• Non ci sono risultati.

L’incostituzionalità dell’istituto del solve et repete e delle altre norme

6. Onere di anticipazione delle spese giudiziali e art 24 Cost.: la posizione

6.5. Gli oneri fiscali: le tasse giudiziarie di bollo

6.5.2. L’incostituzionalità dell’istituto del solve et repete e delle altre norme

a) Il solve et repete fu tra quegli istituti i quali, più d’altri, palesarono l’impatto del pubblico interesse alla riscossione dei tributi sulla struttura e sulle modalità di attivazione o prosecuzione del giudizio. Esso era previsto nell’art. 6, comma 2°, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, stando al quale «in ogni controversia d'imposte gli atti d'opposizione per essere ammissibili in giudizio dovranno accompagnarsi dal certificato di pagamento dell'imposta, eccetto il caso che si tratti di domanda di supplemento».

Parte della giurisprudenza precedente la dichiarazione d’illegittimità costituzionale aveva percepito la gravità per il contribuente e la mancata conformità ai «principi informatori di un ordinamento moderno» dell’obbligo di previa corresponsione del tributo ai fini dell’esercizio dell’azione di accertamento della sua legittimità. Perciò cercò di ridurne l’impatto processuale, interpretando evolutivamente l’istituto e, per tale via, ritenendolo inapplicabile in ipotesi di inesistenza prima facie del debito d’imposta (374); altra peculiare mitigazione fu individuata, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, nella facoltà di ricorrere

per cassazione ex art. 111 Cost. avverso le decisioni della Commissione Centrale per le imposte dirette (375).

Tuttavia, anche in ragione dei correttivi testé rassegnati, il solve et repete non era giudicato in contrasto con alcuna disposizione costituzionale (376): si riteneva, infatti, che l’onere del previo versamento del tributo, cagionando un temporaneo difetto di giurisdizione del giudice ordinario e rendendo persino esperibile il regolamento ex art. 41 c.p.c. in caso di mancato rilievo del suo inadempimento, comportasse soltanto la conversione dell’azione di accertamento circa l’inesistenza dell’obbligazione tributaria in azione di ripetizione dell’indebito (377).

L’impatto dell’istituto in commento si rivelava, nondimeno, assai grave anzitutto nel c.d. fallimento fiscale, giacché a cagione dello «spossessamento» previsto nell’art. 42, comma 1°, l. fall. veniva praticamente vanificata la facoltà del fallito di opporsi, sì indebolendosi la tutelabilità dei suoi diritti avverso la sentenza dichiarativa.

Solo nel 1960 la Consulta fu investita della questione di legittimità costituzionale del solve et repete; i giudici remittenti (378) sottolinearono soprattutto la disparità di trattamento che ne derivava fra abbiente e non abbiente, laddove si poneva quest’ultimo in condizione di non potere agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, attesa l’impossibilità del previo assolvimento dell’obbligazione tributaria.

(375) V., tra le altre, Cass. 17 ottobre 1955, n. 3226, in Giust. civ. 1956, I, 459 ss.; Cass. 14 agosto 1959, n. 2526, ivi 1959, I, 2122 ss.

(376) V., in tal senso, Cass., sez. un., 25 gennaio 1957, n. 260, in Giust. civ. 1957, III, 159 ss.; in Dir. prat. tribut. 1958, II, 237 ss., con nota di C. Magnani, Sulla legittimità costituzionale del solve et repete. V. anche App. Milano 19 novembre 1957, in Foro pad. 1958, I, 1322 ss., con nota di G. Stendardi, Solve et repete ed un vecchio scritto di Jhering.

(377) Di difetto di giurisdizione, in ipotesi di inosservanza del solve et repete, discorrevano Cass., sez. un., 10 dicembre 1959, n. 3527 (in Foro amm. 1960, II, 30 ss.) e Cass., sez. un., 7 aprile 1948, nn. 516 e 517 (in Giur. imp. dir. reg. e neg. 1950, nn. 78, 87, 243 e 275).

(378) Pret. Pavia 21 marzo 1960, in Giur. cost. 1960, 899 ss.; Trib. Venezia 11 febbraio 1961, in Giur. civ. 1961, III, 37 ss.

Per tale via si giunse alla celebre sentenza 31 marzo 1961, n. 21 (379), mercé la quale la Corte, dichiarando costituzionalmente illegittimo l’istituto con riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., mutò l’orientamento che pareva delinearsi in taluni obiter dicta della pronuncia 29 novembre 1960, n. 67 (380).

La Consulta ritenne, invero, che «la imposizione dell'onere del pagamento del tributo, regolato quale presupposto imprescindibile della esperibilità dell'azione giudiziaria diretta a ottenere la tutela del diritto del contribuente (…)», violasse i principi sanciti dagli artt. 3, 24 e 113 Cost.: essa, infatti, mentre non precludeva all’abbiente di «chiedere» e «ottenere» «giustizia» «ove po(tesse) provare di avere ragione», rendeva «difficile e talvolta impossibile», de

facto e de iure (trattandosi di un presupposto processuale stabilito ex lege), la

tutela dei diritti rivendicati dal non abbiente; d’altra parte, negli artt. 24, comma 1° e 113 Cost. «l'uso delle parole “tutti” e “sempre” ha chiaramente lo scopo di ribadire la uguaglianza di diritto e di fatto di tutti i cittadini per quanto concerne la possibilità di richiedere e di ottenere la tutela giurisdizionale» nei riguardi dei privati o degli organi pubblici. Subordinare, in altre parole, l’esercizio dell’azione, volta a contestare la legittimità dell’imposizione fiscale, alla esibizione in giudizio del certificato di pagamento del tributo significava, in definitiva, denegare tutela a chi non fosse nelle condizioni di pagarlo.

(379) In Foro it. 1961, I, 561 s.; in Giur. cost. 1961, 138 ss., con note di G. Treves, Exit «solve et repete», e di C. Esposito, Considerazioni sulla morte del «solve et repete»; in Giust. Civ. 1961, III, 53 ss., con nota di L. Bianchi D’Espinosa, «Solve et repete» e Costituzione; in Riv. dir. proc. 1961, 641 ss., con nota di F. Maffezzoni, Motivi e limiti di efficacia della abolizione del «solve et repete».

V. anche G. Abbamonte, Alcune conseguenze della dichiarazione di illegittimità costituzionale del «solve et repete», in Rass. dir. pubbl. 1961, 362 ss.; G. A. Micheli, Considerazioni sulla incostituzionalità del «solve et repete», in Giur. cost. 1961, 1183 ss.; L. Montesano, «Solve et repete» tributario e accertamento dell’incostituzionalità derivata, ibid., 1193 ss.

V. poi E. Allorio, Diritto processuale tributario, Torino 1969, 615 ss.; C. Magnani, voce «Solve et repete» (diritto tributario), in Noviss. dig. it., vol. XVII, Torino 1970, 845 ss.; G. A. Micheli, Corso di diritto tributario, 7a ed., Torino 1991, 231 ss. e 323 ss.

La stessa Corte, peraltro, nell’individuare lo scopo del solve et repete, lo definì «una misura particolarmente energica ed efficace al fine dell'attuazione del pubblico interesse alla percezione dei tributi».

Si trattava, a ben vedere, di un istituto del tutto inassimilabile alle diverse figure di cauzioni e oneri di cui si è detto nei paragrafi precedenti. Mentre, infatti, per questi ultimi l’interesse pubblico, cui l’onere si ispira, riguarda direttamente le esigenze tecniche dello strumento processuale e l’assolvimento dell’onere si sostanzia nella corresponsione di somme di per sé estranee alla res

in iudicatum deducta, nel caso del debito d’imposta, invece, l’interesse pubblico

perseguito dal solve et repete era irrelato al processo e alle sue finalità e l’onere imposto al contribuente si risolveva nell’adempimento della stessa prestazione controversa.

b) Sulla scorta delle suesposte considerazioni la Corte dichiarò costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 Cost., anche gli artt. 117 e 118 del Testo Unico delle leggi di registro (381), limitatamente alla parte di essi in cui si disponeva che «i funzionari delle cancellerie giudiziarie non po(tevano) rilasciare copie o estratti di sentenze non registrate ed i giudici emettere sentenze, decreti o altri provvedimenti sulla base di tali copie ed estratti, anche quando si contest(asse) la legittimità dell'imposta di titolo accertata in base alle sentenze stesse» (382).

Ciò perché «la sentenza costituisce la base dell'accertamento fiscale la cui legittimità viene contestata in giudizio», sì che il condizionarne l’utilizzo alla corresponsione del tributo rappresenterebbe una vera e propria applicazione della regola del solve et repete già dichiarata incostituzionale mercé la citata sentenza 31 marzo 1961, n. 21.

c) Analogamente, ulteriori applicazioni – costituzionalmente illegittime – della regola del solve et repete furono ravvisate dalla Consulta: ca) negli artt. 84 e 730 c. nav., nella parte in cui subordinavano l’opposizione a decreto ottenuto dall’autorità marittima per il rimborso di spese anticipate (o comunque sostenute) per conto di privati al previo versamento della somma indicata

(381) Di cui al r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269.

nell’atto di ingiunzione – l’incostituzionalità delle disposizioni testé menzionate derivava dalla circostanza che «la deroga (agli artt. 3, 24 e 113 Cost., n.d.r.) in ess(e) contenuta (…) non (era) giustificata dallo scopo di scoraggiare eventuali intenti dilatori di chi, agendo in opposizione, si serve di un mezzo per instaurare un giudizio ordinario a tutela dei propri diritti, di fronte a un atto di particolare efficacia esecutiva qual è l'atto ingiuntivo» (383); cb) nell’art. 14, comma 2°, d.l. 24 novembre 1954, n. 1069 (384), istitutivo di una imposta di fabbricazione sui cementi e sugli agglomerati cementizi, per mezzo del quale si disponeva che l’atto di opposizione all’ingiunzione di pagamento intimata dal ricevitore doganale non era valido se non preceduto dal versamento della somma richiesta (385); e cc) nell’art. 60 r.d.l. 19 ottobre 1938, n. 1933, recante la riforma delle leggi sul lotto pubblico, stando al cui comma 2° il ricorso all'autorità giudiziaria contro la liquidazione della tassa per i concorsi e le operazioni a premi non era ammissibile se non fosse stata pagata la tassa dovuta (386).

d) Ancora in relazione alla regola del solve et repete la Consulta dichiarò, con la sentenza 7 dicembre 1964, n. 100 (387), l’illegittimità costituzionale degli artt. 77, 78, 79 e 80 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270 (388).

A giudizio della Corte, tali norme, nella parte di esse in cui si disponeva che i soggetti ivi indicati non potevano agire in giudizio o proseguirlo senza aver dato la prova dell'avvenuto pagamento dell’imposta di successione ovvero della ottenuta dilazione o della esenzione e nella parte in cui si sanzionava con l'obbligo di pagare le tasse e le sopratasse l'inosservanza di tale obbligo, delineavano una situazione del tutto rispondente a quella del solve et repete, costringendo la parte alla corresponsione di un tributo ancor prima che si

(383) Corte cost. 8 luglio 1967, n. 96, in Foro it. 1967, I, 1987 ss. (384) Convertito in l. 10 dicembre 1954, n. 1159.

(385) Corte cost. 10 giugno 1969, n. 100, in Foro it. 1969, I, 2016 ss. (386) Corte cost. 24 febbraio 1995, n. 55, in Foro it. 1995, I, 1104 ss. (387) In www.giurcost.org.

accertasse in guisa definitiva il titolo in ragione del quale esso poteva esigersi (389).