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Gli atti e i provvedimenti, da produrre e/o utilizzare in giudizio, non in

6. Onere di anticipazione delle spese giudiziali e art 24 Cost.: la posizione

6.5. Gli oneri fiscali: le tasse giudiziarie di bollo

6.5.1. Gli atti e i provvedimenti, da produrre e/o utilizzare in giudizio, non in

Le norme che contemplavano i divieti per giudici, cancellieri e ufficiali giudiziari di ricevere o rilasciare atti o provvedimenti non in regola col bollo o col registro sono state in più occasioni vagliate dalla Corte.

La delicatezza di un tale scrutinio di costituzionalità fu ben descritta da Virgilio Andrioli, il quale avvertì: «la parte che (…) non ha fondi sufficienti per assolvere agli oneri fiscali, senza i quali non può far uso del documento decisivo, si trova in una posizione deteriore rispetto alla parte più ricca. (…) Lo Stato, tra l’obbligo di render giustizia e il diritto di percepire tributi, dà la preferenza al secondo e non somministra giustizia fino a quando non sia soddisfatto il debito tributario. Ora, se si considera che i tributi, il cui assolvimento costituisce il presupposto della possibilità di far valere in giudizio il diritto, per essere indiretti non sono immediatamente commisurati alla capacità contributiva del litigante, la disuguaglianza di fatto nella parte poco danarosa non è neppur giustificata dall’art. 53 della Costituzione» (364).

a) Mediante la fondamentale sentenza 9 aprile 1963, n. 45 (365) la Consulta ritenne costituzionalmente legittimo, in rapporto agli artt. 3 e 53 Cost., l’insieme degli oneri fiscali imposti al processo con riguardo sia al bollo sia al registro.

Dopo avere asserito che gli obblighi e gli oneri imposti a fini fiscali non «impediscono la tutela giurisdizionale del diritto fondato su una scrittura non registrata» ma si limitano ad incidere sulla «disponibilità dei mezzi probatori», imponendo alle parti una «valutazione di convenienza compiuta come in ogni caso in cui la legge assoggetta ad oneri l'esercizio di un diritto», la Corte fa valere il criterio della ponderazione tra l’interesse al regolare svolgimento del processo e quello «generale alla riscossione dei tributi».

(364) V. Andrioli, La tutela giurisdizionale dei diritti nella Costituzione della Repubblica italiana, cit., 312; rist. in Scritti giuridici, I, Milano 2007, 11.

(365) In www.giurcost.org e in Riv. dir. proc. 1965, 443 ss., con nota di L. P. Comoglio, L’art. 24 della Costituzione e gli oneri fiscali nel processo.

In tale ordine di idee, atteso che – a giudizio della Corte – «la Costituzione non garantisce a tutti l'esercizio gratuito della tutela giurisdizionale e non vieta di imporre prestazioni fiscali in stretta e razionale correlazione con il processo», gli oneri fiscali, sia che «configurino vere e proprie tasse giudiziarie» sia che limitino «l'uso di documenti necessari alla pronunzia finale dei giudici», non hanno «alcun nesso con la regola del solve et repete», già dichiarata costituzionalmente illegittima. Mentre quest’ultima, invero, «assoggettava al pagamento del tributo che era oggetto dell'azione giudiziaria e quindi obbligava ad un pagamento (…) anticipato sull'accertamento dell'obbligo» con conseguente ostacolo all’esercizio dell’azione, la legge di registro si limitava ad imporre la sospensione del processo, «nel corso del quale (fosse) stata dedotta la scrittura non registrata, soltanto quando il giudice (avesse) accertato che essa era (…) soggetta alla registrazione e, a garanzia della immediata correlazione fra l'obbligo fiscale e la domanda o l'eccezione, quando (avesse) constatato che su quella scrittura si fondava l'una o l'altra».

In relazione, poi, all’utilizzo in giudizio di atti sottoposti a registrazione in termine fisso, la Consulta, già nella sentenza in commento, aveva ritenuto legittima la relativa norma, sottolineando l’irrazionalità, «sotto il pretesto del rispetto del principio di eguaglianza», di una opzione che consentisse alla parte di «trarre vantaggio dalla sua condizione patrimoniale (…) per continuare a sottrarsi all'adempimento di un'obbligazione che si sarebbe dovuta soddisfare già prima del giudizio» (366).

b) Nella sentenza 22 dicembre 1969, n. 157 (367), la Corte si concentrò poi sulla differenza, ai fini dei divieti di utilizzabilità in assenza di registrazione, tra atti soggetti a registrazione in termine fisso e atti soggetti a registrazione solo in caso d’uso.

Per essa, il divieto concernente i primi è perfettamente legittimo, dacché risponde alla necessità di garantire la generale applicazione dei tributi e «non

(366) V. anche Corte cost. 26 maggio 1971, n. 111, in www.giurcost.org. (367) In www.giurcost.org.

incide sull’azione», bensì soltanto sull’utilizzo del documento a fini probatori (368).

Il divieto inerente i secondi potrebbe invece, al massimo, rivelarsi illegittimo se l’onere di registrazione dell’atto, necessario per il suo utilizzo in giudizio, comportasse la corresponsione di un tributo «commisurato ad una percentuale sul valore del negozio, indipendentemente dall'entità della pretesa fatta valere in giudizio, che può essere circoscritta ad una parte trascurabile del negozio stesso (caso limite)». In quest’ultima ipotesi sarebbe disatteso il principio del «razionale collegamento» tra onere fiscale e processo e si concreterebbe, attesa la sproporzione tra la tassa da corrispondere e il valore del bene della vita oggetto del giudizio, un vero e proprio ostacolo al diritto di azione.

Tuttavia, la natura degli atti soggetti a registrazione soltanto in caso d'uso è – a detta della Corte – «tale da far escludere che possano presentarsi casi limite» come quello testé prospettato; peraltro, secondo la Consulta, proprio il sorgere dell'obbligo fiscale nel momento in cui l'atto si vuole far valere in giudizio confermerebbe, anziché escludere, la correlazione di tale obbligo col processo e ne accentuerebbe l'analogia con le tasse giudiziarie.

Per tali ragioni, dunque, la Consulta sancì la legittimità costituzionale di tutti gli oneri di registrazione degli atti da utilizzare in giudizio.

c) Fu invece ritenuto incostituzionale l’art. 17 l. 31 luglio 1956, n. 991, mercé il quale si disponeva che gli atti, previsti negli artt. 27 e 28 r.d. 25 giugno 1940, n. 954, sui quali non fossero state apposte le marche relative al contributo previdenziale della Cassa di previdenza ed assistenza degli Avvocati non potevano essere ricevuti dai cancellieri (369).

Per la Consulta, infatti, «mentre le normali funzioni del cancelliere sono quelle di ricevere gli atti, di registrarli, di tenerli in deposito e di rilasciarne copia o certificati, la norma impugnata affida(va) alla responsabilità del medesimo l'eccezionale potere di determinare, con la non ricezione dell'atto, una situazione

(368) Sul punto si vedano le osservazioni di A. Fedele, Oneri fiscali e processo nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Giur. cost. 1969, 2368.

processuale gravissima per il corso del procedimento»: perciò essa «viola(va) (…) il diritto di agire in giudizio garantito dal primo comma dell'art. 24 della Costituzione».

d) Del pari costituzionalmente illegittimo fu giudicato l’art. 117, comma 1°, r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 (370), «nella parte in cui vieta(va) ai funzionari delle cancellerie giudiziarie di rilasciare, prima che (fosse) avvenuta la loro registrazione, copie o estratti di sentenze il cui deposito in giudizio (fosse) condizione essenziale per la procedibilità dell'impugnativa», ai sensi dell'art. 348 c.p.c. (371).

La Corte, sulla scorta di argomenti del tutto condivisibili, ritenne infatti che il divieto imposto «ai funzionari delle cancellerie giudiziarie di rilasciare copia di qualsiasi atto soggetto a registrazione prima che questa (fosse) stata effettuata, in quanto preclud(eva) il rilascio di copia della sentenza di primo grado a favore di colui che intend(esse) proporre gravame contro di essa, (aveva) per conseguenza di pregiudicare il valido esercizio di tale diritto», posto che l’art. 348, ult. comma, c.p.c. faceva discendere l'improcedibilità dell'appello medesimo dal mancato deposito, alla prima udienza di comparizione, del fascicolo dell'appellante, «fascicolo del quale (era) elemento essenziale la copia della sentenza impugnata, secondo il tassativo disposto del precedente art. 347 c.p.c.».

e) In ragione dell’effettività della tutela giurisdizionale in executivis fu poi dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 66 d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 (372), nella parte in cui non escludeva il divieto (imposto, tra gli altri, ai cancellieri) di rilasciare l’originale o la copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale, soggetti a registrazione in termine fisso, anche in assenza della predetta registrazione e dell’indicazione dei relativi estremi, qualora originale o copia del provvedimento dovessero essere utilizzati per procedere all’esecuzione forzata (373).

(370) Contenente il testo unico delle leggi di registro. (371) Corte cost. 15 giugno 1966, n. 80, cit.

(372) Di approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro. (373) Corte cost. 6 dicembre 2002, n. 522, cit.

La Consulta, molto opportunamente, sottolineò invero come «la valutazione di bilanciamento fra l’interesse all’effettività della tutela giurisdizionale e quello alla riscossione dei tributi (fosse) effettuata, per i due tipi di processo, in modo irragionevolmente diverso: l’inadempimento dell’obbligazione tributaria, che pure non (preclude) lo svolgimento del processo di cognizione fino all’emanazione della sentenza (o di altro provvedimento esecutivo) e (determina) solo la comunicazione da parte del cancelliere all’ufficio del registro degli atti non registrati», impediva invece l’«attuazione mediante l’esercizio della tutela giurisdizionale in via esecutiva» della sentenza o del provvedimento esecutivo.

6.5.2. L’incostituzionalità dell’istituto del solve et repete e delle altre