha un valore marcatamente parodico e mira a screditare celatamente la tradizionale educazione musicale spartana di impronta militaristica: la σεμνότης del suo antico magistero si trasforma, nelle parole di Timoteo, in intransigenza e furore censorio ingiustificato. La scelta dei verbi δονέω, ἐπιφλέγω ed ἐλάω è determinante per drammatizzare l’azione dei detrattori e per conferirle l’effetto mimetico di un attacco militare. Il verbo δονέω indica di norma uno spostamento violento, causato dal vento, dall’acqua e da qualsiasi altra agente astratto o concreto che sia capace di generare un movimento impetuoso e travolgente567; in accordo con quest’accezione, esso può qualificare anche lo sconvolgimento subito a causa di operazioni militari o a una guerra (e.g. Hdt VII 1 ἡ Ἀσίη ἐδονέετο ἐπὶ τρία ἔτεα e App. BC, IV 52 τὰ ὑπερόρια πολέμοις ἐδονεῖτο)568. Il verbo ἐλαύνω, oltre a essere una vox media con significato di «condurre, guidare», può indicare un atto di forza esercitato ora attraverso una spinta e un movimento ripetuti (≈ δονέω), ora attraverso l’inflizione di percosse e ferite. In contesto militare, il verbo occorre con il significato di «spingere a un punto limite» (cf. Il. XIII 315 e, in senso figurato, Od. V 290); « prostrare, sottomettere» (cf. Aesch. Pers. 771 Ἰωνίαν τε πᾶσαν ἤλασεν βίᾳ [sc. Κῦρος]) o «ferire, battere, scagliare l’arma attraverso qualcosa» (cf. Il. V 57, 584; XXII 269; Od. XXII 295; Tyrt. fr. 11,20 W2; Pind. N. 10,70)569.

È appena il caso di osservare che, seppure i verbi δονέω ed ἐλαύνω non occorrono con valore metapoetico, il lessico delle percosse, della violenza fisica e dell’allontanamento forzato veicola spesso un atto di censura sociale o politica e, nell’ambito di una polemica letteraria, connota un’azione contro poeti eccessivamente innovatori o sovversivi. Nell’Iliade Odisseo percuote Tersite

dopo il suo discorso farneticante, emarginandolo e ridicolizzandolo davanti a tutti gli altri Greci (Il. II 265s. Ὣς ἄρ᾿ἔφη, σκήπτρῳ δὲ μετάφρενον ἠδὲ καὶ ὤμω/ πλῆξεν·; per la stessa espressione con il verbo ἐλαύνω, cf. Il. II 198s. Ὃν δ᾿αὖ δήμου τ᾿ἄνδρα ἴδοι βόωντα τ᾿ἐφεύροι,/ τὸν σκήπτρῳ ἐλάσεσκεν ὁμοκλήσασκέ τε μύθῳ); negli Acarnesi di Aristofane i vecchi abitanti, agguerriti e bellicosi, s’incitano vicendevomente a lapidare Diceopoli, artefice dell’indesiderata tregua (Ar. Ac. 279-280 Οὗτος αὐτός ἐστιν, οὗτος·/ βάλλε, βάλλε, βάλλε, βάλλε,/ παῖε παῖε τὸν μιαρόν./ Οὐ βαλεῖς,

Tim. PMG 791, 140). Quando poi il termine si svincola da qualsiasi legame concreto con la dimensione umana, può passare a significare «età, generazione, epoca», senza che tale concetto abbia dei limiti di tempo chiaramente definiti. Cf. Degani 1961, 46 e 58ss.

567

Il significato di base del verbo δονέω spiega anche il suo utilizzo in senso traslato a indicare lo sconvolgimento prodotto dal sentimento amoroso. Cf. Sapph. 130,1 V. = 130,1 LP Ἔρος δἦτέ μ᾿ὀ λυσιμέλης δόνει; cf. anche Pind. P. 4,219 e Ar. Lys. 954s. Vedi inoltre Taillardat 1965, 159 § 301.

568 Vedi LSJ9 444 s.v.δονέω I. 2 569

168 οὐ βαλεῖς;); nelle Nuvole il Discorso Migliore, elogiando l’ἀρχαία παιδεία, ricorda le sanzioni fisiche che erano previste per chi a lezione di cetra non seguisse i precetti del maestro e si lanciasse in preludi ‘alla Frinide’ (Ar. Nub. 969-972 εἰ δέ τις αὐτῶν βωμολοχεύσαιτ’ ἢ κάμψειέν τινα καμπὴν οἵας οἱ νῦν,/ τὰς κατὰ Φρῦνιν ταύτας τὰς δυσκολοκάμπτους,/ ἐπετρίβετο τυπτόμενος πολλὰς ὡς τὰς Μούσας ἀφανίζων). Il parallelo più probante ai versi di Timoteo proviene dal controverso hyporchema pratineo, in cui l’aggressione di un coro570 contro una performance aulodica eccessivamente mimetica è descritta in termini di percosse, fuoco e invettiva violenta (PMG 708, 10-12 = TrGF I 4 F 3, 10-12 ap. Ath. XIV 617e παῖε τὸν φρυνεοῦ/ ποικίλου πνοὰν ἔχοντα,/ φλέγε τὸν ὀλεσιαλοκάλαμον)571

. Tra gli esempi di ‘percosse metapoetiche’ rientra anche il parodico trattamento riservato al ditirambografo Cinesia negli Uccelli aristofanei, tutto giocato sull’anfibologia semantica dell’hapax legomenon πτεροδόνητος, alla lettera «agitato dalle ali»: l’aggettivo, che viene messo in bocca a Cinesia per qualificare la condizione di leggerezza e volatilità della propria poesia (Ar. Av. 1388-1390 τὼν διθυράμβων γὰρ τὰ λαμπρὰ γίγνεται/ ἀέρια καὶ σκοτεινὰ καὶ κυαναγέα/ καὶ πτεροδόνητα), è ripetuto pochi versi dopo da Diceopoli con un ironico slittamento semantico a indicare le percosse che infligge a Cinesia con le ali che gli ha appena procurato (v. 1402 οὐ γὰρ σὺ χαίρεις πτεροδόνητος γενόμενος;).

Una certa attenzione merita anche il verbo ἐπιφλέγω, il cui significato-base «infiammare»572 può essere applicato a un’azione concreta in contesto militare (e.g. Hdt. VII 32 e Thuc. II 77)573 e astratta, assumendo in quest’ultimo caso l’accezione metaforica genericamente positiva di «eccitare, far risplendere» e, intransitivamente, di «divampare, brillare». Si vedano rispettivamente Aesch. Pers. 395 σάλπιγξ ἀϋτῇ πάντ’ ἐκεῖν’ ἐπέφλεγεν e Pind. P. 11, 45 τῶν δ᾿εὐφροσύνα τε καὶ

570 Di un coro di satiri si tratterebbe secondo quanti studiosi sono favorevoli a identificare il componimento con una sezione lirica di un dramma satiresco (tra gli altri Pohlenz 1965, 473-496; Seaford 1977/1978, 81-94; D’Alessio 2007, 95-128; Bierl 2011, 67-95). Favorevoli a una performance ditirambica, più o meno tarda, sono Wilamowitz 1913, 132- 136; Lloyd-Jones 1966, 11-33; Zimmermann 1986, 145-154; Napolitano 2000, 111-155. A favore di un testo genuinamente iporchematico è invece Cipolla 1999, 33-46.

571 La congettura ὀλεσιακάλαμον al v. 12 risale a Bergk 1843 e corrisponderebbe a una variante scempiata dell’inattestato *ὀλεσι<σι>λοκάλαμον, «canna che consuma la saliva» o, in accezione attributiva come interpreta LSJ9, «made of spittle wasting reed, epith. of the flute». Tale è la lezione dell’epitome E riportata in apparato da Peppink, Page e Kannicht-Snell (ὀλεσια κάλαμον). Tuttavia, di recente Cipolla ha osservato che E presenta piuttosto ὀλοσιακάλαμον, una lezione già riconosciuta da Kaibel e che, in tale forma, sembra derivare direttamente da ὀλοσισιαλοκάλαμος presente nei codici AC e in Eustazio, che nel Commentario all’Iliade allude al verso pratineo. La lezione di E sarebbe esito della corruzione di un originario ὁλοσιαλοκάλαμος, traducibile con «canna tutta (piena di) saliva», come già avevano ipotizzato Casaubon e Schiewhäuser. Cf. Cipolla 2003, 66s. Genericamente il termine viene identificato con un epiteto dell’αὐλός, ma Eustazio spiega l’epiteto come un nomignolo per un suonatore di flauto scadente, in perfetto pendant con l’espressione dei vv. 10s. τὸν φρυνεοῦ/ ποικίλου πνοὰν ἔχοντα. Cf. Eust. ad Σ 576σ., 1165,25 καὶ δόναξ μὲν συρικταῖς χρήσιμος, κάλαμος δὲ αὐληταῖς, ὅθεν καί τις φαῦλος αὐλεῖν ὀλοσιαλοκάλαμος ἐσκώφθη.

572 Cf. LSJ9 671 s.v. ἐπιφλέγω.

573 Timoteo ne utilizza la forma semplice all’interno dell’omphalos per descrivere le ultime fasi della battaglia: Tim. PMG 791, 25-27 στερεοπαγῆ δ᾿ἐφέρετο φόνι-/α [λίθια πισσ]ᾶ̣[ν]τά τε περίβο-/λα πυρὶ φλεγό̣μεν᾿ἐν ἀποτόμασι κτλ.

169 δόξ᾿ἐπιφλέγει; in ultimo, con valore metapoetico, Pind. Ο. 9, 22 φίλαν πόλιν μαλεραῖς ἐπιφλέγων ἀοιδαῖς574

.

A questo lessico della ‘violenza metapoetica’ si aggiunge in ultimo la iunctura αἴθοπι μώμῳ al v. 207, «con furioso biasimo»:575. Va osservato che il termine μῶμος, al pari di ψόγος, ha assunto un importante valore programmatico nella tradizione letteraria eulogistica, in cui indica gli atteggiamenti di biasimo che colpiscono le imprese eccellenti del laudandus celebrato dal poeta e, senza soluzione di continuità, anche gli atteggiamenti di censura che colpiscono il poeta stesso. Come si è approfonditamente discusso in relazione a Pindaro, questo concetto di detrazione, la cui scaturigine è costituita dall’invidia ingiustificata (φθόνος) provata nei confronti di chi è migliore, costituisce una condicio sine qua non della celebrazione eulogistica, dal momento che la sua presenza legittima e contrario il superiore valore del laudandus e del poeta (Cf. Pind. P. 1, 81s.; O. 6, 74s.; Bacchyl. 13,202s.576). Anche in Timoteo, il μῶμος ingiustificato degli Spartani cosituisce la premessa necessaria per elaborare la confutazione alle critiche che gli vengono mosse e legittimare così la propria arte poetica.

574 Lo stesso discorso vale per il verbo semplice φλέγω che, accanto ai significati propri di «accendere, appiccare fuoco» e «accendersi, bruciare» quando è usato intransitivamente, può essere usato anche in una molteplicità di accezioni metaforiche, come ad esempio «fomentare, infiammare» (cf. Soph. OT 192 ed Eur. Ph. 239; al passivo con il significato di «essere infiammato/ consumato da» in Soph. OC 1695 e Ar. Nub. 992); «infiammarsi, accendersi» di un sentimento (cf. Ar. Th. 388 e 680); occorre inoltre con valore metapoetico nelle accezioni di «far risplendere, i.e. rendere famoso», (cf. Pind. P. 5,45 in riferimento all’azione delle Cariti; al passivo N. 10,2 in riferimento alla città lodata e I. 7,23 in riferimento al laudandus) e «divampare, splendere» (Bacchyl. fr. 4,80 M. παιδικοί θ᾿ὕμνοι φλέγονται; Cf. Mahler 1997, 308 ad l.: «Während bei Pindar immer die “Glanz”-Metapher zugrundeliegt, ist hier bei B. auch an die “Glut” des Eros gedacht, etc»). Per gli usi metaforici del verbo φλέγω et simm. in Euripide cf. Breitenbach 1967[1934], 158.

575 Janssen avanza l’ipotesi che in questo caso l’aggettivo αἴθοψ non faccia unicamente riferimento al ‘divampare’ del biasimo degli Spartani, ma anche alle tenebre che esso getta su Timoteo. Lo studioso cita a sostegno delle proprie ipotesi le occorrenze omeriche di αἴθοψ in cui traspare ancora con una certa evidenza l’accezione coloristica di ‘scuro’ in riferimento al vino o al fumo575 e ricorda Μῶμος figlio della nera notte nella Teogonia esiodea (Hes. Th. 213s.).